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26 Gennaio 2022


La prescrittibilità dei reati (astrattamente) puniti con l’ergastolo: l’overruling della giurisprudenza di merito dopo le Sezioni unite

Trib. Caltanissetta (Ufficio GUP), sent. 25 ottobre 2021 (dep. 8 novembre 2021), Giudice Luparello



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1. Con la sentenza in epigrafe il Giudice dell’Udienza Preliminare di Caltanissetta, in sede di giudizio abbreviato, si pronunciava in merito a svariati omicidi e tentati omicidi perpetrati nel contesto delle faide mafiose degli anni ’90.

Tra le varie questioni di diritto affrontate nella decisione, merita particolare attenzione quella relativa alla prescrittibilità del reato di omicidio aggravato nel caso in cui lo stesso sia corredato da circostanze che, in astratto, comporterebbero l’applicazione dell’ergastolo (§ 7).

Il tema si è posto all’attenzione del giudicante in ragione del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 8 del D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 1991 n. 203, oggi art. 416-bis 1, comma 3, c.p. in favore di uno dei coimputati, accertato come responsabile di svariati reati di omicidio aggravati dalla premeditazione e dalla finalità di agevolazione mafiosa.

La questione è affrontata dal GUP in una prospettiva intertemporale, giacché i fatti in questione risultavano commessi prima dell’entrata in vigore della legge ex Cirielli.

Come è noto, infatti, l’art. 157 c.p. come modificato dalla legge ex Cirielli oggi testualmente stabilisce che “La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti” (comma 8).

Il bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti non sprigiona alcun effetto, dal momento che tali circostanze, per espressa volontà del legislatore, non incidono su quello che il giudice estensore della sentenza in commento icasticamente definisce “l’algoritmo prescrizionale”, come stabilito dal comma 2 dell’art. 157 c.p. (“Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante”), neanche mediante giudizio di bilanciamento, inibito dal comma 3 della citata norma (“Non si applicano le disposizioni dell'articolo 69 e il tempo necessario a prescrivere è determinato a norma del secondo comma”).

Il regime previgente, invece, oltre a non contenere alcuna espressa statuizione in merito alla imprescrittibilità dei reati puniti con l’ergastolo, modulava la disciplina dei termini di prescrizione sulla base dell’astratta gravità del reato, mediante un giudizio “elastico”, che teneva conto non solo del massimo edittale previsto per il reato, ma anche dell’incidenza sanzionatoria di tutte le circostanze aggravanti ed attenuanti (“Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell’aumento massimo di pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti” – art. 157 comma 2 c.p., testo previgente), eventualmente all’esito del giudizio di bilanciamento (“Nel caso di concorso di circostanze aggravanti e di circostanze attenuanti si applicano anche a tale effetto le disposizioni dell’articolo 69”, art. 157 comma 3 c.p., testo previgente).

La decisione in commento rivela l’originalità dell’apparato argomentativo proposto dal giudice nisseno nella prospettiva intertemporale dell’individuazione del regime normativo applicabile, ponendosi in espresso e ragionato dissenso rispetto ad un autorevole arresto delle Sezioni unite[1].

Nel caso in esame la sussistenza di circostanze aggravanti per il reato di omicidio volontario secondo il regime previgente alla legge ex Cirielli avrebbe avuto il duplice effetto sia di trasmutare la specie di pena applicabile, sia di rendere il reato imprescrittibile, secondo il disposto dell’art. 157 co. 2 c.p.

Tuttavia il giudice di merito, distaccandosi dall’apparato argomentativo delle Sezioni unite, ha ritenuto di applicare in toto l’art. 157 c.p. nel testo antecedente alla riforma ex Cirielli, statuendo che il concorso di circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, mediante il giudizio di prevalenza di quest’ultime ai sensi dell’art. 69 c.p., come espressamente previsto dal terzo comma dell’art. 157 cit. nella sua vecchia formulazione, doveva comportare l’effetto inverso, mantenendo ferma la comminatoria edittale della reclusione e, dunque, la prescrittibilità del reato in contestazione.

