Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale
A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia
Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Luca Franzetti (artt. 2, 3, 4, 7, 8, 9, 10, 11, 14 Cedu, art. 1 Prot. add.) e Ettore Crippa (artt. 6 e 8 Cedu, art. 2 Prot. 7).
In luglio e agosto abbiamo selezionato pronunce relative a: sistematiche violazioni dei diritti umana, su larga scala, commesse dalla Russia in territorio ucraino dal 2014 fino al conflitto in corso (artt. 2, 3, 4, 8, 9, 10, 11, 14 Cedu, art. 1 Prot. add.); confessione resa in assenza del difensore (art. 6 Cedu); condanna per reati urbanistici non più punibili al momento della sentenza per effetto di una sopravvenuta disciplina extrapenale (art. 7 Cedu); limitazioni al diritto alla corrispondenza in regime di 41-bis (art. 8 Cedu); perquisizioni domiciliari in assenza di autorizzazione giurisdizionale (art. 8 Cedu); condanna di attivisti ambientalisti per attività dimostrative integranti furto (art. 10 Cedu); diritto al doppio grado di giudizio penale (art. 2 Prot. 7).
ART. 2 e 13 CEDU
C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 9 luglio 2025, Ucraina e Olanda c. Russia
Distruzione dell’aereo del volo MH17 - uso intenzionale della forza senza giustificazione emorte dei civili a bordo - Lancio di un missile nell’est dell’Ucraina, in violazione del diritto internazionale umanitario - lancio del missile non costituente un atto legittimo di guerra e non giustificato ai sensi dell’art. 2 § 2 - mancata adozione, da parte dello Stato convenuto, di misure preventive che avrebbero potuto ridurre considerevolmente, o addirittura eliminare, il rischio per i civili a bordo di aerei civili che sorvolavano l’est dell’Ucraina – mancato accesso, per i familiari delle vittime della tragedia, a mezzi di ricorso effettivi nello Stato convenuto, idonei a stabilire la responsabilità di agenti dello Stato e a garantire un risarcimento - violazione
La causa nasce dall’occupazione Russa della Crimea nel 2014, dal sostegno russo ai separatisti nelle regioni di Donetsk e Lugansk e dalla successiva invasione in Ucraina su larga scala del febbraio 2022. La Corte Edu ha qui esaminato quattro ricorsi interstatali, tre relativi al conflitto iniziato nel 2014 e all’abbattimento del volo MH17, che provocò 298 morti (196 olandesi), e uno riguardante le violazioni successive all’invasione del 2022. La Corte ha affermato che la Russia esercitava giurisdizione effettiva nei territori occupati e che gli atti dei separatisti erano attribuibili allo Stato russo, stabilendo la sua responsabilità fino al 16 settembre 2022, data di cessazione della sua appartenenza alla Convenzione. Sono state accertate violazioni gravissime e sistematiche: del diritto alla vita (abbattimento intenzionale di MH17, bombardamenti indiscriminati, uccisioni extragiudiziali), della proibizione di tortura (maltrattamenti, torture e violenze sessuali su larga scala, comprese stupri usati come arma di guerra), del diritto alla libertà (detenzioni arbitrarie di civili, spesso senza alcuna base legale, anche tramite “filtrazioni”), e del diritto al rispetto della vita privata e familiare (deportazioni, trasferimenti forzati, distruzione delle case e impossibilità di rientro). Inoltre, sono state documentate persecuzioni religiose contro comunità diverse dalla Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca, restrizioni alla libertà di stampa e di informazione, repressione violenta delle proteste pacifiche, espropriazioni e saccheggi di proprietà civili e imprese, distruzioni di infrastrutture, soppressione dell’uso della lingua ucraina e imposizione di programmi scolastici mirati all’indottrinamento. Particolarmente grave è risultato il trasferimento sistematico e l’adozione in Russia di migliaia di bambini ucraini, configurato come pratica organizzata e ufficialmente tollerata dalle autorità russe. La Corte ha concluso che tutte queste condotte costituivano violazioni multiple e ripetute della Convenzione e dei Protocolli, realizzate attraverso pratiche amministrative generalizzate e sostenute dalle autorità statali, con assenza totale di rimedi effettivi. Ha inoltre stigmatizzato la mancata cooperazione della Russia con le indagini internazionali e con la stessa Corte. In esecuzione della sentenza, la Russia è tenuta a liberare senza ritardo i detenuti arbitrariamente trattenuti nei territori occupati, a collaborare per l’identificazione e il ricongiungimento dei bambini deportati, e a porre fine alle violazioni. La Corte ha definito i fatti “flagranti, multipli e senza precedenti” nella storia del Consiglio d’Europa, poiché hanno minato i valori fondamentali di pace, democrazia e stato di diritto. Così ricostruiti i fatti, di particolare rilevanza è la violazione dell’art. 2, ossia del diritto alla vita, nel contesto di più fatti addebitabili allo Stato Russo: l’abbattimento del velivolo MH17, la serie di bombardamenti indiscriminati a danno della popolazione ucraina e di una sequela di uccisioni extragiudiziali. La Corte ha accertato che il missile Buk era stato intenzionalmente lanciato contro il volo MH17, con un attacco indiscriminato in violazione del diritto internazionale umanitario. La Russia non aveva adottato alcuna misura per prevenire un rischio reale e immediato per la vita dei civili in volo sull’area, violando così l’art. 2 CEDU sia sotto il profilo negativo (uccisione illegittima) sia positivo (mancata protezione della vita). Inoltre, le autorità russe non avevano condotto un’indagine effettiva: le inchieste interne erano frammentarie, non indipendenti e basate su informazioni false, senza il coinvolgimento dei familiari delle vittime (§ 437). La Russia aveva anche rifiutato di cooperare con il Joint Investigation Team (JIT), ostacolando attivamente l’accertamento della verità e delle responsabilità. Ne è risultata anche la violazione dell’art. 2 CEDU sotto il profilo procedurale, per mancata indagine seria ed efficace sui decessi. Inoltre, dalla continua inerzia da parte della Federazione Russa emergeva altresì una palmare violazione dell’art. 13 della convenzione, non avendo potuto i familiari delle vittime accedere a rimedi efficaci nel proprio Stato, in grado di accertare la responsabilità dei funzionari statali e di concedere un risarcimento (§§ 511 ss.). Per i profili relativi al divieto di trattamenti inumani e degradanti, v. infra sub art. 3.
