Scheda  
16 Aprile 2021


La Cassazione sui "margini di discrezionalità" nel riformato abuso d'ufficio


Cecilia Pagella

Cass., sez. VI, 28 gennaio 2021 (dep. 1 marzo 2021), n. 8057, Pres. Bricchetti, Rel. Aprile


1. La sentenza qui segnalata è una delle prime della Corte di cassazione relative all'art. 323 c.p., nella versione riformata ad opera del "decreto-semplificazioni" (d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120). La Corte affronta due inedite questioni: a) quella della individuazione delle norme «dalle quali non residuino margini di discrezionalità», alla violazione delle quali il legislatore della riforma ha circoscritto l'ambito della punibilità prima riferita alla violazione di norme di legge e di regolamento e b) quella dei confini della discrezionalità, e, in particolare, della distinzione tra discrezionalità tecnica e mero accertamento tecnico.

 

2. Questi i fatti. Tizio, responsabile della polizia municipale, affidava alla società Alfa il servizio di misurazione della velocità media dei veicoli lungo la strada statale. A tal fine, l'art. 125 d.lgs. 163/2006 (l'abrogato "Codice degli appalti") disponeva che l'affidamento di opere e lavori avvenisse secondo procedure diverse, a seconda del valore dell'appalto. In particolare: a) per importi inferiori a 40.000 euro, l'amministrazione poteva effettuare acquisizioni in economia mediante procedura di cottimo fiduciario e affidamento diretto da parte del responsabile del procedimento; b) per importi di valore compreso tra i 40.000 e i 200.000 euro era ancora possibile disporre la procedura di cottimo fiduciario, ma l'affidamento doveva avvenire «nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, se sussist[evano] in tale numero soggetti idonei, individuati sulla base di indagini di mercato ovvero tramite elenchi di operatori economici predisposti dalla stazione appaltante»; c) quando il costo dell'appalto superava i 200.000 euro, si rendeva invece necessario predisporre un bando di gara. Per stimare il valore dell'appalto, il pubblico amministratore avrebbe dovuto basarsi sull'art. 29 del Codice, ai sensi del quale «il calcolo del valore stimato degli appalti pubblici e delle concessioni di lavori o servizi pubblici è basato sull'importo totale pagabile al netto dell'IVA, valutato dalle stazioni appaltanti». Nel caso in esame, l'affidamento avveniva mediante procedura diretta e senza alcuna preventiva determinazione della Giunta municipale, in quanto Tizio riteneva che il costo dell'appalto non avrebbe superato la soglia di 200 mila euro al di sopra della quale sarebbe stato necessario disporre il bando di gara; senonché, il calcolo si rivelava errato, in quanto Tizio aveva omesso di addizionare al canone annuo per il noleggio delle attrezzature (30.000 euro) gli ulteriori costi di servizio (consistenti nella tariffa di 30 euro + IVA prevista a favore di Alfa per ciascun verbale contestato). Ne derivava un ingiusto vantaggio patrimoniale per la società (alla quale l'appalto veniva affidato con procedura diretta) e un danno per l'ente, costretto ad annullare l'appalto e a invalidare in autotutela numerosi verbali di accertamento per contravvenzioni elevate. La Corte d'Appello confermava la condanna a titolo di abuso d'ufficio emessa dal Tribunale a carico di Tizio, ritenendo – con una decisione poi ritenuta dalla Cassazione immune da vizi logici – che l'omissione di tali voci di spesa non fosse il frutto di una consentita valutazione discrezionale, bensì il risultato di una scelta deliberata volta a evitare la procedura di gara.

 

3. Come è noto, il d.l. n. 76/2020 ha riformulato l’art. 323 c.p. sostituendo le parole «in violazione di norme di legge o di regolamento» con quelle di «specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità». Si è verificata quindi una parziale abolitio crimis, che riguarda le condotte poste in essere in violazione di regolamenti, di principi generali e di norme discrezionali[1]. In particolare, la dottrina che ha commentato la riforma è concorde[2] nell'affermare che, stando al testo del nuovo art. 323 c.p., le condotte che siano il frutto di una scelta discrezionale riservata all'agente pubblico non sono più previste dalla legge come reato. Nel caso in esame si tratta allora di accertare se la condotta realizzata fosse espressione di un potere discrezionale attribuito al pubblico ufficiale.

