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14 Febbraio 2023


Mancata impugnazione nel giudizio abbreviato e riduzione di un sesto della pena a seguito della riforma Cartabia: i tribunali di Milano e di Vasto escludono la rimessione in termini

Nota a Trib. Milano, sez. III, ord. 26 gennaio 2023, pres. Guadagnino e Trib. Vasto, 23 gennaio 2023, pres. Giangiacomo



*Il presente contributo è destinato alla pubblicazione sul fascicolo 2/2023. 

 

1. Segnaliamo due ordinanze, una del Tribunale di Milano e una del Tribunale di Vasto, che escludono la rimessione in termini dell’imputato per la richiesta di accesso al rito abbreviato – rimessione che era stata richiesta dagli imputati in ragione dell’entrata in vigore, dopo la scadenza dei termini per l’accesso al rito speciale, di un regime sanzionatorio di favore per la persona condannata con rito abbreviato che non impugni la sentenza di condanna.

In particolare, il co. 2-bis dell’art. 442 c.p.p. – introdotto dalla riforma “Cartabia” (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150) – prevede che la pena inflitta in sede di giudizio abbreviato sia ulteriormente ridotta di un sesto, in caso di mancata impugnazione della sentenza. La questione che si pone, dunque, è quella di stabilire se l’efficacia retroattiva in bonam partem della nuova disposizione sanzionatoria, ai sensi dell’art. 2, co. 4, c.p., possa determinare la rimessione in termini dell’imputato che voglia accedere al rito speciale, beneficiando così – in caso di mancata impugnazione dell’eventuale sentenza di condanna – dell’ulteriore riduzione premiale.

Un primo orientamento, di segno positivo, è stato seguito dal Tribunale di Perugia, che, in due diversi provvedimenti (già pubblicati sulla nostra Rivista, con annotazione redazionale di G.L. Gatta[1] e nota di F. Lombardi[2]), ha rimesso in termine gli imputati, ritenendo che l’art. 442, co. 2-bis, c.p.p. – in quanto norma che disciplina il trattamento sanzionatorio – abbia natura sostanziale, e sia dunque soggetto al principio di retroattività in bonam partem sancito dall’art. 2, co. 4, c.p. e, a livello sovranazionale, dall’art. 7 CEDU. Pur non contestando la natura sostanziale del nuovo beneficio sanzionatorio, i tribunali di Vasto e Milano pervengono entrambi – in maniera, a parere di chi scrive, del tutto condivisibile – a conclusioni opposte, facendo leva sulla natura processuale delle norme che regolano i presupposti e l’accesso ai riti alternativi.

 

2. Innanzitutto, come già accennato, entrambe le ordinanze – conformemente all’indirizzo inaugurato nel 2009 dalla sentenza Scoppola della Corte Edu[3] – concordano sul fatto che il neo-introdotto co. 2-bis dell’art. 442 c.p.p. sia una norma avente natura sostanziale, in quanto relativa al trattamento sanzionatorio dell’imputato: tale disposizione, dunque, soggiace pacificamente al regime di retroattività previsto dall’art. 2, co. 4, c.p. Il dispiegarsi dell’efficacia retroattiva della norma, tuttavia, pare qui subordinato alla rituale instaurazione del giudizio abbreviato – requisito, come già sottolineato, non soddisfatto nei casi sottoposti all’attenzione dei due tribunali. A differenza delle norme che regolano il beneficio sanzionatorio (art. 442, co. 2 e co. 2-bis, c.p.p.), le disposizioni che disciplinano le modalità, i presupposti e i termini per l’accesso al rito speciale hanno natura processuale e, di conseguenza, sono soggette al principio del tempus regit actum.

A tal proposito, il Tribunale di Milano richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale «la natura sostanziale della diminuente premiale per il rito abbreviato predicata dalla CEDU nella sentenza in data 17 settembre 2009 (caso Scoppola c/o Italia), non implica la trasformazione della natura processuale di tutta la restante normativa concernente i presupposti, i termini e le modalità di accesso al rito, aspetti rimessi alla scelta del legislatore nazionale e non immutati dalla giurisprudenza comunitaria»[4].

