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  Opinioni  
19 Settembre 2022


Un ricordo di Mireille Delmas-Marty e dei suoi progetti di ricerca


*Questo breve scritto ripropone, con alcune modifiche e integrazioni, il testo letto nel corso della cerimonia Cheminer avec Mireille Delmas-Marty svoltasi presso l’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne il 4 luglio 2022.

 

Ci sono incontri capaci di modificare il destino delle persone, di indirizzare le loro vite verso percorsi del tutto imprevisti e che solo molto tempo dopo possono essere adeguatamente compresi. L’incontro con Mireille Delmas-Marty, indubbiamente, ha segnato il mio lavoro e più in generale la mia vita, aprendola a temi, luoghi e persone che l’hanno arricchita di esperienze e di ricordi indelebili.

Il mio primo incontro con Mireille risale al 1984. Grazie a una serie di borse di studio del Consiglio Nazionale delle Ricerche facevo da qualche anno il pendolare tra l’Università di Ferrara e l’Università di Parigi II, dove stavo studiando le riforme del sistema sanzionatorio francese. Per questa ragione il compianto prof. Cesare Pedrazzi di Milano mi aveva proposto di collaborare a una ricerca in tema di criminalità economica e mi aveva chiesto di contattare la professoressa Delmas-Marty, i cui studi in materia avevano attirato l’attenzione della dottrina italiana.

 

Quello che subito mi colpì in lei fu un inspiegabile carisma che mi indusse ad aderire da subito e senza alcuna esitazione alla sua proposta di collaborare alla Revue de science criminelle et de droit penal comparé, di cui allora era redacteur en chef, e di partecipare ai gruppi di ricerca che si accingeva a organizzare.

Da quel giorno e sino all’ultimo – dunque per 38 anni – il dialogo tra Mireille e me non ha conosciuto interruzioni, anzi si è progressivamente aperto a questioni e problemi che mai mi sarei sognato di affrontare senza il suo impulso e la sua guida, senza la sua incredibile capacità di dare vita a progetti di ricerca sui temi più stimolanti e moderni, sempre affrontati con metodo innovativo e spirito visionario.

 

Ricordo, innanzitutto, il seminario Politique criminelle et droits de l’homme organizzato da Mireille presso l’Institut de droit comparé di Parigi al n. 28 di rue Saint Guillaume, durato dal 1987 al 1989 e finalizzato ad analizzare le molteplici e controverse interferenze della CEDU sui sistemi punitivi nazionali. L’esame dell’attitudine della Convenzione a vincolare le scelte sanzionatorie dei Paesi membri e le loro stesse prassi applicative nel nome dei diritti fondamentali si accompagnò così all’indagine sia delle molteplici forme di “resistenza” degli Stati nei confronti della CEDU, sia delle deroghe ed eccezioni alla tutela dei diritti previste dallo stesso sistema convenzionale. Deroghe ed eccezioni che, specie se esorbitanti dai loro naturali argini disegnati dal “margine di discrezionalità” attribuito ai singoli Stati in relazione ad esse, minacciavano e tuttora minacciano di compromettere le conquiste di civiltà correlate alla CEDU; e questo specialmente in taluni dei settori più problematici degli ordinamenti penali nazionali, primi fra tutti quelli relativi alla lotta al terrorismo e al controllo dell’immigrazione. Di qui la focalizzazione del seminario sui criteri interpretativi adottati dalla Corte EDU per contenere le pretese derogatorie degli Stati, dunque sulle condizioni di legalità, legittimità e necessità democratica alle quali le limitazioni dei diritti vanno condizionate; ma anche sugli inevitabili limiti di tutela insiti in un sistema di protezione dei diritti che non può prescindere da un consenso di massima dei Paesi membri.

L’esito del seminario fu uno studio che evidenziava le miserie e gli splendori di un sistema europeo di salvaguardia dei diritti deputato ad armonizzare le politiche criminali nazionali nel segno di un innalzamento dei loro standard garantistici. Senza per questo sottostimare i persistenti rischi di minimizzazione dell’incidenza della CEDU sul diritto interno, lo studio metteva in luce e valorizzava gli sforzi di razionalizzazione rinvenibili nei percorsi argomentativi della Corte EDU, espressivi di quella logica flue sulla quale Mireille stava cominciando a focalizzare la sua attenzione.

