Cass., Sez. IV, 3 ottobre 2024 (dep. 6 novembre 2024), n. 40682, Pres. Piccialli, est. Antezza
1. Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte torna ad occuparsi dell’importante tema dell’individuazione dell’estensione della posizione di garanzia datoriale nell’ambito delle organizzazioni complesse, con specifico riferimento alle società di capitali.
Dopo una approfondita analisi delle due diverse deleghe ricorrenti nel diritto penale del lavoro (la delega di funzioni ex art. 16 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, da ora TUSL, e la delega di gestione ex art. 2381 c.c.) e della disciplina dei residui doveri gravanti sui soggetti deleganti, la pronuncia giunge alla conclusione che, quando l’evento costituisca la concretizzazione della totale carenza di procedimentalizzazione dell’attività produttiva nell’ambito di una politica aziendale volta a subordinare le esigenze della sicurezza rispetto al profitto, la responsabilità grava sull’intero consiglio di amministrazione, nonostante la presenza di deleghe gestorie ovvero di deleghe di funzioni.
2. Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguarda un incidente mortale avvenuto in sede di esecuzione dei lavori per la realizzazione di una corsia autostradale: un lavoratore, impegnato nel getto di calcestruzzo su cui sarebbero state posate delle lastre di cemento armato, viene travolto da una di esse.
Nel giudizio di merito si individuavano gravissimi errori nella fase di produzione ed installazione delle lastre, errori imputati alla società cui l’impresa di appartenenza della vittima aveva commissionato la fornitura dei manufatti. Si accertava che il rovesciamento della lastra era conseguenza del cedimento dei vincoli superiori di ancoraggio, non eseguiti in fase di costruzione, contrariamente a quanto previsto nel progetto; solo successivamente in fase di esecuzione, un dipendente, accortosi della mancanza, aveva autonomamente e rudimentalmente apportato modifiche alle lastre.
Le pronunce di merito, quindi, affermavano una “totale carenza di procedimentalizzazione dell'attività produttiva”[1], determinata da un vizio organizzativo che aveva investito l’intero processo produttivo, consistente nell’assenza di programmazione, nella tendenza a svolgere dei controlli solo cartolari circa la conformità dei manufatti, nel deficit formativo ed informativo dei lavoratori: elementi, tutti, espressione di una politica aziendale tendente a dare prevalenza alla puntualità dei tempi di consegna rispetto alla qualità e sicurezza del prodotto finito.
All’esito del giudizio di merito erano, quindi, condannati, in quanto datori di lavoro, il presidente ed i due membri del consiglio di amministrazione della società appaltatrice della fornitura delle lastre. I soggetti ricorrevano per Cassazione, lamentando il riconoscimento in capo ad essi di una mera responsabilità da posizione, in violazione del principio di necessaria personalità della responsabilità penale, ed evidenziando la sussistenza di una serie di deleghe, di gestione e di funzioni.
3. Il ricorso è rigettato con una motivazione concentrata sul tema relativo alla rilevanza delle deleghe, di gestione e di funzioni, nell’ambito del giudizio di responsabilità in capo ai membri del consiglio di amministrazione[2].
4. La pronuncia muove da una precisa e puntuale analisi della fenomenologia della delega nell’ambito delle organizzazione complesse.
È ormai pacifico, tanto in giurisprudenza[3] quanto in dottrina[4], che sotto il genus “delega” nell’ambito dell’organizzazione complessa si possono individuare due species: la delega gestoria ex art. 2381 c.c. e la delega di funzioni ex art. 16 TUSL. Si tratta di “deleghe con differenti strutture ontologiche e conseguenti ricadute in termini di contenuto e di residui doveri in capo all’organo delegante”, come sottolinea la pronuncia in esame[5].
5. La delega di funzioni costituisce lo strumento attraverso cui il datore di lavoro (e solo questi[6]) trasferisce alcuni poteri e doveri di natura prevenzionistica, per legge connessi al proprio ruolo, ad altro soggetto, che diviene garante a titolo derivativo.