C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 9 luglio 2025, Ucraina e Olanda c. Russia
Pratica amministrativa di esecuzioni extragiudiziali di civili e soldati ucraini fuori combattimento nel territorio occupato in Ucraina – violazione
Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al diritto alla vita v. supra sub art. 2 e 13 Cedu. È risultato provato che, fin dall’inizio del conflitto, i separatisti armati e successivamente le forze russe avevano ucciso civili non coinvolti nelle ostilità e soldati ucraini disarmati e fuori combattimento. Si registravano esecuzioni sommarie, morti causate dall’uso della forza lontano dal fronte e decessi durante la detenzione. Le forze russe, durante l’occupazione di alcune aree dell’Ucraina dal 24 febbraio 2022, avevano fatto ricorso frequentemente a violenza letale contro civili e soldati fuori combattimento. Prove indicano, inoltre, omicidi su larga scala di civili subito dopo l’arrivo dei russi e spari non provocati contro civili, inclusi bambini, in fuga dalle ostilità. La Corte ha ribadito che la protezione di civili e militari è un principio fondamentale del diritto internazionale umanitario (§ 1035). L’uso della forza letale non era giustificato dal diritto internazionale umanitario né dalle eccezioni previste dall’articolo 2 § 2 (§ 1042).
ARTT. 2, 3, 8 CEDU e ART. 1 PROT. ADD.
C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 9 luglio 2025, Ucraina e Olanda c. Russia
Attacchi militari intensi e prolungati su tutto il territorio ucraino condotti in violazione del diritto internazionale umanitario - attacchi militari sproporzionati e indiscriminati, e attacchi diretti contro aree residenziali e infrastrutture civili- omessa protezione della vita e del benessere dei civili nelle zone assediate – violazione
Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al diritto alla vita v. supra sub art. 2 e 13 Cedu. La Corte ha accertato che dal maggio 2014 al settembre 2022 la Russia aveva condotto sul territorio ucraino attacchi militari indiscriminati e sproporzionati contro civili e infrastrutture civili, causando migliaia di morti e feriti in violazione dell’art. 2 CEDU. Dal 24 febbraio 2022 gli attacchi si erano intensificati, devastando città come Mariupol e Izium e generando terrore, sofferenze fisiche e psicologiche qualificabili come trattamento inumano ai sensi dell’art. 3 CEDU. Le operazioni di assedio avevano inoltre comportato la totale mancanza di misure di protezione (cibo, acqua, assistenza medica, corridoi umanitari), in violazione degli obblighi positivi di tutela della vita e del benessere dei civili (§ 1080). Gli attacchi avevano distrutto abitazioni, beni e strutture private senza alcuna base legale o proporzionalità, integrando una violazione dell’art. 1 Prot. n. 1. Infine, dal febbraio 2022 la distruzione delle case e delle condizioni di vita aveva determinato anche una violazione dell’art. 8 CEDU.
ART. 3 CEDU
C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 9 luglio 2025, Ucraina e Olanda c. Russia
Distruzione dell’aereo del volo MH17 - profonda e persistente sofferenza dei familiari delle vittime della tragedia, configurabile come trattamento inumano - violazione
Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al diritto alla vita v. supra sub art. 2 e 13 Cedu. La Corte ha riconosciuto che i familiari delle vittime del volo MH17 avevano subito un dolore e una sofferenza di natura traumatica, oltre a quella normalmente connessa alla perdita di un congiunto. Essi erano stati esposti alle immagini cruente e irrispettose dei corpi diffuse dai media e avevano vissuto l’angoscia derivante dal ritardo di otto mesi nel recupero dei resti (§ 548), in un contesto di anarchia e violenza. In molti casi avevano dovuto identificare e seppellire corpi mutilati o incompleti, con ulteriori consegne di resti anche dopo la sepoltura; in due casi i corpi non erano mai stati ritrovati. La mancata collaborazione e l’assenza di un’indagine effettiva da parte della Russia avevano aggravato la sofferenza, mantenendo i familiari in uno stato di incertezza sulle circostanze e sulle responsabilità (§ 524). La Corte ha quindi concluso che tale sofferenza aveva raggiunto un livello di gravità tale da configurare un trattamento inumano ai sensi dell’art. 3.
C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 9 luglio 2025, Ucraina e Olanda c. Russia
Torture e trattamenti inumani o degradanti nel territorio occupato in Ucraina - tortura come politica statale coordinata della Federazione Russa applicata ai civili e ai prigionieri di guerra - uso generalizzato e sistematico della violenza sessuale come arma di guerra, configurabile come tortura - condizioni di detenzione inadeguate - sofferenze dei familiari come trattamento inumano – violazione
Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al divieto di trattamenti inumani e degradanti v. supra sub art. 3. L’ulteriore profilo di violazione dell’art. 3 attiene, invece, ai trattamenti inumani e degradanti nei territori occupati. Dal maggio 2014 al settembre 2022 civili e prigionieri di guerra nei territori occupati erano stati sottoposti a torture e trattamenti inumani da parte dei separatisti e delle forze russe sotto il controllo effettivo della Federazione. Le violenze comprendevano pestaggi, finte esecuzioni, mutilazioni, elettroshock, esposizione a temperature estreme, costrizioni a posizioni di stress e condizioni di detenzione degradanti (§ 797). Dopo l’invasione del 2022 la gravità e la diffusione degli abusi erano aumentate, con prove di stupri, violenze sessuali sistematiche e schiavitù sessuale inflitte a uomini e donne, anche anziani e minori. Lo stupro era stato usato come strumento di guerra per umiliare, spezzare la resistenza e affermare il dominio territoriale. Le vittime erano state spesso costrette ad assistere a pestaggi o esecuzioni sommarie di altri detenuti, mentre erano comuni minacce di uccidere o violentare familiari, inclusi i figli. Le sparizioni forzate e le detenzioni arbitrarie, senza possibilità di ricorso né informazione per i parenti, avevano aggravato la sofferenza. La Corte ha concluso che tali pratiche costituivano un sistema di torture e trattamenti inumani e degradanti, con particolare enfasi sulla violenza sessuale come arma di guerra, commessa in un clima di totale impunità e di assenza di tutela (§ 1074).