 

Ricordo poi una ricerca specificamente dedicata, appunto, alla logica flou; ricerca intrapresa anch’essa alla fine degli anni ’80 del secolo scorso e voluta da Mireille per vagliare nuove forme di razionalità giuridica, per cogliere le opportunità offerte dal ragionamento fuzzy quando questo viene utilizzato per “ordinare il molteplice” senza scadere in manifestazioni di arbitraria discrezionalità. Studiavamo le nozioni floues che la Corte europea dei diritti dell’uomo ricavava dal diritto comparato ed europeo, a partire da quella di “materia penale” (alla quale vanno collegate le fondamentali garanzie processuali) e da quella di “margine nazionale di discrezionalità” (riconosciuto a ciascuno Stato nella valutazione delle misure derogatorie dei diritti CEDU, la legittimità delle quali viene fatta dipendere dalla loro “necessarietà in una società democratica”). Analizzavamo i criteri elaborati dalla Corte per delimitare le suddette nozioni. Nel tentativo di approfondire ulteriormente tali questioni ricorrendo al contributo di altri saperi ci trovavamo una volta al mese sempre in rue Saint Guillaume, in una piccola stanza con al centro un tavolo attorno al quale dialogavano tra loro, non senza una certa fatica, penalisti, criminologi, filosofi e matematici. Questi ultimi, per vero, la facevano da padrone: il tempo dei computer portatili era ancora di là da venire, cosicché il tavolo si riempiva di grandi fogli di carta zeppi di formule matematiche scritte a penna che mettevano a dura prova la mia presunta predisposizione per questa materia.

 

Ricordo ancora meglio, in quanto meno risalenti nel tempo, due ricerche sull’armonizzazione penale organizzate da Mireille e nate dalla sua consapevolezza che l’epoca del relativismo assoluto del diritto penale, derivante dalla originaria dimensione meramente nazionale di quest’ultimo, era da ritenersi ormai alle spalle. Mireille aveva ben chiaro che nuovi organismi sovranazionali e internazionali stavano incidendo sempre più pesantemente sulle politiche criminali degli Stati; che la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali richiedeva – quantomeno a livello europeo – un ravvicinamento delle risposte punitive nazionali capace di evitare o quantomeno di limitare il fenomeno del forum shopping nell’ambito delle attività illecite; che la progressiva  universalizzazione dei diritti dell’uomo condizionava vieppiù le scelte sanzionatorie dei singoli Paesi e più in generale il loro diritto criminale e il relativo processo.

Tuttavia, una armonizzazione penale non realizzata spontaneamente dagli Stati, e dunque imposta “dall’esterno”, cozzava con il carattere intrinsecamente autarchico della materia penale e poneva tutta una serie di problemi che andavano indagati per trovarne la soluzione.

Si trattava, innanzitutto, di distinguere  e scegliere tra i diversi processi di trasformazione dei sistemi di giustizia criminale riconducibili al concetto di armonizzazione in senso lato: processi attivati sia dai meccanismi di coordinazione dei suddetti sistemi traducentisi in forme di cooperazione reciproca incentrate sul principio del mutuo riconoscimento, sia dai fenomeni di avvicinamento espressivi di una vera e propria armonizzazione, sia dalle dinamiche di ibridazione capaci prima o poi di sfociare in forme di parziale unificazione dei sistemi penali nazionali e financo in un vero e proprio sistema penale europeo a carattere più o meno settoriale. Un sistema, questo, che in un lontano futuro potrebbe davvero affermarsi e poi ampliare progressivamente i suoi settori di competenza e i suoi ambiti applicativi, sino a confondersi all’interno di un unico sistema penale mondiale; oppure potrebbe continuare a operare entro i confini del vecchio continente, contrapponendosi idealmente ad altri sistemi penali di matrice statuale o continentale espressivi di civiltà persistentemente lontane dalla nostra.

Si trattava, poi, di confrontare e bilanciare le ragioni dell’armonizzazione con le ragioni del mantenimento delle diversità nazionali, alla ricerca del limite momentaneo da non superare nel processo di ravvicinamento dei sistemi penali degli Stati europei; si trattava di individuare le fonti giuridiche più adeguate per dar vita a un siffatto processo nel rispetto dei principi di legalità e di democrazia; si trattava, per quanto concerne in particolare l’armonizzazione delle misure penali, di fare una ricognizione delle tipologie sanzionatorie applicate dai Paesi europei, alla ricerca di comuni denominatori, di indicatori di gravità dei reati accettabili da tutti questi Paesi e capaci di conformare al principio di proporzionalità le pene comminate dalla legge e irrogate dal giudice; si trattava di reperire razionali criteri di efficacia della sanzione e di privilegiare modelli punitivi capaci di coniugare la funzione di prevenzione generale con la funzione di rieducazione/risocializzazione.