Nel caso di specie, dunque, stante il riconoscimento dell’attenuante della cd. collaborazione mafiosa e la conseguente applicazione della pena detentiva temporanea, il giudice di merito dichiarava non doversi procedere per i numerosi reati di omicidio contestati all’imputato in quanto gli stessi, ritenuti prescrittibili ai sensi dell’art. 157, comma 1, n. 2, c.p. nella pregressa e più favorevole formulazione nel termine di quindici anni, dovevano ritenersi estinti per intervenuta prescrizione.

 

2. La decisione in commento si pone in aperto e ragionato dissenso rispetto alla pronuncia n. 19756 del 24 settembre 2015, depositata il 12 maggio 2016, con la quale le Sezioni unite intervenivano in merito ad un contrasto giurisprudenziale[2] relativo alla prescrittibilità dei reati puniti (astrattamente) con l’ergastolo, peraltro in un caso di merito analogo a quello in esame al giudice nisseno[3].

La Suprema Corte descrive un primo orientamento formatosi in seno alle sezioni semplici, secondo il quale l’imprescrittibilità dei reati puniti con la pena dell’ergastolo sarebbe una costante interpretativa, indenne nel trapasso dal regime normativo previgente a quello delineato dalla legge ex Cirielli.

Secondo tale orientamento, dunque, la riforma del 2005, dunque, mediante l’introduzione dell’espresso disposto di cui all’art. 157 co. 8 c.p., si sarebbe limitata ad esplicitare quanto la giurisprudenza implicitamente già deduceva in passato dal dato testuale dell’art. 157 c.p. il quale, in ragione della prevista disciplina della prescrizione esclusivamente per i reati puniti con pene temporanee, nulla disponeva in merito ai reati puniti con l’ergastolo. Da ciò la giurisprudenza traeva indiretta conferma dell’imprescrittibilità di questo tipo di reati.

Da tale assunto il primo orientamento desumeva, inoltre, l’imprescrittibilità dei reati puniti con l’ergastolo anche a seguito della ricorrenza di circostanze aggravanti[4].

Secondo un diverso orientamento[5], invece, il regime prescrizionale antecedente alla legge ex Cirielli si fondava sulla pena in concreto applicata dal giudice all’esito dell’eventuale giudizio di bilanciamento, dimodoché l’imprescrittibilità del reato punito astrattamente con l’ergastolo risultava agganciata all’assenza di circostanze attenuanti, ovvero al loro giudizio di subvalenza rispetto alle aggravanti idonee a trasmutare il regime di pena da temporanea in perpetua.

I fautori di questo orientamento sostenevano, come è palese, l’applicazione ultrattiva ai sensi dell’art. 2 co. 4 c.p. della disciplina previgente per i delitti commessi prima della modifica dell’art. 157 c.p., in quanto disciplina in concreto più favorevole.

Le Sezioni unite[6], sposando il primo orientamento, enunciavano il seguente principio di diritto “Il delitto punibile in astratto con la pena dell'ergastolo, commesso prima della modifica dell'art. 157 cod. pen., per effetto della legge 5 dicembre 2005, n. 251, è imprescrittibile, pur in presenza del riconoscimento di circostanza attenuante dalla quale derivi l'applicazione di pena detentiva temporanea”.

In primo luogo, la Suprema Corte assumeva – come implicito argomento a sostegno della tesi maggioritaria – la sostanziale assenza di precedenti o opinioni contrarie alla teoria dell’imprescrittibilità dei reati puniti con l’ergastolo, anche se per effetto di circostanze aggravanti, riducendo di fatto, la tesi contraria, all’argomentazione sostenuta da alcune sparute sentenze[7], a partire da un caso del 2013[8] in cui la Suprema Corte sostenne la prescrittibilità del reato di omicidio volontario aggravato ai sensi dell’art. 576, primo comma, n. 1, c.p., stante il concorso con l’attenuante della minore età e delle circostanze attenuanti generiche.

L’argomentazione delle Sezioni unite e dell’orientamento rigorista dalle stesse sposato fonda su un primo postulato: la comminatoria dell’ergastolo colloca il reato del tutto al di fuori del perimetro normativo dell’art. 157 c.p., che opera solo ed esclusivamente per i reati soggetti a pena temporanea.