Come è stato evidenziato[7], il fenomeno della creazione da parte del garante originario di posizioni di garanzia derivative appartiene ai più diversi ambiti, anche della vita quotidiana; tuttavia, è nel settore della sicurezza del lavoro che lo strumento manifesta la principale portata applicativa. Di ciò risulta aver preso atto il legislatore che, all’interno del TUSL, ha dedicato alcune norme di fondamentale importanza riguardanti la delega di funzioni, quali l’art. 16 TUSL, sui requisiti della delega, e l’art. 17 TUSL, sui doveri datoriali insuscettibili di delega.
La pronuncia sottolinea che la delega di funzioni non determina una integrale cessione della posizione di garanzia da parte del datore di lavoro, in quanto essa permane, ma cambia contenuto[8].
Rispetto agli obblighi oggetto della delega, il datore delegante sarà tenuto ad una sorveglianza circa il corretto espletamento dei compiti da parte del delegato, con una possibile responsabilità per culpa in eligendo ed in vigilando. Sempre la pronuncia in esame, con riferimento alla culpa in vigilando, conformandosi ad un principio ormai pacifico tra gli interpreti[9], precisa che la vigilanza non deve riguardare il merito delle singole scelte, bensì il complessivo adempimento dell’attività delegata.
6. Concettualmente diverso è lo strumento della delega di gestione di cui agli artt. 2381 e 2932 c.c.[10]. Se attraverso la delega di funzioni il datore di lavoro, già garante a titolo originario, crea nuove ed ulteriori posizioni di garanzia derivate, mutando il contenuto della propria posizione di garanzia, la delega di gestione costituisce, invece, lo strumento di individuazione dello stesso datore di lavoro nell’organizzazione complessa.
Mentre, nelle società di capitali più semplici, l’amministratore unico assume anche la posizione di garanzia datoriale, ben più complessa risulta l’individuazione del datore di lavoro nelle società in cui l’amministrazione sia affidata ad un organo collegiale quale il consiglio di amministrazione. È in questa seconda ipotesi che viene in rilievo la presenza o meno di deleghe di gestione in materia prevenzionistica, come messo in risalto dalla pronuncia.
Se non sono previste deleghe specifiche di gestione, “tutti i componenti del consiglio sono investiti degli obblighi inerenti la prevenzione degli infortuni posti dalla legislazione a carico del datore di lavoro”[11].
Nella prassi, però, di frequente il consiglio di amministrazione ricorre alla delega gestoria, delegando “le proprie attribuzioni o solo alcune di esse ad uno o più dei suoi componenti o a un comitato esecutivo (c.d. board)”.
Lo strumento della delega gestoria è disciplinato dall’art. 2381 c.c. La disposizione prevede le condizioni formali di operatività della delega: essa deve essere autorizzata dai soci o deve essere prevista dallo statuto; il consiglio di amministrazione deve determinarne il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega. Il consiglio può, comunque, impartire direttive al soggetto delegato e avocare a sé operazioni rientranti nella delega.
Tali requisiti, legislativamente previsti, costituiscono la condizione necessaria ma non sufficiente per la piena operatività delle delega. La giurisprudenza di legittimità (a partire dalla sentenza ThyssenKrupp, puntualmente richiamata dalla pronuncia in esame[12]) ha chiarito la necessità di verificare in concreto l’effettività dei poteri di gestione e di spesa in capo al consigliere delegato, il quale deve essere stato messo in condizione di “partecipare ai relativi processi decisori”[13]. Consegue che il datore di lavoro va individuato nella persona o nelle persone componenti del consiglio di amministrazione che abbiano l’effettiva gestione della sicurezza.
Il principio di effettività, infatti, governa la materia del diritto penale del lavoro[14], come emerge dalla stessa definizione di datore di lavoro contenuta nell’art. 2 comma 1 lett. b): la norma riferisce tale qualifica non solo al titolare del rapporto di lavoro, ma anche al soggetto che ha la responsabilità dell’organizzazione, nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa[15].
Nel rispetto, dunque, delle prescrizioni di legge e laddove sia stato superato positivamente il vaglio circa la reale organizzazione del contesto produttivo, si può dire che la delega di gestione esplica appieno la sua funzione, consistente nella concentrazione della posizione di garanzia datoriale in capo all’amministratore delegato. È opportuno ribadire che la delega di gestione, a differenza della delega di funzioni, non crea una nuova posizione di garanzia, ma costituisce strumento di individuazione del soggetto cui fanno capo i poteri ed i doveri datoriali: l’amministratore delegato, cioè il membro del consiglio di amministrazione, formalmente investito della delega di gestione ed effettivamente titolare dei poteri di gestione e di spesa in materia.
