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28 Settembre 2023


Violazione dell’isolamento domiciliare da parte di soggetto positivo al covid: ancora un’assoluzione. Quid iuris dopo la recente abolizione dell'obbligo di isolamento domiciliare?

GIP Pavia, sent. 3 maggio 2023 (dep. 5 giugno 2023), n. 284, giud. Leo



*Il presente contributo è destinato alla pubblicazione nel fascicolo 9/2023. 

 

1. Nella sentenza che pubblichiamo, il Tribunale di Pavia ha assolto, con la formula dell’insussistenza del fatto, un soggetto accusato della contravvenzione di cui all’art. 4 co. 6 d.l. 19/2020, conv. l. 35/2020, per aver violato il divieto di uscire dall’abitazione in quanto positivo al Covid-19. La pronuncia costituisce un’ulteriore conferma della sostanziale ineffettività delle disposizioni penalistiche introdotte con la legislazione emergenziale per il contrasto alla diffusione del contagio da Covid-19.

 

2. Il procedimento penale origina dalla segnalazione di un appartenente all’arma dei Carabinieri che, nel primo pomeriggio del 16 gennaio 2022, notava la presenza di un giovane, a lui noto e di cui conosceva lo stato di positività al Covid-19, nel cortile del proprio condominio. All’arrivo delle forze dell’ordine, il ragazzo – che era risultato positivo al test molecolare effettuato il 7 gennaio, ma che era poi risultato negativo ad un test ‘casalingo’ effettuato il giorno precedente a quello in cui era stato fermato – dichiarava di essere uscito di casa per andare a trovare la fidanzata, che abitava nello stesso condominio del Carabiniere.

A seguito della comunicazione della notizia di reato, il Pubblico Ministero emetteva un decreto penale di condanna per la contravvenzione in oggetto, quantificando la pena in 600 euro di ammenda e tre mesi di arresto (pena detentiva sostituita, ai sensi dell’art. 53 l. 689/81, in 2.250 euro di ammenda). A seguito dell’opposizione al decreto, veniva instaurato il giudizio abbreviato presso il Tribunale, all’esito del quale il Pubblico Ministero chiedeva che venisse pronunciata una sentenza di improcedibilità ex art. 131 bis, in ragione della particolare tenuità del fatto, ed il Difensore chiedeva l’assoluzione dell’imputato nel merito, ritenendo tra l’altro non provata la positività dell’imputato al Covid-19 al momento del controllo.

 

3. Prima di esaminare le ragioni che hanno indotto il Giudice del Tribunale di Pavia a ritenere insussistente il fatto di reato nel caso di specie, può essere opportuno ripercorrere, in estrema sintesi, l’evoluzione normativa della contravvenzione in esame. A questo proposito, occorre innanzitutto osservare che il d.l. 19/2020, nell’operare una generale depenalizzazione degli illeciti derivanti dall’inosservanza delle misure di contenimento del contagio, ha conservato natura penale proprio alla violazione del divieto di allontanamento dal domicilio da parte del soggetto risultato positivo al Covid-19 e ciò in considerazione della particolare pericolosità della trasgressione rispetto all’obiettivo di tutela della salute pubblica. In particolare, l’art. 4 co. 6 del d.l. 19/2020 ha previsto che fosse punita “ai sensi dell’articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265”, ossia con l’arresto da 3 a 18 mesi e l’ammenda da 500 a 5000 euro, la violazione della misura di cui all’art. 1, co. 2, lett. e) dello stesso decreto, ossia del “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus”. 

Ciò che preme sottolineare, come ben evidenziato dal Giudice nella sentenza in esame, è che in questa prima fase della normativa emergenziale la sottoposizione alla misura della “quarantena obbligatoria” (che, come diremo, solo successivamente verrà denominata in modo più appropriato come obbligo di “isolamento domiciliare”)[1] discendeva direttamente dall’accertamento dello stato di positività al Covid-19 del trasgressore, senza cioè che fosse necessaria l’intermediazione di un provvedimento individuale dell’autorità sanitaria. È con il d.l. 16 maggio 2020, n. 33 (emanato ancor prima della conversione in legge del d.l. 19/2020 e destinato a disciplinare la ‘fase 2’ dell’emergenza), che il reato viene inequivocabilmente subordinato alla sussistenza di un provvedimento individuale che accerti la positività al virus: secondo quanto disposto dall’art. 1 co. 6, infatti, il divieto di mobilità dall’abitazione si indirizza alle “persone sottoposte alla misura della quarantena per provvedimento dell’autorità sanitaria in quanto risultata positive al virus Covid-19, fino all’accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata”. Con la conversione in legge del d.l. 19/2020, come si è detto successivo al d.l. 33/2020, si stabilisce che il compito di emettere tale provvedimento individuale è attribuito al sindaco “quale autorità sanitaria locale”: la competenza del sindaco era però destinata a vita breve, non comparendo già più nella formulazione della norma approvata in sede di conversione del d.l. 33/2020, ove nuovamente si prevedeva che la quarantena fosse disposta con “provvedimento dell’autorità sanitaria”[2].