Secondo la Suprema Corte “la modificazione dell’articolo 157 cod. pen. in parte de qua assume in buona sostanza valore di norma di interpretazione autentica, in quanto, in occasione del generale riassetto dell’istituto della prescrizione, ha recepito «l’indicato principio di diritto nell’ordinamento positivo [...] allo scopo di dirimere ogni possibile controversia connessa alla problematica se, per l’affermazione dell’imprescrittibilità del reato, sia sufficiente l’astratta punibilità dello stesso con la pena dell’ergastolo ovvero l’applicazione effettiva delle circostanze aggravanti tale da comportare una condanna alla pena l’ergastolo» (Sez. 1, n. 11047 del 07/02/2013, Stasi, Rv. 254408; Sez. 1, n. 41964 del 22/10/2009, Pariante, Rv. 245080; Sez. 4, n. 341 del 07/02/1969, Cerrato, Rv. 113403; Sez. 3, n. 2856 del 16/12/1966, dep. 1967, Sciolpi, Rv. 103617; cfr., inoltre, Trib. mil. Roma, 22/07/1997, Priebke; e, sia pure indirettamente, Sez. 1, n. 12595 del 16/11/1998, Hass, n. m. sul punto)”[9].

Secondo le Sezioni unite il contrario indirizzo, per suffragare la tesi della prescrittibilità dei reati astrattamente punibili con l’ergastolo (in mancanza dell’irrogazione in concreto della pena perpetua), valorizzerebbe proprio il disposto dell’art. 157 commi 2 e 3 c.p. nel testo previgente.

Si tratterebbe, secondo il giudizio della Suprema Corte, della fallacia della ignoratio elenchi, giacché l’interprete applica alla categoria (dei reati imprescrittibili) regulae iuris non pertinenti, in quanto dettate per la classe differente costituita dai reati astrattamente punibili con pene diverse da quella detentiva perpetua.

Tale fallacia, secondo le Sezioni Unite, attribuirebbe al giudice di merito una funzione nomopoietica e “creatrice”, in quanto, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, pretermetterebbe la considerazione della pena astrattamente prevista dalla legge in favore della valorizzazione della pena concretamente applicata dal giudice, configurando, in tal guisa, una regola non prevista dall’ordinamento e in contrasto con la disciplina positiva.

Per questi motivi, la Suprema Corte nel massimo consesso concludeva affermando il principio di diritto sopra menzionato, statuendo l’imprescrittibilità dei reati puniti con l’ergastolo, quand’anche la pena detentiva perpetua fosse il frutto della contestazione di circostanze aggravanti.

 

 

3. Nella decisione in commento il giudice nisseno, in modo sintetico ma efficace, argomenta il suo dissenso rispetto al principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite, non tanto confutando gli argomenti posti a sostegno dalla Suprema Corte, quanto evidenziandone l’inconsistenza.

In primo luogo, il giudice di merito rileva che la pena naturaliter prevista per il reato di omicidio volontario è la pena detentiva temporanea, il che giustifica la piena inclusione del reato in questione nel regime di prescrittibilità delineato dall’art. 157 c.p.

La comminatoria dell’ergastolo è conseguenza della sussistenza di circostanze aggravanti, che solo mediante l’applicazione dell’art. 157 co. 2 c.p. incidono sul regime della prescrizione.

Il giudice di merito condivide l’assunto – sostenuto dalle Sezioni unite – secondo il quale, quanto all’imprescrittibilità dei reati puniti con la pena edittale dell’ergastolo, la formulazione in parte qua dell’art. 157 c.p. dovuta alla legge ex Cirielli si pone in linea di continuità con il dato legislativo precedente, come letto dalla giurisprudenza fino ad allora formatasi, che unanimemente escludeva la prescrittibilità dei reati puniti con la pena perpetua.

Tuttavia, pur essendo impregiudicato tale postulato – che può dirsi pacifico e incontestato, tanto nella decisione in commento quanto nell’arresto delle Sezioni unite – il giudice nisseno si distacca dal successivo passaggio argomentativo contenuto nella pronuncia delle Sezioni unite e definito dal giudice di merito come meramente “assiomatico”.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale poi sposato dalle Sezioni unite, infatti, nel novero dei reati sanzionati con la pena dell’ergastolo (e quindi imprescrittibili) devono essere inclusi anche quelli sanzionati con la pena detentiva perpetua in virtù dell’effetto di circostanze aggravanti.

