Cass., Sez. V, sent. 27 giugno 2023 (dep. 18 luglio 2023), n. 31186, Pres. Sabeone, Rel. Caputo
1. Con la sentenza qui segnalata, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi dell’annosa questione della confisca del denaro. La pronuncia è meritevole di attenzione in quanto, a distanza di circa due anni dalle Sezioni Unite Coppola[1], chiarisce parzialmente confini e portata della misura ablatoria (e del sequestro preventivo) applicabile quando le cose che dell’illecito rappresentano il profitto consistano in denaro.
2. Innanzitutto il fatto. La questione oggetto della presente nota era pervenuta all’esame della Suprema Corte nell’ambito di un procedimento instaurato a seguito della contestazione, a carico dell’amministratore di una società dichiarata fallita, di due episodi di bancarotta fraudolenta per distrazione. Il Giudice per le Indagini Preliminari, ritenendo sussistente il fumus commissi delicti con riferimento a entrambe le imputazioni, aveva così disposto, ai sensi dell’art. 321 c. 2 c.p.p., il sequestro preventivo finalizzato alla confisca facoltativa (diretta) ex art. 240 c. 1 c.p. dei saldi dei conti correnti e delle disponibilità finanziarie fino alla concorrenza del quantum corrispondente al profitto dei delitti (pari all’ammontare totale delle somme distratte).
L’imputato aveva successivamente presentato istanza di restituzione delle somme di denaro da lui percepite, a titolo di stipendio da ente diverso dalla società fallita e a titolo di TFR, in epoca successiva all’esecuzione della misura cautelare reale. A seguito del rigetto dell’istanza, l’interessato si era, quindi, rivolto al Tribunale del Riesame, il quale, però, confermava il decisum del G.I.P., rigettando con ordinanza l’appello dell’imputato.
Quest’ultimo presentava, dunque, ricorso per Cassazione, lamentando l’erronea applicazione degli articoli 321 c. 2 c.p.p. e 240 c. 1 c.p. Alla base delle censure mosse alla suddetta ordinanza, il ricorrente ha posto la considerazione che il sequestro disposto nei suoi confronti era diretto alla confisca in via diretta del profitto dei delitti di bancarotta fraudolenta a lui ascritti: ciò era stato ordinato dal G.I.P. e, d’altronde, la misura cautelare reale non avrebbe potuto presentarsi in altre forme, non essendo prevista, per i reati contestati, la confisca per equivalente. Ebbene, a detta del ricorrente, la confisca diretta non potrebbe mai attingere da somme di denaro affluite nel patrimonio del destinatario sulla base di un titolo lecito o in epoca successiva all’illecito penale, ove tali somme non siano eziologicamente connesse, anche indirettamente, al reato. Nel formulare il proprio motivo di ricorso, l’imputato non ha omesso di fare cenno alla succitata sentenza Coppola, al fine di contrastare l’interpretazione che di essa il Tribunale del Riesame (e non solo esso, peraltro, come si vedrà) aveva dato.
3. Prima di procedere all’esame della parte motiva della pronuncia qui in commento, la quale ha parzialmente accolto il ricorso, anche mediante una puntualizzazione circa la portata della sentenza Coppola, occorre soffermarsi brevemente sull’evoluzione (che, a dire il vero, per la dottrina maggioritaria rappresenta piuttosto un’involuzione) della disciplina della confisca del denaro.
Ebbene, il dibattito concernente la forma che assume la misura ablativa nell’ipotesi in cui il profitto dell’illecito (ovvero il prodotto, il prezzo o i beni utilizzati per commetterlo) consista in denaro, oppure in altri beni fungibili, è ormai risalente. Esso ha ricevuto una decisa “sterzata” a partire dagli anni 2014-2015, periodo in cui, mediante le note sentenze Gubert[2] e Lucci[3], le Sezioni Unite hanno inaugurato un nuovo orientamento, abbandonando ogni «aggancio al criterio della pertinenzialità»[4]. Con tali pronunce, si è, infatti, statuito che il profitto dell’illecito, quando costituito da denaro, può essere oggetto di ablazione, stante la sua natura tipicamente fungibile, a prescindere dall’accertamento del rapporto di derivazione dal reato: di conseguenza, «la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non è confisca per equivalente, ma confisca diretta»[5]. Questa conclusione è stata motivata sulla base del fatto che, trattandosi di una somma di denaro, la stessa – una volta confluita nel patrimonio del reo – perde la sua autonomia e la sua specifica identificabilità, così diventando un tutt’uno con il patrimonio dell’agente. Con riferimento alle somme di denaro, quindi, l’operatività della confisca per equivalente sarebbe limitata alla sola ipotesi in cui nel patrimonio del reo non vi sia alcuna disponibilità in denaro, poiché, solo in questo caso, «si avrebbe quella necessaria novazione oggettiva che costituisce il naturale presupposto per poter procedere alla confisca di valore (l'oggetto della confisca diretta non può essere appreso e si legittima, così, l'ablazione di altro bene di pari valore)»[6].
