Trib. Sorv. Sassari, ord. 9 giugno 2020, Pres. Soro, Rel. De Vito
1. Premessa. Come già accaduto pochi giorni fa, ad opera del Magistrato di Sorveglianza di Spoleto[1], ora anche il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha sollevato un’articolata questione di legittimità costituzionale relativa alla particolare disciplina recentemente introdotta col d.l. 10 maggio 2020, n. 29[2].
Come è noto, nel contesto pandemico, hanno fatto molto discutere, a livello politico e mediatico, le scarcerazioni di alcuni noti esponenti della criminalità organizzata, per ragioni legate all’emergenza sanitaria. Così, il governo – con il d.l. 30 aprile 2020, n. 28 – ha dapprima stabilito un aggravio dell’iter per l’adozione di simili misure, per poi, pochi giorni dopo, imporre rivalutazioni stringenti e fortemente contingentate dei provvedimenti già adottati. L’art. 2 d.l. 29/2020 costringe infatti un «monitoraggio continuo»[3] delle decisioni che hanno disposto la detenzione domiciliare o il differimento della pena «per motivi connessi all’emergenza sanitaria», nei confronti, fra l’altro, dei condannati per partecipazione ad associazione a delinquere di stampo mafioso. La rivalutazione, il cui oggetto è la «permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria», dev’essere svolta dallo stesso organo che ha emesso il provvedimento e va di regola compiuta, una prima volta, entro quindici giorni dall’adozione della decisione «e, successivamente, con cadenza mensile»[4].
Prima di procedere, il giudice deve acquisire il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, se si tratta di soggetto sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis ord. penit. Inoltre, è necessario sentire «l’autorità sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta della Regione, sulla situazione sanitaria locale e acquisire dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria informazioni in ordine all’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il condannato» potrebbe «riprendere la detenzione […] senza pregiudizio per le sue condizioni di salute».
2. Il caso sottostante. – La vicenda che ha interessato la giurisdizione sarda riguarda la concessione, intervenuta in data 23 aprile 2020, della detenzione domiciliare in favore di P. Z., prima sottoposto al regime ex art. 41 bis ord. penit., presso la Casa circondariale di Sassari5. Questi, dopo aver subito un’operazione chirurgica a causa di grave malattia, stava seguendo un percorso diagnostico e terapeutico presso la Clinica urologica di Sassari, che, nel mese di marzo, era però divenuta “Centro Covid-19” e, come tale, impossibilita a venire incontro alle ordinarie esigenze dei propri pazienti.
Preso atto dell’impossibilità – certificata dalle autorità sanitarie locali – di continuare le cure in Sardegna e a fronte della mancata indicazione, da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, di altri istituti adeguati allo scopo, il Tribunale decideva per il differimento della pena ai sensi dell’art. 147, comma 1, n. 2, c.p., nelle forme della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter, ord. penit., da eseguirsi presso la casa famigliare nel bresciano. Tale decisione era stata presa, in primo luogo, per il rischio di esporre il suddetto alla «progressione di una malattia potenzialmente letale, in totale spregio del diritto alla salute», costringendolo quindi a subire «un trattamento contrario al senso di immunità»; inoltre, erano state considerate anche eventuali «complicanze in caso di contrazione dell’infezione virale Covid-19». La misura avrebbe dovuto durare cinque mesi, tanto da permettere all’autorità procedente di conoscere «gli esiti degli approfondimenti diagnostici» e «capire evoluzione della patologia e possibili cure».
Nel frattempo, è però intervenuto il d.l. 29/2020, il quale, come è noto, si applica «ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena […] adottati successivamente al 23 febbraio 2020, con prima valutazione da svolgersi, di regola, entro quindici giorni «dalla data di entrata in vigore» del decreto. In tale contesto, il Tribunale di Sorveglianza ha quindi doverosamente instaurato il procedimento di rivalutazione acquisendo, nel frattempo, alcuni materiali, fra cui: il parere del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo e del Procuratore distrettuale antimafia, entrambi contrari alla protrazione della detenzione domiciliare; la comunicazione – inviata di propria iniziativa – dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria circa la disponibilità di due reparti di medicina protetta, a Viterbo e Milano; una nota del Presidente della Regione Sardegna in merito allo stato dell’emergenza pandemica; nonché, infine, ulteriore documentazione da cui emergeva che l’interessato era stato sottoposto, durante la detenzione domiciliare, a varie cure ed accertamenti – ancora in corso – e che si era oltretutto reso necessario un ricovero ospedaliero.