7. Tanto chiarito, la pronuncia evidenzia quali siano i residui spazi di responsabilità degli amministratori non delegati. Nel caso di specie, si tratta di questione dirimente in quanto solo uno dei tre ricorrenti era investito della delega di gestione in materia prevenzionistica, mentre gli altri due erano membri del consiglio di amministrazione privi di delega.
La Corte afferma che in capo ai membri del consiglio di amministrazione permane un dovere di controllo, ricondotto agli obblighi civilistici di cui agli artt. 2381, comma 3, c.c. e 2932, comma 2, c.c.[16]. Il consiglio di amministrazione, infatti, oltre a conservare la facoltà di impartire direttive, è tenuto, sulla base delle informazioni ricevute e delle relazioni informative dei delegati, a valutare l’adeguatezza dell’assetto della società ed il generale andamento della gestione, tenuto conto che tutti gli amministratori sono solidamente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
Da tali norme la pronuncia desume una competenza concorrente tra delegati e deleganti, alla luce del fatto che la delega di gestione non ha carattere abdicativo.
Si puntualizza, tuttavia, che la responsabilità dei deleganti non può che essere residuale: in linea di principio, alla delega dovrebbe corrispondere una esclusiva responsabilità del delegato, purché il consigliere delegante abbia assicurato il necessario flusso informativo ed esercitato il potere-dovere di controllo sull’assetto organizzativo adottato dal delegato.
8. La Corte, prima di calare tali considerazioni nel caso sottoposto alla sua attenzione, si dedica ad un’ultima ricapitolazione delle differenze tra la delega di funzioni e la delega di gestione[17].
Come emerso, i due strumenti differiscono, anzitutto, sotto il profilo concettuale: la delega di funzioni comporta un trasferimento di poteri e correlati obblighi dal datore di lavoro verso altre figure, non datori di lavoro, che, per effetto della delega, non acquisiscono la posizione di garanzia datoriale, necessariamente originaria, bensì una posizione di garanzia derivata; la delega di gestione, invece, consente di concentrare i poteri decisionali e di spesa connessi alla funzione datoriale, che fa capo ai membri del consiglio di amministrazione, su alcuni di essi. Nel caso della delega di gestione, quindi, non si assiste ad un trasferimento di funzioni dal datore di lavoro ad un soggetto “terzo”, privo della qualifica datoriale, ma ad un riparto di poteri decisionali e di spesa, che vengono affidati alla gestione di uno dei membri del consiglio di amministrazione, appunto l’amministratore delegato, in capo al quale si concentra la posizione di garanzia datoriale, spettante, altrimenti, all’intero consiglio di amministrazione.
Tale differenza concettuale “determina conseguenze in ordine al contenuto della delega, nonché in ordine alla modulazione dei rapporti fra deleganti e delegati”[18].
Sotto il profilo contenutistico, la Corte evidenzia che, mentre nell’ambito della disciplina della delega di funzioni, il conferimento del potere di spesa è requisito essenziale, nulla di ciò emerge dalla disciplina della delega gestoria, tenuto conto che essa “è rilasciata a un soggetto già investito della funzione datoriale e dei relativi poteri ivi compreso quello di spesa”[19].
Inoltre, non sono suscettibili di delega di funzioni gli obblighi integranti l’essenza della posizione di garanzia datoriale (cioè, la valutazione del rischio e la nomina del RSPP); al contrario, la delega gestoria permette che tali adempimenti vengano eseguiti dal delegato.
Ancora, è diverso il residuo dovere in capo al delegante: da un lato, vi è l’attività di vigilanza ex art. 16 comma 3 TUSL, dall’altro lato, il dovere di controllo imposto ai membri del consiglio di amministrazione deleganti ex artt. 2381, comma 3, e 2932, comma 2, c.c.. In tale ultimo caso, “stante la concentrazione dell'esercizio dei poteri in capo a una figura che è già datore di lavoro, a riguardo dei deleganti si potrà configurare un dovere di verifica sulla base del flusso informativo, dell'assetto organizzativo generale e un vero e proprio potere di intervento anche con riferimento all'adozione di singole misure specifiche nel caso in cui vengano a conoscenza di fatti pregiudizievoli, id est di situazioni di rischio non adeguatamente governate. In conseguenza della violazione di tali obblighi, i membri del consiglio d'amministrazione potranno essere ritenuti responsabili di violazione alla normativa antinfortunistica e degli eventi causalmente collegati”[20].
