Scheda  
20 Settembre 2023


Riflessioni a margine del Protocollo del Tribunale di Nola sulle pene sostitutive di pene detentive brevi


Valeria Bove

1. Il 26 luglio 2023 è stato sottoscritto un altro protocollo sull’applicazione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi, questa volta dai soggetti che operano presso gli uffici giudiziari di Nola, nell’ambito del distretto (quello napoletano) in cui ha competenza l’Ufficio interdistrettuale di esecuzione penale esterna (di seguito U.I.E.P.E.) per la Campania, ed esso segue, a poco più di un mese di distanza, quello siglato presso gli uffici giudiziari di Napoli nord, del quale si è data contezza su questo sito.

Salgono quindi a due i protocolli firmati dall’U.I.E.P.E. di Napoli, in attesa che venga sottoscritto, a breve, quello del Tribunale di Torre Annunziata, ormai già predisposto per essere firmato, ed essi si vanno ad aggiungere a quelli, di cui è stata data ampia diffusione on-line, anche su questo sito, stipulati dagli uffici giudiziari di grandi dimensioni, quali Milano o Torino.

Come i protocolli/linee-guida/vademecum – così indistintamente definiti – adottati negli ultimi anni da vari uffici giudiziari penali, a corredo di una legislazione, anche d’emergenza, che ha spinto gli operatori del diritto a cercare modalità concordate di applicazione, anche i recenti protocolli sulle pene sostitutive delle pene detentive brevi, introdotte dal d.lgs. n. 150 del 2022 (cd. Riforma Cartabia), sono il frutto di un confronto tra tutte le parti a vario titolo coinvolte, sono stati elaborati all’esito di riunioni tra esse parti (ossia magistrati del tribunale, componenti del consiglio dell’ordine degli avvocati, della camera penale, dell’ufficio esecuzione penale esterna e, nel caso del protocollo che oggi si presenta, anche delle procure) e, una volta sottoscritti, sono stati diffusi tra gli appartenenti alle varie categorie interessate (da qui, la pubblicazione sui siti online dei singoli consigli degli ordini, del singolo tribunale e, come in questo caso, delle riviste giuridiche).

 

2. Chiaro e comune agli altri protocolli sul tema lo scopo, esplicitato come di consueto nella parte introduttiva del documento: fornire indicazioni pratiche ed operative per facilitare l’accesso alle nuove pene e assicurare il diritto di informazione, senza con ciò minare o condizionare il potere di interpretazione delle norme e la valutazione dei presupposti per l’applicazione di esse, che compete, in via esclusiva ed autonoma, ad ogni singolo giudice, a presidio e garanzia della libertà di interpretazione che spetta a tutti gli operatori, nonché della discrezionalità riconosciuta ai giudici e del più generale principio di legalità che governano il nostro ordinamento giudiziario. Si tende quindi ad assicurare, nel rispetto della normativa vigente, modalità applicative che siano quanto meno uniformi nell’ambito dell’ufficio giudiziario di Nola, posto che un’uniformità a livello distrettuale, regionale o addirittura nazionale, è indirettamente esclusa in ragione del tipo di “accordo” stipulato, che opera a livello locale.

Ma evidenti anche le finalità “implicite” del protocollo, ottimizzare, cioè, le risorse dei vari Ufficio di esecuzione penale esterna (di seguito, U.E.P.E.), ancora una volta punto cruciale e nevralgico della riforma, chiamato – in questo caso con copertura finanziaria – a seguire e controllare l’esecuzione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi e ad elaborare – laddove richiesto e laddove necessario – un programma di trattamento, non diversamente rispetto a quanto già accade con la messa alla prova.

 

3. Il protocollo di Nola – stipulato dal Presidente del Tribunale, dal Coordinatore del settore penale, dal Procuratore della Repubblica, dal Procuratore Aggiunto, dal Direttore dell’U.I.E.P.E., dal Presidente del Consiglio del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e dal Presidente della Camera Penale, tutti di Nola – schematizza l’iter procedimentale, incidentale, che porta al riconoscimento (o al diniego) della sostituzione, individuando per ogni singola fase gli oneri delle parti ed i possibili provvedimenti adottabili dal Giudice, uno dei quali allegato in calce, come nel protocollo del Tribunale di Napoli nord (arricchito, a sua volta di ulteriori provvedimenti), sotto forma di modelli di documento utilizzabili.

Si sottolinea in esso la finalità di “anticipare” alcuni provvedimenti del giudice, al fine di evitare superflui rinvii dei procedimenti e razionalizzare il ricorso all’U.E.P.E., il cui intervento – come per altro rimarcato nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 150 del 2022 – va attivato solo quando utile e quando necessario, assicurando, ed in questo una peculiarità del protocollo, l’operatività del c.d. “Presidio di Comunità”, già istituito dal Terzo Settore dell’U.E.P.E. presso i locali del Tribunale nolano, anche nel settore specifico delle pene sostitutive.

