Scheda  
08 Marzo 2022


Violenza sessuale e ricerca del dissenso della vittima: la difficoltà dei giudici di merito a recepire gli insegnamenti della Corte di cassazione


Andrea Niccolò Pinna

Trib. Busto Arsizio, sent. 26 gennaio 2022


1. Il 26 gennaio 2022, il Tribunale di Busto Arsizio, adottando un’interpretazione restrittiva e anacronistica della fattispecie di violenza sessuale, ha assolto un uomo accusato di aver molestato una donna in occasione di un incontro di lavoro, perché la vittima non aveva espresso istantaneamente il proprio dissenso. I fatti oggetto di giudizio sono pacificamente ricostruiti attraverso le dichiarazioni della donna, ritenute dal Tribunale «pienamente attendibili»: la vittima, un’assistente di volo, si era rivolta all’imputato, sindacalista, su consiglio di un’amica, per sottoporgli delle problematiche lavorative. Durante l’incontro, avvenuto nell’ufficio di un aeroporto, l’uomo aveva chiuso la porta d’improvviso, e dopo essersi avvicinato alla vittima da dietro l’aveva baciata e massaggiata sul collo, per poi toccarle i seni, fino ad arrivare a infilare le mani nel suo slip, «tirandolo come per farla alzare». La reazione della donna era arrivata appena 20-30 secondi dopo, quando, superata la paura e lo sgomento, aveva trovato il coraggio di intimargli di fermarsi.

 

2. Ma quella manciata di secondi è bastata al collegio giudicante – composto da tre donne – per escludere la rilevanza penale della condotta, sia sul versante oggettivo, sia su quello soggettivo. Da un lato, i giudici hanno ritenuto insussistente l’elemento della costrizione, specificando che la condotta dell’uomo non poteva qualificarsi come repentina e insidiosa perché si era protratta «per circa trenta secondi, in cui [la donna] aveva continuato a sfogliare e a leggere i documenti, senza manifestare alcun dissenso»; dall’altro, la mancata esplicitazione del dissenso, unitamente alla posizione dell’uomo – che trovandosi alle spalle della donna non avrebbe potuto percepire eventuali espressioni di contrarietà sul suo volto – hanno indotto il Tribunale a ritenere carente anche l’elemento soggettivo. Inoltre, il fatto che la donna durante gli atti sessuali abbia «continuato a sfogliare e a leggere ad alta voce i documenti che aveva con sé, poiché spaventata», viene letto dal Tribunale come un possibile incentivo a proseguire nei toccamenti.

 

3. Nella pronuncia del Tribunale si riflette l’anacronistico orientamento giurisprudenziale che, adottando un’interpretazione restrittiva del requisito della costrizione previsto dalla fattispecie, non ravvisa la punibilità degli atti sessuali compiuti in mancanza di un esplicito dissenso della vittima, finendo così per porre in capo ad essa l’onere di resistere all’atto sessuale che le viene imposto. Come se incombesse sulle donne – vittime di questo tipo di violenze «in modo sproporzionato», come ricorda la Convenzione di Istanbul – una presunzione di consenso agli atti sessuali, che queste sono di volta in volta chiamate a smentire – peraltro, secondo questa pronuncia, in tempi rapidissimi – perché sia loro accordata una tutela da parte della legge penale.

 

4. Il Tribunale non manca di confrontarsi (almeno formalmente) con quei filoni giurisprudenziali della Cassazione che, nel corso degli ultimi decenni, hanno inteso garantire l’effettività della tutela penale proprio nei casi in cui la donna non abbia espresso un esplicito dissenso all’atto sessuale, sviluppando, tra gli altri, il concetto di atti sessuali repentini e insidiosi. Per consolidata giurisprudenza, infatti, l’elemento oggettivo della violenza sessuale non si esaurisce nell’atto sessuale ottenuto tramite un costringimento fisico, ma comprende anche il «compimento di atti di libidine subdoli e repentini, compiuti senza accertarsi del consenso della persona destinataria, o comunque prevenendone la manifestazione di dissenso»[1]. Nella pronuncia del Tribunale, tuttavia, la nozione di atti repentini viene svuotata di contenuto, attraverso un’interpretazione che la ritiene inapplicabile al caso concreto perché l’atto sessuale dell’uomo – che il collegio sottolinea essere iniziato con un «mero massaggio sul collo», quasi fosse usuale che un individuo, in occasione di un incontro lavorativo, improvvisamente inizi a massaggiare il proprio interlocutore – non ha incontrato l’immediata resistenza della donna. Il fatto che il gesto dell’uomo si discosti dalla più frequente casistica di atti repentini realizzati da estranei (si pensi, ad esempio, ai toccamenti sui mezzi pubblici di trasporto), non toglie che le modalità con cui esso si estrinseca restino quelle proprie dell’atto repentino, che «sorprende la vittima, la pone nella impossibilità di difendersi venendo, così, a superare la sua contraria volontà»[2].