Le disposizioni che concernono i presupposti per l’accesso al rito – tra le quali rientrano quelle che fissano i termini entro i quali, a pena di decadenza, è possibile richiedere il rito speciale – sono dunque soggette al principio del tempus regit actum: una volta intervenuta la preclusione, e in assenza di una disciplina transitoria, l’imputato non potrà più accedere al giudizio abbreviato, anche se da quest’ultimo potrebbe derivare (in caso di mancata impugnazione dell’eventuale sentenza di condanna) un trattamento sanzionatorio più mite.

La restituzione nel termine per proporre il giudizio abbreviato, d’altra parte, sarebbe funzionale a garantire un beneficio puramente ipotetico, condizionato alla scelta dell’imputato di non impugnare la sentenza, e, come sottolineato dal Tribunale di Milano, «implicherebbe una vanificazione del valore delle preclusioni, coessenziali all'ordine pubblico processuale ed attraverso le quali si realizza la funzionalità del processo in termini di equilibrio tra esigenze di giustizia, di certezza, di economia e che rappresentano un presidio apprestato dall'ordinamento per assicurare la funzionalità del processo in relazione alle sue peculiari conformazioni risultanti dalle scelte del legislatore (cfr. Cass. 15748/2014 in motivazione)».

 

2.1. Alle suddette motivazioni – che costituiscono il nucleo centrale dell’iter argomentativo in entrambe le ordinanze in commento – si aggiungono ulteriori considerazioni, nell’una e nell’altra pronuncia. Da un lato, il Tribunale di Vasto sottolinea come la rimessione in termini potrebbe talvolta contrastare con le ragioni di economia processuale che costituiscono il fondamento del giudizio abbreviato: proprio nel caso sottoposto alla sua attenzione, ad esempio, il processo si trovava nel pieno dell’istruttoria dibattimentale, con dieci udienze già espletate. Dall’altro, il Tribunale di Milano evidenzia come, laddove il legislatore della riforma Cartabia – nell’ampliare l’ambito applicativo di un rito alternativo – ha inteso superare le preclusioni processuali già intervenute, vi ha provveduto con apposita disposizione transitoria: è il caso dell’art. 90, co. 2, d.lgs. 150/2022, che stabilisce che l'imputato nei cui confronti siano già decorsi i termini di cui all'art. 464-bis c.p.p. è rimesso ex lege in termini per formulare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova (con le cadenze perentorie previste dalla medesima disposizione). Lo stesso, continua il tribunale meneghino, è avvenuto anche in passato, ogniqualvolta il legislatore volesse superare le preclusioni processuali maturate al momento dell'entrata in vigore di riforme ampliative dei requisiti di accesso a riti premiali (cfr. art. 5 della legge 12 giugno 2003, n. 134, in tema di patteggiamento allargato).

L’assenza di un’analoga disposizione transitoria, per l'ipotesi del giudizio abbreviato, sembrerebbe dunque far ritenere che vi fosse la volontà legislativa di escludere la possibilità di rimessione in termini in questi casi.

 

***

 

3. La posizione assunta dai Tribunali di Vasto e di Milano ci pare condivisibile. Innanzitutto, il fatto che, per ottenere l’applicazione retroattiva di una norma sanzionatoria più favorevole, gli imputati abbiano chiesto la rimessione in termini dovrebbe destare, già prima facie, alcune perplessità di ordine sistematico circa la fondatezza dell’istanza. Il principio di retroattività in bonam partem, infatti, non può che essere applicato direttamente dal giudice, quando la lex posterior abbia previsto – in ordine ad una determinata fattispecie – un trattamento sanzionatorio più mite (o l’irrilevanza penale).

Nel caso di specie, in particolare, l’applicabilità (anche retroattiva) dell’art. 442, co. 2-bis, c.p.p. è subordinata al verificarsi di una fattispecie giuridica complessa, costituita dalla richiesta di accesso al rito abbreviato, dall’ordinanza di ammissione al rito e, quale condizione negativa, dalla mancata impugnazione della sentenza[5]. La successione di norme modificative della disciplina è tutta interna a tale fattispecie: prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 150/2022, la mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa a seguito di giudizio abbreviato determinava l’applicazione della pena ivi stabilita; successivamente, la mancata impugnazione determina la riduzione di un sesto della pena irrogata con la sentenza. È tra queste due situazioni che non deve crearsi una disparità, pena la violazione del principio di retroattività in bonam partem sancito dall’art. 2, co. 4, c.p.; eventuali disparità relative invece alla posizione degli imputati che, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 150/2022, siano decaduti dalla possibilità di accedere ai riti alternativi dovranno essere valutate sul piano della ragionevolezza dell’assenza di una disciplina transitoria. Su questi aspetti torneremo al § 3.2.