ART. 3, 5 e 8 CEDU
C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 9 luglio 2025, Ucraina e Olanda c. Russia
Trasferimento in Russia e adozione di bambini ucraini -- imposizione automatica della cittadinanza russa, facilitando le adozioni in violazione del diritto internazionale bambini affidati a uno Stato occupante ostile, con effetti traumatici e separazioni forzate - prove di maltrattamenti e privazioni della libertà in casi eccezionali – violazione.
Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al diritto alla vita v. supra sub art. 2 e 13 Cedu La violazione dell’art. 3 è stata ravvisata altresì anche in presenza di una sistematica opera di trasferimento e adozione di bambini ucraini in territorio russo. La Corte ha accertato l’esistenza di una pratica sistematica, iniziata già nel 2014 e intensificata dopo l’invasione del 2022, di trasferimento forzato di bambini ucraini dai territori occupati alla Russia, spesso seguita da adozioni facilitate da modifiche legislative che permettevano il rapido ottenimento della cittadinanza russa. Questi trasferimenti erano avvenuti senza il consenso dei genitori o tutori legali e senza alcuna base giuridica valida, né potevano qualificarsi come evacuazioni legittime ai sensi del diritto internazionale umanitario. Una volta adottati in Russia, i bambini diventavano praticamente irrintracciabili. La Corte ha ritenuto che tali condotte costituissero una grave interferenza con il diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 Cedu) (§ 1594), un trattamento traumatico e disumanizzante, aggravato dall’età e dalla vulnerabilità dei minori, riconducibile a trattamenti inumani e degradanti (art. 3 Cedu), e una vera e propria privazione della libertà personale senza base legale (art. 5 Cedu) (§ 1591).
ART. 4 CEDU
C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 9 luglio 2025, Ucraina e Olanda c. Russia
Pratiche amministrative di lavoro forzato nei territori ucraini occupati – violazione
Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al diritto alla vita v. supra sub art. 2 e 13 Cedu. La Corta ha ravvisato una violazione dell’art. 4 § 2 CEDU nell’imposizione sistematica di lavoro forzato nei territori occupati. Le prove raccolte dimostravano, infatti, che il lavoro forzato era stato imposto quasi esclusivamente nel contesto delle detenzioni illegali operate da separatisti e forze russe (§ 954). La Corte ha escluso l’applicabilità dell’eccezione prevista dal terzo paragrafo dell’art. 4, poiché le detenzioni stesse avvenivano in violazione dell’art. 5 (assenza di base legale). Più nello specifico, già all’inizio del conflitto, civili e soldati ucraini detenuti erano stati costretti a svolgere mansioni come ricostruzioni, manutenzione, scavi di trincee, carico e scarico di munizioni e operazioni di sminamento. Quest’ultimo compito, particolarmente pericoloso, era vietato dal diritto internazionale umanitario. Vi erano inoltre prove di coercizione all’arruolamento forzato nelle forze separatiste e, dopo il 2022, anche in quelle russe. Poco prima dell’invasione del 2022, le “autorità” di “DPR” e “LPR” avevano decretato una “mobilitazione generale”, imponendo agli uomini tra i 18 e i 55 anni di arruolarsi. La Corte ha sottolineato che imporre a civili o prigionieri di guerra di servire nelle forze di una potenza ostile è vietato dal diritto internazionale umanitario, non essendovi per giunta alcuna giustificazione legale o militare per tali pratiche (§ 964).
ART. 6 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 17 luglio 2025, Opalenko c. Ucraina
Confessione resa prima in assenza e poi in presenza del difensore – condanna fondata su prove diverse dalla confessione – equità processuale complessiva tutelata – non violazione
Indagato per l’omicidio della madre e della nipote, il ricorrente rilascia una dichiarazione scritta alla polizia con la quale ammette di aver commesso il fatto e l’affermazione della propria responsabilità viene ribadita durante un primo interrogatorio svoltosi con la presenza di un difensore. Sentito nuovamente con un altro difensore, il ricorrente ritratta le precedenti dichiarazioni, sostenendo di essere stato costretto dalla polizia a confessare per iscritto l’omicidio. Malgrado ciò, il procedimento penale si conclude con la condanna, a fondamento della quale vengono addotte numerose prove raccolte nel corso delle indagini, oltreché la dichiarazione autoincriminante resa nel corso del primo interrogatorio ove era presente un difensore (§ 2-19). A tal punto, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 6 commi 1 e 3 lett. c Cedu. A suo dire, la confessione scritta, rilasciata alla polizia prima di essere interrogato con l’assistenza di un difensore, non sarebbe stata spontanea e avrebbe inciso sullo sviluppo delle indagini fino a riverberarsi sull’esito del processo (§ 23). Richiamando la propria giurisprudenza consolidata, la Corte europea evidenzia come il diritto alla difesa tecnica integri un requisito dell’equo processo che può essere temporalmente limitato solo in forza di “ragioni impellenti”: occorrono eccezionali circostanze aventi chiara base legale nella legge nazionale, che deve individuare con precisione lo scopo e il contenuto della restrizione del diritto fondamentale. D’altro canto, l’ingiustificato diniego d’accesso alla difesa tecnica non basta a determinare una violazione dell’art. 6 commi 1 e 3 lett. c Cedu, dovendosi, a tal fine, apprezzarne l’impatto sull’equità processuale complessiva (§ 31-34). Nel caso di specie, sebbene non vi fossero ragioni per raccogliere una dichiarazione autoincriminante senza il difensore, l’illegittima restrizione del diritto alla difesa tecnica non ha irrimediabilmente leso l’equità del procedimento nel suo complesso: al momento della confessione scritta – peraltro successivamente confermata in presenza di un difensore – sussistevano già elementi di prova idonei a orientare soggettivamente le indagini e a incidere sull’epilogo del procedimento penale, come la presenza del sangue delle vittime sui vestiti del ricorrente e l’impronta digitale di quest’ultimo sull’arma del delitto (§ 44-49). L’art. 6 commi 1 e 3 lett. c Cedu, pertanto, non risulta violato. (Ettore Crippa)
Riferimenti bibliografici: S. Chionna, Restrizioni al diritto di difesa tecnica ed equità processuale complessiva, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 560 ss.; S. Buzzelli, Violazione dei diritti di difesa tecnica e al confronto in Ucraina, ivi, 2017, p. 348 ss.; F. Cassibba, Violazione della difesa tecnica ed equità processuale, ivi, 2017, p. 1211 ss.