Di particolare interesse, anche perché “unico” a quanto sembra rispetto agli altri protocolli adottati, il ruolo riconosciuto all’ufficio di Procura che, oltre ad aver partecipato alla sottoscrizione del protocollo (in altri, l’intervento della Procura non è stato contemplato), si impegna ad effettuare una serie di verifiche, funzionali alla corretta valutazione, da parte del giudice, delle condizioni ostative di cui all'articolo 59, l. n. 689 del 1981, così come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022, nonché alla scelta della pena sostitutiva più adeguata al fatto e alla personalità del reo, nonché più idonea alla rieducazione ed al reinserimento sociale del condannato, ai sensi dell'articolo 58 dell’indicata legge. E’ stato infatti previsto che l'ufficio di Procura curi l'inserimento nei propri fascicoli, ove non già in atti, di un aggiornato certificato del casellario giudiziale relativo all'imputato, nonchè di un'attestazione relativa ad eventuali condanne a pene pecuniarie inadempiute e di quanto altro sia ritenuto utile, sempre nella pienezza delle prerogative dei singoli magistrati inquirenti. Su richiesta dell'autorità giudiziaria, laddove di interesse, la Procura curerà anche l'inserimento di un aggiornato certificato dei carichi pendenti relativo all'interessato. In caso di decreto penale di condanna ed in caso di patteggiamento, al fine di evitare l’elaborazione “a vuoto” di programmi di trattamento, viene indicato come auspicabile un raccordo preliminare tra l’interessato e l’Ufficio di Procura, funzionale alla verifica della sussistenza delle condizioni e dei requisiti di legge per la sostituzione della pena.

 

4. In generale, se la sostituzione della pena detentiva breve con la pena pecuniaria sostitutiva – per legge – non richiede l’ elaborazione di programma da parte dell’U.E.P.E., né compiti di supervisione o sorveglianza da parte dell’Ufficio e se, in relazione alla sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità, si prevede nel protocollo in esame che il giudice possa richiedere il programma di trattamento, viene invece espressamente ammesso che la sostituzione con la detenzione domiciliare sostitutiva possa prescindere dall’elaborazione di un programma di trattamento, allorquando il giudice non ritenga congrua e proporzionata alla gravità del fatto ed alla personalità dell’autore l’ulteriore aggravio rappresentato da specifici contenuti socio-trattamentali per il condannato alla detenzione domiciliare sostitutiva (che sono invece imprescindibili allorquando il condannato non abbia la disponibilità di un domicilio idoneo).

Per converso, con riferimento alla sostituzione della pena detentiva con la semilibertà sostitutiva, si indica come necessaria, per espressa conformazione degli istituti da parte del legislatore, l’elaborazione di un programma di trattamento finalizzato alla descrizione delle attività socio-trattamentali e lavorative, che l’interessato è chiamato a svolgere, nonché al coordinamento con gli istituti penitenziari presenti sul territorio di competenza. 

Sono state quindi previste una serie di indicazioni per le fasi:

  1. degli adempimenti preliminari a carico della parte interessata e del difensore;
  2. delle verifiche, quali quelle descritte, a cura dell’Ufficio di Procura;
  3. della lettura del dispositivo e degli avvisi alle parti (questione sulla quale già si dibatte tuttora a livello giurisprudenziale), sia quando sussistano i presupposti per la sostituzione, sia quando essi manchino del tutto;
  4. dell’elaborazione del programma di trattamento da parte dell’U.E.P.E;

ed è stata, altresì, individuata la documentazione necessaria (a carico della parte, ma anche della Procura), nonché i possibili accertamenti che il giudice dispone tramite l’U.E.P.E. e la polizia giudiziaria, all’esito del giudizio ordinario, in caso di decreto penale di condanna o di patteggiamento.

5. Un ruolo di spicco assume poi il “Presidio di comunità”, già in funzione presso il Tribunale nolano, con l’assegnazione di ulteriori compiti che si sostanziano nel ricevimento dell’utenza, nella predisposizione di programmi di trattamento e indagini socio-familiari (quando necessarie); nel reperimento di posizioni per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, promozione ed ampliamento delle convenzioni, curando anche le modalità più efficaci per notiziare gli utenti delle convenzioni in essere e delle disponibilità in tempo reale dei posti fruibili; nel sostegno e controllo dei percorsi trattamentali, con aggiornamento tempestivo e restituzione finale delle misure. Il tutto, individuando, da un lato, un responsabile del presidio che funga da referente per le cancellerie delle autorità giudiziarie e, dall’altro, i magistrati di riferimento presso gli uffici del Tribunale e della Procura per l'implementazione e l'attuazione del protocollo.

In calce al protocollo, oltre a modelli di provvedimenti giudiziari, anche un prospetto delle prescrizioni accessorie previste dall’art. 56-ter, l. n. 689 del 1981, come inserito dal d.lgs. n. 150 del 2022.