 

4. La prima questione oggetto della sentenza qui in commento è di estremo interesse per la prassi: essa attiene all'individuazione del significato da attribuire all'espressione «regole di condotta [..] dalle quali non residuino margini di discrezionalità»: in particolare, la Corte si chiede se si tratti esclusivamente delle norme che attribuiscono al pubblico agente un potere del tutto vincolato fin dall'inizio (come, per esempio, una norma che imponesse in ogni caso di concludere il procedimento entro un determinato termine e con un provvedimento espresso) o anche di disposizioni che, pur lasciando all'amministratore un'iniziale facoltà di scelta, prevedano che, dopo che tale facoltà è stata esercitata, sorga a carico dell'agente un determinato obbligo. Nel caso di specie, in effetti, l'agente aveva la facoltà – non l'obbligo – di affidare a terzi il servizio di misurazione della velocità media dei veicoli lungo la strada statale; una volta deciso di farlo, però, sorgeva a suo carico l'obbligo di seguire una delle procedure previste, la scelta tra le quali non era libera, bensì dipendeva dal valore dell'appalto. In questo senso si trattava di «un potere che, astrattamente previsto dalla legge come discrezionale, [era] divenuto in concreto vincolato per le scelte fatte dal pubblico agente prima dell'adozione dell'atto (o del comportamento) in cui si sostanziava l'abuso d'ufficio»[3]. La Corte ritiene che entrambe le classi di disposizioni cui si è fatto cenno attribuiscano all'agente un potere vincolato: anche la violazione di una norma destinata ad applicarsi solo nell'eventualità che l'agente pubblico abbia compiuto una determinata scelta è astrattamente riconducibile alle regole «dalle quali non residuino margini di discrezionalità», e la sua violazione è quindi ancora suscettibile di integrare abuso d'ufficio. Per giungere a tale conclusione, la Suprema Corte si avvale della più recente giurisprudenza amministrativistica[4] sull'art. 21-octies, c. 2 della L. 7 agosto 1990, n. 241: tale norma esclude che la violazione di regole sul procedimento o sulla forma degli atti possa dar luogo ad annullamento del provvedimento qualora risulti che esso, per la sua natura vincolata, non avrebbe potuto in ogni caso (cioè, anche qualora le norme fossero state rispettate) essere diverso da quello in concreto adottato; la giurisprudenza ha esteso il principio a tutti i casi in cui la violazione delle norme procedurali non ha avuto effetti sul provvedimento adottato, il quale, ancorché discrezionale, non avrebbe potuto, in concreto, essere diverso. Ne consegue una sostanziale equiparazione tra il provvedimento «che sia espressione di un potere vincolato in astratto» e quello che sia invece esplicazione di un potere «in astratto discrezionale, [ma] divenuto vincolato in concreto»[5]

 

5. Riconosciuta l'astratta riconducibilità della norma violata al novero di quelle «dalle quali non residuino margini di discrezionalità», resta da accertare se la determinazione del valore dell'appalto (e quindi la verifica circa l'eventuale superamento della soglia che avrebbe reso doveroso intraprendere una procedura in luogo di un'altra) debba avvenire sulla base di dati tecnici suscettibili, almeno in parte, di essere valutati con qualche margine di discrezionalità; si tratta, in altre parole, di verificare se il risultato dei tale accertamento sia frutto dell'esercizio di discrezionalità tecnica, anch'essa ormai esclusa dal sindacato del giudice penale[6]. La Corte lo nega recisamente: la determinazione del valore era dipesa da un mero accertamento tecnico, in quanto si trattava di sommare le voci di spesa, tra le quali all'amministratore non era consentito operare alcuna selezione. Ne conseguiva la piena sindacabilità, da parte del giudice penale, della scelta, assunta dal pubblico agente, di scomputare i costi di servizio per i verbali contestati.

 

6. In conclusione, la Corte a) ritiene che la norma violata (l'art. 125 del vecchio "Codice degli appalti"), benché destinata ad applicarsi solo a seguito di una decisione liberamente assunta dall'agente pubblico, sia una norma «dalle quale non residuano margini di discrezionalità», ed esclude, di conseguenza, che le modifiche all'art. 323 c.p. apportate dal "decreto-semplificazioni" abbiano comportato l'irrilevanza penale del fatto oggetto d'imputazione; b) circoscrive il significato di "discrezionalità", escludendo che possano ricadervi i meri accertamenti tecnici, ovvero quelle operazioni puramente tecniche, effettuate avvalendosi di strumenti specialistici, in cui l'apprezzamento dell'agente non gioca alcun ruolo. Per quanto attiene al caso specifico oggetto di scrutinio, la Corte afferma che la valutazione in ordine al superamento della soglia al di sopra della quale si sarebbe reso necessario predisporre il bando consisteva in un mero accertamento tecnico, in quanto consisteva in una semplice somma tra voci che non spettava al p.u. selezionare: di conseguenza, ritiene che la decisione dell'imputato di scomputare determinate voci di spesa – lungi dall'essere il frutto di una consentita valutazione discrezionale – fosse deliberatamente volta a procedere mediante la procedura di affidamento diretto, anziché predisponendo un bando di gara, e conferma quindi la decisione dei giudici di merito di ritenere integrato il delitto di abuso d'ufficio.