ART. 7 CEDU
C. eur. dir. uomo, Sez. I, 10 luglio 2025, Wulffaert e Wulffaert Beheer Nv c. Belgio
Violazione del principio di retroattività della legge penale più favorevole - Condanna penale per l’esecuzione di lavori urbanistici punibili al momento della loro commissione, ma che non lo erano più al momento della dichiarazione di colpevolezza dei ricorrenti – violazione
I ricorrenti, cittadini belgi, ricorrevano innanzi alla Cedu per una condanna penale dovuta a lavori realizzati senza autorizzazione urbanistica. Essi erano infatti stati condannati al pagamento di una multa di 11.000 euro ciascuno, sostenendo però che tra la commissione del fatto e l’intervento della condanna fosse entrato in vigore un decreto governativo che esonerava dall’autorizzazione urbanistica proprio alcuni dei lavori da loro realizzati: la contestazione dei ricorrenti verteva, dunque, esclusivamente sulla condanna per gli atti e i lavori oggetto dell’esenzione sopravvenuta. Nel ricorso veniva prospetta una violazione dell’articolo 7 della Convenzione, dal momento che, al momento della pubblicazione della sentenza, quei lavori non erano più soggetti ad autorizzazione urbanistica. Essi ritenevano, pertanto, che i giudici nazionali avrebbero dovuto applicare la legge penale più favorevole e quindi assolverli per i lavori contestati, in applicazione del principio di retroattività della legge penale più favorevole sancito dall’articolo 2, comma 2, del codice penale belga. Affermavano, in accordo con pressoché pacifica giurisprudenza della Corte Edu, che la nozione di «legge» non si riferisce soltanto alla legge formale, ma va intesa in senso materiale e più ampio. Di conseguenza, sia il principio di legalità che quello della retroattività della legge penale più favorevole sarebbero applicabili anche ai decreti esecutivi. Diversamente opinando, secondo lo Stato belga, conforme alla giurisprudenza di Cassazione, il principio della retroattività della legge penale più favorevole non sarebbe assoluto, ostando alcune eccezioni. Tra queste, la Corte di cassazione ritiene che le leggi temporanee, le leggi eccezionali e i decreti esecutivi – come quelli in questione – sfuggano al principio di retroattività della legge penale più favorevole quando la modifica riguarda l’incriminazione e non la pena, salvo che il legislatore abbia manifestato chiaramente l’intenzione di rinunciare alla repressione dei fatti già commessi. Si tratterebbe, a detta del Governo, di eccezioni applicabili ogniqualvolta la legge richieda decreti di attuazione per la sua esecuzione, attribuendo ampi poteri all’esecutivo. Di contrario parere la Corte Edu, che ha ravvisato consequenzialmente una violazione dell’art. 7. Secondo i giudici di Strasburgo la garanzia ivi sancita occupa una posizione fondamentale nel sistema della Convenzione, come dimostra il fatto che l’art. 15 non consente alcuna deroga neppure in tempo di guerra o in caso di altro pericolo pubblico (§ 33). Tale articolo deve essere interpretato e applicato in modo da assicurare una protezione effettiva contro procedimenti, condanne e sanzioni arbitrarie. La Corte evidenzia che l’articolo 7 § 1 non tutela soltanto il principio di irretroattività delle leggi penali più severe, ma implica anche il principio della retroattività della legge penale più favorevole: se la legge vigente al momento del fatto e quella successiva, entrata in vigore prima della condanna definitiva, sono diverse, il giudice deve applicare quella più favorevole all’imputato (§ 34). Snodo centrale era dunque se l’articolo 7 ostasse all’applicazione, da parte dei tribunali fiamminghi, del decreto dell’aprile 2000 che sottoponeva i lavori contestati a permesso, invece di quello del luglio 2010 che li esonerava. La Corte osserva che la Corte d’appello aveva stabilito che l’esenzione introdotta dal decreto del 2010 non cancellava la punibilità dei fatti commessi quando era in vigore il decreto del 2000. Allo stesso modo, la Corte di Cassazione aveva dichiarato che i comportamenti considerati reato secondo il decreto del 2000 restavano punibili, anche se il decreto del 2010 li aveva successivamente resi leciti. Tuttavia, la Corte EDU ricorda che il termine «diritto» usato all’articolo 7 corrisponde a quello di «legge», da intendersi in senso materiale, includendovi anche testi regolamentari e sub-legislativi (§ 41). Pertanto, la nozione di «diritto» all’articolo 7 comprende anche i decreti esecutivi del Governo fiammingo, che in questo caso erano determinanti per definire l’infrazione e la responsabilità penale: infatti, le leggi formali si limitavano a stabilire che i lavori senza autorizzazione urbanistica costituivano reato e a fissare le pene, delegando all’esecutivo il potere di elencare i lavori esenti da autorizzazione. Di conseguenza, le disposizioni previste nei decreti del 2000 e del 2010 erano decisive per stabilire se un fatto costituisse reato o meno. Da ultimo, la Corte ha evidenziato che l’applicazione della giurisprudenza della Corte di cassazione nel caso di specie ha comportato una situazione paradossale: i ricorrenti sono stati condannati, oltre alla multa, anche alla demolizione delle opere, mentre nessuna norma vietava loro, al momento della condanna, di realizzare nuovamente gli stessi lavori senza permesso, in quanto non più soggetti ad autorizzazione urbanistica. Per tali ragioni la Corte ha concluso per la violazione dell’art. 7 (§ 45). (Luca Franzetti)
Riferimenti bibliografici: P. Bernardoni, Terrorismo “morale” e articolo 7 CEDU: la Corte di Strasburgo ritiene imprevedibile la spiritualizzazione del concetto di violenza operata dai giudici turchi, in Riv. it. dir. pen. proc., 2020, p. 1157 ss.
