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08 Marzo 2022


Omesso versamento di ritenute ex art. 10 bis d.lgs. 74/2000: sollevata questione di legittimità costituzionale per eccesso di delega e violazione del principio di uguaglianza/ragionevolezza

Trib. Monza, ord. 27 maggio 2021



 

1. Sarà sottoposta a breve all’attenzione della Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale sollevata nel maggio scorso dal Tribunale di Monza, avente ad oggetto il reato di omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10 bis del d.lgs. 74/2000 – così come modificato dall’art. 7 lett. b) del d.lgs. 158/2015 – per contrasto con gli artt. 76 e 25 Cost. (ovvero per eccesso di delega) e con l’art. 3 Cost. (violazione del principio di uguaglianza/ragionevolezza).

Alcuni brevi cenni sulla questione in fatto. All’imputato, in veste di legale rappresentante di una s.r.l., veniva contestato il mancato versamento (a norma dell’art. 10 bis d.lgs. 74/2000) – entro il termine previsto per la dichiarazione annuale di sostituto d’imposta per il 2015 – di ritenute risultanti dalla dichiarazione a mod. 770 per un ammontare complessivo di circa 675.000 euro. Di fronte all’anzidetta contestazione, la difesa dell’imputato eccepiva l’illegittimità costituzionale della fattispecie delittuosa di cui all’art. 10 bis, depositando apposita memoria a sostegno della tesi, con cui si lamentava il vizio di eccesso di delega e la violazione del principio di eguaglianza/ragionevolezza nell’art. 10 bis per come risultante a seguito dell’interpolazione operata con la riforma del 2015 (d.lgs. 158/2015). Del pari, il Pubblico Ministero si rimetteva all’eccezione ora esposta.

Orbene, così delineata la quaestio facti, il Tribunale ha ritenuto la non manifesta infondatezza della questione sottoposta al suo scrutinio.

 

2. Come noto, l’art. 10 bis è stato introdotto nel 2004, ad opera dell’art. 1, comma 313 della l. 313/2004, in maniera piuttosto eccentrica rispetto alla politica criminale che, sino ad allora, aveva orientato l’assetto del d.lgs. 74/2000[1], calibrato ora su ipotesi di evasione oggettivamente polarizzate sulla presentazione di una dichiarazione annuale connotata da fraudolenza e soggettivamente orientate dal dolo specifico di evasione, ora su residuali incriminazioni svincolate dal momento dichiarativo ma colorate da una pregnante attitudine lesiva. Nella sua primigenia versione, infatti, la norma così recitava: “è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta”.

A seguito, però, dell’intervento riformatore operato con il d.lgs. 158/2015, la norma ha subito consistenti modifiche con riferimento alla tipicità, sia in senso estensivo che in senso restrittivo: la novella del 2015 ha, infatti, innalzato la soglia di punibilità (con ciò restringendo l’area del penalmente rilevante e comportando una parziale abolitio criminis), ma, allo stesso tempo, ha anche inserito nel testo le parole “dovute sulla base della stessa dichiarazione”.

Viceversa, con la legge di conversione del d.l. 26 n. 124 del 26 ottobre 2019 (recante disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili) sono state poste nel nulla le prospettate modifiche delle soglie di punibilità dei reati di omesso versamento (artt. 10-bis e 10-ter)[2].

Se, dunque, nel vigore della legge antecedente alla riforma dell’ottobre 2015 potevano ricomprendersi nella sfera di tipicità solamente gli omessi versamenti di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti (componendosi la norma di un primo segmento commissivo – rilascio di certificazioni – cui faceva poi seguito l’inerzia del versamento), a seguito della novella del 2015, viceversa, risulta tipica la pura omissione del versamento, purché – beninteso – risulti dalla dichiarazione la debenza delle somme a titolo di ritenuta sulla scorta della dichiarazione presente nel mod. 770. E ciò, si badi, a prescindere dal rilascio della certificazioni ai sostituiti.

 

3. Ad ogni buon conto, si è osservato come l’introduzione del sintagma “omesso versamento delle ritenute dovute o certificate” trovasse fondamento[3] nella voluntas legis di risolvere uno spinoso conflitto giurisprudenziale sorto sul versante probatorio e, successivamente, sottoposto all’attenzione delle Sezioni Unite (pur in precedenza dell’intervento di riforma del d.lgs. 158/2015).

Se, infatti, prima della novella, l’art. 10 bis puniva il sostituto che rilasciava le certificazioni delle ritenute al sostituito, prima del termine ultimo, per costui, per presentare la propria dichiarazione, senza procedere a versare all’Erario quanto in precedenza trattenuto, ci si interrogava, d’altra parte, sul valore probatorio da riconoscere al mod. 770[4] rispetto alla dimostrazione dell’avvenuto rilascio delle certificazioni ai sostituiti.

