Traduzione e adattamento al diritto penale spagnolo di Bárbara San Millán Fernández
La recensione è stata tradotta dallo spagnolo da Francesco Macrì. La recensione è in corso di pubblicazione nella Revista de Derecho Penal y Criminología, 2021. Il testo originale è pubblicato anche in Criminal Justice Newtork. L’agevole reperibilità del testo spagnolo ha suggerito di privilegiare, in qualche passaggio della presente traduzione, la scorrevolezza dell’italiano rispetto alla letterale corrispondenza con originale.
All’inizio del viaggio a cui questo libro invita, l’autore manifesta l’intenzione di descrivere quella che spesso è etichettata come parte generale della parte speciale del diritto penale. Nonostante tali premesse, mano a mano che si avanza nella lettura del testo ci si addentra in una riflessione profonda sul diritto penale nel suo complesso, il che dimostra l'inestricabile connessione tra le sue supposte ripartizioni.
Anche se è stato ripetutamente affermato che la divisione tra la parte generale e quella speciale -pur ammissibile e valida come risorsa pedagogica ed espositiva- non smentisce la sua vincolatività d’insieme a livello dottrinale - la cosiddetta parte speciale è il vero banco di prova della parte generale - non sempre siffatta intima connessione è presentata con la trasparenza e la creatività delle risorse didattiche che è evidente in questo libro.
L'autore ci conduce in questo viaggio con la maestria di chi, in una lunga carriera ricca di opere di particolare rilevanza scientifica, ha percorso in molte occasioni il tragitto. Il che non ci meraviglia posto che il catedrático dell'Università di Firenze, in aggiunta al suo prestigioso percorso accademico italiano ed alle sue pubblicazioni anteriori, è un profondo conoscitore del diritto penale anglosassone, visti i suoi reiterati soggiorni di ricerca e docenza a Chicago e a Londra e i suoi scritti sui concetti caratterizzanti tale ambito, il che gli conferisce la padronanza di una prospettiva più 'universale' e capace di andare oltre quella limitata alla tradizione giuridica dell'Europa continentale.
Il libro stupisce il lettore, abituato alle aride esposizioni tradizionali, posto che per illustrare i concetti l’autore non risparmia risorse letterarie e teoriche, spaziando dall'etimologia alla storia dell'arte fino agli strumenti elettronici, mezzi ai quali il professore fiorentino ricorre in ogni momento con incredibile ed invidiabile immediatezza.
A partire dall'idea di speciale e di specialità, esplorata nella sua dimensione etimologica, l'autore perviene, in ciò che potremmo definire come sua prima approssimazione alle fattispecie penali, a concretizzarne la nozione come visibilità, specchio o visione speculare, che opera in seno ad un testo che esprime una narrativa. Viene così rimarcata una caratteristica delle fattispecie derivante dal fatto che il legislatore coglie con la sua immaginazione un qualcosa che non deriva dal caso, ma che al contrario appartiene alla realtà. In questa concezione della fattispecie penale che corrisponderebbe alla sua versione classica o tradizionale, l'autore ritiene che la figura che la fattispecie riflette escluda dal suo ambito condotte che, per quanto si connotino per tutte le caratteristiche incarnate dalle parole testuali della norma, non coincidono con l'immagine socialmente condivisa del fatto. Cioè con l’immagine che il legislatore ha colto al momento dell'elaborazione della fattispecie legislativa.
Questo tipo di riflessioni non sono consuete nell'ambito dell'attuale dogmatica penale, forse perché non è si è ancora superato in modo sufficiente il trauma – o cicatrice ideologica – che ci ha lasciato l'irruzione della scuola di Kiel, quando invocava concetti come la immagine sociale dell'autore per limitare l'ambito dell'illecito, in particolare con riferimento a delitti funzionali al regime, ma altresì per estendere la punibilità di fronte al nemico. Nella sua analisi, Michele Papa sovverte completamente tale approccio ermeneutico, perché appellandosi all'immagine sociale colta dal legislatore non si riferisce all'autore, bensì al fatto, conferendole il significato eminentemente garantista di una restrizione dell'ambito della tipicità penale. Esattamente all'opposto della scuola di Kiel, l'autore non invoca l'immagine sociale per dire “costui è (o non è) un ladro”, bensì per dire “questo non è un furto”, ovverosia come strumento di riduzione dell'estensione dell'ambito del penalmente proibito che deriverebbe da una mera analisi esegetica del testo della fattispecie.