Man mano che le ricerche avanzavano emergevano progressivamente i diversi artefici (pubblici e privati) dei processi armonizzanti considerati, così come i fattori (politici, sociali, economici, tecnologici) che ne determinano l’evoluzione. Gli ambiziosissimi traguardi costituiti, in particolare, dalla elaborazione di una vera e propria teoria dell’armonizzazione penale, dalla individuazione dei modelli di quest’ultima e da una sua valutazione critica in chiave di opportunità e legittimità apparivano sempre meno lontani e, forse, potevano considerarsi almeno in parte raggiunti.

 

Da ultimo, ricordo il grande lavoro di squadra organizzato da Mireille e teso a fare il punto sullo stato dell’arte del diritto penale europeo dopo il Trattato di Lisbona. Ormai ciò che alcuni di noi avevano da tempo immaginato ed auspicato – una vera e propria, seppur indiretta, competenza penale dell’Unione europea supportata da adeguate fonti normative improntate al metodo comunitario, una Carta dei diritti fondamentali UE destinata a favorire il processo di costituzionalizzazione dell’Unione, la previsione in tale Carta di taluni essenziali principi in materia penale – era divenuto realtà. Tuttavia questo diritto penale europeo, seppure ora sottratto alle ambiguità del c.d. Terzo Pilastro UE, continuava ad avere profili controversi e in larga misura inesplorati. Occorreva, dunque, individuare gli esatti contenuti dei suoi principi fondamentali (sussidiarietà, necessità, proporzionalità e legalità); occorreva perimetrare i settori normativi demandati, volta a volta, alla competenza penale autonoma o alla competenza penale accessoria dell’Unione; occorreva vagliare le interazioni tra la Corte di giustizia, i giudici comuni nazionali, le corti costituzionali e la stessa Corte EDU. Si trattava, all’evidenza, di compiti improbi e dunque capaci di scoraggiare chiunque. Ma, giunti a questo punto, eravamo tutti fiduciosi che i meccanismi ideati e progressivamente affinati nel corso di tre decenni da Mireille per consentire lo svolgimento al meglio delle sue ricerche si sarebbero dimostrati anche questa volta all’altezza della sfida. 

 

In effetti, sotto la sua direzione – ferma ma al contempo aperta al confronto – i progetti di ricerca messi in piedi da Mireille sono sempre progrediti con una speditezza peraltro aumentata col passare degli anni; anche perché i partecipanti, o quantomeno alcuni di essi, potevano giovarsi di un affiatamento maturato nel corso delle precedenti esperienze che li avevano visti coinvolti. Le idee esposte da ognuno di noi venivano immediatamente raccolte, vagliate, perfezionate e rilanciate dagli altri compagni d’avventura, i nostri computer portatili, che ormai da tempo possedevamo, si riempivano in fretta di dati, di tabelle, di termini linguistici di nuovo conio capaci di superare le specificità dei singoli diritti nazionali e delle nostre diverse formazioni scientifiche. Quasi senza accorgersene, attorno a Mireille si era formata una piccola comunità di studiosi dotata di una propria cultura giuridica e di punti di vista, se non coincidenti, quantomeno indubbiamente compatibili; una comunità che nemmeno la morte di Mireille è riuscita a disperdere.

 

Di quel periodo di intenso studio restano una nutrita serie di articoli a due o più mani e alcuni libri-pilota che stentano a invecchiare e che tuttora mi trovo a sfogliare con un misto di curiosità e nostalgia: Raisonner la raison d’État. Vers une Europe des droits de l’homme (1989); L'harmonisation des sanctions pénales en Europe (2003); Les chemins de l'harmonisation pénale (2008); Le droit pénal de l'Union Européenne au lendemain du Traité de Lisbonne (2012). Tali opere, così come gli altri libri di Mireille che ho avuto la fortuna di leggere, si sono rivelati preziosi quando, a mia volta, ho iniziato a organizzare progetti di ricerca in tema di diritto penale europeo, spesso confidando nell’aiuto dei “vecchi” collaboratori di Mireille. È dunque anche e soprattutto grazie alle idee della nostra comune Maestra, al suo metodo di lavoro e alle persone conosciute in occasione di queste ricerche che tali progetti hanno ottenuto generosi finanziamenti da parte della Commissione europea e sono giunti in porto.

Mentre riassumo sinteticamente questi miei ricordi, mi rendo conto che, per quanto ci si sforzi, è un’impresa davvero impossibile far rivivere in una pagina scritta certe persone, certe esperienze connesse al loro fortunato incontro. Si è seduti assieme attorno a un tavolo, si sta approfondendo un tema specifico e si crede di stare solo lavorando. Ma poi, alla resa dei conti, ci si accorge che da quei lavori in cui si è cercato di dare il meglio di noi è nato un profondo legame, una vera amicizia, un sincero affetto; e che questi sentimenti sono per sempre.