9. Giungendo alla soluzione del quesito incipit della motivazione, la Corte ribadisce il principio di diritto secondo cui nelle società di capitali la posizione di garanzia datoriale grava indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia.
Statuisce, inoltre, che, nonostante la presenza di deleghe di gestione e di deleghe di funzioni, la responsabilità permane in capo all’intero consiglio di amministrazione quando “l’evento, come nella specie, sia risultato la concretizzazione della totale carenza di effettiva procedimentalizzazione dell'attività produttiva quale politica aziendale volta a subordinare le esigenze della sicurezza rispetto al profitto”[21]. Ciò è giustificato dal fatto che, sia nel caso della delega di gestione sia nel caso della delega di funzioni, permane un residuo margine di responsabilità che si riconnette ai suddetti doveri di vigilanza.
Ne deriva, nel caso di specie, che il consiglio di amministrazione resta “gravato dall’obbligo inerente la gestione del rischio essendo il titolare del fascio di poteri in grado di incidere su esso perché su esso influente tramite l’adottata politica aziendale”[22].
Di tale principio di diritto ha fatto corretta applicazione la Corte territoriale, ravvisando la perdurante responsabilità dell’intero organo gestorio, con il conseguente rigetto dei ricorsi.
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10. La pronuncia in commento si segnala perché ribadisce alcuni indirizzi di fondo della giurisprudenza di legittimità in relazione all’intricato tema dell’individuazione della posizione di garanzia datoriale nel contesto societario.
La sentenza, in linea con un orientamento giurisprudenziale ormai piuttosto nutrito, ha il merito di ben definire, specialmente nelle battute iniziali, la distinzione tra delega di gestione e delega di funzioni: profilo su cui, almeno a livello teorico, la giurisprudenza di legittimità non sembra nutrire più alcun dubbio, a differenza di quanto avvenuto in passato[23].
Nell’arco dell’intera motivazione si assiste ad un continuo dialogo tra i due istituti, dovuto alla trattazione congiunta di tre ricorsi fondati su presupposti in parte diversi: se la doglianza dell’amministratore delegato pone il problema della persistente responsabilità datoriale di quest’ultimo nonostante la delega di funzioni, le doglianze degli amministratori non delegati sollevano la diversa questione attinente alla definizione della portata del residuo margine di responsabilità degli amministratori privi di delega a fronte di una valida ed efficace delega di gestione.
Dopo aver a lungo evidenziato le differenze intercorrenti tra i due istituti, la pronuncia, nel calare tali considerazioni sulla vicenda concreta, giunge ad una soluzione, per così dire, unitaria[24], che si può rileggere nei seguenti termini: quale che sia il tipo di delega che viene in rilievo (di funzioni ovvero di gestione), si deve ritenere che permanga la responsabilità del delegante quando l’evento risulti essere la concretizzazione di una totale carenza di procedimentalizzazione dell’attività produttiva, quale politica aziendale volta a subordinare le esigenze della sicurezza rispetto al profitto.
Da questo principio di diritto sembra desumersi un dato: posto che sia la delega di funzioni sia la delega di gestione non hanno carattere abdicativo, visto che in entrambi i casi viene in rilievo un residuo dovere, rispettivamente di vigilanza sull’attività del delegato e di controllo sull’andamento della gestione, tale dovere non può che ritenersi inadempiuto in presenza di vizi macroscopici, che attengono all’intero processo produttivo, in termini di chiara politica aziendale da cui emerge la subalternità delle esigenze della sicurezza rispetto a quelle sottese al profitto, proprio come è stato accertato in relazione al caso di specie.
La sentenza offre l’occasione per tentare di sviluppare alcune considerazioni sulla tematica affrontata.
