Scheda  
23 Gennaio 2020


Verso una giustizia costituzionale più “aperta”: la Consulta ammette le opinioni scritte degli “amici curiae” e l’audizione di esperti di chiara fama


Stefano Finocchiaro

Modificazioni alle «Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale» approvate con delibera dell'8 gennaio 2020 (G.U. n. 17 del 22 gennaio 2020)


Per leggere il testo della delibera, clicca qui.

 

1. Il nuovo anno della Corte costituzionale, sotto la presidenza della neoeletta Prof. Marta Cartabia, si apre con una svolta di non poco rilievo: un segnale deciso nel senso di una Consulta, e quindi di una giustizia costituzionale, improntata a una maggiore trasparenza procedurale e a una rafforzata partecipazione sociale alle decisioni.

Con una delibera dell’8 gennaio 2020, infatti, i giudici costituzionali hanno modificato le Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Le modifiche sono ora pubblicate in Gazzetta Ufficiale (clicca sopra per scaricare il documento) e – ai sensi dell’art. 8 della delibera  – «entrano in  vigore dal  giorno  successivo alla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e si applicano anche ai giudizi pendenti a quella data». Non è però precisato se ciò valga solo per i giudizi rispetto ai quali non siano spirati i termini previsti dalle nuove norme, di cui si dirà di seguito.

Le modifiche riguardano, in particolare: l’ammissibilità degli interventi in giudizio (art. 4, commi 6 e 7), l’accesso degli intervenienti agli atti processuali (art. 4-bis), la ricevibilità di opinioni scritte degli amici curiae (art. 4-ter), la facoltà di disporre l’audizione in camera di consiglio di esperti di chiara fama (art. 14-bis)[1].

La reale novità  è rappresentata proprio da queste ultime due disposizioni, attraverso le quali – come titola il comunicato stampa della Consulta – la Corte “si apre all’ascolto della società civile”, avvicinandosi altresì alla prassi delle Corti supreme di molti altri ordinamenti, in particolare di common law[2].

Un ulteriore intervento viene effettuato al secondo comma dell’art. 16, relativo all’udienza pubblica, ove si precisa che i motivi sintetici delle conclusioni successivi alla relazione possono essere svolti «di regola» da «non più di due» difensori.

Procediamo dunque con ordine nell’analisi delle modifiche, tenendo però presente che è alle due novità in tema di amici curiae e audizione di esperti che occorrerà rivolgere un più attento sguardo (infra, § 4,  § 5 e § 6).

 

2. Una prima modifica – di carattere ricognitivo, più che innovativo – è contenuta nell’art. 4, commi 6 e 7 delle Norme integrative: «La Corte decide sull’ammissibilità degli interventi» (comma 6); «Nei giudizi in via incidentale possono intervenire i titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio» (comma 7).

La novella si limita a recepire quel già consolidato approdo giurisprudenziale per cui la partecipazione al giudizio di legittimità costituzionale si riteneva ammessa in favore di «soggetti terzi che siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura» (ex plurimis, sentenze n. 13 del 2019, n. 217 e n. 180 del 2018, ordinanze allegate alle sentenze n. 141 del 2019, n. 194 del 2018, n. 29 del 2017, n. 286 e n. 243 del 2016).

L’intervento di tali soggetti era già visto dalla Corte quale legittima deroga – non in contrasto con il carattere incidentale del giudizio di costituzionalità – alla regola che vede la partecipazione circoscritta alle parti del giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4 Norme integrative).

La Corte, dunque, ha seguito la via – prospettata in dottrina[3] – della codificazione dell’orientamento giurisprudenziale cui si è fatto cenno[4].

 

3. Un discorso simile vale per la disciplina di cui al nuovo art. 4-bis, relativa alla procedura di accesso agli atti processuali da parte degli intervenienti.

La nuova disposizione prevede che il soggetto che abbia intenzione di intervenire in giudizio e che intenda prendere visione e trarre copia degli atti processuali può depositare, contestualmente all’atto di intervento, un’apposita istanza per richiedere la fissazione di un’udienza anticipata nella quale venga trattata solamente la questione concernente l’ammissibilità dell’intervento.