ART. 8 CEDU
C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 9 luglio 2025, Ucraina e Olanda c. Russia
Imposizione di trasferimenti e spostamenti ingiustificati di civili nel territorio occupato in Ucraina e applicazione ingiustificata di misure di filtraggio - spostamenti di civili da parte delle autorità di occupazione russe non qualificabili come misure di evacuazione legali ai sensi del diritto internazionale umanitario - clima di coercizione, paura, violenza e terrore in Ucraina dovuto a violazioni massive dei diritti umani da parte della Federazione Russa- spostamento forzato di civili – violazione
Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al diritto alla vita v. supra sub art. 2 e 13 Cedu. La Corte ha altresì ravvisato una palmare violazione del diritto alla vita privata e familiare espressamente riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione in seguito agli sfollamenti coatti a danni di civili ucraini. Dopo l’invasione del 2022, milioni di civili ucraini erano stati costretti a lasciare le proprie case nei territori occupati o a essere trasferiti in Russia. Molti erano stati rimossi senza alcuna base legale, senza decisioni ufficiali o autorizzazioni individuali. Alcuni erano stati accompagnati in Russia con la giustificazione di presunte “evacuazioni umanitarie”, ma senza prove di necessità o alternative interne in Ucraina. La Corte ha ritenuto che tali trasferimenti costituissero un’interferenza nell’esercizio dei diritti tutelati dall’art. 8 (§ 1164), non giustificata da basi legittime né conforme al diritto internazionale (§ 1172 s.). La paura di violenza, le condizioni di terrore e le gravi violazioni dei diritti umani avevano reso la partenza forzata anche quando non accompagnata da violenza fisica diretta. In tale contesto, il rientro era di fatto impedito, rafforzando il carattere coercitivo dello sfollamento. In parallelo, i civili erano stati sottoposti a pratiche di “filtrazione”: perquisizioni invasive, interrogatori, controlli minuziosi di telefoni e oggetti personali. Questi controlli, estesi anche a bambini, avevano generato banche dati utilizzate dalle autorità russe per sorvegliare e reprimere oppositori. La Corte ha rilevato la pressoché totale assenza di regole chiare, di limiti definiti e di garanzie contro arbitrarietà e abusi. Di conseguenza, tali misure non erano “previste dalla legge” e risultavano incompatibili con l’art. 8 CEDU.
C. eur. dir. uomo, Sez. I, 10 luglio 2025, Gullotti c. Italia
Corrispondenza – limitazione aggiuntiva al diritto alla corrispondenza del ricorrente durante il regime ex art. 41-bis ord. pen. – Carenza di motivazione esplicita in riferimento alle circostanze giustificatrici del provvedimento impugnato – mancanza di evidenze in relazione ad un corretto bilanciamento - violazione
Il ricorrente, condannato per reati di tipo mafioso, era detenuto secondo il regime speciale dell’art. 41 bis, con limitazioni alle visite familiari e alla corrispondenza. Tra luglio 2012 e maggio 2013 la sua corrispondenza fu controllata, e dal dicembre 2012 poteva scrivere solo ai parenti ammessi alle visite. L’8 gennaio 2013 il giudice di sorveglianza prorogò la limitazione per tre mesi, motivandola con il suo ruolo di rilievo in Cosa Nostra nonostante la detenzione dal 1998. La corte di Bologna confermò l’ordine, e la Cassazione dichiarò inammissibile il ricorso nel marzo 2014. Durante i successivi ricorsi, la limitazione fu rinnovata più volte nel 2013, fino a un rinnovo biennale del regime 41 bis da parte del Ministro della Giustizia. Alcune istanze furono respinte come inammissibili, e a dicembre 2013 la proroga della limitazione fu rigettata. Ha, dunque, presentato ricorso alla Corte Edu lamentando una violazione dell’art. 8 della Convenzione. La Corte ha accolto il ricorso, posto che, anche nella possibilità di mantenere contatti con familiari e rappresentanti, nondimeno limitare le persone con cui poteva corrispondere interferiva con il suo diritto ai sensi dell’art. 8. L’interferenza era sì prevista dalla legge, in particolare dall’art. 18 ter dell’Ordinamento Penitenziario, che richiede un provvedimento motivato del giudice per circostanze specifiche e per un periodo limitato. Lo scopo era altresì legittimo: protezione dell’ordine pubblico, sicurezza nazionale e prevenzione della criminalità, evitando che la corrispondenza veicolasse messaggi proibiti. Per essere giustificata, la misura doveva essere però anche “rilevante e sufficiente” e proporzionata all’obiettivo perseguito (§ 24, 33). L’ordinanza contestata menzionava il ruolo del ricorrente nell’organizzazione mafiosa, ma non valutava esplicitamente la necessità di limitare la corrispondenza solo ai parenti ammessi alle visite: il mero collegamento al regime detentivo speciale ex art. 41 bis non bastava a giustificare ulteriori restrizioni in assenza si specifiche motivazioni individuali. L’ordinanza non faceva riferimento esplicito all’ordine ministeriale in vigore, ma solo al “dossier”, rendendo impossibile verificare quali documenti fossero effettivamente considerati (§ 40). Il governo non ha fornito né l’ordine ministeriale né la richiesta del direttore del carcere di gennaio 2013, necessari per valutare la legittimità della limitazione. La mancanza di riferimenti a circostanze specifiche e l’assenza di documenti chiarificatori hanno reso impossibile valutare se fosse stato effettuato un reale bilanciamento dei diritti del ricorrente (§ 43). Di conseguenza, la Corte ha ritenuto che il governo non avesse dimostrato la giustificazione della limitazione della corrispondenza del 8 gennaio 2013, concludendo all’unanimità per la violazione dell’art. 8.