11. Si osserva che l’analisi congiunta della delega di funzioni e della delega di gestione non pare del tutto opportuna in relazione al tema della residua posizione di garanzia in capo al consiglio di amministrazione.
La pronuncia lascia sottinteso che, nelle due ipotesi, viene in rilievo la responsabilità “residua” di un soggetto diverso. Nel caso di delega di gestione, la responsabilità residua è quella dei membri del consiglio di amministrazione non delegati. Nel caso di delega di funzioni, residua la responsabilità del datore di lavoro delegante, il quale sarà il solo amministratore delegato (non già l’intero consiglio di amministrazione) in presenza di una delega di gestione valida ed efficace.
Ciò che deve essere messo in rilievo è che la delega di gestione costituisce un prius logico rispetto alla delega di funzioni[25], in quanto attraverso la delega di gestione si individua il datore di lavoro nell’ambito dell’organizzazione. L’amministratore delegato, poi, adempirà al proprio debito prevenzionistico anche[26] attraverso la delega di funzioni, ripartendo (a dei garanti derivati) gli obblighi che la legge gli attribuisce a titolo originario, quale datore di lavoro.
12. Nel rispondere alla implicita domanda su chi sia il datore di lavoro nell’ambito del contesto societario, la pronuncia giunge ad una soluzione che si può riassumere nei seguenti termini. Se la posizione di garanzia datoriale spetta senz’altro all’intero consiglio di amministrazione in assenza di deleghe di gestione[27], invece, laddove ricorra la delega di gestione in materia antinfortunistica, si assiste ad una sorta di coabitazione tra amministratore delegato e amministratori deleganti ma non delegati. La delega di gestione comporta una concentrazione della posizione di garanzia datoriale in capo all’amministratore delegato, posizione di garanzia datoriale che resta, comunque, ferma in capo ai deleganti, “mutando pelle” e declinandosi alla luce dei doveri civilistici di controllo ex artt. 2381, comma 3, c.c. e 2932, comma 2, c.c.
Emergono almeno due motivi di riflessione.
In primo luogo, suscita qualche perplessità il fatto che la posizione di garanzia datoriale sembri continuare a permanere anche in capo agli amministratori deleganti. Propriamente, la delega di gestione è atto di investitura dell’amministratore delegato quale datore di lavoro a titolo originario, il quale solo, per effetto della stessa, dovrebbe essere ritenuto titolare della posizione di garanzia datoriale. In conseguenza di tale “concentrazione”, gli amministratori deleganti dovrebbero andare esenti dalla qualifica datoriale, venendo in rilievo un diverso tipo di obbligo di garanzia: non più la posizione di garanzia “di controllo”, volta ad impedire, in ultima analisi, l’evento naturalistico consistente nell’infortunio del lavoratore, bensì quel tertium genus di obbligo di garanzia avente ad oggetto l’impedimento dell’altrui reato, cioè il reato colposo dell’unico datore di lavoro, ossia l’amministratore delegato[28]. Diventerebbe, allora, utile il riferimento all’art. 113 c.p., al fine di razionalizzare la responsabilità concorsuale dei soggetti apicali, disposizione cui la sentenza in esame non fa alcun riferimento[29].
La considerazione che precede è valida qualora l’amministratore delegato risulti effettivamente titolare del potere decisorio in materia prevenzionistica, in modo tale da non lasciare, di regola, ulteriori e diversi margini di competenza in materia al consiglio di amministrazione: si tratta, del resto, di un aspetto che la sentenza in commento, in linea con la prevalente giurisprudenza di legittimità, sembra porre come pre-condizione per l’efficacia della delega di gestione, in nome del principio di effettività. È chiaro che, laddove si ravvisasse una effettiva ingerenza, a prescindere dalla delega, degli altri membri del consiglio, i quali siano coinvolti in maniera attiva nelle decisioni in materia di sicurezza, allora la posizione di garanzia datoriale si estenderebbe anche a loro, i quali sarebbero a tutti gli effetti datori di lavoro.
In tal modo emergerebbe più nitida la distinzione rispetto alla delega di funzioni, dove, al contrario, il delegante resta titolare della posizione di garanzia, che non viene dismessa né concentrata in capo al delegato, ma che muta contenuto, solo con specifico riferimento alle funzioni oggetto del trasferimento, da dovere “immediato” a dovere mediato dall’adempimento del delegato attraverso la vigilanza sul suo operato.