L’udienza viene fissata, sentito il giudice relatore, con decreto presidenziale, di cui è data immediata comunicazione alle parti costituite e all’istante, i quali hanno facoltà di depositare entro dieci giorni dalla comunicazione sintetiche memorie concernenti la specifica questione dell’ammissibilità dell’intervento.

La Corte decide con ordinanza sull’ammissibilità dell’intervento, da cui consegue la facoltà di accesso degli intervenienti agli atti processuali.

Come si è anticipato, la norma in esame non ha una reale portata innovativa, avendo piuttosto consacrato le direttive e le istruzioni che venivano già seguite alla Corte in conformità alle istruzioni impartite con un provvedimento presidenziale del 21 novembre 2018[5].

La Corte si era dunque già discostata dalla precedente prassi di consentire l’accesso agli atti processuali a tutti i soggetti che avessero presentato, tempestivamente o meno, un atto di intervento non ancora dichiarato ammissibile. Una prassi che di fatto consentiva un accesso incontrollato anche a soggetti che non fossero (o quantomeno non fossero ancora) “parti” del giudizio.

Il cambio di rotta della Corte era ispirato a un’esigenza di tutela della riservatezza, che impone di precludere un ingiustificato accesso a informazioni e dati sensibili o giudiziari. Esigenza che viene soddisfatta attraverso il ricorso all’udienza ad hoc volta ad anticipare il giudizio sull’ammissibilità dell’intervento, allo specifico fine di consentire l’accesso agli atti prima dell’udienza fissata per il merito. Tale anticipazione può peraltro avere positive ricadute in termini di economia processuale, permettendo di evitare che all’udienza fissata per il merito l’interveniente ammesso in quel momento chieda un rinvio della trattazione per esaminare gli atti processuali che non abbia potuto previamente vagliare.

A queste medesime rationes pare ispirato il nuovo art. 4-bis delle Norme integrative.

 

4. Venendo ora, come promesso, alle novità di maggiore rilievo, deve anzitutto segnalarsi il disposto del nuovo art.4-ter, rubricato “Amici curiae”, il cui primo comma prevede la possibilità per «le formazioni sociali senza scopo di lucro e i soggetti istituzionali, portatori di interessi collettivi e diffusi attinenti alla questione di costituzionalità» di «presentare alla Corte costituzionale un’opinione scritta» nel termine di «venti giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza di rimessione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana».

Legittimati alla presentazione di memorie scritte in qualità di “amici curiae” sono dunque non già singoli interessati, ma solo formazioni sociali che non abbiano fine di lucro e soggetti istituzionali portatori di interessi collettivi e diffusi che abbiano attinenza al thema decidendum. Purché ciò avvenga entro il breve termine indicato. Termine che, senza dubbio, varrà per i giudizi che devono ancora instaurarsi, ma che potrebbe invece non valere nei processi oggi pendenti, ai quali la novella si applica ai sensi del già menzionato art. 8 della delibera. Quest’ultima norma potrebbe infatti essere interpretata dalla Corte medesima nel senso di concedere una sorta di rimessione in termini, ammettendo opinioni “tardive” inerenti a giudizi la cui ordinanza di rimessione è stata pubblicata in G.U. più di venti giorni fa, ma la cui udienza o adunanza in camera di consiglio deve ancora svolgersi.

La disposizione, al secondo comma, si premura altresì di indicare determinate dimensioni entro cui tali opinioni dovranno essere contenute («25.000 caratteri, spazi inclusi») e le relative modalità di trasmissione alla Corteper posta elettronica alla Cancelleria della Corte, che ne comunica l’avvenuta ricezione con posta elettronica»).

Analoghi accorgimenti, del resto, sono previsti anche in altri ordinamenti, ad esempio negli Stati Uniti per le memorie degli amici curiae presentate alla Corte Suprema. La ratio è apprestare una procedura che permetta agile ingresso a scritti sintetici, che possano arricchire il bagaglio conoscitivo del Collegio senza aggravarne eccessivamente il lavoro.