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 10 luglio 2025, Korniyets e altri c. Ucraina
Rispetto della vita privata – perquisizioni domiciliari urgenti – controllo sulla legittimità della perquisizione non effettivo – base legale inidonea a scongiurare l’arbitrio dell’autorità – violazione
Nel corso di indagini a carico, i ricorrenti sono sottoposti a delle perquisizioni all’interno del proprio domicilio, che non erano state previamente autorizzate dal giudice perché reputate urgenti dagli inquirenti. Compiute le operazioni, il pubblico ministero ne richiede la convalida al tribunale distrettuale competente e questa viene concessa senza contraddittorio, in ossequio a un diritto nazionale che non permette d’impugnare il provvedimento con cui il giudice autorizza, ex ante o ex post, la perquisizione domiciliare. Ritenendo di aver subito un’ingerenza arbitraria nella loro vita privata e non avendo potuto farne valere l’illegittimità, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 8 Cedu (§ 5-39). Nell’accogliere il ricorso, la Corte di Strasburgo muove dalla consueta premessa secondo cui la perquisizione domiciliare integra un’ingerenza nella vita privata che, ai fini della sua conformità all’art. 8 Cedu, deve essere prevista dalla legge, perseguire uno scopo legittimo e risultare necessaria in una società democratica. Perché sia soddisfatta l’esigenza della “base legale”, non è sufficiente che la legge nazionale attribuisca alle autorità statali il potere d’effettuare perquisizioni domiciliari: occorre una disciplina dettagliata che preveda solide garanzie processuali contro il rischio di abuso e arbitrarietà. In particolare, per quanto concerne la perquisizione urgente, la mancanza di un’autorizzazione giudiziale preventiva dev’essere «controbilanciata» da un controllo giurisdizionale successivo, al quale l’interessato possa effettivamente accedere (§ 53-65). Ebbene, la legge nazionale ucraina non riconosce al soggetto perquisito il diritto di partecipare al giudizio di convalida della perquisizione domiciliare urgente né quello d’impugnare la convalida stessa. Pertanto, l’ingerenza nella vita privata, avvenuta nel caso in esame, non poggiava su una base legale idonea a scongiurare l’arbitrio dell’autorità (§ 67-73). Da qui, la violazione dell’art. 8 Cedu. (Ettore Crippa)
Riferimenti bibliografici: F. Cassibba, Perquisizioni domiciliari e ricorso effettivo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 1749 ss.; P. Concolino, Perquisizione e diritto ad un ricorso effettivo: l’inadeguatezza dell’ordinamento interno agli standard di tutela sovranazionali, ivi, 2017, p. 1207 ss.
ART. 9 CEDU
C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 9 luglio 2025, Ucraina e Olanda c. Russia
Intimidazione, molestie e persecuzione di gruppi religiosi diversi dalla Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca (« ÉOU–PM ») nel territorio occupato in Ucraina - leader religiosi vittime di rapimento, maltrattamenti e omicidio - obbligo imposto ai gruppi religiosi di registrarsi - applicazione della legislazione sull’estremismo a comunità religiose diverse dalla ÉOU–PM per vietare organizzazioni religiose, sequestrare locali e materiali religiosi e impedire lo svolgimento di culti religiosi – violazione
Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al diritto alla vita v. supra sub art. 2 e 13 Cedu. L’occupazione territoriale perpetrata dalla Federazione Russa ha comportato altresì violazioni specifiche con riferimento all’art. 9 della Convenzione, che garantisce il diritto alla libertà religiosa. Dal maggio 2014, e con intensificazione dopo il 2022, la libertà religiosa era stata gravemente limitata nei territori occupati. Le autorità separatiste e russe avevano perseguitato leader e fedeli di comunità religiose diverse dalla Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca. Gli atti riportati includevano: sequestri di luoghi di culto, aggressioni e uccisioni di ministri religiosi, confisca e distruzione di materiale religioso, divieti arbitrari di registrazione delle comunità, applicazione di leggi contro “estremismo” e “sette” usate per sopprimere le minoranze religiose (tra cui i Testimoni di Geova). Venivano organizzati processi e repressioni per “raduni illegali” di preghiera; immobili delle comunità religiose erano stati espropriati e “nazionalizzati” dalle autorità di occupazione. La Corte ha rilevato che le privazioni della libertà, le torture e persino le uccisioni per motivi religiosi non potevano in alcun modo rientrare nelle eccezioni dell’art. 9 § 2, per cui tale libertà può trovare limitazioni solo in ricorrenza di espressa previsione legislativa, come misure necessarie in una società democratica, per la pubblica sicurezza, la protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui (§ 1275). Inoltre, le norme emanate da “DPR”, “LPR” e amministrazioni russe non costituivano una base legale valida ai sensi del diritto internazionale umanitario: mancavano i requisiti di legalità e proporzionalità. La vaghezza del concetto di “estremismo” permetteva abusi arbitrari, in contrasto con le garanzie richieste dalla Convenzione.
ART. 10 CEDU
C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 9 luglio 2025, Ucraina e Olanda c. Russia
Ingerenza ingiustificata nell’esercizio della libertà di ricevere o diffondere informazioni e idee, nel territorio occupato in Ucraina - giornalisti vittime di intimidazioni, detenzione, maltrattamenti e omicidio - obblighi di registrazione e accreditamento imposti ai media e ai giornalisti - applicazione di presunte leggi che vietano e sanzionano la diffusione di informazioni favorevoli all’Ucraina, anche sui social media - applicazione di leggi relative al terrorismo e all’estremismo - effetti eccessivi e arbitrari delle misure di blocco dell’accesso ai siti internet e alle emittenti nel territorio occupato – violazione
Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al diritto alla vita v. supra sub art. 2 e 13 Cedu. Fin dall’inizio del conflitto, le autorità russe e separatiste avevano preso di mira giornalisti indipendenti ucraini e internazionali, imponendo istruzioni su come riportare le notizie, minacciando e arrestando chi criticava le autorità o mostrava un’immagine negativa. Le testate e i blogger erano obbligati a registrarsi o ottenere accreditamenti spesso negati arbitrariamente; molti giornalisti erano stati processati con accuse di spionaggio o estremismo e condannati a lunghe pene detentive. I media ucraini e stranieri erano stati bloccati e sostituiti con quelli russi, privando la popolazione locale dell’accesso a informazioni pluralistiche. Le misure avevano prodotto un evidente chilling effect aggravato dalle detenzioni arbitrarie e dalle violenze subite dai giornalisti. La Corte ha rilevato che tali atti non potevano essere giustificati ai sensi dell’art. 10 § 2 e non erano “prescritti dalla legge”, poiché i provvedimenti basati su norme delle autorità separatiste o di occupazione mancavano di fondamento giuridico e di garanzie contro arbitrarietà e interpretazioni eccessivamente ampie di “estremismo” (§ 1350 s.).