Forse in lingua spagnola è un po' più complesso esprimere tale punto. Difatti, la traduzione di 'Tatbestand' in 'tipo', traduzione ormai consolidata e che è consigliabile non osare modificare, non è del tutto esatta. La traduzione esatta del termine “Tatbestand” sarebbe “ipotesi di fatto” ('supuesto de hecho'), che poi si trasfonde con maggior chiarezza nel concetto di 'fattispecie', passando alla lingua italiana.
'Tipo' nella lingua spagnola denota sempre qualcosa di esemplare, ragion per cui non ci consente, come in tedesco faceva Max Ernst Mayer, di conferirle un doppio significato come fattispecie astratta (supuesto de hecho legal) (ciò che noi usualmente etichettiamo quale 'tipo' nel senso di modello normativo) e come fattispecie concreta (supuesto de hecho fáctico) (che sarebbe il dato della realtà da inquadrare in quello normativo appena menzionato). La nostra traduzione ci permette unicamente di esprimere la prima delle due accezioni.
Ad ogni modo, l'autore si persuade rapidamente che l'idea – chiamiamola tradizionale – del tipo/fattispecie si stia smarrendo nella legislazione penale, man mano che questa si va caratterizzando per una crescente produzione di leggi penali speciali e, in particolare, per effetto di ciò che altri autori designano usualmente come la c.d amministrativizzazione del diritto penale.
In questo processo, le fattispecie – che non sono più immagini socialmente condivise – soffrono di un eccesso di 'formalizzazione', che tende a trasformarle in 'segni' o 'etichette', concetto che il libro esprimere graficamente in modo ingegnoso. Di fronte all'esplosione della legislazione penale, le fattispecie non risultano più adatte ad essere codificate in un testo armonico, rispecchiante quel concetto di codice adottato sin dall'Illuminismo.
In tal senso il libro raffigura l'espansione del diritto penale come un big bang del suo universo, dal quale si originerebbero galassie nane, nel senso che si produce il fenomeno di una crescente decodificazione della legislazione penale attraverso la moltiplicazione di leggi speciali e finanche di diritti penali speciali.
A siffatto proposito, ci si sofferma sulla curiosa riserva di codice stabilita dalla legge italiana, che impone che ogni disposizione normativa di carattere penale sia collocata nel codice, con la finalità di evitare la perdita della centralità assegnata alla codificazione – precisamente a partire dal testo pionieristico di Pietro Leopoldo di Toscana –, in uno sforzo tendente a bloccare quella che parrebbe essere una marcata tendenza alla frammentazione legislativa penale.
Con buon criterio, il nostro autore richiama l'attenzione su qualcosa che – dobbiamo confessarlo – ci ha sempre intrigato, e cioè la circostanza che la cosiddetta 'riserva di codice' italiana non ha fondamento costituzionale, bensì legislativo, il che implica che si tratti di una norma legislativa ordinaria, che intende regolare le leggi di tutte le future legislazioni. Ovviamente, non trattandosi di norma di rango costituzionale, nulla impedisce che in futuro un diverso legislatore concreto possa discostarsi completamente da quanto stabilito dalla legge de qua.
È interessante soffermarsi su questo aspetto, perché sembra che non si sia riflettuto abbastanza sulla questione con riferimento al diritto positivo vigente in Argentina, nel quale la regola che gli italiani designano come riserva di codice è sancita dalla nostra Costituzione nazionale sin dal 1853 e il Congresso nazionale la viola continuamente.
Si consideri infatti che l'inciso 12° dell'articolo 75º della Costituzione argentina non impone al Congresso nazionale di emanare leggi penali, bensì di emanare i codici civile, commerciale, penale, delle miniere, e del lavoro e sicurezza sociale, in corpi ('cuerpos') unificati o separati: a tal riguardo la qualificazione come 'separati' è comunque riferita ai 'corpi', e dunque non a leggi slegate dai suddetti, le quali sono distinte in modo netto nel medesimo inciso nel momento in cui quest'ultimo fa riferimento più avanti alle 'leggi generali'.