Se tale ricostruzione è corretta, allora, l’efficacia retroattiva della nuova disposizione, ai sensi dell’art. 2, co. 4, c.p., si ridurrà a ben poca cosa, limitandosi a regolare il caso in cui vi sia un imputato che sia stato condannato in sede di giudizio abbreviato prima dell’entrata in vigore del comma 2-bis e che, al momento dell’entrata in vigore della disposizione, sia ancora nei termini per impugnare: uno spazio di esplicazione dell’efficacia retroattiva piuttosto ristretto, se si considera che allo stesso risultato si perverrebbe applicando il più stringente principio processuale del tempus regit actum[6].

La giurisprudenza di legittimità, d’altra parte, in diverse occasioni ha avuto modo di precisare che la “dottrina Scoppola” presuppone che l’accesso al rito speciale sia stato effettuato secondo le modalità e i termini previsti dalla legge. In particolare, in applicazione di tale principio, la Corte di Cassazione, in alcuni casi concernenti i c.d. “fratelli minori” di Scoppola, ha ritenuto infondate le istanze di commutazione della pena dell'ergastolo in quella di trent’anni di reclusione, avanzate in sede esecutiva da parte di quegli imputati che, dopo aver richiesto il rito abbreviato – quando la normativa (legge 16 dicembre 1999, n. 479) prevedeva l’applicazione della pena dei trent’anni di reclusione per i reati puniti con l’ergastolo (con o senza isolamento diurno), giudicati con rito abbreviato – , vi avevano successivamente rinunciato, quando il decreto legge 24 novembre 2000, n. 341, aveva stabilito che, per i reati puniti con l’ergastolo con isolamento diurno, la condanna in sede di rito abbreviato determinava l’irrogazione della pena dell’ergastolo senza isolamento diurno[7].

 

3.1. A rigore, in assenza di una disciplina transitoria in questo senso, il nuovo beneficio sanzionatorio non parrebbe direttamente applicabile nemmeno nei casi in cui l’imputato abbia impugnato la sentenza di rito abbreviato prima dell’entrata in vigore della nuova disposizione e vi abbia poi rinunciato, in vista dell’applicazione dell’ulteriore riduzione di un sesto[8]: anche in questo caso, infatti, verrebbe a mancare l’elemento negativo della citata fattispecie complessa, ossia la mancata impugnazione della sentenza di condanna. Se la ratio della nuova disposizione – ridurre il numero delle impugnazioni delle sentenze di giudizio abbreviato – potrebbe prima facie suggerire un’applicazione analogica in bonam partem dell’art. 442, co. 2-bis, c.p.p. ai casi di rinuncia all’impugnazione già presentata, tuttavia la natura eccezionale del beneficio sembrerebbe ostacolare tale interpretazione, in conformità ai rigorosi criteri stabiliti all’art. 14 Preleggi. Piuttosto, potrebbe emergere un profilo di irragionevolezza della disparità di trattamento tra le due circostanze (mancata impugnazione e rinuncia all’impugnazione, da parte dell’imputato che aveva proposto impugnazione prima dell’entrata in vigore della riforma Cartabia), su cui torneremo anche nel prossimo paragrafo. Riteniamo, in ogni caso, che il vuoto normativo non possa essere colmato da un intervento interpretativo del giudice.