C. eur. dir. uomo, Sez. V, 3 luglio 2025, Lude e altri c. Francia
Libertà di espressione - Condanna penale di attivisti ecologisti per furti consistiti nell’avere rimosso il ritratto del Presidente della Repubblica in diverse sedi comunali al fine di denunciare l’insufficienza delle misure adottate dallo Stato in materia di cambiamento climatico - Tema di interesse generale - Azioni non violente Valutazione delle giurisdizioni interne né arbitraria né manifestamente irragionevole - Sanzioni pecuniarie non sproporzionate - Margine di apprezzamento ristretto non oltrepassato – non violazione
La causa trae origine dal ricorso presentato da militanti ecologisti francesi, condannati a pene pecuniare sospese per fatti di furto commessi in concorso e consistenti nell’asportare il ritratto del Presidente della Repubblica da diversi comuni francesi quale segno di denuncia dell’inadeguatezza delle misure statali in materia di lotta ai cambiamenti climatici. Gli attivisti adivano così la Cedu lamentando come le condanne inflitte costituissero un’ingerenza sproporzionata nell’esercizio del loro diritto alla libertà di espressione tutelato dall’art. 10 della Convenzione. Fondando la loro richiesta proprio su tale norma, i ricorrenti lamentano che le loro condanne – al pari dei procedimenti e delle attività d’indagine espletate nei loro confronti – costituiscano un’ingerenza nell’esercizio del loro diritto alla libertà di espressione, ingerenza non necessaria in una società democratica e sproporzionata rispetto allo scopo perseguito. Il diritto di proprietà – tutelato dalla norma che punisce il furto – sarebbe in questo caso recessivo rispetto al preponderante valore della libertà d’espressione. A loro avviso, il fatto che la Corte di cassazione abbia escluso in via di principio il prelievo dei ritratti dal fuoco di protezione offerto dall’articolo 10 e quindi abbia escluso che il furto, a essi inscindibile, potesse beneficiare di tale protezione non è pertinente, poiché la loro azione si inseriva in una logica di attivismo e la restituzione del ritratto non avrebbe permesso loro di trarre beneficio alcuno dall’azione stessa. Per sua parte, la Corte europea, pur non ravvisando una violazione dell’art. 10, ha preliminarmente ricordato come la protezione da questi offerta non si limiti alle parole o agli scritti, tutelando altresì forme espressive basate su condotte o comportamenti (§ 87), tra cui appunto – concordemente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale francese – rientrerebbe anche la sottrazione del ritratto del Presidente della Repubblica perpetrato dai militanti (§ 88). In tal senso, le condanne inflitte dalla giurisdizione francese costituiscono un’ingerenza nell’esercizio del loro diritto alla libertà di espressione sancito dall’articolo 10 § 1 della Convenzione. La norma in commento vieta però, come noto, qualsiasi ingerenza nel diritto salvo che sia espressamente prevista dalla legge, persegua uno o più scopi legittimi e sia necessaria in una società democratica (per conseguirli). Ad avviso della Corte, si tratta di un’ingerenza prevista dalla legge (la norma penale che incrimina il furto), che persegue scopi legittimi (difesa dell’ordine pubblico e prevenzione di reati) oltre ad essere necessaria in una società democratica. Su questo punto, la Corte sottolinea l’attenzione delle giurisdizioni interne nel valutare la proporzionalità dell’ingerenza, tenendo conto adeguatamente dei motivi dei ricorrenti (§ 94). Le giurisdizioni interne avevano legittimamente basato le loro condanne sull’assenza di restituzione dei ritratti, dopo aver rilevato che la sola rimozione sarebbe bastata per esprimere il messaggio degli interessati. La Corte conclude affermando che, sebbene le autorità nazionali debbano usare cautela nel ricorrere alla pena quando è in gioco la libertà di espressione, le giurisdizioni interne hanno scelto pene particolarmente moderate, guidate dalla volontà di tenere conto della natura e del contesto degli atti di protesta (§ 118). Considerando sia l’importo esiguo delle ammende sia il fatto che le pene fossero sospese, la Corte ritiene che le condanne pronunciate contro i ricorrenti, tra le più miti possibili, non fossero sproporzionate rispetto allo scopo legittimo perseguito. Da tutte queste considerazioni, la Corte deduce che le autorità nazionali non hanno oltrepassato il margine di apprezzamento di cui gode lo Stato convenuto. La Corte stabilisce pertanto che queste decisioni di condanna degli attivisti climatici non violano l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. (Luca Franzetti)
Riferimenti bibliografici: L. Franzetti, I confini della libertà di espressione in caso di vilipendio alla bandiera, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, 4, pp. 1664 ss.
ART. 11 CEDU
C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 9 luglio 2025, Ucraina e Olanda c. Russia
Ingerenza ingiustificata nell’esercizio del diritto alla libertà di riunione pacifica - dispersioni forzate di manifestazioni pacifiche nel territorio occupato in Ucraina nei mesi di marzo e aprile 2022 – violazione
Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al diritto alla vita v. supra sub art. 2 e 13 Cedu . Nel marzo e aprile 2022 vi erano state almeno dieci istanze documentate di dispersione violenta di manifestazioni pacifiche nei territori occupati. Le forze russe avevano utilizzato armi da fuoco, manganelli, granate stordenti e gas lacrimogeni, causando morti e feriti. La Corte ha riconosciuto che, in quanto potenza occupante, lo Stato convenuto poteva adottare misure per mantenere l’ordine pubblico, ma non era stato dimostrato alcun fondamento giuridico valido nell’ordinamento interno o nel diritto internazionale umanitario che regolasse l’uso della forza in tali contesti. Qualsiasi norma che consentisse l’uso della forza letale contro manifestanti pacifici sarebbe stata, in ogni caso, incompatibile con l’art. 11 e non avrebbe rispettato il requisito della “qualità della legge” (§ 1380).
