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  Scheda  
09 Dicembre 2021


Abuso d'ufficio e violazione di norme regolamentari: la Cassazione delinea i limiti di ammissibilità dello schema della "eterointegrazione"

Cass., Sez. VI, sent. 16 febbraio 2021, (dep. 8 settembre 2021), n. 33240, Pres. Fidelbo, Rel. Silvestri



1. Con la sentenza in esame[1], la Cassazione si pone il problema dell'ammissibilità dello schema c.d. della eterointegrazione, ossia della possibile rilevanza penale, a titolo di abuso d'ufficio, della violazione di una norma di fonte sub-legislativa (nel caso di specie, si trattava di un regolamento comunale) richiamata da una «norma di legge», elemento normativo del reato di cui all'art. 323 c.p.

 

2. La vicenda oggetto della sentenza in commento riguarda la dirigente del settore politiche sociali di un comune, imputata per aver predisposto un bando di gara per l'assegnazione di un incarico in regime di co.co.co e presieduto la commissione esaminatrice dei curricula pervenuti, dichiarando vincitrice la nipote (il cui incarico veniva in seguito prorogato).

I giudici di merito avevano giudicato illecita la condotta sotto diversi profili. In primo luogo, risultava palese la violazione dell'obbligo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto. In secondo luogo, la Corte d'Appello riscontrava una duplice violazione dell'art. 7 del d.lgs. 165/2001, che prevede: 1) che l'Amministrazione possa affidare incarichi individuali solo a soggetti esterni dotati «di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria» (per meglio delineare il concetto di «particolare e comprovata specializzazione anche universitaria», i giudici di merito facevano riferimento all'art. 45 del regolamento degli Uffici e Servizi del Comune, pur non espressamente richiamato dal d.lgs. 165, che prescrive il possesso di laurea magistrale o, in subordine, di laurea triennale accompagnata da master universitari coerenti con le professioni richieste); 2) che l'Amministrazione sia tenuta ad accertare l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno. La vincitrice del bando non era in possesso di laurea magistrale (violazione n. 1) e, inoltre, non era stata compiuta alcuna verifica circa l'impossibilità di ricorrere, per l'espletamento dell'incarico, a personale in organico (violazione n. 2).

L'abuso d'ufficio era, quindi, pacificamente integrato sia per l'omessa astensione sia per la frontale violazione di norma equiparata alla legge, nella parte in cui questa prescrive il compimento dell'istruttoria (violazione n. 2). Si rileva peraltro fin d'ora che il reato risultava prescritto. La Corte, tuttavia, coglie l'occasione per soffermarsi sul tema della violazione mediata di legge, ovvero della possibile rilevanza, a titolo di abuso d'ufficio, della violazione di una norma di fonte sub-legislativa richiamata da una «norma di legge», elemento normativo del reato di cui all'art. 323 c.p. Il problema si poneva, infatti, rispetto alla violazione n. 1, in quanto i giudici di merito avevano valorizzato un regolamento comunale (pur non espressamente richiamato dal decreto legislativo 165/2001) per specificare cosa dovesse intendersi per «specializzazione anche universitaria». La questione assumeva rilevanza nel caso di specie in seguito all'emanazione del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con L. 11 settembre 2020, n. 120, il quale, come è noto, ha ristretto l'ambito applicativo dell'art. 323 c.p. escludendone la condotta posta in essere in violazione di regolamenti[2]. Poiché, infatti, la norma violata era quella derivante dal combinato disposto dell'art. 7 del d.lgs. 165/2001 e dell'art. 45 del regolamento degli Uffici e Servizi del Comune, la difesa invocava la sopravvenuta irrilevanza penale della condotta contestata.