 

3.2. Allo stesso modo – e contrariamente a quanto affermato da uno dei citati provvedimenti adottati dal Tribunale di Perugia –, è da escludersi un’applicazione analogica delle discipline transitorie previste dal legislatore, in passato, per consentire l’accesso ai riti alternativi agli imputati nei confronti dei quali erano già intervenute delle preclusioni processuali. In particolare, il giudice perugino ha applicato analogicamente la disciplina della restituzione in termini “speciale” prevista dall’art. 4-ter, co. 2 e 3, d.l. 7 aprile 2000, n. 82, che – a fronte della reintroduzione dei delitti puniti con l’ergastolo tra quelli giudicabili con rito abbreviato – assegnava agli imputati il diritto di essere rimessi nei termini. Su questo specifico punto ci limitiamo a rinviare alle lucide considerazioni critiche svolte da F. Lombardi nella nota pubblicata su questa Rivista, che fanno leva sulla non estendibilità all’art. 442, co. 2-bis della ratio sottesa all’art. 4-ter, d.l. 82/2000: tale disposizione, infatti, consentiva all’imputato la rimessione nei termini poiché, prima della vigenza di quella normativa, il rito speciale gli era precluso; l’art. 442, co. 2-bis, c.p.p., invece, non incide sui requisiti di accesso al rito abbreviato, ma comporta soltanto un miglioramento del trattamento sanzionatorio, tra l’altro del tutto eventuale e subordinato ad un comportamento discrezionale dell’imputato.

Più in generale, in realtà, la scelta di applicare analogicamente delle disposizioni transitorie è di per sé criticabile, poiché queste, di regola, intervengono proprio per introdurre una deroga ai principi generali del diritto intertemporale: nel silenzio della legge, dunque, dovrebbe ritenersi che il legislatore abbia inteso sottoporre il periodo di transizione dalla vecchia alla nuova normativa al regime ordinario della successione delle norme nel tempo (tempus regit actum, quanto alle norme processuali; art. 2 c.p., quanto alle norme penali).

Piuttosto, potrebbe discutersi circa la ragionevolezza della mancanza di una disciplina transitoria che consenta la rimessione in termini per accedere al rito abbreviato. A parere di chi scrive, tuttavia, la disparità di trattamento (tra l’imputato che – trovandosi nei termini – può presentare domanda per accedere al rito abbreviato e, in caso di mancata impugnazione, beneficiare della riduzione di pena prevista dall’art. 442, co. 2-bis, c.p.p., e l’imputato nei cui confronti siano scaduti i termini) pare giustificata da ragioni di deflazione processuale, che costituiscono il fondamento razionale della nuova riduzione sanzionatoria, così come, più in generale, del rito abbreviato. Ove l’imputato abbia già optato per il giudizio ordinario – e magari, come nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di Vasto, si siano già svolte decine di udienze – la restituzione in termini determinerebbe un evidente spreco di attività processuale, a fronte di un beneficio, in termini di deflazione, puramente eventuale. Più nello specifico, d’altra parte, la ratio dell’art. 442, co. 2-bis, c.p.p., è quella di incentivo a non impugnare la sentenza emessa a seguito di rito abbreviato, non, genericamente, quella di incentivo ad accedere al rito abbreviato: tale effetto – che pur, nei fatti, non può essere escluso – è del tutto secondario.

Piuttosto, lo ribadiamo, potrebbe considerarsi irragionevole il non aver previsto una disposizione transitoria che estenda il regime di cui all’art. 442, co. 2-bis, c.p.p. alle ipotesi di rinuncia all’impugnazione da parte dell’imputato che aveva proposto impugnazione prima dell’entrata in vigore del nuovo beneficio sanzionatorio. La disparità di trattamento, in questo caso, non pare avere giustificazione alcuna, posto che la rinuncia all’impugnazione realizzerebbe immediatamente la medesima finalitàridurre il numero delle impugnazioni delle sentenze di giudizio abbreviato – alla quale, come già sottolineato, è preposto l’art. 442, co. 2-bis, c.p.p.

 

3.3. L’assenza di una disciplina transitoria parrebbe ancora più problematica se rapportata agli imputati che abbiano determinato la propria strategia processuale, a seguito di condanna in rito abbreviato, nel periodo compreso tra il 2 novembre 2022, data originariamente prevista per l'entrata in vigore del d.lgs. 150/2022, e il 30 dicembre 2022, data di effettiva entrata in vigore della riforma “Cartabia”, a seguito del differimento disposto dal Consiglio dei Ministri con l’art. 6 del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162 (conv. l. 30 dicembre 2022 n. 199).