Condivisibilmente, il giudice nisseno osserva l’impraticabilità di tale soluzione, ritenuta dal GUP frutto di una vera e propria “dissezione” dell’articolo in questione, dovendosi pertanto applicare nei casi analoghi a quelli sottoposti al suo esame – laddove ne sussistano le condizioni – l’art. 157 c.p. previgente nel suo integrale contenuto, comprensivo del comma 3, che nell’ipotesi di bilanciamento con eventuale prevalenza delle circostanze attenuanti attribuisce loro valore nel calcolo del regime prescrizionale, escludendo in tal modo l’applicazione in concreto della pena dell’ergastolo.

Nel corpo della motivazione il giudice di merito controverte altresì il secondo argomento sostenuto dalle Sezioni unite, secondo le quali il ricorso al criterio del bilanciamento nel calcolo del termine di prescrizione del reato costituirebbe un’usurpazione della funzione normativa da parte del giudice.

Sul punto il giudice nisseno giustamente rileva che l’incidenza del giudizio di bilanciamento nel calcolo del termine di prescrizione – oltre ad essere peraltro testualmente previsto dal disposto dell’art. 157 c.p. nella sua pregressa formulazione - in ogni caso non comporta alcuna sostituzione del criterio della (massima) pena in astratto stabilita dal legislatore con quello della pena concretamente applicata dal giudice[10].

Ed infatti, come stabilito dal comma 2 dell’art. 157 cit., il termine di prescrizione resta ancorato al massimo edittale previsto per il reato base nel caso di giudizio di equivalenza tra le circostanze, ovvero al massimo edittale previsto per il reato base, tenuto conto del massimo aumento previsto per l’aggravante prevalente, ovvero ancora al massimo edittale tenuto conto della minima diminuzione per l’attenuante prevalente, a prescindere dalla discrezionalità del giudice di applicare, nel caso concreto, qualsiasi pena commisurata in concreto nell’ambito della cornice edittale.

Il giudice di merito, dunque, conclude per una evidente cesura tra il regime prescrizionale stabilito dalla normativa previgente alla riforma ex Cirielli e quello delineato da quest’ultima, propendendo per la tesi della prescrittibilità dell’omicidio volontario aggravato (e, più in generale, dei reati puniti con la pena perpetua solo nell'ipotesi di corredo circostanziale aggravante), se commessi prima dell’entrata in vigore della legge ex Cirielli e corredati altresì da circostanze attenuanti che incidano nel meccanismo di bilanciamento.

 

 

4. Il ragionamento condotto dal GUP di Caltanissetta nella decisione in commento appare condivisibile, ponendo in risalto alcuni “vuoti argomentativi” contenuti nella decisione delle Sezioni unite e peraltro sottolineati altresì dalla dottrina che per prima ha commentato l’autorevole arresto[11].

Come condivisibilmente ritenuto dal giudice nisseno, non è controversa l’imprescrittibilità dei reati puniti con l’ergastolo per comminatoria edittale.

Tale acquisizione, risalente addirittura alla relazione ministeriale sul progetto di codice penale[12], appare pacifica ed ineccepibile.

L’art. 157 c.p., come sostenuto dalle Sezioni unite, non svolge solo una mera funzione di disciplina

della prescrizione dei reati ma anche una funzione categoriale, individuando l’ambito di applicazione dell’istituto. In tal senso, in virtù del primo comma dell’art. 157 c.p., è necessario individuare l’astratto trattamento sanzionatorio previsto per il reato nella sua forma non circostanziata, onde verificare la sua inclusione o meno nella categoria dei “reati prescrittibili”.

Pertanto, (unica) conseguenza logica di tale attività ermeneutica è l’imprescrittibilità dei reati astrattamente puniti con la pena dell’ergastolo, per ciò solo espunti dalla complessiva disciplina dell’istituto in parola[13], quand’anche corredati da circostanze che ne mutino il trattamento sanzionatorio[14].

Tuttavia, appare condivisibile l’opinione del giudice nisseno che reputa solo assiomatica e non dimostrata l’estensione dell’imprescrittibilità anche ai reati che, soltanto in virtù di circostanze aggravanti, risultano punibili con l’ergastolo.