Due gli orientamenti giurisprudenziali che si contendevano il campo.

Secondo un primo e più risalente orientamento, per dimostrare il rilascio della certificazione bastava la semplice produzione – da parte dell’accusa – della dichiarazione del sostituto: in tal senso, la prova dell’avvenuta certificazione era desunta, in via deduttiva, sulla base della massima d’esperienza per cui “non avrebbe senso dichiarare ciò che non è stato corrisposto e, per ciò stesso, certificato”. Breviter: la semplice presentazione della dichiarazione mod. 770, con allegate le relative attestazioni nominative riferite ai singoli sostituiti, è indice inequivocabile delle operate ritenute e, conseguentemente, delle rilasciate certificazioni[5].

Per contro, secondo un diverso e più recente filone giurisprudenziale[6], il mod. 770 sarebbe di per sé insufficiente a costituire una valida prova dell’avvenuta certificazione. Anzitutto, perché la certificazione delle ritenute ha la funzione di attestare l’importo delle somme corrisposte dal sostituto d’imposta e le ritenute da questi effettuate, mentre la dichiarazione mod. 770 ha funzione di informare l’Agenzia delle Entrate delle somme corrisposte ai sostituiti, delle ritenute operate su queste somme e del loro versamento all’erario. Proprio in ragione di questa differente finalità, mentre le certificazioni devono essere emesse solamente quando il datore ha provveduto a versare le ritenute, per contro la dichiarazione deve obbligatoriamente esser presentata entro il termine stabilito per legge. Da ciò se ne deduce, pertanto, che è impossibile, a causa della differenza contenutistica e di funzione di queste due atti, desumere dal mod. 770 e dai dati ivi riportati il concreto rilascio, ad uno o più sostituiti d’imposta, del relativo certificato[7].

Come detto, questo secondo orientamento – con riferimento ai fatti precedenti alla novella del 2015 – ha trovato poi specifico avallo nel dictum a Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno statuito che “in tema di omesso versamento di ritenute certificate, alla luce della modifica apportata dall'art. 7, d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, all'art. 10-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che ha esteso l'ambito di operatività della norma alle ipotesi di omesso versamento di ritenute dovute sulla base della dichiarazione proveniente dal datore di lavoro (c.d. mod. 770), deve ritenersi che, per i fatti pregressi, ai fini della prova del rilascio al sostituito delle certificazioni attestanti le ritenute operate, non è sufficiente la sola acquisizione della dichiarazione mod. 770”[8].

Con queste conclusioni, pertanto, i giudici di legittimità hanno, da un lato, inteso ribadire come il legislatore del 2004, introducendo l’art. 10 bis nel panorama del d.lgs. 74/2000, avesse voluto condizionare la tipicità dell’omissione al rilascio delle certificazioni ai sostituiti; dall’altro lato, hanno ravvisato nella riforma del 2015 un ulteriore argomento a favore dell’orientamento da ultimo accolto in tema probatorio proprio dalle Sezioni Unite.

È stato, infatti, da più parti sottolineato come la novella del 2015, lungi dal voler riconoscere rango di interpretazione autentica all’art. 7 del d.lgs. 158 /2015 (modificativo dell’art. 10 bis), avesse inteso confermare il secondo orientamento giurisprudenziale suesposto in tema di efficacia probatoria del mod. 770: per addivenire all’accertamento dell’avvenuta certificazione delle ritenute non è sufficiente il mod. 770[9].

Questa la conclusione cui si può pervenire per i fatti di reato posti in essere prima dell’ottobre 2015. Per i fatti successivi, invece, stante l’ampliamento della tipicità offerto dalla novella del 2015, il contenuto della dichiarazione mod. 770, laddove indichi l’esistenza di ritenute operate dal sostituto, è di per sé sufficiente ad integrare la tipicità delittuosa (a patto che alla dichiarazione segua l’omesso versamento).

 

4. Così ricostruito il quadro storico, il Tribunale di Monza, nell’ordinanza che qui si commenta, ha dapprima evidenziato le ragioni a sostegno della fondatezza dell’eccezione di eccesso di delega paventate dalla difesa dell’imputato, per poi sottolineare l’ancor più macroscopico vizio di manifesta irragionevolezza dell’art. 10 bis.

 

4.1. Con riferimento alla prima questione, il Tribunale ripercorre i principi e i criteri direttivi che la legge delega imponeva al legislatore delegato in sede di revisione del sistema penale tributario.