ART. 14 in relazione artt. 2, 3, 4 § 2, 5, 8, 9, 10 e 11 e artt. 1,2 prot. 1
C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 9 luglio 2025, Ucraina e Olanda c. Russia
Stato convenuto rimasto inadempiente nel garantire, nel territorio occupato in Ucraina, un esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione, esente da discriminazioni basate su opinioni politiche e origine nazionale – violazione
Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al diritto alla vita v. supra sub art. 2 e 13 Cedu. La Corte ha rilevato che, oltre agli atti di violenza contro civili, molte misure amministrative nei territori occupati erano dirette specificamente a cittadini ucraini o a chi esprimeva opinioni politiche a favore dell’unità dell’Ucraina. Tali pratiche includevano, ad esempio, il blocco dei media ucraini, il trasferimento forzato dei bambini ucraini in Russia, la soppressione della lingua ucraina nelle scuole e l’indottrinamento degli studenti ucraini. La Corte ha concluso pertanto che la Russia non ha garantito i diritti e le libertà previsti dalla CEDU (artt. 2, 3, 4 §2, 5, 8, 9, 10, 11, Prot. 1 artt. 1 e 2) nei confronti di persone discriminate sulla base dell’origine nazionale e delle opinioni politiche (§ 1605).
ART. 13 in relazione artt. 2, 3, 4 § 2, 5, 8, 9, 10, 11, 14 e artt. 1, 2 prot. 1
C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 9 luglio 2025, Ucraina e Olanda c. Russia
Stato convenuto rimasto inadempiente nell’indagare su presunte pratiche amministrative contestate fondate su accuse credibili e nel garantire un rimedio – violazione
Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al diritto alla vita v. supra sub art. 2 e 13 Cedu. La Corte ha rilevato che, data la tolleranza ufficiale verso le violazioni sistematiche nei territori occupati tra il 2014 e il 2022, qualsiasi rimedio previsto sarebbe stato inefficace a porre fine alla prassi amministrativa illegale. Pertanto, vi era una pratica amministrativa che violava l’art. 13, in combinazione con gli altri articoli già analizzati (§ 1620).
ART. 1 PROT. ADD e ART. 8
C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 9 luglio 2025, Ucraina e Olanda c. Russia
Distruzioni, saccheggi ed espropriazioni senza indennizzo di beni appartenenti a persone civili e a imprese private in Ucraina - saccheggi di abitazioni e di beni personali - violazione
Per la ricostruzione dei fatti e i profili relativi al diritto alla vita v. supra sub art. 2 e 13 Cedu. Dal 2014 in poi, le forze russe e separatiste avevano sistematicamente saccheggiato, distrutto, espropriato e nazionalizzato beni privati nei territori occupati. Dopo il 2022, il saccheggio e la distruzione di case, veicoli e beni personali erano divenuti pratiche diffuse, al di fuori di contesti di combattimento. Le autorità delle “DPR” e “LPR” avevano imposto registrazioni parallele e procedure arbitrarie per dichiarare “abbandonati” i beni non registrati, favorendo la loro confisca e nazionalizzazione. Oltre 400 aziende private erano state espropriate solo nel 2022 a Zaporizhzhia. Non vi era alcuna base legale né rispetto delle condizioni previste dal diritto internazionale umanitario; mancava ogni forma di indennizzo o procedura di compensazione (§ 1448). Le confische e distruzioni apparivano motivate da ragioni opportunistiche ed economiche, non da necessità militari. Per queste ragioni la Corte ha ravvisato una violazione dell’art. 1 prot. n. 1 (diritto alla proprietà) in relazione con l’art. 8.
ART. 2 PROT. N. 7 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 26 agosto 2025, Ftiti c. Grecia
Diritto a un doppio grado di giudizio penale – condanna immediatamente esecutiva – prima udienza d’appello celebrata a pena detentiva già espiata – diritto a impugnare la condanna non effettivo – violazione
Il ricorrente, cittadino tunisino residente a Creta, è accusato di furto di bestiame e, all’esito del giudizio di primo grado, viene condannato alla pena detentiva con annessa espulsione dalla Grecia non appena trascorso il periodo di reclusione. La condanna è immediatamente esecutiva e l’impugnazione, tempestivamente proposta dal ricorrente, non è in grado di sospenderne gli effetti. Così, prima ancora che si celebri il giudizio d’appello, il ricorrente viene espulso dalla Grecia, avendo già scontato la pena detentiva. E a causa della sua mancata comparizione in udienza, la Corte d’appello di Creta ne rigetta l’impugnazione. Reputando leso il diritto al riesame della propria condanna, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2 Prot. n. 7 Cedu (§ 2-17). Per la Corte europea, esiste un legame inscindibile tra l’art. 2 Prot. n. 7 Cedu e il diritto d’accesso al giudice, protetto dall’art. 6 comma 1 Cedu: sebbene il legislatore nazionale goda di un ampio margine di discrezionalità nel determinare i presupposti e le modalità di presentazione dell’impugnazione, una volta previsto un secondo grado di giudizio occorre che l’imputato possa effettivamente accedervi (§ 28-33). Nel caso di specie, il ricorrente non ha ottenuto un riesame effettivo della propria condanna, non avendo la sua impugnazione efficacia sospensiva ed essendosi svolto il giudizio d’appello a pena già espiata (§ 34-40). A uscirne pregiudicata è l’essenza stessa del diritto sancito dall’art. 2 Prot. n. 7 Cedu, che, di conseguenza, risulta violato. (Ettore Crippa)
Riferimenti bibliografici: G. Sorio, Diritto al doppio grado di giudizio e prevedibilità dei suoi limiti, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1563 ss.