Di ciò si trae conferma al terzo comma della disposizione, il quale dispone che «[c]on decreto del Presidente, sentito il giudice relatore, sono ammesse le opinioni che offrono elementi utili alla conoscenza e alla valutazione del caso, anche in ragione della sua complessità».

La norma, nell’indicare i presupposti di ammissibilità dell’opinione, esplicita anche la funzione che tale novella intende perseguire: fornire alla Corte informazioni utili e ulteriori argomenti con i quali confrontarsi nell’adottare la decisione di questioni particolarmente complesse o socialmente dibattute.

Con questi argomenti, peraltro, potranno anche confrontarsi le «parti costituite» alle quali, ai sensi del quarto comma, il decreto presidenziale di ammissione delle opinioni viene «trasmesso a cura della Cancelleria per posta elettronica» entro il termine di «almeno trenta giorni liberi prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio»; lo stesso decreto «è pubblicato nel sito della Corte Costituzionale».

L’ultimo comma della disposizione precisa, infine, che i soggetti le cui opinioni siano state ammesse «non assumono qualità di parte nel giudizio costituzionale, non possono ottenere copia degli atti e non partecipano all’udienza».

Quest’ultima precisazione esplicita i confini dell’apertura della Corte, attenta anche in questo caso a bilanciare l’interesse ad “aprirsi” con il contrapposto interesse ad evitare eccessivi aggravi procedurali. In questo senso può leggersi la scelta di ammettere un contributo essenzialmente cartolarizzato, senza allargare sul piano soggettivo il dibattito in udienza, dibattito che potrebbe tuttavia risultare rinvigorito sul piano oggettivo, proprio grazie alle conoscenze e agli argomenti tratti dalle opinioni scritte[6].

 

5. Non meno importante è il nuovo art. 14-bis (“Esperti”), a tenore del quale «La Corte, ove ritenga necessario acquisire informazioni attinenti a specifiche discipline, dispone con ordinanza che siano ascoltati esperti di chiara fama in apposita adunanza in camera di consiglio alla quale possono assistere le parti costituite. Con l’autorizzazione del presidente le parti possono formulare domande agli esperti» (comma 1). «Il cancelliere avverte le parti almeno dieci giorni prima di quello fissato per l’adunanza in camera di consiglio»

Si tratta di una possibilità ulteriore e distinta rispetto a quella relativa all’ammissibilità delle opinioni scritte degli amici curiae. Il nuovo art. 14-bis offre infatti alla Corte la possibilità di ricorrere ad uno strumento conoscitivo specifico, laddove ritenga necessario ottenere informazioni attinenti a peculiari discipline, la cui complessità o il cui carattere tecnico richiedano l’approfondimento di un soggetto esperto del settore.

Può osservarsi, ad ogni modo, che la nuova norma non impiega il termine “perito” o “consulente tecnico”, nozioni che avrebbero implicato una diversa configurazione processuale dell’istituto. Sotto questo profilo non possono dunque dirsi accolte quelle proposte dottrinali volte a valorizzare la fase istruttoria, individuando alcuni soggetti da sentire in qualità di «consulenti d’ufficio», ai quali rivolgere domande su aspetti reputati indispensabili per la decisione, e prevedendo, nel rispetto del principio del contraddittorio, la facoltà delle parti di proporre una sorta di consulenza di parte[7].

 

6. Le novità di cui agli artt. 4-ter (amici curiae) e 14-bis (audizione di esperti) si muovono nel senso del superamento di quella tendenziale «solitudine delle corti costituzionali»[8] e ci sembra possano apprezzarsi sotto tre principali profili: a) apertura, b) trasparenza, c) legittimazione.

Il primo profilo, quello dell’apertura, contiene in realtà al suo interno diverse sfaccettature. L’apertura è invero sia a nuove informazioni strumentali alla decisione, sia a nuovi interessi riferibili a soggetti che rischiano altrimenti di rimanere inauditi.