L’art. 8 della l. 23/2014, in particolare, delegava il Governo a procedere “alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario, secondo i criteri di predeterminazione e proporzione”. Già l’utilizzo del sintagma “revisione” al posto del più incisivo “riforma”, come sottolineato, sembrava rimarcare un’esigenza di continuità tra il vecchio corpus normativo e il nuovo assetto risultante dalla novella del 2015[10]. Ad ogni buon conto, l’art. 8, dopo aver enunciato i criteri guida per la revisione delle più gravi fattispecie di reato previste dal d.lgs. 74/2000, prevedeva poi un criterio residuale con cui lasciava al legislatore delegato “la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto conto anche di adeguate soglie di punibilità” All’interno di quest’area di intervento rientrava, senza dubbio, anche l’art. 10 bis, fattispecie delittuosa caratterizzata per la più mite cornice edittale nel novero dei delitti del d.lgs. 74/2000. A sostegno della marginale gravità della fattispecie di cui all’art. 10 bis depongono, infatti, una serie di indici: da un lato gli istituti “di contorno” al paradigma tipico della fattispecie (si pensi al mancato richiamo ad alcune delle pene accessorie ex art. 12 d.lgs. 74/200, all’assenza di limiti alla concessione della sospensione condizionale della pena ex art. 12 comma 2 bis, e, da ultimo, all’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 13); dall’altro lato funge da “cartina tornasole” della marginale gravità dell’art 10 bis la stessa scelta della novella del 2015 di innalzare la soglia di punibilità della fattispecie, denunciando chiaramente un intento parzialmente abolitivo.

La riconducibilità al criterio direttivo “residuale” per l’art. 10 bis può, altresì, essere ricostruita – a contrario – ponendo mente agli altri criteri direttivi che l’art. 8 della legge delega poneva per le fattispecie più gravi[11]. Per i reati caratterizzati da “comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa” l’art. 8 prescriveva un obbligo di mantenimento della punibilità per le ipotesi di dichiarazione fraudolenta (artt. 2 e 3), di occultamento o distruzione delle scritture contabili (art. 10), di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11, comma 1), di falso nella transazione fiscale (art. 11, comma 2) e di indebita compensazione (art. 10 quater). L’art. 8 caldeggiava poi una “revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti”: in relazione al delitto di dichiarazione infedele, dunque, si imponeva una rimodulazione del fatto tipico, volta a tracciare un discrimine tra le più gravi forme di infedeltà dichiarativa (meritevoli di pena) e quelle colorate di minor disvalore (per cui basta la sanzione amministrativa).

Alla luce di quanto sin qui detto con riferimento ai criteri direttivi, si può constatare come l’art. 8 – con specifico riferimento ai criteri guida dettati per l’art. 10 bis – ponesse un’ampia libertà al legislatore delegato, potendo questi sia abolire completamente la fattispecie, sia mantenere il delitto con simultaneo innalzamento della soglia di punibilità, sia – infine – lasciare inalterata l’area di tipicità della norma ma riducendo la risposta sanzionatoria.

Orbene, riprendendo quanto detto in precedenza con riferimento all’evoluzione storica della fattispecie, se ne deduce che il legislatore delegato si è spinto oltre i criteri direttivi, proponendo un deciso ampliamento dell’area di rilevanza penale dell’art. 10 bis che, come visto, ora sanziona anche l’omissione nel versamento di qualsivoglia ritenuta purché “attestata” nel mod. 770. La delega di cui si discute appare, infatti, segnata – come è stato osservato in dottrina - da una sorta di “peccato originale”[12], che rende ogni soluzione apparentemente impercorribile: “o la legge delega è tanto ampia da tipizzare già la fattispecie incriminatrice, rendendo inutile l’intervento dell’esecutivo in contrasto con l’art. 76 Cost., oppure è ampia, così da rimettere la definizione dei confini dell’illecito penale al Governo, in patente frizione con l’art. 25 Cost.”[13].

Colpisce, dunque, ictu oculi il vizio della disposizione censurata, vizio che – come riporta l’ordinanza in commento – deve essere scrutinato “con il maggior rigore imposto in tutte le situazioni in cui si discuta della predisposizione, da parte del legislatore delegato, di un meccanismo di tipo sanzionatorio privo di espressa indicazione nell’ambito della delega”[14].

Né tantomeno, soggiunge sempre il foro monzese, può derivarsi il rispetto della legge delega dal fatto che la novella ha sì esteso la tipicità ma anche, per converso, ridotto la tipicità innalzando la soglia di punibilità (escludendo dallo spettro di tipicità gli omessi versamenti di importi tra 50.001 e 150.000 euro). Ciò in quanto, all’indomani della riforma del 2015 “si registra pur sempre l’ingresso, nella sfera di penale rilevanza sagomata dalla norma incriminatrice, di comportamenti che in precedenza esulavano senz’altro dalla tipicità penale, quali gli omessi versamenti di ritenute risultanti esclusivamente dalla dichiarazione annuale di sostituto d’imposta per importi eccedenti euro 150.000 […]: in altre parole, un effetto ampliativo della figura delittuosa – scevro di copertura nella legge delega e, pertanto, costituzionalmente illegittimo – è stato comunque veicolato dal decreto legislativo, in aperta violazione degli artt. 25, comma 2, e 76 (77 comma 1) Cost.”[15]

 

4.2. L’ulteriore profilo di illegittimità costituzionale della fattispecie attiene, invece, come detto, all’irragionevolezza della fattispecie incriminatrice.

