Cass. Pen., Sez. III, 12 settembre 2023 (ud. 14 giugno 2023), n. 37113,Pres. Ramacci, Rel. Reynaud
1. Il 12 settembre 2023, con sentenza n. 37113, la Terza Sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla configurabilità del concorso formale (ex art. 81, comma I, c.p.) tra il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, disciplinato dall’art. 452 quaterdecies c.p., e la fattispecie di attività di gestione di rifiuti non autorizzata, prevista dall’art. 256 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (T.U.A.). A dire il vero, il tema si era già presentato all’attenzione della Suprema Corte, la quale, tuttavia, chiamata nuovamente a pronunciarsi sul punto, non ha perso l’occasione (una volta per tutte) di escludere in maniera categoria l’esistenza di un rapporto di specialità tra le due fattispecie.
2. Brevemente i fatti: con sentenza del 23 febbraio 2022, la Corte d’appello di Milano, giudicando sui gravami proposti dai ricorrenti all’esito del giudizio abbreviato, pur riducendo le pene inflitte ha confermato la penale responsabilità degli imputati in ordine al reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. ed alla fattispecie disciplinata dall’art. 256 D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Avverso la sentenza di appello, entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, proponevano distinti ricorsi per Cassazione. Il primo, M.A., con un unico motivo di ricorso, deduceva il vizio di carenza e contraddittorietà della motivazione quanto alla ritenuta abitualità della sua condotta. Il secondo, L.F., lamentava, invece, un vizio di motivazione in relazione a plurimi aspetti. Tra quelli che qui rilevano maggiormente, tuttavia, è bene evidenziare come la difesa dell’imputato, con il secondo motivo di ricorso, lamentava un vizio di motivazione relativo all’omessa riqualificazione della condotta illecita contestata al capo A) nella sola fattispecie di cui all’art. 256 D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Sosteneva, in particolare, che la mancanza di autorizzazioni in capo alla società responsabile del trasporto rifiuti non costituisse requisito determinante del delitto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. e che nella vicenda in esame non fosse ravvisabile il dolo specifico dell’ingiusto profitto. La Corte, pronunciandosi in merito alla inammissibilità dei ricorsi presentati, si è soffermata sulla natura e sulle caratteristiche delle due fattispecie contestate, offrendo un quadro chiaro delle motivazioni a supporto della configurabilità del concorso formale di reati.
3. Procediamo con ordine. Introdotto con l. 23 marzo 2001, n. 93, e originariamente collocato nell’art. 260 T.U.A., poi recentemente trasferito all’interno del Codice penale in virtù del principio di riserva di codice[1], l’art. 452 quaterdecies c.p. punisce «Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni». La ratio della norma pare rinvenirsi nel tentativo di contrastare le alterazioni del circuito legale di smaltimento di rifiuti realizzate molto spesso dalla criminalità organizzata. Conclusione, peraltro, avvalorata dal fatto che tale delitto venne introdotto per rispondere alla scarsa capacità dell’art. 53 del c.d. decreto Ronchi (d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22) di fronteggiare le suddette condotte illecite[2]. Ai sensi dell’art. 51 co. 3 bis c.p.p., la competenza sul delitto in esame spetta, dal 2010, alla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA), vale a dire alla struttura istituita presso la Procura della Repubblica insediata presso il Tribunale ordinario del capoluogo di ciascun distretto di Corte di appello. Ad opinione di attenta dottrina, si tratta di un delitto abituale, di pericolo, e mono-soggettivo, dal momento che ai fini della sua configurabilità non sarebbe necessaria la condotta di più soggetti agenti[3]. Sotto altro profilo, risulta assai dibattuta l’individuazione del soggetto attivo del reato. È stato infatti osservato che il richiamo a “più operazioni” e all’“allestimento di mezzi” nonché alle “attività continuative organizzate” sembra richiamare l’art. 2082 c.c. e quindi la figura dell’imprenditore, configurando un reato proprio[4]; secondo altra impostazione, fatta propria, peraltro, dalla recente giurisprudenza, l’autore del reato può essere chiunque, al di là dell’elemento organizzativo[5].