L’esito ermeneutico delle sentenze Gubert e Lucci è stato, però, oggetto sin da subito di numerosi rilievi critici da parte della dottrina[7], la quale ha evidenziato che il carattere della fungibilità non può costituire un comodo escamotage per eludere il difficile onere di provare il nesso eziologico tra denaro e reato. In particolare, è stato evidenziato che la Suprema Corte, nel suo più autorevole consesso, avrebbe posto a premessa della propria impostazione l’indebita sovrapposizione delle nozioni di fungibilità e pertinenzialità. Esse, invece, rappresentano concetti ben distinti: il primo (di matrice civilistica) fa, infatti, riferimento a una caratteristica intrinseca della res; il secondo, invece, postula un giudizio di relazione, qualificando il bene in virtù del rapporto con un elemento esterno al bene stesso, ossia il reato[8].
La giurisprudenza successiva alle due suddette pronunce si allineò, però, alle conclusioni da esse fissate, anche perché la c.d. «confisca diretta del valore del denaro»[9] permette di evitare la ricostruzione del nesso di pertinenzialità, operazione che risulta ancora più ardua quando si tratta di beni fungibili. La figura di creazione giurisprudenziale consente, così, un’efficace aggressione al patrimonio del reo, svincolata dalla più rigida disciplina della confisca per equivalente (che opera soltanto in via residuale e nei soli casi espressamente previsti dalla legge) e dal rispetto delle garanzie costituzionali e convenzionali che, stante il suo carattere marcatamente sanzionatorio, ne accompagnano l’applicazione. Ricondurre la confisca del denaro direttamente all’art. 240 c.p. significa, infatti, riconoscere ad essa la natura giuridica di misura di sicurezza, dotata di effetti meramente ripristinatori e, di conseguenza, svincolata dall’applicazione dello statuto normativo della materia penale (e, in particolar modo, dalle garanzie di cui all’art. 7 Cedu)[10].
Ciò posto, però, si è con gli anni formato un indirizzo giurisprudenziale che, pur facendo salva, la confisca diretta del valore del denaro, ha tentato di ridefinirne l’ambito di applicazione, al fine di «erigere i primi (fragili) argini alla misura di genesi giurisprudenziale»[11]. In particolare, tali sentenze si sono espresse a favore di una limitazione dell’operatività della confisca diretta del denaro, in assenza dell’accertamento del nesso di derivazione con il reato, al caso in cui l’interessato non fornisca la prova dell’insussistenza di tale legame eziologico. Così, si suggeriva l’inquadramento della misura plasmata dalle sentenze Gubert e Lucci nella categoria delle presunzioni: l’applicazione della confisca diretta del valore del denaro si fonderebbe, infatti, sulla presunzione iuris tantum, valida fino a prova contraria (fornibile dalla parte interessata), che le somme di denaro che si trovano sul suo conto corrente siano proprio quelle derivate dal reato in contestazione.
A questa impostazione maggiormente garantista (e di compromesso) ha, peraltro, aderito anche la Sesta Sezione della Cassazione[12], che ha rimesso la questione della ridefinizione dei confini della misura di creazione giurisprudenziale alle Sezioni Unite.
La sentenza Coppola ha, però, demolito gli argini che la giurisprudenza di legittimità aveva faticosamente eretto, rigettando ogni possibile mitigazione del regime della confisca diretta del denaro e, anzi, conferendo ad essa la massima portata possibile: è stato, infatti, statuito che l’ontologica fungibilità del denaro comporta, a causa dell’automatica confusione del profitto del reato nel patrimonio del reo, l’inutilità (nonché la logica impossibilità) di accertare il collegamento eziologico delle somme da sequestrare con l’illecito. Pertanto, a detta delle Sezioni Unite, la confisca del denaro va sempre qualificata come diretta «e non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita del numerario oggetto di ablazione».