Sebbene tale estensione sia confermata dalla giurisprudenza precedente all’avallo delle Sezioni unite e dalla dottrina[15], il passaggio logico risulta quanto meno “frettoloso” ed avrebbe meritato una maggiore ponderazione argomentativa da parte delle Sezioni unite, legittimando, pertanto, il motivato dissenso del giudice di merito[16].

Più nello specifico, il problema non concerne neppure le possibili ipotesi in cui il giudice di merito applichi l’ergastolo a seguito dell’applicazione dell’unica circostanza aggravante sussistente nel caso di specie.

Ed infatti, in tale ipotesi tanto nella formulazione legislativa previgente – che considerava nel calcolo del termine prescrizionale l’incidenza delle aggravanti – quanto nella legislazione attuale, che lo prevede expressis verbis – il reato in questione deve ritenersi imprescrittibile.

Tuttavia la pacifica imprescrittibilità dei reati puniti con la pena perpetua (edittale o frutto dell’aggravante) – interpretativamente dedotta, prima della ex Cirielli, oggi normativamente statuita –  non comporta, come ineludibile conseguenza logica, l’imprescrittibilità di reati che, edittalmente puniti con la pena temporanea – e dunque prescrittibili, ovvero inseriti nella classe apposita disciplinata dall’art. 157 c.p. – siano (astrattamente) punibili con la pena perpetua in ragione di circostanze aggravanti, ritenute equivalenti o subvalenti all’esito di un giudizio di bilanciamento.

Trattasi in questo caso, piuttosto che di una ineluttabile conseguenza logica, di una precisa scelta di politica criminale, non a caso effettuata dal legislatore – in modo, questa volta, innovativo e peggiorativo[17] – mediante la modifica dell’art. 157 c.p. ad opera della legge ex Cirielli, che ha sancito non solo (e non tanto) l’imprescrittibilità dei reati puniti con la pena dell’ergastolo anche in ragione della sussistenza di circostanze aggravanti, quanto piuttosto (in misura maggiormente dirimente per la questione in esame) l’irrilevanza del giudizio di bilanciamento.

Postulare l’imprescrittibilità di reati che, solo a seguito dell’applicazione di una circostanza aggravante, siano (astrattamente) puniti con l’ergastolo, non applicato in concreto a seguito di un giudizio di bilanciamento, non è altro che una malcelata applicazione retroattiva in malam partem del disposto normativo introdotto dalla legge ex Cirielli che, sul punto, rappresenta un’assoluta inversione di tendenza rispetto al regime previgente.

La ratio dell’intervento riformatore attuato con la legge ex Cirielli era quella di un evidente inasprimento del regime della prescrizione per i reati (astrattamente) puniti con la pena dell’ergastolo.

Come sottolineato dalla dottrina[18], infatti, la riforma delle regole della prescrizione rispondeva ad un’esigenza largamente condivisa all’epoca della legge ex Cirielli, volta a porre rimedio alle distorsioni applicative della prassi, inevitabilmente esposta alle variabili discrezionali legate al ruolo delle circostanze.

Ciò, da un punto di vista teleologico e politico–criminale, rappresenta un’ulteriore conferma dell’assenza di continuità tra il regime precedente e quello introdotto dalla riforma, quanto meno nello specifico ambito dell’imprescrittibilità dei reati astrattamente puniti con l’ergastolo a seguito del ricorrere di circostanze aggravanti.

Il principio di diritto delle Sezioni unite, dunque, appare connotato dall’applicazione di una sorta di “terza via” nell’individuazione del regime intertemporale nel caso al suo esame, per giunta con effetti deteriori per il reo e, dunque, contrari al principio generale del favor rei desumibile dall’art. 2 co. 4 c.p.

Di fatto, il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite postula un’applicazione dimidiata della disciplina del secondo comma dell’art. 157 c.p. dando rilievo nel calcolo dei termini di prescrizione all’aumento massimo di pena previsto per l'aggravante ed escludendo, invece, arbitrariamente, non solo l’incidenza astratta delle circostanze attenuanti ma anche l’intero terzo comma, che prevedeva la rilevanza del giudizio di bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti[19].