Con il generico termine “informazioni” facciamo riferimento sia a conoscenze (comparatistiche, scientifiche, tecnico-statistiche, ecc.), sia ad argomenti (motivi che possono essere discussi e posti a fondamento della decisione). Tale contributo può provenire tanto dall’audizione degli esperti in camera di consiglio, quanto dalle opinioni scritte degli amici curiae, le quali potranno determinare altresì un’apertura della Corte sul piano partecipativo-rappresentativo.

Tale apertura, non unanimemente auspicata[9], sconta invero il rischio della c.d. “cattura” della Corte, o quantomeno delle pressioni cui essa si espone, tema noto in particolare nell’ordinamento statunitense[10]. D’altro canto, però, l’apertura consentirà una più completa rappresentazione delle posizioni in gioco, oltre a «dare voce ai senza voce, cioè ai soggetti che non sono stati adeguatamente coinvolti nel procedimento legislativo, o che comunque si trovano ai margini del dibattito e delle scelte pubbliche»[11].

Se è pur vero che queste ed altre voci spesso finivano comunque per farsi sentire de facto, attraverso consultazioni informali, contributi dottrinali, seminari di studio o attraverso memorie di interventi in giudizio poi dichiarati inammissibili (memorie che, pur riguardando l’ammissibilità rischiano spesso di impingere nel merito, e che è possibile vengano lette, pur non potendo essere utilizzate nella decisione), è allora vero che le novità apportate alle Norme integrative permetteranno una maggiore trasparenza nelle operazioni decisorie della Corte. Il materiale verrà acquisito e, nel rispetto del contraddittorio, potrà essere menzionato in sede di pronunciamento.

Il tutto – è bene sottolinearlo – nel contesto di quella che è una facoltà per la Corte, e non già un obbligo: come l’ammissibilità dell’opinione dell’amicus curiae verrà valutata caso per caso vagliandone discrezionalmente l’utilità, così l’audizione dell’esperto è rimessa ad una valutazione di necessità da parte della Corte stessa.

Tutti i profili cui si è accennato sono infine suscettibili di riflettersi in termini di maggiore legittimazione della Consulta agli occhi della collettività e degli “utenti” della Corte[12].

È questa, invero, una delle ragioni che spinge molti altri ordinamenti nel panorama mondiale (Stati uniti, Sudafrica, Israele, Brasile, Argentina, Germania, Francia, Messico) e le Corti internazionali (Corte EDU e Corte interamericana dei diritti dell’uomo) ad aprire il giudizio a soggetti diversi dalle parti[13]. Tendenza verso la quale sembra oggi orientata anche la Corte costituzionale italiana e che potrà apprezzarsi, in particolare, nelle decisioni più delicate sul piano sociale, etico, politico, scientifico, tecnologico,… che inevitabilmente si presenteranno – e sempre con maggiore frequenza e complessità – davanti al giudice delle leggi.

 

 

[1] Risultano inoltre modificati gli artt. 23, 24 e 25 delle Norme integrative, con l’effetto di rendere applicabili le novelle di cui agli artt. 4-bis (accesso degli intervenienti agli atti processuali) e 4-ter (amici curiae) e 14-bis (audizione di esperti) anche ai giudizi di costituzionalità in via principale e ai conflitti di attribuzione. A questi giudizi non si applica invece la disposizione introdotta all’ultimo comma di cui all’art. 4, relativa all’intervento dei titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio, disposizione che si riferisce espressamente ai soli giudizi in via incidentale.

[2] La “apertura all’ascolto della società civile” è stata annunciata con un comunicato stampa della Corte dell’11 gennaio 2020: clicca qui per leggerlo.

[3] Prospettava la codificazione di tale giurisprudenza T. Groppi, Interventi di terzi e amici curiae: dalla prospettiva comparata uno sguardo sulla giustizia costituzionale in Italia, relazione svolta nel seminario di studi “Interventi di terzi e ‘amici curiae’ nel giudizio di legittimità costituzionale delle leggi, anche alla luce dell’esperienza delle altre corti nazionali e sovranazionali”, organizzato dalla Corte costituzionale il 18 dicembre 2018, pubblicato su Consulta Online, 1/2019 e, in versione abbreviata, su Quaderni costituzionali. Auspicava una «dilatazione ragionevole della nozione di interesse qualificato […]» P. Costanzo, Brevi osservazioni sull’amicus curiae davanti alla Corte costituzionale, in Consulta online, 4 marzo 2019.