4. Ebbene, al principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite Coppola si era fedelmente allineato, nel caso di specie, il Tribunale del Riesame: esso aveva, infatti, rigettato l’appello presentato dall’interessato, così non annullando il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto dei delitti di bancarotta fraudolenta in relazione alle somme percepite lecitamente dal ricorrente in epoca successiva all’esecuzione del sequestro.
In una prospettiva di rigida osservanza dell’impostazione delle Sezioni Unite si è posto, peraltro, un indirizzo della giurisprudenza di legittimità, fermo nel ritenere che, ove il profitto dell’illecito consista in denaro, la confisca in forma diretta «ben può aggredire somme giacenti su conti intestati all’imputato ed affluite prima della commissione del reato o anche somme percepite successivamente e che non si siano confuse con quelle provenienti direttamente o indirettamente dal reato per cui si procede»[13].
Ampi settori della dottrina[14], però, già nei mesi immediatamente successivi alla pronuncia della sentenza Coppola, avevano avanzato diverse obiezioni alla conclusione delle Sezioni Unite, ritenendo non risolte le criticità che, sin dalla sentenza Gubert, caratterizzano l’istituto di matrice giurisprudenziale della confisca (diretta) del denaro. In particolare, partendo sempre dalla considerazione che fungibilità e pertinenzialità non sono concetti sovrapponibili, è stata da più parti censurata l’argomentazione che le Sezioni Unite hanno posto a fondamento della loro conclusione, secondo la quale, nell’eventualità in cui il profitto del reato sia costituito da denaro, si determinerebbe un’automatica confusione di tali somme con il restante patrimonio del reo, cosicché diventerebbe impossibile (oltre che inutile) distinguere le somme lecite da quelle illecite. È stato, invece, ritenuto necessario, da parte della dottrina, al fine di poter affermare l’indistinguibilità delle somme di diversa provenienza, l’accertamento in concreto di una oggettiva situazione di confusione. Solo mediante tale prova «sarebbe possibile riconoscere ancora una traccia di quel “nesso di pertinenzialità”, che costituisce presupposto indefettibile della confisca diretta, distinguendola chiaramente da quella per equivalente»[15].
La Corte di Cassazione, con la sentenza in epigrafe, ha (almeno per le finalità del caso di specie) condiviso le suddette critiche dottrinali. Nell’accogliere parzialmente il ricorso, infatti, la Suprema Corte ha evidenziato come il sequestro disposto in origine avesse azzerato le disponibilità liquide sui conti correnti dell’imputato, cosicché le somme di denaro incamerate successivamente dal reo (in base a titolo lecito) non si erano confuse con il suo patrimonio. Del resto, in ciò allineandosi a quanto prospettato nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite Coppola, la sentenza in commento afferma che permettere al sequestro di denaro finalizzato alla confisca diretta di apprendere somme percepite lecitamente in epoca successiva all’esecuzione della misura cautelare significherebbe attribuire al sequestro “impeditivo” le potenzialità che sono proprie solo del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente.
Dunque, nella sentenza in epigrafe si trova enunciato il seguente principio di diritto: «il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del denaro costituente profitto di un reato per il quale non è prevista la confisca per equivalente […] non può avere ad oggetto denaro di certa provenienza lecita percepito successivamente all'esecuzione del sequestro preventivo, o, in caso di mancata adozione della misura cautelare, della confisca, qualora, essendo [venuto, ndr] meno nel patrimonio dell'imputato, al momento della cautela reale o dell'ablazione, qualsivoglia attivo dello stesso genere, sia impedita l'automatica confusione nel patrimonio stesso del denaro acquisito lecitamente dopo l'esecuzione della misura cautelare o di quella ablativa».
Alla luce del principio di diritto appena riportato, la Corte di Cassazione, una volta accertata la mancata commixtio tra le somme di denaro corrispondenti al profitto dei delitti e le somme lecitamente percepite, ha conseguentemente ritenuto necessario, al fine di procedere al sequestro finalizzato alla confisca diretta, rintracciare il nesso di derivazione tra le condotte illecite e le cose oggetto della misura ablativa. Ebbene, correttamente la sentenza in commento ha escluso la sussistenza di tale nesso con riferimento alle somme incamerate dal ricorrente a titolo di stipendio da un ente diverso dalla società fallita; al contrario, le somme percepite a titolo di TFR, essendo state erogate in virtù del rapporto di lavoro con la società fallita, sono state ritenute avvinte ai delitti in contestazione, in quanto connesse agli incrementi stipendiali costituenti le condotte distrattive. Di conseguenza, come anticipato, la Suprema Corte ha accolto solo parzialmente il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata in relazione alle somme percepite a titolo di stipendio, e rigettandolo con riferimento alle somme incamerate a titolo di TFR.