 

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7. Qualche osservazione a commento della sentenza. La Cassazione non aveva ancora avuto occasione di soffermarsi sulla questione dell'individuazione delle norme «dalle quali non residuino margini di discrezionalità», per l'evidente ragione che solo dal luglio scorso si è reso necessario distinguere – ai fini della configurabilità dell'abuso d'ufficio – tra atto vincolato e atto discrezionale. Si tratta nondimeno di una questione destinata a diventare di estremo interesse per la prassi: sono frequenti i casi in cui una norma impone all'agente di conformarsi a una determinata regola non sempre e comunque, bensì solamente qualora egli decida di tenere un certo comportamento o di adottare un determinato atto. Per meglio cogliere la differenza tra i due tipi di norme ci pare utile formulare alcuni esempi. Un esempio di norma vincolante fin dall'inizio è quello di una disposizione che imponga all'agente pubblico di multare le auto parcheggiate in divieto di sosta; in questo caso, l'agente non ha scelta: deve sempre e comunque elevare la sanzione qualora riscontri la violazione del codice della strada. La norma, quindi, riconosce al p.u. un dovere vincolato fin dall'inizio. Norme come quelle oggetto della sentenza annotata, invece, sono tutte quelle in cui l'agente è libero di scegliere di intraprendere una determinata attività materiale o di porre in essere un determinato atto, ma, una volta assunta la decisione, ha l'obbligo di conformarsi a determinate regole: per esempio, gli enti pubblici possono assumere personale in organico, possono finanziare progetti, possono affidare a terzi lo svolgimento di opere o servizi. Se scelgono di farlo, hanno poi l'obbligo di rispettare le procedure prescritte. La conclusione della Corte di ritenere che anche norme di questo secondo tipo attribuiscano un potere vincolato a noi pare pienamente condivisibile. Invero – ci sembra – la natura vincolante o meno di una norma va accertata nel momento in cui la stessa è destinata ad applicarsi: in un caso come quello in esame, rientra nella discrezionalità dell'agente la scelta di stabilire limiti massimi di velocità in un determinato tratto di strada, di presidiare tali limiti con strumenti di rilevazione, di affidare a una società terza il servizio e di determinarne il prezzo; una volta, però, che l'agente pubblico abbia deciso in tal senso, sarà obbligato a seguire la procedura che la norma indica per affidare a terzi un servizio di quel tipo e a quel prezzo. Fino al momento dell'affidamento, la norma non è nemmeno applicabile; dopo quel momento, essa deve obbligatoriamente essere applicata, ed è quindi vincolante. D'altra parte, si è osservato, un potere è vincolato nel momento in cui a carico di chi lo detiene esiste un obbligo di decidere in un unico modo sul presupposto della mera sussistenza di condizioni obbiettive[7]; a nostro modo di vedere, che tali condizioni obiettive siano venute in essere come conseguenza di un comportamento dell'agente non inficia la natura vincolante della regola.

 

8. Problema diverso è se l'accertamento delle condizioni obiettive (il superamento della soglia) dalla cui sussistenza dipende il sorgere di un obbligo a carico dell'agente (di indire una gara pubblica) sia il frutto di una valutazione discrezionale. Si tratta, quindi, di determinare i confini della discrezionalità: un concetto di cui i primi commentatori della riforma avevano fin da subito fatto notare i contorni sfuggenti[8]. È stato anche osservato che la sua natura «pervasiva e multiforme» avrebbe potuto suggerire al legislatore di distinguere tra discrezionalità politica (che attiene al merito delle scelte di indirizzo), discrezionalità amministrativa (che ha a che vedere con il bilanciamento tra interessi contrapposti, da effettuarsi sempre alla luce dei principi di proporzione e razionalità) e discrezionalità tecnica (che implica l'assunzione di scelte alla stregua di canoni tecnici o scientifici)[9]: se è sicuramente ragionevole escludere il sindacato del giudice penale sulla prima[10], la scelta diviene molto più delicata per quanto riguarda la discrezionalità amministrativa e tecnica[11]. All'interno di quest'ultima, poi, che la dottrina amministrativistica ritiene in ogni caso non sottratta al controllo giurisdizionale[12], è possibile distinguere tra accertamento tecnico – che è un'operazione che, sia pur col sussidio di strumenti e scienze specialistiche, dà luogo a risultati verificabili (ad esempio, un calcolo) – e valutazioni e apprezzamenti tecnici, che, fondandosi su scienze inesatte, danno luogo a risultati comunque opinabili (si pensi alle valutazioni in ordine alla imposizione di vincoli paesaggistici, da effettuarsi alla stregua di canoni estetici). Nella sentenza qui in commento, la Corte sembra ritenere che accertamenti tecnici del primo tipo, dando luogo a risultati sempre verificabili alla stregua di criteri oggettivi, non porrebbero alcun limite al giudice penale quanto all'accertamento dei fatti. Nel caso in esame, infatti, per accertare il superamento delle soglie che avrebbe fatto scattare l'obbligo di indire una gara, l'agente doveva selezionare le voci di spesa, determinare l'importo di ognuna di esse, e, successivamente, sommarle. La Corte ritiene che tutte le operazioni (la selezione delle voci di spesa, la determinazione di ognuna di esse e la somma finale) rappresentino meri accertamenti tecnici, esclusi dalla sfera della discrezionalità (anche tecnica) dell'agente. A noi pare, tuttavia, di poter osservare che, se era operazione meramente aritmetica determinare il prezzo di ciascun verbale contestato (che corrispondeva a quello già pattuito più IVA), era però difficile predire quanti verbali sarebbero stati contestati, e quindi, per quale numero avrebbe dovuto essere moltiplicato il costo di ciascun verbale ai fini di determinare la spesa complessiva. L'agente era quindi chiamato a formulare un giudizio prognostico che tenesse conto delle circostanze concrete, sul quale difficilmente si potrebbe sostenere che le sue competenze specifiche, le sue esperienze pregresse, il suo atteggiamento più o meno prudente non giocassero alcun ruolo.