 

5. La pronuncia del Tribunale s’infrange in modo ancor più netto con il recente orientamento della Cassazione che negli ultimi anni ha inteso ribaltare definitivamente la presunzione di consenso che, come anticipato, sta alla base delle pronunce che non ravvisano una violenza sessuale in mancanza dell’esplicita manifestazione di dissenso della donna. A questo proposito, la Corte ha affermato che «non è ravvisabile in alcuna fra le disposizioni legislative introdotte a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 66 del 1996, [...] un qualche indice normativo che possa imporre, a carico del soggetto passivo del reato [...] un onere, neppure implicito, di espressione del dissenso alla intromissione di soggetti terzi nella sua sfera di intimità sessuale, dovendosi al contrario ritenere [...] che tale dissenso sia da presumersi e che pertanto sia necessaria, ai fini dell’esclusione dell’offensività della condotta, una manifestazione di consenso del soggetto passivo che quand’anche non espresso, presenti segni chiari ed univoci che consentano di ritenerlo esplicitato in forma tacita»[3]: Per la Cassazione, la rilevanza penale di un atto sessuale imposto non può ritenersi condizionata alla manifestazione di un dissenso da parte della vittima; al contrario, essa viene meno soltanto in presenza di «segni chiari ed univoci» di consenso da parte di quest’ultima. Nella pronuncia del Tribunale, invece, la valutazione sulla sussistenza della costrizione viene legata alla reazione della donna, giudicata dal collegio – secondo uno stereotipo diffuso nelle Corti di merito – non rispondente a un “modello standard” di reazione all’atto sessuale indesiderato, senza considerare la moltitudine di fattori – come, in questo caso, la paura e lo sgomento – che possono portarla ad una reazione diversa o a nessuna reazione (si pensi al cd. Freezing).

 

6. La sentenza in commento è censurabile anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo. Il Tribunale, come anticipato, ne esclude la sussistenza poiché l’autore «non fu posto nelle condizioni di apprezzare il dissenso della vittima, posto che lo stesso non fu né esplicitato né manifestato per fatti concludenti chiaramente indicativi della contraria volontà», attribuendo rilievo anche al fatto che l’uomo, trovandosi alle spalle della donna, non avrebbe potuto percepire eventuali espressioni di dissenso sul volto di lei. Nella lettura del collegio, in cui si riflette la stessa presunzione di consenso su cui poggia l’esclusione dell’elemento oggettivo, l’onere di far percepire chiaramente il proprio dissenso grava ancora una volta sulla donna, e non viene nemmeno presa in considerazione la possibilità che sia l’uomo a doversi mettere nelle condizioni di poter percepire eventuali manifestazioni di dissenso. Di quest’ultimo avviso è tuttavia la Cassazione, secondo la quale «ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico; ne consegue che è irrilevante l’eventuale errore sull’espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato, potendo semmai fondarsi il dubbio sulla ricorrenza di un valido elemento soggettivo solamente nel caso in cui l’errore si fondi sul contenuto espressivo, in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volontà promananti dalla parte offesa»[4]. L’adozione di questa diversa chiave di lettura, nel caso di specie, avrebbe senz’altro portato a ritenere sussistente anche l’elemento soggettivo, considerato che la vittima «aveva continuato a sfogliare e a leggere in alta voce i documenti che aveva con sé, poiché spaventata, nella speranza che l’imputato capisse che non era sua intenzione assecondarlo», senza suggerire in alcun modo di essere disponibile all’approccio dell’uomo (a differenza di quanto sostenuto dal Tribunale che, confermando la propria distanza dalle dinamiche della violenza di genere, aveva letto nella reazione della donna un incentivo perché l’uomo continuasse).

 

7. La sentenza in commento richiama l’attenzione sulla necessità di una riforma legislativa che incentri la fattispecie di violenza sessuale sulla mancanza di consenso della vittima. Un intervento in questa direzione rappresenta per l’Italia un impegno assunto nel 2013 mediante la ratifica della Convenzione di Istanbul e tutt’oggi inadempiuto, come del resto ha recentemente sottolineato il GREVIO, che nel suo rapporto sull’applicazione della Convenzione di Istanbul in Italia «strongly encourages the Italian authorities to consider amending their legislation to base the offence of sexual violence on the notion of freely given consent as required by Article 36, paragraph 1, of the Istanbul Convention». A suggerire una riforma in questo senso è anche il rapporto speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne del 2021, che in un allegato in cui vengono definiti i contorni di una legge modello sulla violenza sessuale, stabilisce che le «definitions of rape should explicitly include lack of consent and place it at its centre, stipulating that rape is any act of sexual penetration of a sexual nature by whatever means committed against a person who has not given consent».

 

 

[1] Cassazione penale sez. III - 19/11/2021, n. 1559

[2] Cassazione penale sez. III - 27/10/2021, n. 44610

[3] Cassazione penale sez. III - 17/12/2019, n. 12628

[4] Cassazione penale sez. III - 19/11/2021, n. 1559