5. Appare, dunque, apprezzabile la posizione assunta dalla pronuncia in commento, mediante la quale la Corte di Cassazione, pur non ponendosi in frontale contrasto con i principi enunciati dalla sentenza Coppola, tenta di chiarirne la portata, neutralizzandone gli esiti più estremi. Non vi è, infatti, alcuna abiura dell’operatività in forma diretta della confisca quando le cose che del reato rappresentano il profitto consistano in denaro: il nesso di pertinenzialità può, quindi, anche a detta della sentenza in epigrafe, ben riferirsi genericamente all’incremento patrimoniale del reo e non alla somma di provenienza illecita specificatamente individuata; a tal fine, si richiede, però, la prova di un’effettiva confusione tra somme lecite e somme illecite. Ove tale commixtio non si sia verificata, come nel caso in cui le somme da sequestrare siano state incamerate dal reo in epoca successiva all’esecuzione della misura cautelare reale e siano state tenute separate dal resto del patrimonio, non si potrà procedere alla confisca in forma diretta di tali somme.
La sentenza in commento presenta, quindi, il pregio di erigere un nuovo (fragile) argine alla misura di genesi giurisprudenziale della confisca diretta del denaro, dopo che la sentenza Coppola aveva abbattuto quelli precedentemente costruiti dall’orientamento della giurisprudenza di legittimità di cui si è dato conto in precedenza.
Tale argine - certamente significativo, stante l’elevata ricorrenza nella prassi di casi analoghi a quello affrontato dalla pronuncia in esame - opera, però, come si evince dal principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, solo con riferimento alle somme lecitamente percepite dopo l’esecuzione del sequestro, quando sia venuto meno «nel patrimonio dell’imputato, al momento della cautela reale o dell’ablazione, qualsivoglia attivo dello stesso genere».
Resta, così, sul tavolo una domanda: che ne è, invece, delle somme di denaro di accertata provenienza lecita affluite sul conto corrente del reo successivamente alla commissione del reato (e prima dell’esecuzione del sequestro)? Anche in questo caso, infatti, in concreto potrebbe non essersi verificata alcuna confusione tra le somme lecite e quelle illecite e, di per sé, nulla impedisce di tracciare i flussi monetari nel patrimonio del reo[16].
Peraltro, di questa ipotesi non si erano occupate espressamente le Sezioni Unite Coppola[17], che avevano affermato l’irrilevanza della provenienza lecita di somme percepite dal reo prima della consumazione del reato. Sul punto, a fronte dell’orientamento (di cui si è dato conto in precedenza) teso a dare rigida applicazione ai principi della sentenza Coppola in ogni circostanza, si è registrato un altro indirizzo della giurisprudenza di legittimità che, con riferimento ai reati tributari, ha affermato l’insequestrabilità in via diretta delle somme di denaro percepite dal reo in epoca successiva alla commissione del reato[18]. Il tema rimane, allora, aperto e sarà interessante monitorare la giurisprudenza della Corte di Cassazione al fine di verificare se essa erigerà un altro, importante, argine alla confisca diretta del denaro.
Certamente, dopo ben tre sentenze, sostanzialmente concordi, delle Sezioni Unite, si è ancora ben lontani, come dimostrano gli attuali divergenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, da una chiara definizione dei confini della misura di genesi giurisprudenziale in esame. Ciò determina un non trascurabile deficit in punto di certezza del diritto, che pare di particolare gravità in relazione a una misura che, anche a non volerla ritenere una misura sostanzialmente penale, realizza comunque una sensibile ingerenza nel diritto di proprietà dell’interessato, dovendo, così, essere conforme al dettato dell’art. 42 della Costituzione e sottostare alle garanzie sancite nell’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Cedu (tra cui, in primis, il principio di legalità[19]).