Come è evidente, trattasi di un fenomeno notoriamente considerato come un’illegittima applicazione del disposto dell’art. 2 c.p. da parte del giudicante che, lungi dall’individuare la lex mitior tra gli orditi normativi posti in toto alla sua attenzione, di fatto fabbrica una inesistente legge-collage, combinando alcuni aspetti della precedente disciplina ed altri di quella successiva.

Tale applicazione risulta non solo in contrasto con il principio costituzionale della retroattività della lex mitior ma, in quanto espressione di quell’ermeneutica creatrice che proprio le Sezioni unite in questione miravano a sconfessare, viola apertamente i corollari costituzionali della riserva di legge e del divieto di analogia.

 

[1] Sez. un., sentenza n. 19756 del 24 settembre 2015 Ud., dep. il 12 maggio 2016.

[2] Definito dalla dottrina come “contrasto postumo”, in quanto insorto in tempi recenti con riguardo all’interpretazione di un quadro normativo ormai superato. Cfr. Cass. pen., Sez. I, 27 febbraio 2013, n. 9391, in Diritto penale e processo, 5, 2013, con una nota di G. Leo, Reati puniti con l’ergastolo e prescrizione, 549 ss. Il contrasto era già stato segnalato dall’Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione (Relazione n. 20131016 dell’8 aprile 2013, pubblicata a gennaio 2014.)

[3] Invero le stesse Sezioni unite travalicano i confini della quaestio juris rimessa alla loro attenzione, estendendo e generalizzando l’applicazione del principio di diritto a tutti i casi analoghi in cui si controverta circa la prescrittibilità o meno di reati puniti con la pena dell’ergastolo a seguito del riconoscimento di circostanze aggravanti. Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 12 maggio 2016, n. 19756, in Diritto penale e processo, 11, 2016, con una nota di F. Rippa, La prescrizione dei reati punibili con l’ergastolo al vaglio delle Sezioni unite, 1446 ss.

[4] App. mil. Roma, 7 marzo 1998, Priebke, in Diritto penale e processo, 1998, 1122, con nota di S. Riondato, Fosse ardeatine: ergastolo per Priebke e Hass; tuttavia, come accortamente sottolineato da F. Rippa, op. cit., 1446 ss. nel precedente citato la questione verteva sulla possibilità o meno di applicare ultrattivamente l’art. 69, comma 4, c.p., nella vecchia formulazione che escludeva il giudizio di comparazione con le circostanze attenuanti eventualmente concorrenti. Soltanto indirettamente, dunque, la Corte romana affrontava l’esegesi dell’art. 157 c.p., poiché si riteneva, in ipotesi, di dover considerare concretamente punibili con la pena dell’ergastolo i reati contestati, in quanto inapplicabile il giudizio di comparazione con le circostanze attenuanti, pur potenzialmente configurabili nel caso di specie. Ritiene, invece, che il precedente sia una conferma dell’orientamento maggioritario circa l’imprescrittibilità dei reati puniti (astrattamente) con l’ergastolo M. Ricciarelli, La prescrittibilità dei reati puniti con l’ergastolo secondo la disciplina previgente: un contrasto risolto?, in Arch. Pen., 2014, n. 3, 4.

[5] Cass. Sez. 1, 22 maggio 2014, n. 32781, Abbinante, Rv. 260536; Cass. Sez. 1, 1 aprile 2014, n. 35407, Fracapane, Rv. 260534; Cass. Sez. 1, 17 gennaio 2013, n. 9391, 0., Rv. 254407.

[6] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 12 maggio 2016, n. 19756, in Diritto penale e processo, 11, 2016, con una nota di F. Rippa, La prescrizione dei reati punibili con l’ergastolo al vaglio delle Sezioni unite, 1446 ss.

[7] Cass. Sez. 1, 24 marzo 2014, n. 42040, JA/ 8 Anselmo; Cass. Sez. 1, 24 marzo 2014 n. 42041, Acri, Rv. 260503; Cass. Sez. 1, 27 gennaio 2015 n. 20430, Bilardi, Rv. 263687.

[8] Cass. Sez. 1, 17 gennaio 2013, n. 9391, 0., Rv. 254407.

[9] Sez. Un., 12 maggio 2016, n. 19756, 5.

[10] Dello stesso avviso I. Gittardi, Una discutibile sentenza delle Sezioni Unite su prescrizione e reati punibili con l’ergastolo commessi prima del 2005, in www.penalecontemporaneo.it, 13 giugno 2016.