Di particolare interesse risulta, peraltro, la posizione assunta dalla giurisprudenza qualora il fatto di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. sia commesso da membri di una associazione per delinquere semplice (di cui all’art. 416 c.p.) o di un’associazione di tipo mafioso (di cui all’art. 416 bis c.p.). Anche in questo caso, i giudici di legittimità ritengono sia ammissibile il concorso tra il reato associativo e il traffico organizzato di rifiuti. È stato infatti rilevato come le due fattispecie differiscano in maniera netta: in primo luogo, sotto il profilo degli interessi tutelati, l’una tutelando il bene ordine pubblico e l’altra i beni ambiente e pubblica incolumità; in seconda battuta, con riferimento al numero dei soggetti richiesti ai fini dell’integrazione dei due reati; infine, nel modo di atteggiarsi del dolo, che nel reato di associazione per delinquere si riflette anche nella realizzazione di un indeterminato programma criminoso, mentre nella fattispecie di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. è richiesto nella forma di dolo specifico volto al perseguimento dell’ingiusto profitto[6].
Con riguardo all’elemento oggettivo del reato, la Terza Sezione ha precisato come la gestione debba concretizzarsi in una pluralità di operazioni con allestimento di mezzi ed attività continuative ed organizzate, «ovvero attività di intermediazione e commercio […] e tale attività deve essere “abusiva”, ossia effettuata senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione stesse». Secondo l’interpretazione della Corte, quindi, ai fini del perfezionamento della condotta tipica «è necessaria una, seppure rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e capitali) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, ossia con pluralità di operazioni condotte in continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale: alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge, e perciò il reato è abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria le realizzazione di più comportamenti della stessa specie»[7].
Quanto all’ingiusto profitto, con riguardo al delitto in esame, la Corte ha chiarito che il profitto deve derivare dalla condotta continuativa ed organizzata di gestione dei rifiuti finalizzata a conseguire vantaggi altrimenti non dovuti, anche identificati in un generale abbattimento dei costi[8].
4. Con riferimento alla seconda fattispecie contestata nel caso di specie, vale a dire il reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata, l’art. 256 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, stabilisce al primo comma un generale obbligo di autorizzazione, iscrizione o comunicazione per chi esercita una attività di gestione di rifiuti (stoccaggio, smaltimento, raccolta e trasporto, recupero, etc.). Al secondo e al terzo comma, invece, la norma prevede rispettivamente un divieto di abbandono e/o deposito incontrollato di rifiuti, e la previsione di pene più severe nella eventualità che il soggetto agente realizzi o gestisca una discarica non autorizzata, con tale intendendosi un’area determinata adibita all’accumulo ripetuto e non occasionale di rifiuti, caratterizzata dalla eterogeneità dell’ammasso e dalla definitività del loro abbandono[9]. La giurisprudenza maggioritaria ritiene che la responsabilità derivante dalla violazione della norma in esame non riguarderebbe solo chi effettua abusivamente attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti, ma anche coloro i quali consegnino o ritirino i rifiuti a/da una società non regolarmente iscritta all’Albo dei trasportatori o, comunque, non in possesso di una regolare autorizzazione amministrativa[10]. Tale orientamento si inserisce all’interno dell’interessante dibattito relativo al principio di responsabilità condivisa in tema di gestione di rifiuti e ritiene sussistente in capo al produttore una posizione di garanzia che giustifica l’estensione della sua responsabilità anche al di fuori di un effettivo potere di gestione.
5. Presentato tale quadro teorico, i giudici di legittimità, con la sentenza in esame, hanno sottolineato la correttezza della decisione d’appello, affermando che gli accertamenti effettuati dal giudice di merito hanno permesso di evidenziare chiaramente come il fatto contestato fosse riconducibile ad entrambe le fattispecie delittuose. Chiarito ciò, la Corte si è quindi espressa in merito alla configurabilità del concorso formale tra il reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. e la fattispecie disciplinata dall’art. 256 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, affermando che non sussiste mai rapporto di specialità nel caso in cui vengano accertati, in concreto, gli elementi essenziali del primo reato, ossia l’allestimento di mezzi e di attività organizzate e continuative, congiuntamente all’elemento formale del secondo, vale a dire la mancanza di autorizzazione all’attività di gestione[11]. Circostanze, secondo la Corte, ampiamente dimostrate nel caso di specie e che, pertanto, permettono di configurare tra le due fattispecie un concorso formale ai sensi dell’art. 81, comma I, c.p.