Come noto, il sindacato di ragionevolezza in materia penale viene tradizionalmente impostato secondo un giudizio triadico, ossia mediante l’individuazione di una norma (tertium comparationis) che, rapportata con quella sospetta di illegittimità costituzionale, lasci trasparire una illegittima disparità di trattamento tra situazioni analoghe, oppure un’indebita equiparazione legislativa di situazioni invero tra loro distinte.

Alle cadenze del giudizio triadico così descritte si è però – più recentemente – accostato un sindacato ben più incisivo da parte del Giudice delle leggi, funzionale alla verifica dell’offensività e della proporzionalità della risposta repressiva rispetto all’effettivo disvalore condensato nella norma incriminatrice censurata[16].

Orbene, il Tribunale di Monza ritiene che, in ogni caso, sia quale sia il sindacato di ragionevolezza che si intenda perseguire, la fattispecie di cui all’art. 10 bis risulta censurabile sotto il profilo dell’uguaglianza-ragionevolezza ex art. 3 Cost.

 

4.2.1. Prendendo, infatti, le mosse dal metodo “classico” triadico spicca l’assenza nel sistema penale tributario di una figura delittuosa che tipizzi la presentazione di dichiarazioni fraudolente da parte del sostituto d’imposta. Come visto in precedenza, all’esito della modifica operata dall’art. 7 d.lgs. 158/2015, hanno acquistato penale rilevanza le omissioni liquidatorie che si appuntano su ritenute unicamente risultanti dalla dichiarazione del sostituto d’imposta. Ciò ha comportato, tuttavia, un innalzamento dello standard di tutela per il bene giuridico di categoria, riservando lo strumentario penale a una condotta (omesso versamento) che, pur trovando nella dichiarazione il proprio presupposto operativo, appare circoscritta alla fase finale (prettamente liquidatoria) del tributo e che, “nel contesto complessivo del sistema penale tributario, si colloca al livello inferiore di disvalore astratto, come per tabulas dimostrato dalla mitezza delle sanzioni edittali delle figure omissivo-liquidatorie nel raffronto con i più gravi illeciti dichiarativi: illeciti dichiarativi – qui il punto – tra i quali non è dato rinvenire […] alcuna previsione delittuosa in materia di dichiarazioni, fraudolente o infedeli, del sostituto d’imposta”[17]. Da quanto detto, dunque, ne deriva che il sistema penale tributario, in materia di dichiarazioni del sostituto d’imposta, a parità d’imposta evasa, conferisce rilievo penale a condotte connotate da un disvalore inferiore rispetto a quello di condotte che, per quanto assai più gravi in fatto di disvalore, risultano penalmente irrilevanti per il sostituto d’imposta. Appare, infatti, quantomeno paradossale (oltre che irragionevole) che, in difetto del rilascio di certificazioni, venga punito il contribuente che presenti un mod. 770 veritiero e ometta il versamento delle ritenute per importi superiori a 150.000 euro, mentre vada esente da pena il contribuente che, ugualmente inadempiente a un debito tributario di pari entità, abbia presentato una falsa dichiarazione, indicando un debito inferiore alla soglia di punibilità[18].

È, dunque, consequenziale ritenere – a parere del Tribunale monzese – la manifesta irragionevolezza dell’art. 10 bis per contrasto con l’art. 3 Cost., avendo il legislatore regolato in termini deteriori condotte meno gravi di quelle caratterizzate da più intenso disvalore penale e tuttavia sfornite di tutela penale.

 

4.2.2. A identiche conclusioni si perviene, altresì, prendendo le mosse dal sindacato di ragionevolezza intrinseca fatto proprio dal Giudice delle leggi nelle più recenti pronunce.