Oltre all’inconfutabile dato testuale, il fatto che la contravvenzione in esame, a partire dal d.l. 33/2020, presupponga l’inosservanza di un provvedimento amministrativo individuale notificato al soggetto positivo al Covid ha trovato esplicito riconoscimento nella sentenza 127/2022 della Corte costituzionale che – nel pronunciarsi sulla compatibilità con la Costituzione del divieto di mobilità dall’abitazione del soggetto positivo sotto il profilo dell’art. 13 – ha esplicitamente affermato che la contravvenzione in esame consiste nell’ “inosservanza del provvedimento che sottopone la singola persona alla quarantena a seguito di positività al virus Covid-19”[3] .

 

4. Le tormentate vicende della contravvenzione in esame sono poi proseguite anche dopo la cessazione dell’emergenza sanitaria: con il d.l. 24/2022 – provvedimento finalizzato a disciplinare “il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza” – è stato infatti introdotto all’interno del d.l. 52/2021 l’art. 10 ter, intitolato ‘isolamento ed autosorveglianza’ che, al co. 1, prevedeva il divieto di mobilità dall’abitazione “per le persone sottoposte alla misura dell’isolamento per provvedimento dell’autorità sanitaria in quanto risultate positive al Sars-Cov-2”. La disposizione ricalcava, con poche marginali modifiche, la precedente formulazione della fattispecie, provvedendo però opportunamente a modificare la denominazione della misura oggetto del provvedimento dell’autorità sanitaria, che, anziché ‘quarantena’, veniva definita, in modo più appropriato, ‘isolamento’. In linea di continuità con la disciplina emergenziale, il d.l. 24/2022 aveva previsto che la violazione del divieto di mobilità costituisse un illecito penale sanzionato ai sensi dell’art. 260 r.d. 27 luglio 1934/1265 (secondo quanto previsto dall’art. 13 d.l. 52/2021). La mancata previsione, nel testo normativo, di un termine finale di vigenza dell’art. 10 ter co. 1 aveva portato a concludere nel senso che la contravvenzione avesse perso il suo carattere di temporaneità e fosse quindi diventata una norma ‘stabile’ all’interno del nostro ordinamento[4].

Di recente tuttavia, con il d.l. 10 agosto 2023 n. 105, non ancora convertito in legge, l’art. 10 ter d.l. 52/2021 è stato abrogato. L’abrogazione va messa in relazione con il mutato quadro epidemiologico e con la progressiva diminuzione di aggressività del virus. Va peraltro osservato che l’intervento normativo presenta dei profili di ambiguità: da un lato, infatti, l’art. 9 co. 1 lett. a) d.l. 105/2023 sancisce che “l’art. 10 ter è abrogato”, con ciò riferendosi inequivocabilmente alla intera disposizione, quindi sia al co. 1 che come si è detto prevedeva il divieto di allontanamento dal domicilio del soggetto positivo al Covid-19, sia al co. 2, che disponeva obblighi di auto-sorveglianza per coloro che avessero avuto rapporti stretti con soggetti positivi; dall’altro, l’art. 9 co. 1 lett. b) esclude l’applicazione della disciplina sanzionatoria solo con riferimento alla violazione degli obblighi di auto-sorveglianza di cui al co. 2[5], mantenendo invece in vigore l’art. 13 co. 2 bis d.l. 52/2021, in base al quale “salvo che il fatto costituisca reato punibile ai sensi dell'articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, la violazione della misura di cui all'articolo 10-ter, comma 1, è punita ai sensi dell'articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265”. Qualunque sia la ragione della mancata abrogazione dell’art. 13 co. 2 bis, l’opzione interpretativa che mi pare preferibile è quella di considerare implicitamente abrogata anche tale disposizione sanzionatoria, essendo essa stata privata del suo oggetto, per effetto della abrogazione del precetto a cui essa si riferisce (ossia il divieto contenuto nell’art. 10 ter co. 1).