Il secondo profilo attiene proprio al contenuto della mutata posizione di garanzia gravante sul delegante. Come puntualizza anche la pronuncia, nel caso di delega di gestione, il delegante resta titolare del dovere di controllo ex art. 2381 c.c.; nel caso della delega di funzioni, sul delegante grava il dovere di vigilanza ex art. 16 TUSL. La pronuncia afferma che i due doveri hanno contenuto diverso, precisando che il dovere di controllo nel caso di delega di gestione, rilevante in questa sede, si traduce nell’approntamento di un adeguato canale informativo[30], esercitando il potere-dovere di controllo sull’assetto organizzativo adottato dal delegato.
Anche con riferimento a questo aspetto, la distinzione ci pare piuttosto labile all’atto pratico. Al netto della circostanza che – come già segnalato – il soggetto “controllato” è diverso a seconda che si tratti di delega di gestione ovvero di funzioni, non sembra agevole cogliere in che cosa si differenzino il dovere di controllo ex art. 2381 c.c. ed il dovere di vigilanza ex art. 16 TUSL. Va tenuto presente, infatti, che anche quest’ultimo dovere ha un contenuto piuttosto formale e organizzativo[31], non già operativo, come emerge dalla circostanza che l’ultimo comma dell’art. 16 TUSL fonda una presunzione[32] di assolvimento mediante l’adozione e l’efficace attuazione del MOG di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, adempimento paradigmaticamente e per definizione (macro)organizzativo.
La pronuncia non affronta puntualmente questo tema: dopo averlo accennato, ma non esaurito, nelle battute finali ricorre alla suddetta “clausola di salvaguardia”, secondo cui, quale che sia il concreto contenuto di tali doveri, questi si devono ritenere senz’altro non assolti quando l’evento costituisce concretizzazione di una totale carenza di effettiva procedimentalizzazione dell’attività produttiva.
13. In conclusione, dal momento che, da un lato, la pronuncia affronta in maniera “unitaria” il tema della residua responsabilità del delegante e, dall’altro lato, ricorre ad una “clausola di salvezza” spendibile tanto in relazione alla delega di funzioni quanto in relazione alla delega di gestione, la distinzione tra le due deleghe, apparentemente chiara, sembra continuare a presentare nella giurisprudenza di legittimità dei latenti profili di sovrapposizione. In primo luogo, entrambe le deleghe sono ricondotte al medesimo fenomeno tale per cui il delegante non si spoglia della propria posizione di garanzia, che semplicemente cambia di contenuto; in secondo luogo, il residuo dovere di vigilanza presenta in entrambi i casi un carattere essenzialmente macro-organizzativo.
Come si è tentato di evidenziare, sembra preferibile una rilettura della delega di gestione nel senso che, in seno al consiglio di amministrazione, solo l’amministratore destinatario della delega di gestione sia qualificato datore di lavoro; in capo agli amministratori deleganti dovrebbe essere ravvisato, in luogo della posizione di garanzia datoriale, il diverso obbligo giuridico di impedire il reato dell’amministratore delegato-datore di lavoro. Questa conclusione presuppone, naturalmente, come detto, che l’amministratore delegato sia titolare di un potere decisorio pieno ed effettivo in materia prevenzionistica. Laddove, invece, si assista ad una costante ingerenza degli amministratori deleganti, tale da dissolvere il significato della delega di gestione, allora la posizione di garanzia datoriale si espanderebbe nuovamente in capo all’intero consiglio di amministrazione.
Sarebbe, inoltre, utile una più precisa chiarificazione della differenza tra il contenuto del residuo dovere di vigilanza ex art. 16 TUSL ed il contenuto del residuo dovere di controllo ex art. 2381 c.c.: la pronuncia - come segnalato - affronta ma non esaurisce il tema, limitandosi a ragionare nei termini secondo cui, quale che sia il contenuto di tali doveri, essi devono ritenersi inadempiuti in presenza di vizi macroscopici nella procedimentalizzazione dell’attività produttiva.