Il problema, a ben vedere, si pone con riferimento al calcolo della soglia di punibilità e all’impropria dizione recata con la novella all’art. 10 bis. Il legislatore, infatti, come si ricorderà, con l’intervento riformatore del 2015 ha indicato non già le ritenute effettuate, - con una formulazione quale “ritenute effettivamente operate, a titolo di acconto o di imposta, sulle somme pagate”[19] - ma ha scelto di collegare la quantificazione debitoria (e conseguentemente l’eventuale superamento della soglia di punibilità) alla somma indicata nella dichiarazione del sostituto. Così argomentando, si deduce che, stante l’attuale assetto dell’art. 10 bis, non rientreranno nel computo relativo al superamento della soglia di punibilità semplicemente le ritenute dovute perché effettuate, bensì esclusivamente quelle certificate o quelle indicate nel mod. 770. Di conseguenza, viene rimesso alle dichiarazioni del sostituto uno dei due alternativi criteri di calcolo della soglia, portando a conseguenze antinomiche[20] in presenza delle certificazioni e, a fortiori, irragionevoli qualora, invece, sia mancato il rilascio di queste. Si è visto come l’assenza di incriminazioni poste a presidio della veridicità delle dichiarazioni del sostituto si riverbera in un improprio incentivo per il sostituto d’imposta a presentare un mod. 770 mendace con riferimento alla debenza effettiva, con conseguente indicazione di importi inferiori alla soglia di punibilità. A fronte di simili ipotesi, alla Pubblica Accusa non solo spetterà di provare, così come accadeva prima della novella, il superamento della soglia attraverso la dimostrazione delle avvenute certificazioni, ma dovrà, ancor prima, scoprire e documentare la falsità del modello 770. In sintesi, una disposizione che – nelle intenzioni del legislatore delegato – doveva anche risolvere le difficoltà probatorie in capo all’accusa le ha, a contrario, acuite, comportando effetti iniqui e contradditori.

 

5. Alla luce delle considerazioni così svolte, il giudice remittente – così ritenuta la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione – sottopone al Giudice delle Leggi questione di legittimità costituzionale “dell'art. 7 lett. b) decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, in riferimento all'aggiunta delle parole “dovute sulla base della stessa dichiarazione o” nel testo dell'art. 10-bis decreto legislativo 74/2000, e conseguentemente dell'art. 10-bis decreto legislativo 74/2000, siccome dal primo modificato, per contrasto con gli articoli 25, comma 2, 76 e 77, comma 1, Cost., e con l'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede la penale rilevanza di omessi versamenti di ritenute dovute sulla base della mera dichiarazione annuale del sostituto d'imposta”.

 

6. A margine di quanto sin qui detto, possono svolgersi alcune riflessioni nel merito dell’ordinanza suesposta, in cui sono state compendiate le principali criticità proprie della fattispecie di cui all’art. 10 bis d.lgs. 74/2000.

Anzitutto, occorre tenere a mente come già le Sezioni Unite “Macerata”[21], in tempi recenti, avevano paventato – sia pure a margine di differenti questioni – alcuni dubbi di legittimità costituzionale con riferimento alla disciplina del reato di omesso versamento di ritenute dovute o certificate.

Come noto, in quel frangente, i giudici di legittimità hanno mostrato una timida apertura verso la riconoscibilità di possibili frizioni dell’art. 10 bis con il tessuto costituzionale, con specifico riferimento alle direttrici del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. Come si ricorderà, in quell’occasione i giudici di legittimità avevano risolto negativamente il quesito circa l’idoneità del solo mod. 770 a dimostrare la certificazione delle ritenute d’imposta (per via della diversità non solo funzionale, ma anche strutturale, tra dichiarazione del sostituto e certificazione). Era così stato evidenziato l’inconveniente pratico di una fattispecie che prevede un’unica soglia di punibilità, ma sanziona due condotte alternative (ossia la certificazione da un lato e la mera dichiarazione delle ritenute dall’altro lato). Sicché l’interprete – o meglio, il Pubblico Ministero – a fronte di tale equipollenza normativamente fissata, “resterebbe libero di propendere per la prima ovvero per la seconda pur in presenza della possibile differenza di importi tanto più rilevante attesa la previsione della soglia di punibilità contemplata dalla disposizione in esame”[22]. Conseguenza: un’indebita regressione probatoria per il caso in cui la Pubblica Accusa non riesca a dimostrare l’avvenuta certificazione delle ritenute in misura superiore alla soglia punibile, ben potendo ripiegare sul mod. 770 e sulla differente tipologia di ritenute dichiarate (a patto che si attestino al di sopra della soglia).

 

7. Viceversa, la critica che si innerva nella motivazione dell’ordinanza monzese appare ben più radicale, recependo le plurime censure di illegittimità costituzionale che la dottrina, sin dai primi momenti in cui l’art. 10 bis aveva visto la luce nel panorama del d.lgs. 74/2000, aveva mosso alla fattispecie in commento[23].

In particolare, oltre a raccogliere – efficacemente – il legato della dottrina in merito alle criticità immanenti ad una simile incriminazione, l’ordinanza in commento si fa apprezzare – ancor più - laddove evidenzia gli effetti perversi, sul piano pratico, connessi al reato di omesso versamento di ritenute dovute o certificate.