Nell’immediatezza del rinvio, su questa Rivista erano già stati avanzati dubbi di legittimità costituzionale – sotto il profilo, per quanto qui interessa, del principio di uguaglianza/ragionevolezza (art. 3 Cost.) – del differimento dell’entrata in vigore delle norme penali sostanziali più favorevoli al reo (vd. G.L. Gatta, Rinvio della riforma Cartabia: una scelta discutibile e di dubbia legittimità costituzionale. E l'Europa?, 31 ottobre 2022). In particolare, in quella sede ci si chiedeva se esigenze meramente organizzative – che erano state invocate dal Governo come giustificazione per il rinvio – fossero sufficienti a legittimare un sacrificio della libertà personale del reo, rispetto a quanto stabilito in bonam partem dal legislatore delegato della riforma “Cartabia”: si faceva l’esempio dell’imputato che avrebbe potuto giovare delle più ampie maglie applicative dell’art. 131-bis c.p. e che, invece, in forza del rinvio, era destinato a subire una condanna. Il discorso pare estendibile agli imputati nei confronti dei quali, nel periodo compreso tra il 2 novembre e il 30 dicembre 2022, scadevano i termini per l’impugnazione della sentenza emessa a seguito di rito abbreviato. Sia che l’imputato abbia deciso di presentare appello, sia che questi abbia lasciato decorrere i termini, in ogni caso il rinvio sembrava presentare profili di irragionevolezza, privando l’imputato – in ipotesi, in assenza di giustificazioni legittime – della possibilità di scegliere l’applicazione di un beneficio sanzionatorio in cambio della mancata impugnazione.

Se di certo una disciplina transitoria non avrebbe potuto sanare il vulnus subito dall’imputato non impugnante, stante il limite all’efficacia retroattiva costituito dal giudicato, ai sensi dell’art. 2, co. 4, c.p. (vd. infra § 3.4.), essa sarebbe invece potuta intervenire, come già accennato, attraverso l’equiparazione, ai fini dell’art. 442, co. 2-bis, c.p.p., tra mancata impugnazione e rinuncia all’impugnazione: una soluzione che – auspicabile con riferimento a tutti gli imputati che avessero proposto appello prima dell’entrata in vigore del nuovo beneficio sanzionatorio (vd. supra § 3.2.) –sarebbe stata ancora più opportuna, per le motivazioni anzidette, in relazione agli imputati che avessero impugnato nel periodo di prolungata vacatio legis.

 

3.4. Infine, riprendendo alcune considerazioni svolte nel precedente paragrafo, un breve cenno alle ipotesi in cui la citata fattispecie giuridica complessa sia stata integrata in tutti i suoi elementi (richiesta di accesso al rito abbreviato, ordinanza di ammissione, mancata impugnazione della sentenza di condanna), prima dell’entrata in vigore dell’art. 442, co. 2-bis, c.p.p. Si tratta di ipotesi in cui la pronuncia non può che essere passata in giudicato, dal momento che l’elemento negativo della citata fattispecie (la mancata impugnazione, entro i termini di legge, della sentenza di condanna) determina l’irrevocabilità della sentenza stessa. Come noto, l’art. 2, co. 4, c.p. individua nella presenza di una sentenza di condanna passata in giudicato un limite invalicabile all’efficacia retroattiva della lex mitior. La ragionevolezza di tale deroga è costantemente messa in discussione da una parte della dottrina[9], che – sulla spinta di un orientamento di stampo spiccatamente “sostanzialistico” della giurisprudenza della Corte Edu[10] e, più in generale, di una progressiva erosione del dogma dell’intangibilità del giudicato[11] – rileva come anteporre la “certezza del diritto” (di fatto, un’esigenza puramente “pratica”) ad esigenze di giustizia sostanziale non sia in linea con l’attuale volto costituzionale dell’ordinamento penale. Fino ad oggi, tuttavia, la Corte Costituzionale ha fatto salva la legittimità dell’art. 2, co. 4, c.p., riconoscendone il fondamento nell’«esigenza di salvaguardare la certezza dei rapporti ormai esauriti» (Corte Cost., 20 maggio 1980, n. 74, § 3).

Di conseguenza, la riduzione di un sesto della pena prevista dall’art. 442, co. 2-bis, c.p.p. non potrà applicarsi agli imputati nei confronti dei quali i termini per impugnare la sentenza di condanna in rito abbreviato siano scaduti prima dell’entrata in vigore della legge “Cartabia”.