A quel punto, però, anziché adottare la propria decisione, l’organo giudicante ha deciso di aderire ad alcune osservazioni difensive e, conseguentemente, di sollevare questione di legittimità costituzionale della normativa in parola.
3. Le eccezioni di legittimità costituzionale. – Nell’ordinanza si afferma anzitutto che gli artt. 2 e 5 del d.l. 29/2020 presenterebbero profili di contrasto con gli artt. 102, comma 1, e 104, comma 1, Cost. A tal proposito, il Tribunale rileva anzitutto che «l’obbligo di rivalutazione della detenzione domiciliare» – «immediatamente, entro quindici giorni e poi a cadenza mensile» – invaderebbe «la sfera di competenza riservata all’autorità giudiziaria», violando «il principio di separazione dei poteri, tanto più in quanto applicata retroattivamente ai provvedimenti già adottati a decorrere dal 23 febbraio 2020».
Come anticipato, il Tribunale aveva previsto che la detenzione domiciliare perdurasse cinque mesi e tale decisione – si legge nell’ordinanza – è «parte integrante ed esplicitazione di quel potere discrezionale, proprio dell’autorità giurisdizionale», attraverso cui la misura in questione può essere adeguata «alle concrete condizioni di salute e alle necessità di cura del detenuto malato», pur «nel rispetto della sicurezza della collettività». L’imposizione di termini diversi, frutto del decreto, sconfinerebbe, invece, nella «sfera di competenza riservata all’autorità giudiziaria».
Su tutto, viene rilevato che i «ritmi serrati» della nuova valutazione impedirebbero «una verifica istruttoria completa», in merito allo stato dell’interessato e all’evoluzione della sua patologia. Più in particolare, per quanto riguarda il caso di specie, il Tribunale ricorda che gli esiti di alcuni accertamenti non erano ancora disponibili; cosicché, in sostanza, non era possibile, in quel momento, né l’aggiornamento sullo stato di salute, né una compiuta valutazione circa l’idoneità dei reparti di medicina protetta, proposti dall’Amministrazione penitenziaria, e in cui il condannato avrebbe potuto essere collocato.
Sempre in punto di discrezionalità giudiziale, si afferma che la normativa censurata, oltre a impedire una decisione “informata”, comprimerebbe ulteriormente il «potere giurisdizionale di bilanciamento e comparazione»: imponendo necessariamente controlli ravvicinati, l’art. 2 del d.l. n. 29 escluderebbe la «possibilità di stabilire un nuovo termine congruo con le condizioni di salute del paziente, con l’evoluzione della patologia e con le necessità terapeutiche del medesimo»; inoltre, la «limitazione dell’autonomia di valutazione discrezionale in capo all’autorità giurisdizionale» sarebbe resa ancora più manifesta in quanto estesa a provvedimenti già assunti e calibrati sulle necessità del condannato.
Così, in estrema sintesi, a causa delle ravvicinate scansioni temporali e della conseguente limitatezza del quadro istruttorio, l’intervento del giudice finirebbe per essere spogliato della possibilità di «valutare compiutamente l’intera situazione».
Ulteriori censure hanno poi riguardato gli art. 32 e 27, comma 3, Cost. Gli artt. 2 e 5 del d.l. 29/2020 metterebbero infatti a repentaglio il delicato equilibrio – sotteso all’applicazione della detenzione domiciliare – «tra diritto alla salute e umanizzazione della pena da un alto ed esigenze di sicurezza della collettività dall’altro».