 

3. Prima di addentrarci nel merito della questione affrontata dalla Cassazione, ci sembra opportuno notare che il ricorso allo schema della eterointegrazione è necessario soltanto qualora non sia ravvisabile una diretta violazione di legge: soltanto, cioè, qualora la norma di fonte primaria faccia rinvio, per l'individuazione di un elemento del reato, a una disposizione di fonte subordinata alla legge, e sia solo questa seconda disposizione a essere violata. Quando, invece, la violazione della norma di legge non è mediata ma diretta, in quanto la condotta posta in essere si pone in contrasto con quanto prescritto dalla legge stessa, il reato di cui all'art. 323 è (in presenza degli ulteriori presupposti) senz'altro integrato. Nel caso in esame, tale diretta violazione di legge pare effettivamente sussistente: è già il d.lgs. 165/2001, infatti, a prescrivere che gli assegnatari degli incarichi siano in possesso di una formazione «anche universitaria». Il ricorso allo schema della eterointegrazione sembra quindi, almeno a prima vista, non necessario: l'abuso d'ufficio parrebbe già integrato per il contrasto tra la condotta contestata e il decreto legislativo citato.

 

4. Non riscontrando, invece, una diretta violazione del decreto legislativo, bensì soltanto una violazione del regolamento da questo richiamato, la Corte affronta il tema della possibile rilevanza indiretta della violazione di norme regolamentari, dopo la recente riforma dell’abuso d’ufficio.  In motivazione, pur dando atto della problematicità del rinvio operato dall’art. 323 c.p., che potrebbe consentire di attrarre entro il perimetro della rilevanza penale la violazione di norme sub-primarie richiamate da una delle «norme di legge», osserva che ciò che è necessario e sufficiente è che la norma di legge richiamata rispetti i requisiti di tipicità e tassatività propri del precetto penale; nessun problema si porrebbe nel caso di specie, in quanto la disposizione di cui all'art. 7 d.lgs. 165/2001 (che costituisce la «norma di legge» ai sensi dell'art. 323 c.p.) descrive compiutamente il precetto, mentre l'art. 45 del Regolamento ha la sola funzione di introdurne una specificazione tecnica, limitandosi a precisare che cosa debba intendersi per "particolare e comprovata specializzazione anche universitaria".

La Cassazione pare quindi aderire a quell'orientamento dottrinale, già condiviso in altre sentenze di legittimità successive alla riforma[3], in base al quale la «norma di legge» di cui all'art. 323 integrerebbe il precetto penale, di cui dovrebbe, quindi, necessariamente condividere i canoni di tipicità e tassatività propri delle norme penali, con la conseguenza che non sarebbe ammesso che la norma di legge richiamata a sua volta rinvii a una fonte secondaria[4]. In quest'ottica, l'art. 323 c.p. sarebbe una norma penale in bianco. Il riferimento alla funzione di “specificazione tecnica”, propria della norma secondaria, sembra invece alludere alla nota concezione della riserva di legge c.d. tendenzialmente assoluta: è compatibile con la riserva di legge l’integrazione del precetto da parte di norme secondarie che abbiano una mera funzione di specificazione tecnica[5]. L’abuso d’ufficio costituirebbe pertanto una norma penale parzialmente in bianco, costituzionalmente legittima, ogni volta in cui la norma di legge richiamata rinvii, a sua volta, a norme di fonte regolamentare con funzione di mera specificazione tecnica. Quelle norme si incorporerebbero nella legge penale e la loro violazione, pertanto, darebbe luogo a una violazione di legge ex art. 323 c.p.  

Occorre rilevare che sembrerebbe invero più accreditata, in dottrina, la teoria secondo la quale il sintagma «in violazione di norme di legge» di cui all'art. 323 costituirebbe un semplice elemento normativo, così che la violazione delle norme di fonte sub-legislativa si porrebbe come semplice presupposto di fatto per l'applicazione dell'art. 323 c.p., non contribuendo in alcun modo a delinearne il precetto[6]. L'art. 323 c.p. non sarebbe, quindi, una norma penale in bianco. Aderendo a questa opinione dottrinale, sarebbe in ogni caso ammissibile un rinvio, da parte della legge extra-penale, alla norma di fonte subordinata, non essendo invece richiesto che quest'ultima si limiti a una specificazione meramente tecnica. Questa seconda impostazione è stata accolta dalla giurisprudenza successiva alla riforma, che ha infatti ammesso in diverse occasioni il ricorso allo schema della eterointegrazione[7].