L'autore si fa carico delle difficoltà che possono derivare da questa riserva di codice a fronte della proliferazione di disposizioni penali concernenti materie speciali, soprattutto – se non abbiamo compreso male – qualora suscettibili di alterare l'architettura del codice e rendere quest'ultimo un testo disarmonico e fors'anche, attenendosi alle regole di Radburch, caratterizzato da un'estetica penosa.
Non siamo ottimisti come il caro professore fiorentino che non considera ciò un fenomeno totalmente negativo, relativamente alle motivazioni di una simile proliferazione di leggi penali speciali. Pur se il male assoluto non è di questo mondo, riteniamo una simile dinamica negativa per il futuro del diritto penale e delle garanzie del vecchio diritto penale politicamente liberale che ogni giorno sta perdendo terreno per effetto di un'incredibile inedia politica e legislativa.
Non siamo molto convinti che il big bang penale sia dovuto alla natura delle materie in relazione alle quali sussisterebbe una necessità di legiferare, bensì riteniamo che, almeno in base all'esperienza latinoamericana, derivi da un anelito a coltivare un'idolatria della legge penale e del potere punitivo come soluzione a tutti i problemi sociali che il potere legislativo non voglia o non possa risolvere e per i quali, in definitiva, vende come apparenti soluzioni reali quelle che non rappresentano altro che la prova della sua impotenza o incapacità. A ciò occorre poi aggiungere, ovviamente, il populismo penale finalizzato a incrementare il consenso elettorale.
Come risultato di tutto ciò – almeno in America Latina – stiamo tornando al sistema delle vecchie compilazioni di leggi spagnole coloniali o delle ordenações del diritto portoghese, le quali peraltro almeno avevano il vantaggio di essere redatte in un buon spagnolo o in un elegante portoghese.
Proseguendo nel viaggio lungo il percorso per il quale ci conduce l'autore, ci imbattiamo in una ricchissima serie di proposte e osservazioni fortemente significative, tra le quali – pur non potendoci soffermare su tutte – spicca in particolare quella riferita alla razionalità della pena, poche volte recepita dalla nostra giurisprudenza, risultante dal contesto nel quale si inseriscono le fattispecie penali, con riferimento alla differente intensità di gerarchia e al grado di lesione dei beni giuridici. Alcune volte i nostri tribunali hanno fatto riferimento a questa concezione di razionalità di fronte all'esagerazione di pena comminata per un furto di autoveicolo, peraltro non frequentemente e comunque senza un'adeguata recezione da parte della nostra dottrina, in seno alla quale persiste la focalizzazione sulla funzione di prevenzione generale negativa della pena e, più di recente, sulla prevenzione generale positiva.
Un altro rilevante aspetto trattato nel libro concerne la giurisprudenza in malam partem, ed anch'esso è correttamente risolto: quando un fatto è considerato atipico dalla giurisprudenza e, d'improvviso, la stessa adotta un diverso criterio interpretativo e passa a considerarlo tipico; come è naturale, la persona in siffatte ipotesi non ha avuto la possibilità di conoscere l'illiceità penale di tale condotta anteriormente alla commissione della stessa. Di certo, se questa problematica si pone in Italia, dove esiste una Corte di Cassazione con funzione nomofilattica, la questione si pone senz'altro in termini maggiormente gravi in Argentina, posta l'assenza di un'istanza di cassazione dotata del potere nomofilattico di unificare le interpretazioni giurisprudenziali discordanti emergenti nelle corti delle varie province – e talvolta finanche nell'ambito dello stesso organo giudiziario.
Questo fantastico viaggio ci mostra che vi sono fenomeni che si stanno verificando nella legislazione penale della nostra tradizione continentale, e che pongono la scienza penale di fronte a nuove problematiche sulle quali il professore di Firenze ci fa riflettere con acuto ingegno, appellandosi alle risorse didattiche che, facilitando al contempo la comprensione, ci mostrano altresì l'intima connessione con altri dati delle nostre dinamiche culturali. Tali considerazioni possono essere sviluppate in modo così chiaro solo da una persona capace di estrinsecare, in tutte le pagine del testo, una particolare maestria risultante dalla sua seria formazione culturale – trascendente in modo ampio lo stretto ambito del sapere giuridico – ed altresì da un'ampia e permanente riflessione sulla nostra materia.