In primo luogo, si ricorda come, nel caso di specie, al condannato fosse già stata assicurata una misura domiciliare, volta a garantirgli «il diritto di potersi curare», per un lasso di tempo prestabilito, mentre, a causa della normativa successivamente emessa, questi potrebbe «improvvisamente a trovarsi sottoposto a una reiterata e continua verifica della permanenza dei presupposti della misura stessa». Ciò, secondo il Tribunale, determinerebbe una «costante sottoposizione a giudizio», tale da inficiare la «continuità delle cure», nonché la «progettazione e la realizzazione di quel percorso diagnostico-terapeutico non effettuabile in ambito intramurario e per il quale il detenuto è stato ammesso alla detenzione domiciliare».
Vengono poi censurate le carenze istruttorie imposte dall’art. 2 d.l. 29/2020. Quest’ultimo, richiedendo come uniche acquisizioni l’informativa del Presidente della Regione, i pareri del Procuratore nazionale e distrettuale antimafia, nonché le precitate comunicazioni del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, non prevederebbe alcuna verifica circa la situazione sanitaria del condannato, limitandosi a considerare l’«effettiva persistenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria nel luogo ove era allocato l’istituto di appartenenza».
Tale intentio legis si manifesterebbe pure sia nell’impossibilità – inserita, invece, nel successivo art. 3 del decreto legge – di procedere ad accertamenti sulle condizioni di salute dell’interessato, sia nell’affidamento della decisione a chi aveva applicato la misura, piuttosto che al giudice del luogo in cui l’interessato ha la residenza o il domicilio, come ordinariamente previsto dall’art. 677, comma 2, c.p.p.; solo quest’ultimo giudice, infatti, è in grado di avere piena contezza, «oltre che del comportamento del detenuto domiciliare, anche delle condizioni di salute, del percorso terapeutico e dell’evoluzione della patologia».
Nella vicenda in esame, pertanto, il frequente obbligo di rivalutazione – peraltro «con il suo portato di notifiche, adempimenti burocratici, necessità di interazione con la difesa» – potrebbe, a detta del rimettente, «di per sé interferire con una serena e congrua attenzione alla progettazione e realizzazione del percorso terapeutico, che il detenuto ha avviato e intrapreso potendo contare, in assenza di violazione delle prescrizioni, su un termine di cinque mesi».
Infine, viene chiamato in causa l’art. 3 Cost. Sulla base di una «presunzione di pericolosità» – scrive il Tribunale – «correlata soltanto al titolo di reato e al regime detentivo, si individua […] una categoria di detenuti destinataria di un procedimento di frequente rivalutazione marcatamente teso al ripristino della detenzione carceraria, non assistito dal pieno dispiegarsi del potere discrezionale dell’autorità giudiziaria e non garantito sotto il profilo della tutela del diritto alla salute e all’umanità della pena».
A tal proposito, nell’ordinanza si sostiene che, nel momento in cui entrano in gioco diritti fondamentali quali la salute, non possa esservi «alcuna differenza di trattamento che non sia il portato di una valutazione individualizzante dell’autorità giudiziaria». Del pari censurabile sarebbe poi la circostanza che l’obbligo di rivalutazione non solo impedisca compiute valutazioni individualizzanti pro futuro, ma si sovrapponga a bilanciamenti già effettuati, rivitalizzando presunzioni di pericolosità precedentemente superate dall’autorità giudiziaria.
Sulla base di queste censure, è stata quindi sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 d.l. 29/2020, «nella parte in cui prevede che la rivalutazione della permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria sia effettuata entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile e, ancora, immediatamente nel caso in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta». Analoga questione è stata sollevata in riferimento all’art. 5 del predetto d.l., «nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui all’articolo 2 si applicano ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena adottati successivamente al 23 febbraio 2020».
4. Riflessioni di sintesi. – Tre paiono, in estrema sintesi, le ragioni che hanno condotto il Tribunale di Sorveglianza di Sassari a sollevare la sopra illustrata questione di legittimità costituzionale.
La prima parte della motivazione fa riferimento a una sorta di “espropriazione” della sfera di competenza dell’autorità giudiziaria, tale addirittura da violare la separazione dei poteri; di qui, il riferimento agli artt. 102, comma 1, e 104, comma 1, Cost. A prima lettura, tali riferimenti potrebbero non apparire del tutto soddisfacenti: nella spiegazione successiva, infatti, più che un’invasione del potere discrezionale del giudice sembra si voglia lamentare l’impossibilità di svolgere adeguatamente il proprio compito a causa dei ritmi serrati e delle scarse acquisizioni informative consentite dalla disciplina in questione. Insomma, non ci si duole tanto di un’indebita intromissione nella discrezionalità giudiziale, quanto, piuttosto, dell’impossibilità di esercitarla correttamente all’interno degli stretti confini procedurali eretti dal decreto legge.