Peraltro, si segnala in conclusione che da una parte della dottrina[20] è stata avanzata l’opportunità, non di una mera ridefinizione dei confini della confisca diretta del denaro per come fissati dalle Sezioni Unite Coppola, ma di una rimeditazione tout court dell’ambito di applicazione della misura da esse delineato. Ed infatti, si è sottolineato come l’indebita assimilazione ai concetti di profitto e prezzo del reato di entità affatto diverse, quali le somme di denaro di provenienza lecita (in qualunque momento percepite), pone il rischio di «sconfinamento nel campo dell’applicazione analogica della legge penale»[21]. Peraltro, anche a non voler attribuire alla confisca in esame un carattere sostanzialmente penale, è evidente che le oscillazioni giurisprudenziali di cui si è dato conto finiscono per rendere non prevedibile (e quindi non aderente alla nozione convenzionale del principio di legalità) l’applicazione di una misura idonea a determinare il sacrificio del diritto di proprietà dell’interessato.
Così, appare auspicabile un nuovo pronunciamento, organico e in grado di scongiurare tale rischio, delle Sezioni Unite. Sarebbe, però, il quarto nel corso di neanche dieci anni: ecco che, allora, per una piena ridefinizione dei confini della confisca del denaro, volta a impedire in ogni caso l’ablazione in forma diretta delle somme di accertata provenienza lecita, potrebbe presentarsi come opportuno un intervento della Corte Costituzionale al fine di censurare – per violazione dell’art. 117 c. 1 Cost., in relazione all’art. 1 del Primo protocollo addizionale alla Cedu, ovvero per contrasto con l’art. 42 Cost.[22] – l’interpretazione priva di base legale che dell’art. 240 c.p. dà il diritto vivente.
[1] Cass. Pen., Sez. Un., n. 42415 del 27 maggio 2021 (dep. 18/11/2021), in Diritto & Giustizia, fasc. 222, 2021, p. 11, con nota di A. Foti. Per un commento sulla pronuncia si rimanda, ex multis, a: F. Colaianni – Colombo D., Quando i soldi sono infetti. Una nuova pronuncia delle Sezioni Unite ribadisce che la confisca del denaro rinvenuto nel patrimonio del reo è sempre “diretta”, in questa Rivista, 8 luglio 2022; A.M. Dell’Osso, Le Sezioni Unite rilanciano sulla natura diretta della confisca di denaro: vecchie e nuove perplessità, in Dir. Pen. e Processo, 4, 2022, pp. 483 e ss.
[2] Cass. Pen., Sez. Un., n. 10561 del 30 gennaio 2014 (dep. 5/03/2014), in Dir. pen. cont., 12 marzo 2014, con nota di T. Trinchera. Tra i numerosi commenti, si segnalano: A. M. Dell’Osso, Confisca diretta e confisca per equivalente nei confronti della persona giuridica per reati tributari commessi dal legale rappresentante: le Sezioni Unite innovano ma non convincono, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2014, pp. 424 e ss.; M. Lanzi, La confisca diretta e di valore nei reati tributari: riflessioni e questioni aperte, in Ind. pen., 2014, pp. 170 e ss.; M. Romano, Confisca, responsabilità degli enti, reati tributari, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 4, pp. 1674 e ss.
[3] Cass. Pen., Sez. Un, n. 31617 del 26 giugno 2015 (dep. 21/07/2015), in Ced Cass., 2015, rv. 264438. Per commenti alla sentenza, si rimanda a: G. Civello, Le Sezioni Unite “Lucci” sulla confisca del prezzo e del profitto di reato prescritto: l’inedito istituto della “condanna in senso sostanziale”, in Arch. pen., n. 2/2015; F. Lumino, La confisca del prezzo o del profitto del reato nel caso di intervenuta prescrizione, in Cass. pen., 2016, 4, p. 1384.
[4] Così: F. Mucciarelli – C.E. Paliero, Le Sezioni Unite e il profitto confiscabile: forzature semantiche e distorsioni ermeneutiche, in Dir. pen. cont., fasc. 4/2015, p. 250.
[5] In tali termini si esprime la sentenza Gubert, cit.
[6] Così si legge nella sentenza Lucci, cit.
[7]Ex multis, si segnalano: R. Bartoli, Brevi considerazioni in tema di confisca del profitto, in Dir. pen. cont., 20 ottobre 2016; A. Keller, Confisca diretta del denaro e prova dell’assenza di pertinenzialità: la recente giurisprudenza di legittimità erige i primi fragili argini alle sentenze Gubert e Lucci, in Dir. Pen. Cont., fasc. 6/2019, pp. 73 e ss.; F. Mucciarelli – C.E. Paliero, Le Sezioni Unite e il profitto confiscabile, cit., pp. 249 e ss.; M. Romano, Confisca, responsabilità degli enti e reati tributari, cit., pp. 1674 e ss.; G. Varraso, Punti fermi, disorientamenti interpretativi e motivazioni “inespresse” delle Sezioni Unite in tema di sequestro a fini di confisca e reati tributari, in Cass. pen., 2014, 9, pp. 2806 e ss.