[11] I. Gittardi, op. cit.

[12] Nella quale si legge che perché il reato sia suscettibile di prescrizione “è necessario che siasi quasi perduta la memoria del fatto criminoso e che l’allarme sociale, da esso suscitato, sia scomparso. Or una così radicale e profonda modificazione di cose non si verifica per i reati atroci e gravissimi, che lasciano nella memoria degli uomini un’orma e un ricordo tanto pauroso da non eliminare mai completamente l’allarme sociale (…) “data la gravità eccezionale di simili delitti, è da ritenersi che l’impressioni da essi destata nella popolazione non venga mai meno completamente con il decoroso del tempo; che sia utile, ai fini della prevenzione, il sapere che tali reati non si estinguono mai, e che torni vantaggiosa in ogni tempo, come esempio e come rassicurazione, la condanna” (Relazione ministeriale al Re sul progetto del codice penale, I, 79-206). Cfr. V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, III, V, Torino, 1981, 546.

[13] La dottrina è unanime sul punto. Cfr. A. Trabacchi, Art. 157, in Dolcini-Marinucci (a cura di), Codice penale commentato, I ed., 1999, pag. 1145 si limita ad affermare che "Sono imprescrittibili i reati per i quali è prevista la pena (di morte e) dell'ergastolo"; nello stesso senso, V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, V ed., 1981, vol. III, pag. 533 e ss.; G. Fiandaca -E. Musco, Manuale di diritto penale. Parte generale, III ed., 2002, p. 742; S. Panagia, Art. 157, in Crespi-Stella-Zuccalà (a cura di), Commentario Breve al Codice Penale, III ed., 1999, pag. 533; G. Diotallevi, Art. 157, in G. Lattanzi – E. Lupo (a cura di), Codice Penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, I ed., 2000, vol. IV, pag. 188 e ss. 

[14] M. Romano, Art. 157, in Romano-Grasso-Padovani, Commentario sistematico del codice penale, vol. III, ed. 1994, 65 secondo il quale resta imprescrittibile il reato edittalmente punito con la pena dell’ergastolo quand’anche il disposto dell’art. 65 n. 2 c.p. renda applicabile la pena temporanea, in quanto la previsione edittale estromette ab origine il reato in questione dall’ambito applicativo dell’art. 157 c.p.

[15] Secondo F. Rippa, op. cit., 1452, la continuità normativa nel regime della prescrizione si situerebbe esclusivamente nell’operatività del regime delle circostanze, impregiudicata invero l’imprescrittibilità dei reati puniti astrattamente con l’ergastolo, anche in ragione di una circostanza aggravante.

[16] Tale dissenso rappresenta, allo stato, l’unica strada praticabile per il giudice (penale) di merito: sul punto, la legge 26 novembre 2021, n. 206 (Riforma Cartabia) non ha previsto tra i principi e criteri direttivi di riforma del processo penale un istituto analogo a quanto previsto per il processo civile dall’art. 1, comma 9, lettera g), che introduce per il giudice civile un’ipotesi di rinvio pregiudiziale alla Suprema Corte, sebbene nel caso – diverso da quello che ha occupato il giudice nisseno – di questioni di diritto di estrema importanza mai affrontate in precedenza dalla Suprema Corte. Né l’attuale sistema penale prevede per il giudice di merito la possibilità di una rimessione, adeguatamente “motivata”, alle Sezioni unite nel caso di dissenting opinion rispetto ad una loro precedente decisione, a differenza di quanto obbligatoriamente statuisce l’art. 618 co. 1-bis c.p.p. per le sezioni semplici della Corte. Cfr. A. Cadoppi, Giudice penale e giudice civile di fronte al precedente, in Ind. pen., 2014, 26 ss.; G. Fidelbo, Il precedente nel rapporto tra sezioni unite e sezioni semplici: l’esperienza della Cassazione penale, in www.questionegiustizia.it, 4, 2018.

[17] Come ritenuto, ad esempio, da C. Fiore – S. Fiore, Diritto penale parte generale, Milano, 2008, 639.

[18] C. Fiore – S. Fiore, Diritto penale parte generale, Milano, 2008, 637 ss.

[19] I. Gittardi, op. cit.