Riconoscendo la correttezza della decisione nel merito, l’auspicio è che il Supremo Consesso possa, in future pronunce, soffermarsi più approfonditamente su tali profili, a fronte di una ormai totalmente acquisita padronanza sul piano concettuale delle due diverse deleghe ricorrenti nell’ambito delle organizzazioni complesse.
[1] Così la sentenza in commento § 2.3.
[2] V. la sentenza in commento § 5.1.
[3] Il tema è affrontato da Cass., Sez. IV, 27 febbraio 2023, n. 8476, in De Jure (spec. § 4).
[4] Nell’ambito di una letteratura estremamente ampia sull’argomento si può fare rinvio ai più recenti lavori manualistici: R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro2, Torino, 2023, 79 ss.; F. CONSULICH, Manuale di diritto penale del lavoro, Torino, 2024, 88 ss.; S. TORDINI CAGLI, La delega di funzioni, in D. CASTRONUOVO – F. CURI – S. TORDINI CAGLI – V. TORRE – V. VALENTINI, Sicurezza sul lavoro. Profili penali3, Torino, 2023, 137 ss. A livello monografico T. VITARELLI, Profili penali della delega di funzioni. L'organizzazione aziendale nei settori della sicurezza del lavoro, dell'ambiente e degli obblighi tributari, Milano, 2008, passim.
[5] V. la sentenza in commento § 5.2.
[6] Seppur in via del tutto incidentale, la pronuncia in esame (§ 5.2.1.) sembra affermare che la delega di funzioni è ad appannaggio del solo datore di lavoro, non anche del dirigente. In questo senso anche R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro, cit., 91.
Per la tesi contraria, in dottrina, S. TORDINI CAGLI, La delega di funzioni, cit., 125; F. CONSULICH, Manuale di diritto penale del lavoro, cit., 92.
[7] Si veda, ad esempio, M. PELISSERO, Reati omissivi, in C.F. GROSSO – M. PELISSERO – D. PETRINI – P. PISA, Manuale di diritto penale. Parte generale4, Milano, 2023, 227.
[8] In questo senso, chiaramente, F. CONSULICH, Manuale di diritto penale del lavoro, cit., 89.
[9] In giurisprudenza si veda Cass., Sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343, in Dir. pen. contemp., 19 settembre 2014, nonché Cass., Sez. IV, 21 aprile 2016, n. 22837, in CED Cass. n. 267319. In dottrina, ex plurimis, R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro, cit., 78, nonché A. MASSARO, Omissione e colpa, in M. DONINI (diretto da), Reato colposo (Enc. dir.), Milano, 2021, 881.
[10] V. la sentenza in commento § 5.2.2.
[11] Ibidem.
[12] Cass., Sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343, cit., su cui si veda “l’interpretazione autentica” di R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro, cit., 50 ss.
[13] V. la sentenza in commento § 5.2.2.
[14] Per tutti F. CONSULICH, Manuale di diritto penale del lavoro, cit., 69 ss. (spec. 76).
[15] Altra norma emblema del principio di effettività, non richiamata dalla pronuncia, è l’art. 299 TUSL. Sul tema, di recente, R. GIRANI, La clausola di equiparazione di cui all’art. 299, D.Lgs. n. 81 del 2008: alcune riflessioni a margine di una recente sentenza della Cassazione, in questa Rivista, 4 aprile 2024; amplius S. PRANDI, Alla ricerca del fondamento: posizioni di garanzia fattuali tra vecchie e nuove perplessità, in Dir. pen. proc., 2021, 654 ss.
[16] In termini ancora più espliciti sul punto si era pronunciata Cass., Sez. IV, 31 gennaio 2014, n. 4968, in De Jure, § 3.
[17] V. la sentenza in commento § 5.2.3.
[18] Ibidem.
[19] Ibidem.
[20] Ibidem.
[21] V. la sentenza in commento § 6.
[22] Ibidem.
[23] Si veda D. PETRINI, Individuazione del datore di lavoro e delega di funzioni nelle società di capitali, in G. CASAROLI - F. GIUNTA - R. GUERRINI - A. MELCHIONDA (a cura di), La tutela penale della sicurezza del lavoro. Luci e ombre del diritto vivente, Pisa, 2015, 85 ss., ove vengono criticamente analizzate diverse risalenti pronunce della Suprema Corte in cui si tendeva a sovrapporre l’istituto della delega di gestione a quello della delega di funzioni.