Il Tribunale di Monza, infatti, dopo aver enucleato le patenti frizioni col principio di ragionevolezza nella sua variante – per così dire – “triadica”, sposta l’attenzione sull’irragionevolezza intrinseca che ammanta l’art. 10 bis, denunciandone, in particolare, i tratti antinomici[24]. Il legislatore, come visto, con un intervento alquanto goffo di interpolazione del dettato normativo, non ha indicato le ritenute effettuate con una formulazione quale “ritenute effettivamente operate”, a titolo di acconto o di imposta, sulle somme pagate[25], ma ha scelto di collegare il quantum del debito (e, di conseguenza, l’eventuale superamento della soglia di punibilità) alla somma indicata nella dichiarazione del sostituto. Il “cortocircuito” è così realizzato: se alla luce dell’attuale tessuto normativo dell’art. 10 bis, non rientrano nella base di calcolo per il superamento della soglia semplicemente le ritenute dovute perché effettuate, ma esclusivamente le ritenute certificate o indicate nei “famigerati” mod. 770, in punto di fatto ne conseguono rilievi assolutamente contradditori a seconda che sia avvenuto o meno il rilascio delle certificazioni.

E così, nel primo caso (rilascio delle certificazioni da parte del sostituto), qualora l’incriminazione ex art. 10 bis non sia accompagnata da un’incriminazione per infedele o fraudolenta dichiarazione del sostituto, quest’ultimo sarà incentivato a presentare il mod. 770, indicando falsamente ritenute in misura inferiore a 150.000 euro. Di pari passo rispetto a questo deleterio incentivo, spetterà all’Accusa provare, prima ancora del superamento della soglia, con relativa dimostrazione delle avvenute certificazioni, anche la falsità del mod. 770. In conclusione, una disposizione nata anche per risolvere difficoltà di ordine probatorio, nella realtà dei fatti non ha fatto altro che acuire l’onere probatorio in capo all’Accusa.

Quanto al secondo caso poi (mancato rilascio delle certificazioni da parte del sostituto), incorrerà nella sanzione il contribuente che presenti un mod. 770 veritiero, omettendo però di versare le ritenute per una cifra oltre i 150.000 euro, e non chi, ugualmente non adempiendo un pari debito tributario, presenti una dichiarazione falsa, con indicazione di un debito inferiore alla soglia di punibilità. Appare, pertanto, paradossale (oltre che fortemente irragionevole) che una condotta connotata per un meno intenso disvalore (omissione del versamento accompagnata a mod. 770 veritiero) possa essere oggetto di punizione, mentre, al contrario, una condotta maggiormente carica di disvalore (in ragione di una mendace rappresentazione del proprio debito tributario) andrà esente da pena. In quest’ultima ipotesi, infatti, in assenza di una fattispecie di reato che punisca la dichiarazione infedele del sostituto d’imposta, il sostituto non potrà essere incriminato né ai sensi dell’art. 10 bis né, tantomeno, ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis.

In conclusione, gli argomenti addotti dal giudice monzese a sostegno della fondatezza della q.l.c. con riferimento al reato di cui all’art. 10 bis hanno messo a nudo tutte le criticità di una fattispecie nata per fronteggiare esigenze contingenti di “allarme sociale” (il fenomeno dell’evasione in sede di riscossione), ma sfornita di un disvalore tale da giustificare il ricorso alla sanzione penale. Ora la parola passa alla Consulta.

 

 

[1] Come sottolineano A. Lanzi, P. Aldrovandi, Diritto penale tributario, Milano, 2020, cit., p. 479, “la novella operata attraverso l’introduzione dell’art. 10 bis costituisce, con evidenza, il frutto di un «ripensamento» […] rispetto alla scelta effettuata dal legislatore del 2000 di «concentrare» la propria attenzione sul momento dichiarativo”. Sulla natura eccentrica di questa fattispecie, rispetto alla complessiva architettura normativa del d.lgs. 74/2000 cfr. anche G. Gambogi, La riforma dei reati tributari, Milano, 2016, p. 252; E. Musco, F. Ardito, Diritto penale tributario, Bologna, 2016, p. 28 e ss. (in particolare, p. 287 e ss.); G. Flora, “Non avrai altro creditore all’infuori di me!” Riflessioni sparse sul delitto di omesso versamento Iva, in Riv. trim. dir. pen. econ., 3-4/2020, p. 553 e ss.