 

7. Anche accogliendo quest'ultima opinione dottrinale, tuttavia, sarebbe indispensabile un espresso richiamo, da parte della legge, alla norma di fonte sub-primaria. Nel caso in esame, invece, l'art. 7 d.lgs. 165/2001 non fa alcun rinvio al regolamento comunale di cui qui si discute. A nostro parere, allora, la violazione della disposizione regolamentare è, quindi, autonoma rispetto alla violazione di legge, e non può negarsi che, in seguito all'ultima riforma, essa non possa più integrare l'art. 323 c.p.

 

8. Data la complessità della questione affrontata dalla sentenza annotata, sembra opportuno riepilogare brevemente le considerazioni formulate. a) Qualora sia possibile riscontare la violazione di una norma di legge, non occorre fare ricorso allo schema della eterointegrazione. Nel caso in esame, tale violazione di legge pare effettivamente sussistente: è già il d.lgs. 165/2001, infatti, a prescrivere che gli assegnatari degli incarichi siano in possesso di una formazione «anche universitaria»; e la vincitrice del concorso non era laureata. L'abuso d'ufficio avrebbe quindi potuto essere contestato ab origine per diretta violazione del d.lgs. 165/2001; b) qualora una diretta violazione di legge non sia riscontrabile, lo schema della eterointegrazione, in realtà solo apparente, sarebbe, almeno accogliendo l'interpretazione dottrinale che vede nella «violazione di norme di legge» un elemento normativo della fattispecie, sempre ammissibile; c) è però, in ogni caso, indispensabile che la norma di fonte sub-legislativa sia esplicitamente richiamata dalla disposizione di fonte primaria, che alla prima fa rinvio. Nel caso in esame, invece, l'art. 7 d.lgs. 165/2001 non fa alcuna menzione del regolamento comunale di cui qui si discute: la violazione di quest'ultimo è, quindi, autonoma rispetto alla violazione di legge, non risultando integrato lo schema della eterointegrazione.

 

 

[1] Di cui danno conto M. Ricciarelli, Il nuovo abuso d'ufficio: un difficile punto di equilibrio, in Arch. pen., fasc. 2/2021 e A. Melchionda, La riforma dell'"abuso d'ufficio" nel caleidoscopio del sistema penale dell'emergenza da Covid-19, in Arch. pen., fasc. 2/2021.

[2] Cfr., per tutti, G.L. Gatta, Riforma dell'abuso d'ufficio: note metodologiche per l'accertamento della parziale abolitio criminis, in questa Rivista, 2 dicembre 2020.

[3] Cass., Sez. VI, sent. 9 dicembre 2020 (dep. 8 gennaio 2021), n. 442, Pres. Fidelbo, Rel. Giorgi, imp. Garau, con nota di C. Pagella, La Cassazione sull'abolitio criminis parziale dell'abuso d'ufficio ad opera del "decreto semplificazioni", in questa Rivista, 19 maggio 2021.

[4] C. Cupelli, L’abuso d’ufficio, in B. Romano, A. Marandola (a cura di), Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 2020.

[5] Cfr., per tutti, G. Marinucci – E. Dolcini – G.L. Gatta, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, Giuffrè, Milano, 2020, p. 68.

[6] G. L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme integratrici: teoria e prassi, Milano, Giuffrè, 2008, p. 81; M. Gambardella, Il controllo del giudice penale sulla legalità amministrativa, Giuffrè, Milano, 2002, p. 289 ss.; C. Benussi, Sub. art. 323, in Codice penale commentato, Milano, 2021.

[7] Cass., sez. VI, 17 settembre 2020 (dep. 12 novembre 2020), n. 31873, di cui dà conto G.L. Gatta, Riforma dell'abuso d'ufficio: note metodologiche per l'accertamento della parziale abolitio criminis, in questa Rivista, 2 dicembre 2020, e Cass., sez. III, 8 settembre 2020 (dep. 28 settembre 2020), n. 26834. In senso critico rispetto a queste prime pronunce cfr. A. Merlo, Lo scudo di cristallo: la riforma dell'abuso d'ufficio e la riemergente tentazione "neutralizzatrice" della giurisprudenza, in questa Rivista, 1 marzo 2021.