 

 

[1] V. fra gli altri, G.L. Gatta, La riforma del 2020, in C. Cupelli, G.L. Gatta, M. Gambardella, A. Merlo, T. Padovani, B. Romano, Il "nuovo" abuso d'ufficio, Pacini Editore, Pisa, 2021, p. 73 ss. e G.L. Gatta, Riforma dell’abuso d’ufficio: note metodologiche per l’accertamento della parziale abolitio criminis, in questa Rivista, 2 dicembre 2020 (ove l'autore prescrive alcune verifiche onde accertare che il fatto non conservi rilevanza penale a diverso titolo).

[2] Cfr., fra i molti, G.L. Gatta, La riforma del 2020, M. Gambardella, Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale e T. Padovani, Una riforma imperfetta, tutti in C. Cupelli, G.L. Gatta, M. Gambardella, A. Merlo, T. Padovani, B. Romano, Il "nuovo" abuso d'ufficio, Pacini Editore, Pisa, 2021, p. 73 ss.; M. Gambardella, Simul stabunt vel simul cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell’abuso d’ufficio, in questa Rivista, fasc. 7/2020, p. 133 ss.; V. Manes, Sull'abuso d'ufficio non pesa il semplice eccesso di potere, in Il sole 24 ore, 19 luglio 2020; A. Natalini, Nuovo abuso d'ufficio, il rischio è un'incriminazione fantasma, in Guida al Diritto, fasc. 42, 24 ottobre 2020; T. Padovani, Vita, morte e miracoli dell'abuso d'ufficio, in Giurisprudenza Penale Web, fasc. 7-8 del 2020, p. 1.

[3] È il penultimo periodo del § 3 della sentenza.

[4] Si possono citare, oltre a Cons. Stato, sez. II, 21.05.19 (dep. 17.06.19), n. 4089, menzionata dalla sentenza, Cons. Stato, sez. II, 10.11.20 (dep. 22.12.20), n. 8230 e Cons. Stato, sez. II, 29.09.20 (dep. 30.10.20), n. 6687.

[5] Ultimo periodo del § 3 della sentenza.

[6] V., in particolare, N. Pisani, La riforma dell'abuso d'ufficio nell'era della semplificazione, in Dir. pen. proc., fasc. 1/2021, p. 9 e A. Nisco, La riforma dell’abuso d’ufficio: un dilemma legislativo insoluto ma non insolubile, in questa Rivista, 20 novembre 2020.

[7] A. Tesauro, Violazione di legge ed abuso d'ufficio. Tra diritto penale e diritto amministrativo, Giappichelli, Torino, 2002, p. 87.

[8] B. Ballini, Note minime sulla riformata fattispecie di abuso d’ufficio, in Discrimen, 10 agosto 2020.

[10] È stato persuasivamente sostenuto in dottrina che, rispetto alle persone che esercitino una funzione di indirizzo politico, non è possibile valutare le scelte assunte in termini di conformità-contrarietà ai doveri d'ufficio. Cfr., per quanto riguarda il reato – contiguo a quello di abuso d'ufficio – di corruzione propria M. C. Ubiali, Attività politica e corruzione. Sull'opportunità di uno statuto penale differenziato, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2020.

[11] G.L. Gatta, La riforma del 2020, in C. Cupelli, G.L. Gatta, M. Gambardella, A. Merlo, T. Padovani, B. Romano, Il "nuovo" abuso d'ufficio, Pacini Editore, Pisa, 2021, p. 73 ss.

[12] G. Greco, Argomenti di diritto amministrativo. Vol. I, parte generale, Giuffré, 2013 (II ed.), p. 140.