[2] Come osserva S. Finocchiaro, In vigore la “riforma fiscale”: osservazioni a prima lettura della legge 157/2019 in materia di reati tributari, confisca allargata e responsabilità degli enti, in questa Rivista, 7 gennaio 2020, cit. “il decreto-legge prevedeva infatti che, nel reato di “omesso versamento di ritenute dovute o certificate” (art. 10-bis), la soglia di 150.000 euro venisse abbassata a 100.000 euro; mentre nel reato di “omesso versamento di IVA” (art. 10-ter) la soglia di 250.000 euro venisse portata a 150.000 euro. Un simile intervento avrebbe determinato un’estensione dell’area di rilevanza penale di queste condotte illecite, laddove la stessa era invece stata fortemente ridimensionata solo quattro anni prima dalla già citata riforma del 2015. […] L’attuale Governo voleva inizialmente ridurre l’effetto di depenalizzazione prodotto da quella riforma, attestando il confine dell’area di rilevanza penale ad un livello mediano, che avrebbe determinato la necessità di fare applicazione della regola della c.d. legge intermedia ex art. 2, comma 2, c.p. Questo intento è stato però neutralizzato dagli emendamenti al decreto confluiti nella legge di conversione, che lascia pertanto invariate le soglie di punibilità di cui agli artt. 10-bis e 10-ter”.

[3] Lo sottolinea A. Ingrassia, Ragione fiscale vs “illecito penale personale”. Il sistema penale-tributario dopo il d.lgs. 158/2015, Santarcangelo di Romagna, 2016, p. 118. Cfr. anche Id., Le SS.UU. sull’omesso versamento delle ritenute: indicazioni fondamentali per il passato, preziose per il futuro, in Le Società 8-9/2018, p. 1048 e ss.

[4] Documento con cui, come è noto, il sostituto d’imposta dichiara le ritenute effettuate con riferimento ai sostituiti.

[5] Pe questo orientamento cfr. Cass. pen., sez. III, 15/11/2012, n.1443; Cass. pen., sez. III, 27/03/2014, n.19454; Cass. pen., sez. III, 06/03/2014, n.20778; Cass. pen., sez. III, 30/05/2014, n.27479.

[6] Per questo secondo orientamento cfr. Cass. pen., sez. III, 09/10/2014, n.10475; Cass. pen., sez. III, 26/04/2016, n.48591; Cass. pen., sez. III, 07/01/2016, n.10104. A medesime conclusioni sono poi pervenute le Sezioni Unite nel 2018 (Cass. pen., SU, 22/03/2018, n.24782).

[7] Facendo leva su queste argomentazioni giuridiche, è stata poi smentita, sul versante prasseologico, la massima d’esperienza posta a fondamento dell’orientamento più risalente, atteso come ben può succedere che il sostituto rilasci i certificati senza aver versato le relative ritenute e, successivamente, non presenti la dichiarazione mod. 770, con il proposito di evitare l’auto-denuncia per gli illeciti sia fiscali che amministrativi da lui commessi. In aggiunta, sempre seguendo questo ragionamento, si è sottolineata la possibilità per cui il sostituto né versi le ritenute né consegni previamente i certificati ai sostituiti, salvo poi trasmettere la dichiarazione annuale proprio per non incappare nelle sanzioni amministrative per omessa presentazione del mod. 770: in quest’ultima ipotesi, infatti, non potrebbe dirsi integrato il reato ex art. 10 bis. Per queste osservazioni cfr. Cass. pen., sez. III, 08/04/2014, n. 40526.

[8] Cass. pen., SU, 22/03/2018, n.24782. Le Sezioni Unite, per giungere a tale conclusione, in linea con l’ultimo orientamento espresso, pongono l’attenzione su un dato oggettivo, ossia che il riquadro ST del modello 770 non appare fornire alcuna specifica indicazione in ordine al rilascio delle certificazioni avendo invece ad oggetto unicamente i dati dell'"importo versato" e delle "ritenute operate". Né, soggiungono i giudici, “alcun valore probatorio potrebbe evidentemente connettersi alle istruzioni per la compilazione del modello 770 semplificato là dove si prescrive che "detto modello contiene i dati relativi alle certificazioni rilasciate ai soggetti cui sono stati corrisposti (...) i redditi di lavoro dipendente" [..], essendo chiara in tale dizione la volontà di riferirsi non già al fatto del rilascio, ma a quello della necessità di indicazione, in dichiarazione, delle medesime ritenute di cui alla certificazione unica, ove rilasciata”.

[9] Cfr. A. Ingrassia, Le SS.UU. sull’omesso versamento delle ritenute: indicazioni fondamentali per il passato, preziose per il futuro, cit., p. 1052.

[11] Più nel dettaglio, sul tema, v. A. Ingrassia, ult. op. cit., p. 4. Cfr. anche Id., Incostituzionalità delle nuove fattispecie incriminatrici penali-tributarie?, in questa Rivista, 10 luglio 2020, p. 8 e ss.