[24] Il riferimento è al § 6 della sentenza in commento.
[25] Sul punto si vedano le lucide riflessioni di C. PAONESSA, Problemi risolti e questioni ancora aperte nella recente giurisprudenza in tema di debito di sicurezza e delega di funzioni, in G. CASAROLI - F. GIUNTA - R. GUERRINI - A. MELCHIONDA (a cura di), La tutela penale della sicurezza del lavoro, cit., 38.
[26] La delega di funzioni, del resto, costituisce la principale modalità di adempimento del fondamentale e prioritario dovere di organizzazione gravante sul datore di lavoro. Come sottolinea T. VITARELLI, Profili penali della delega di funzioni, cit., 2, la delega costituisce un mezzo doveroso per la più efficace salvaguardia dei beni giuridici esposti al rischio d’impresa, al fine di far fronte ad un’esigenza di razionalizzazione dei sistemi organizzativi.
[27] In dottrina, P. PASCUCCI, L’individuazione delle posizioni di garanzia nelle società di capitali dopo la sentenza “ThyssenKrupp”: dialoghi con la giurisprudenza, in I working papers di Olympus, 2012, 23 sottolinea che, se il consiglio di amministrazione non ha conferito alcuna delega, la dimensione plurale della qualifica datoriale deriva dal fatto che “tutti i membri del consiglio assumono ab origine ed indistintamente la qualifica datoriale in relazione a tutti gli obblighi prevenzionistici”.
[28] È inevitabile che si porranno, allora, alcune delle note (e complesse) problematiche proprie dell’emisfero dell’omesso impedimento da parte degli amministratori non delegati dei reati dolosi commessi dall’amministratore delegato, su cui, per una panoramica generale, E.M. AMBROSETTI – E. MEZZETTI – M. RONCO, Diritto penale dell’impresa5, Bologna, 2022, 111 ss.. Criticamente D. PIVA, La responsabilità del “vertice” per l’organizzazione difettosa nel diritto penale del lavoro, Napoli, 2011, 256, il quale sottolinea che il singolo amministratore non esecutivo non possiede autonomi poteri di impedimento, ma può solo sollecitare l’intervento del consiglio di amministrazione, richiedere informazioni, diffidare l’amministratore esecutivo o segnalare eventuali violazioni al collegio sindacale.
Si può incidentalmente ipotizzare che, paradossalmente, la c.d. teoria dei segnali di allarma, pur coniata a proposito dell’omesso impedimento dei reati dolosi, sia più adatta all’imputazione colposa. Sottolinea, del resto, F. CONSULICH, Controllo del comportamento economico deviante ed evoluzione del diritto penale d’impresa, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1-2/2024, 27 che la responsabilità dolosa omissiva sfocia in un “paradigma misto”: un “tertium genus soggettivo, incentrato sulla disorganizzazione consapevole”.
[29] Il dibattito scientifico sul tema della cooperazione colposa è stato – come è noto – di recente ravvivato da due preziose opere sul punto che testimoniano le potenzialità applicative dell’art. 113 c.p., pur giungendo a ricostruzioni diverse: v. F. CONSULICH, Il concorso di persone nel reato colposo, Torino, 2023, passim; A. GARGANI, Impedimento plurisoggettivo dell’offesa. Profili sistematici del concorso omissivo nelle organizzazioni complesse, Pisa, 2022, 189 ss.
[30] V. la sentenza in commento § 5.2.2.
[31] Sul punto F. CONSULICH, Manuale di diritto penale del lavoro, cit., 97, il quale sottolinea che dal residuo dovere di vigilanza del delegante ex art. 16 discende che “costui è tenuto ad una condotta organizzativa diligente”; va sfruttato, quindi, il “canale informativo continuo che deve legare delegante e delegato in merito alle vicissitudini dello svolgimento dell’incarico” (95).
[32] Sul significato di tale disposizione, si sono invero sviluppate diverse teorie. Secondo R. BLAIOTTA, Diritto penale e sicurezza del lavoro, cit., p. 95 si tratta di una presunzione relativa; invece, F. CONSULICH, Manuale di diritto penale del lavoro, cit., 98 esclude si tratti di una presunzione, sia assoluta sia relativa.