 

[2] F. Lombardi, Rinuncia all’impugnazione nel giudizio abbreviato e riduzione di un sesto della pena (art. 442 co. 2 bis c.p.p.): il problema della rimessione in termini a giudizio in corso, nota a Trib. Perugia, sent. 18 gennaio 2023, dep. 31 gennaio 2023, n. 130, in questa Rivista, 9 febbraio 2023.

[3]  C. Edu, GC, Scoppola c. Italia (n. 2), 17 settembre 2009.

[4] Cass., sez. IV, 15 gennaio 2019, n. 5034, in De Jure; nello stesso senso vd. Cass., sez. I, 21 gennaio 2014, n. 15748, in De Jure; Cass., sez. I, 21 dicembre 2015, dep. 2016, n. 7162, in De Jure; Cass., sez. I, 4 dicembre 2012, n. 48757, in De Jure.

[5] Sulla comminatoria prevista dalla disciplina del rito abbreviato come sanzione “condizionata” al verificarsi di una fattispecie complessa vd. Cass., sez. un., 19 aprile 2012, n.34233, Giannone, § 5; in dottrina vd. F. Viganò, Figli di un Dio minore? Sulla sorte dei condannati all'ergastolo in casi analoghi a quello deciso dalla Corte Edu in Scoppola c. Italia, in Dir. pen. cont., 10 aprile 2013, p. 13. Nello stesso senso vd. F. Lombardi, Rinuncia all’impugnazione nel giudizio abbreviato e riduzione di un sesto della pena (art. 442 co. 2 bis c.p.p.): il problema della rimessione in termini a giudizio in corso, cit., § 4.

[7] Cass., sez. I, 21 gennaio 2014, n. 15748, cit.; Cass., sez. I, 21 dicembre 2015, dep. 2016, n. 7162, cit.; Cass., sez. I, 4 dicembre 2012, n. 48757, cit.

[8] Diversa, invece, l’opinione del Tribunale di Vasto: «La nuova più favorevole disciplina potrebbe ad esempio essere fatta valere dall’imputato appellante avverso una sentenza di condanna di primo grado emessa all’esito di giudizio abbreviato, che intenda ottenere quel beneficio rinunciando all’impugnazione avanzata prima della entrata in vigore del d.lgs. 150/22, perché in questo caso si realizza l’effettiva ratio della norma ossia quella di risparmiare un ulteriore grado del processo concedendo il premio all’imputato».

[9] Vd. per tutti S. Del Corso, (voce) Successione di leggi penali, in Dig. disc. pen., vol. XIV, Utet, 1999, p. 92 ss.; L. Bin, La fermezza del giudicato tra dogma, pragma e principi costituzionali, in Cass. pen., 2015, fasc. 7-8, p. 2965 ss.

[10] Cfr. C. Edu, sez. III, Gouarré Patte c. Andorra, 12 gennaio 2016, in Dir. pen. cont., 8 febbraio 2016, con nota di F. Mazzacuva, La tensione tra principio della lex mitior e limite del giudicato: la corte europea elude un confronto diretto con il problema, in cui la Corte di Strasburgo rilevava una violazione dell'art. 7 Cedu proprio in relazione alla mancata applicazione retroattiva di una legge più favorevole entrata in vigore successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna pronunciata nei confronti del ricorrente.

[11] Si pensi, in particolare, alla sentenza C. Cost. 18 luglio 2013, n. 210, che – con riferimento al caso dei c.d. “fratelli minori” di Scoppola – ha stabilito che la pena dichiarata convenzionalmente illegittima dell’ergastolo dovesse essere sostituita – per coloro che si trovassero nella stessa situazione di Scoppola –con la pena di trenta anni di reclusione. Di tali principi ha fatto poi applicazione Cass., sez. un., 24 ottobre 2013, dep. 2014, n. 18821, Ercolano, in Dir. pen. cont., 12 maggio 2014, con nota di F. Viganò, Pena illegittima e giudicato. riflessioni in margine alla pronuncia delle sezioni unite che chiude la saga dei "fratelli minori" di Scoppola.