[12] Come infatti evidenzia C. Cupelli, La legalità delegata. Crisi e attualità della riserva di legge nel diritto penale, Napoli, 2012, cit., pp. 320-321 “trovare un punto di equilibrio tra tipicità e discrezionalità, o meglio tra tipicità e “misura” di discrezionalità da attribuire al Governo, rappresenta il punto in cui il meccanismo di delega entra in crisi nel diritto penale. […] Il destino della delegazione legislativa in materia penale sembrerebbe stretto in una via senza uscita: da un lato, il pericolo di incorrere in una pronuncia di illegittimità costituzionale per genericità dei principi e criteri direttivi della delega, ove, naturalmente, la Corte Costituzionale mostrasse un maggiore rigore nel sindacato, quantomeno analogo a quello mostrato negli ultimi anni con riferimento alla decretazione d’urgenza; dall’altro, lo sbocco in una sostanziale inutilità del ricorso allo strumento, ove, invece, rispettando la delega effettivamente i canoni di precisione e tassatività tipici del diritto penale nella determinazione dei principi e criteri direttivi ricadesse in un eccesso di vincolatività. Questo stato di cose si traduce, in termini normativi, in una potenziale tensione fra l’art. 25, comma 2 Cost., con le sottese garanzie di tipicità penale, e l’art. 76 Cost. che si esprime, al contrario, per principi e criteri direttivi”.

[13] A. Ingrassia, I reati del sostituto d’imposta, cit., p. 6.

[14] Trib. Monza, Ord. 155 del 27/05/2021, cit. che riprende C. Cost., n. 98/2015.

[15] Ibidem, cit.

[16] Per questo sindacato di ragionevolezza intrinseca della fattispecie cfr. C. cost., n. 236/2016; C. Cost., n. 222/2018; C. cost., n. 40/2019. In dottrina cfr. R. Bartoli, La Corte costituzionale al bivio tra “rime obbligate” e discrezionalità? Prospettabile una terza via, in Dir. pen. cont., 2/2019, p. 139 e ss.; E. Cottu, Giudizio di ragionevolezza e vaglio di proporzionalità della pena: verso un superamento del modello triadico?, in Dir. pen. proc., 2017, p. 473 e ss.; V. Manes, Proporzione senza geometrie, in Giur. cost., 2016, p. 2105 e ss.; G. Ruggiero, La proporzionalità nel diritto penale: natura e attuazione, Napoli, 2018, passim.

[17] Trib. Monza, ord. 155 del 27/05/2021, cit.

[18] Cfr. A. Ingrassia, I reati del sostituto d’imposta, cit., p. 14; A. Lanzi, P. Aldrovandi, op. cit., p. 489 e ss.

[19] Il virgolettato fa riferimento alle parole con cui il legislatore, nel 1982, aveva tipizzato il reato di reato di omesso versamento delle ritenute effettuate, disciplinato dall’art. 2 del d.l. 429/1982, nell’originaria versione, antecedente alle modifiche intervenute con l’art. 3, comma 1 del d.l. 83/1991, convertito, con modificazioni, dalla l. 154/1991, che ha ampliato lo spettro anche delle ritenute non effettuate, ma previste per legge.

[20] Lo rileva A. Ingrassia, Incostituzionalità delle nuove fattispecie incriminatrici penali-tributarie?, p. 24 ss.

[21] Cass. pen., SU., 22/03/2018, n.24782.

[22] Ibidem.

[23] Ex plurimis cfr. A. Lanzi, P. Aldrovandi, op. cit., p. 489 e ss.; I. Leonardi, Osservazioni sul delitto di omesso versamento di ritenute certificate, in Rass. Trib., 5/2007, p. 1461 e ss.; M. Meoli, Il nuovo delitto di omesso versamento di ritenute certificate, in Prat. Fisc., 9/2005, p. 15 e ss.; G.L. Soana, Omesso versamento di ritenute certificate, in Rass. Trib., 1/2005, p. 112 e ss.; A. Ingrassia, Incostituzionalità delle nuove fattispecie incriminatrici penali-tributarie?, cit., passim; Id., Ragione fiscale, cit., p. 118 e ss.; Id., Le SS.UU. sull’omesso versamento delle ritenute, cit., p. 1048 e ss.; Id., I reati del sostituto d’imposta dopo la revisione del sistema penale tributario tra scelte d’incriminazione irragionevoli ed eccessi di delega, cit., passim.

[24] In questo senso il riferimento corre, imprescindibile, a C.E. Paliero, Il principio di effettività del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, p. 430 e ss. In particolare, l’Autore ravvisa la sussistenza di un paradigma di legge penale simbolica ad ineffettività antinomica in tutte quelle ipotesi in cui “la criminalizzazione in sé innesca, come Nebeneffekte, dei veri e propri “effetti perversi” (cit., p. 540). Con queste norme, infatti, il legislatore vuole lanciare un segnale ai consociati o affermare un valore a mezzo della pena, ma proprio a causa delle pena queste norme – indirettamente – producono la minaccia o la lesione dello stesso bene che, sulla carta, la norma dice di volere tutelare.

[25] V. supra.