[8] In questo senso, già all’indomani della sentenza Gubert: F. Mucciarelli – C.E. Paliero, Le Sezioni Unite e il profitto confiscabile, cit., pp. 253-254.
[9] Definita in tal modo da A. Keller, Confisca diretta del denaro, cit., p. 83.
[10] Sul punto, vedasi: M. Scoletta, La confisca di denaro quale prezzo o profitto del reato è sempre “diretta” (ancorché il denaro abbia origine lecita): esiste un limite azionabile alla interpretazione giudiziaria della legge penale?, in questa Rivista, 23 novembre 2021. Per una panoramica sulla natura della confisca, rectius delle confische, e sulle conseguenze connesse all’attribuzione, ad una specifica misura, di una determinata qualificazione giuridica, piuttosto che di un'altra, si rimanda a: V. Marcenò, Le confische tra principi costituzionali e obblighi convenzionali, T. Epidendio - G. Varraso (a cura di), Codice delle confische, in Le fonti del diritto italiano (collana), Milano, 2018, pp. 4 e ss.
[11] Cfr. A. Keller, Confisca diretta del denaro, cit., p. 86.
[12] Cfr: Cass., Sez. VI, ord. n. 7021 del 17 novembre 2020 (dep. 23/02/2021), in De Jure.
[13] Così si è espressa, proprio in relazione al sequestro preventivo di somme di denaro costituenti il profitto di delitti di bancarotta fraudolenta: Cass. Pen., Sez. V, n. 13446 del 3 febbraio 2022 (dep. 7/04/2022), in De Jure. In senso analogo, con riferimento al profitto dei reati tributari: Cass. Pen., Sez. III, n. 40068 del 22 settembre 2021 (dep. 8/11/2021), in De Jure.
[14] Sul punto, si rimanda a: F. Colaianni – Colombo D., Quando i soldi sono infetti, cit.; A.M. Dell’Osso, Le Sezioni Unite rilanciano sulla natura diretta della confisca di denaro, cit.; F.E. Manfrin, La confisca (diretta) di denaro nella più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Arch. nuova proc. pen., 5, 2022, pp. 389 e ss.; A.M. Maugeri, in lalegislazionepenale.eu, 17 gennaio 2023; M. Scoletta, La confisca di denaro, cit.
[15] Così: M. Scoletta, La confisca di denaro, cit.
[16] Sul punto, particolarmente esaustiva è la trattazione di A.M. Dell’Osso, Le Sezioni Unite rilanciano sulla natura diretta della confisca di denaro, cit., p. 491, secondo cui: «Il flusso di denaro che il reo riceve sul suo conto corrente come prezzo del reato è identificabile da parte degli inquirenti: vi è un saldo attivo precedente, uno successivo; vi è un movimento in entrata, con mittente e causale. Quella somma è, cioè, diversa e non sovrapponibile con quella, per ipotesi, presente su un altro conto del medesimo soggetto, sul quale è confluita un’eredità».
[17] In questo senso, tra gli altri: A.M. Abruzzese, L. Galluccio, Reati tributari: sequestro e confisca del denaro lecitamente affluito sui conti correnti, in fiscoetasse.com, 6 giugno 2023.
[18] Vedasi: Cass. Pen., n. 11086 del 4 febbraio 2022 (dep. 28/03/2022), in De Jure, secondo cui «il denaro che affluisce sul conto corrente successivamente alla commissione del reato […] non può […] costituire il profitto del reato tributario, rappresentato infatti dal risparmio di imposta conseguente all’omissione di versamento del quantum corrispondente».
[19] Prevede, infatti, l’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Cedu che: «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale».
[20] In tal senso, in particolare: F.E. Manfrin, La confisca (diretta) di denaro nella più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, cit., pp. 391-392 e M. Scoletta, La confisca di denaro, cit.
[21] Così: M. Scoletta, La confisca di denaro, cit.
[22] Ove, poi, si volesse riconoscere natura sostanzialmente penale alla misura in esame si potrebbe invocare anche l’art. 7 Cedu.