[4] La modifica delle Norme integrative da parte della stessa Corte costituzionale è espressione del potere regolamentare della Corte stessa, potere che trova fondamento nell’art. 137 Cost.: Cfr. V. Marcenò, La solitudine della Corte costituzionale dinanzi alle questioni tecniche, p. 13, relazione svolta nel seminario di studi “Interventi di terzi e ‘amici curiae’ nel giudizio di legittimità costituzionale delle leggi, anche alla luce dell’esperienza delle altre corti nazionali e sovranazionali”, organizzato dalla Corte costituzionale il 18 dicembre 2018, pubblicata, in versione abbreviata, su Quaderni costituzionali, 2/2019.

[5] Il relativo documento a firma del Presidente Giorgio Lattanzi è consultabile cliccando qui.

[6] Ciò potrebbe porsi in un’ottica di valorizzazione dell’udienza pubblica, da alcuni vista quale atuale punto debole della Corte. Cfr., ad esempio, S. Cassese, Dentro la Corte. Diario di un giudice costituzionale, Bologna, Il Mulino, p. 35.

[7] In questo senso, ad esempio, V. Marcenò, La solitudine della Corte costituzionale dinanzi alle questioni tecniche, cit., p. 16, secondo cui ciò «potrebbe contribuire a colmare quelle mancanze conoscitive che le questioni tecniche naturalmente pongono, e a ridurre le situazioni in cui la ricostruzione rimane nella determinazione del solo giudice relatore e dei suoi assistenti di studio».

[8] S. Cassese, Fine della solitudine delle corti costituzionali, ovvero il dilemma del porcospino, in Ars Interpretandi, 2015, p. 21 ss.; cfr. anche T. Groppi, Interventi di terzi e amici curiae, cit., p. 5.

[9] Esprimeva, ad esempio, opinioni esplicitamente contrarie all’ammissione del contributo di amici curiae, Massimo Luciani, nel seminario di studi “Interventi di terzi e ‘amici curiae’ nel giudizio di legittimità costituzionale delle leggi, anche alla luce dell’esperienza delle altre corti nazionali e sovranazionali”, organizzato dalla Corte costituzionale il 18 dicembre 2018 («Aprire indiscriminatamente agli amici curiae, a mio avviso, precipita la Corte non nel circuito mediatico, ma nel circo mediatico, costringendola a immergersi in una discussione pubblica imbarbarita, dalla quale, in questi anni, risulta davvero difficile uscire vivi»).

[10] Lo mette bene in luce, ancora una volta, T. Groppi, Interventi di terzi e amici curiae, cit., p. 20.

[11] In questi termini T. Groppi, Interventi di terzi e amici curiae, cit., p. 23.

[12] L’espressione è tratta da P. Pasquino, B. Randazzo (a cura di), La giustizia costituzionale e i suoi utenti, Milano, Giuffré, 2006, in cui v., tra gli altri, i contributi di V. Onida, Gli utenti della giustizia costituzionale in Italia, p. 172 ss.; e G. Falcon, La Corte costituzionale italiana ed i suoi utenti, ivi, 132 ss.

[13] Per i riferimenti comparatistici si vedano: T. Groppi, Interventi di terzi e amici curiae, cit., p. 9, e, nella relazione al medesimo seminario, B. Barbisan, Dalla amicus friendship alla amicus advocacy: l’amicus curiae fra i diritti delle minoranze e la ONGizzazione della società; nonché la ricerca predisposta dal Servizio studi della Corte costituzionale, Area di diritto comparato, L’intervento dei terzi nei giudizi di legittimità costituzionale, a cura di P. Passaglia, novembre 2018.