 

6. Come detto, il protocollo di Nola segue quello di Napoli nord, rispetto al quale presenta tuttavia alcune differenze, ben evidenziate nella tabella che sotto si riporta (consultabile anche in allegato), elaborata dall’U.I.E.P.E. di Napoli:

 

7. In conclusione, anche alla luce della tabella soprariportata, emergono, dall’analisi degli elaborati e dal raffronto con i protocolli elaborati in regioni diverse dalla Campania ed in distretti diversi da quello napoletano, due aspetti di fondo, sui quali è opportuno soffermarsi.

Da un lato, le pene sostitutive delle pene detentive brevi vengono percepite come una novità, tanto che, per diffonderne il ricorso, gli uffici giudiziari e più in generale gli operatori hanno avvertito la necessità di elaborare modalità condivise di applicazione, non diversamente da quanto è a suo tempo accaduto con la messa alla prova e poi, ancor di più, con la legislazione emergenziale che ha contraddistinto il periodo della pandemia da Covid-19. E proprio l’esperienza maturata con la messa alla prova e, più in generale con gli strumenti alternativi alla pena e al processo, se per un verso ha fatto da apripista, per altro verso, può essa stessa fungere da modello di riferimento nella applicazione delle pene sostitutive delle pene detentive brevi, che, non diversamente dalle prime, richiedono un approccio nuovo da parte di tutti i soggetti coinvolti: da parte del giudice, che deve far ricorso a quella discrezionalità rigorosa “rinvigorita” dai nuovi trattamenti sanzionatori; da parte difensore, che, chiamato ad illustrare ai suoi clienti i nuovi istituti, in qualche modo “scommette” sulla capacità di ognuno di essi a ricorrere a strumenti di decarcerizzazione che fanno affidamento sulle forza di autolimitazione del condannato; da parte degli U.E.P.E., coinvolti in un ulteriore impegno di risorse ed energie, come nel recente passato, quando hanno avuto la capacità (per altro a “costo zero”, non essendovi stato a suo tempo uno stanziamento di fondi) di fronteggiare l’impatto dovuto all’applicazione della messa alla prova, e di decretarne nei fatti il “successo”, in un trend di crescita, nell’applicazione dell’istituto, sempre più esponenziale.

Da un altro, si assiste al ricorso, ormai sempre più frequente, a protocolli sottoscritti tra e dagli uffici giudiziari, consolidando così un fenomeno nuovo, che negli ultimi anni si è andato diffondendo sempre di più.

Una riflessione sul punto è allora necessaria, non potendosi non considerare che il fenomeno dei protocolli inizia a riguardare quasi tutti gli uffici giudiziari, per non dire tutti gli uffici giudiziari, che vi ricorrono per regolamentare alcuni aspetti, anche rilevanti, dell’attività giudiziaria (protocolli sulla liquidazione degli onorari agli avvocati; sulla trattazione dei procedimenti penali nelle udienze monocratiche e collegiali; sulla messa alla prova; sugli applicativi informatici; sulle attività di indagine in relazione a talune tipologie di reati, e ora anche sulle pene sostitutive delle pene detentive brevi).

Ebbene, chi in quegli uffici giudiziari opera (singolo giudice, pubblico ministero, avvocato, ma anche cancelliere, segretario, polizia giudiziaria, uffici giudiziari esterni) se, da un lato, viene messo a conoscenza dei protocolli, anche con modalità di pubblicazione (si pensi alle mailing-list; alle riveste online; alle pagine online dei singoli uffici) che rendono gli atti visionabili e accessibili non solo alle categorie interessate, ma, laddove in chiaro, a chiunque; dall’altro, ritiene sempre più necessario consultarli e farvi ricorso, quando è chiamato ad applicare gli istituti da essi regolamentati.

Sembra quasi che i protocolli, da “accordi” fra le parti, giuridicamente non vincolanti, stiano sempre più diventando, nell’ambito degli uffici giudiziari e più in generale per gli operatori del diritto, dei veri e propri “usi” locali, in cui il comportamento, costituito appunto dall’accordo condiviso, inizia ad assumere i contorni della fonte-fatto, connotata dal duplice requisito richiesto per essere inserita nel sistema delle fonti: quello oggettivo, dato dalla ripetizione di esso in modo uniforme e costante nel tempo e dalla sua osservanza da parte di soggetti appartenenti ad una stessa categoria; e quello soggettivo, che si concretizza nell’adozione di quel comportamento con la convinzione che ciò risponda ad un preciso precetto giuridico.

Se è pur vero che rispetto alle consuetudini, le regole di comportamento fissate nei protocolli sono scritte e che, rispetto agli usi ed alla luce dell’art. 8 delle preleggi che li contemplano, non sempre i protocolli sono richiamati dalla legge o dai regolamenti che disciplinano la materia cui si riferiscono (elementi questi che portano ad escluderne la rilevanza nell’ambito della gerarchia delle fonti), è tuttavia altrettanto innegabile che il nostro diritto, improntato ad un ordinamento di civil law, si confronta, sempre di più, e spesso importa istituiti propri dei sistema di common law, anche in ragione del continuo interfacciarsi con il diritto unionale europeo e più in generale con l’Europa, e ciò può in qualche modo incidere anche sul valore e la rilevanza giuridica che i protocolli sembrano iniziare ad assumere.