6. In conclusione, quindi, con la sentenza in esame la Corte di Cassazione ha chiarito (ancora una volta) che tra il delitto di Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452 quaterdecies c.p.) e il reato di Attività di gestione di rifiuti non autorizzata (art. 256 d. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) è configurabile un concorso formale di reati. In questo modo, i giudici di legittimità hanno negato il fondamento di quelle tesi difensive che, sostenendo la sussistenza di un rapporto di specialità tra le due ipotesi delittuose, richiedono (sempre più spesso) una riqualificazione della condotta ascrivibile al reato previsto dall’art. 452 quaterdecies c.p. nella più tenue fattispecie di cui all’art. 256 T.U.A. Le conclusioni a cui è giunta la Suprema Corte paiono meritevoli di una positiva considerazione in virtù della chiara differenza che intercorre tra i due reati sotto il profilo dell’elemento oggettivo: l’uno richiedendo, ai fini dell’integrazione, l’elemento sostanziale dell’allestimento di mezzi e di attività organizzate e continuative, caratteristiche idonee, peraltro, ad integrare anche il requisito di abitualità; l’altro, di natura contravvenzionale, necessitando della sussistenza del solo elemento formale della mancanza di autorizzazione. La pronuncia esaminata si inserisce, dunque, nel solco di una giurisprudenza di legittimità che tenta di rendere sempre più chiara l’applicazione delle fattispecie penali a tutela dell’ambiente, talora ritenute, invece, fattispecie di reato dai confini “mobili”[12]. L’incertezza applicativa di tali norme può infatti comportare numerose conseguenze svantaggiose che, dalla lesione dei principi del giusto processo al pericolo di incorrere nella prescrizione dei reati, finisce per coinvolgere il fine ultimo che il diritto penale persegue in quest'ambito, vale a dire la tutela dei beni ambientali anche a beneficio delle future generazioni.
[1] D. Lgs. 1° marzo 2018, n. 21
[2] Telesca M., La tutela penale dell’ambiente. I profili problematici della legge n. 68/2015, Giappichelli, 2021, p. 167; in tal senso, si vedano tra gli altri E. Napoletano, Mauale di diritto penale ambientale, Zanichelli, 2021, p. 226 ss., G. Amendola, Diritto penale ambientale. Compendio pratico aria, acqua, rifiuti, rumore, Pacini Giuridica, 2022, p. 235 ss.
[3] Palmisano M., Il reato di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” nell’applicazione giurisprudenziale, in Lexambiente, Riv. Trim. di Dir. Pen. Amb., Fasc. 3/2022, p. 28; Lo Monte, Ecomafia: il controllo penale tra simbolicità ed effettività, in Nuove strategie per la lotta al crimine organizzato transnazionale, a cura di Patalano, Giappichelli, 2003, p. 240.
[4] Palmisano M., Il reato di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” nell’applicazione giurisprudenziale, cit., p. 29.
[5] Cfr. Cass. Pen., Sez. III, 12 aprile 2019 (ud. 28 febbraio 2019), n. 16036 in Cass. Pen., 2020, 3, 1122; Cass. Pen., Sez. III, 22 novembre 2021 (15 settembre 2021) n. 42631, CED Cass. Pen., 2022.
[6] Cfr. Cass. Pen., Sez. III, 3 agosto 2022 (ud. 25 maggio 2022), n. 30612, in De Jure; Cass Pen., Sez. III, 7 settembre 2021 (ud. 15 luglio 2021), n. 33086 in De Jure; Cass. Pen., Sez. III, 20 novembre 2017 (ud. 17 maggio 2017), n. 51633, in De Jure; in tal senso, in ambito dottrinale, si veda Ruga Riva C., Diritto penale dell’ambiente, Giappichelli, 2021; Palmisano M., Il traffico illecito di rifiuti nel Mediterraneo: fenomenologie e strumenti di contrasto, in Dir. Pen. Cont.- Riv. Trim., 1/2018, p. 101.
[7] Si veda p. 5 della sentenza in commento.
[8] Cfr. Cass. Pen., Sez. III,19 luglio 2017 (ud. 30 maggio 2017), n. 35568 in CED Cass. Pen., 2017.
[9] G. Amendola, Diritto penale ambientale. Compendio pratico aria, acqua, rifiuti, rumore, cit., p. 179.
[10] V., ad es., Cass. Pen., Sez III, 14 febbraio 2020 (ud. 11 dicembre 2019), n. 5912, in Foro It., 2020, 7-8, II, 469.
[11] In tal senso, Cass. Pen., Sez. III, 3 dicembre 2021, n. 39076, in Cass. Pen., 2023, n. 5, 1724.
[12] Palmisano M., Il reato di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” nell’applicazione giurisprudenziale, cit.