Di certo, emerge, da siffatta censura, una qualche – peraltro giustificabile – insofferenza nei confronti del legislatore, che impone all’organo giudicante non solo di rivalutare, molte volte, ravvicinate nel tempo, la stessa questione, ma, addirittura, di rivedere le decisioni già assunte, se emesse prima dell’entrata in vigore del d.l. Sembra però potersi dubitare che un tanto possa essere sufficiente per ritenere violato l’affidamento costituzionale della funzione giurisdizionale in capo alla magistratura (art. 102, comma 1, Cost.), oppure l’autonomia e l’indipendenza di quest’ultima (art. 104, comma 1, Cost.).
Decisamente più persuasive sono invece le censure inerenti agli artt. 32 e 27, comma 3, Cost. Appare sicuramente irragionevole la scelta di non prevedere nell’art. 2 del d.l. – così come invece stabilisce l’art. 3 – eventuali accertamenti sullo stato di salute del soggetto interessato; ci si è insomma totalmente disinteressati di tale profilo, privilegiando soltanto l’aggiornamento sulle dinamiche pandemiche che hanno orientato l’iniziale decisione del giudicante. D’altra parte – come opportunamente rilevato nell’ordinanza di rimessione – la spada di Damocle delle continue decisioni e del possibile ricollocamento entro breve tempo, rendono sostanzialmente irrealizzabile un adeguato percorso curativo al di fuori del carcere.
Appare infine ben costruita ed argomentata – e quindi sarà interessante vedere cosa deciderà la Corte costituzionale sul punto – la questione incentrata sull’art. 3 Cost.: si sostiene, in altre parole, che prescrizioni di “doppio binario” – sempre più frequenti nella nostra legge processuale – fondate su presunzioni di pericolosità non possano invero essere approntate dal legislatore quando viene in gioco il diritto alla salute.
[1] Ci si riferisce a Mag. Sorveglianza Spoleto, ord. 26 maggio 2020, in questa Rivista, con nota di M. Gialuz, Il d.l. antiscarcerazioni alla Consulta: c’è spazio per rimediare ai profili di illegittimità costituzionale in sede di conversione, 5 giugno 2020.
[2] Su questo provvedimento, fra i primi commenti, si vedano v. G. Fiandaca, Scarcerazione per motivi di salute, lotta alla mafia e opinione pubblica, in questa Rivista, 19 maggio 2020; F. Gianfilippi, La rivalutazione delle detenzioni domiciliari per gli appartenenti alla criminalità organizzata, la magistratura di sorveglianza e il corpo dei condannati nel d.l. 10 maggio 2020 n. 29, in Giustizia Insieme, 12 maggio 2020; G. Pestelli, D.L. 29/2020: obbligatorio rivalutare periodicamente le scarcerazioni connesse all’emergenza Covid-19, in Quotidiano Giuridico, 13 maggio 2020; A. Pulvirenti, COVID-19 e diritto alla salute dei detenuti: un tentativo, mal riuscito, di semplificazione del procedimento per la concessione dell’esecuzione domiciliare della pena (dalle misure straordinarie degli artt. 123 e 124 del d.l. n. 18/2020 alle recenti novità del d.l. n. 29/2020, in Leg. pen., 26 maggio 2020, p. 31 e ss.
[3] Così si esprime M. Gialuz, Il d.l. antiscarcerazioni alla Consulta, cit., a cui si rinvia anche per ulteriori indicazioni bibliografiche.
[4] La rivalutazione avviene invece «immediatamente», nel caso in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunichi «la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto».
5 Si legga, al riguardo, A. Della Bella, Emergenza COVID e 41 bis: tra tutela dei diritti fondamentali, esigenze di prevenzione e responsabilità politiche, in questa Rivista, 1 maggio 2020.