 

5. Tornando al provvedimento in commento, occorre in primo luogo precisare che la sentenza del Tribunale di Pavia interviene prima dell’emanazione del d.l. 105/2023, quindi in un momento in cui la contravvenzione era ancora in vita, essendo in vigore l’art. 10 ter d.l. 52/2021. Il primo problema che la sentenza affronta è quello della successione di leggi, in considerazione delle plurime modifiche normative che hanno interessato nel tempo la contravvenzione la violazione del divieto di allontanamento dell’abitazione del soggetto positivo al Covid-19. Sul punto, il Giudice ha ritenuto di trovarsi davanti ad un caso di continuità normativa: nonostante le plurime modifiche della disciplina, la struttura del divieto (a partire dall’art. 4 co. 6 d.l. 19/20, così come convertito dalla l. 35/20, sino all’art. 10 ter d.l. 52/2021) è infatti rimasta immutata. Partendo da questo presupposto, da un lato, si è ritenuto irrilevante il fatto che all’imputato sia stata erroneamente contestata la fattispecie di cui all’art. 4 c. 6 d.l. 19/2020, anziché quella di cui all’art. 1 co. 6 d.l. 33/2020 (vigente al momento della condotta)[6]; dall’altro, sempre alla luce del principio di continuità, si sono ritenute ininfluenti le modifiche normative intervenute successivamente alla condotta dell’imputato, in considerazione del fatto che la fattispecie contenuta nell’art. 10 ter d.l. 52/2021 di fatto riproduce quella contenuta nella legislazione pandemica[7].

 

6. Venendo ora alle motivazioni poste alla base dell’assoluzione, il Giudice ha ritenuto non sussistente il fatto perché non era stato provato in giudizio (ed anzi, così si scrive in sentenza, ricorreva “prova logica del contrario”), che l’imputato fosse destinatario di un provvedimento individuale che prescrivesse l’obbligo di isolamento domiciliare. La soluzione è del tutto condivisibile: in presenza di una norma che in modo inequivoco subordina la configurabilità del reato alla presenza di un provvedimento individuale di quarantena, la mancata prova della sussistenza del provvedimento impedisce che possa attribuirsi rilevanza penale alla violazione dell’obbligo di isolamento da parte di un soggetto risultato positivo al test per il Covid-19. Da questo punto di vista appare pertanto irrilevante, come si osserva in sentenza, che l’imputato fosse o meno guarito nel momento in cui si è allontanato dall’abitazione: anche se si fosse dimostrata l’attualità dell’infezione e dunque l’offensività della condotta, nella forma dell’esposizione al pericolo della salute pubblica, il reato non si sarebbe potuto ritenere integrato per la mancanza di uno dei presupposti della condotta.

 

7. La pronuncia in oggetto va ad aggiungersi ai (pochi) altri precedenti che hanno interessato la contravvenzione in esame, confermando l’impressione di una sostanziale ineffettività del precetto penale: a fronte di un numero assai elevato di denunce (solo 4000 nel primo anno di vigenza della contravvenzione[8]) i procedimenti penali di cui sui ha notizia  (in quanto siano segnalati nelle banche dati giuridiche o nelle riviste giuridiche specializzate) si contano sulle dita di una mano e si tratta di procedimenti sfociati sempre in archiviazioni o in sentenze di assoluzione, in ragione dell’insussistenza o della mancata notifica dei provvedimenti individuali di quarantena[9]. La ragione di tale deficit di effettività deve rinvenirsi nel fatto che il Governo non si è preoccupato di dettare una regolamentazione dei profili attuativi del provvedimento di isolamento domiciliare: per lungo tempo, quindi, prima che le autorità sanitarie si dotassero di una propria regolamentazione, ha regnato la più totale incertezza sui soggetti competenti ad emanare il provvedimento, sulle procedure applicative o sulle modalità di notifica.

 

8. Venendo all’oggi, l’abrogazione dell’art. 10 ter d.l. 52/2021 da parte del d.l. 105/2023 pone alcuni problemi di diritto transitorio: problemi, va chiarito, che non interessano il caso in esame, conclusosi, come abbiamo detto, con una sentenza di assoluzione. I problemi riguardano invece le sentenze di condanna (ammesso, e non concesso, che possano realmente rinvenirsi delle condanne per la contravvenzione in esame).  

Trovandoci davanti ad una abolitio criminis, la domanda da porsi è quale sia il destino delle condanne passate in giudicato. Per rispondere a tale domanda occorre distinguere due diverse ipotesi: la prima è quella di una condanna per il reato di cui all’art. 10 ter d.l. 52/2021, in quanto fatto posto in essere dopo la cessazione dell’emergenza[10]; la seconda è quella di una condanna per reati previsti dall’art. 4 d.l. 19/2020 o dall’art. 1 co. 6 33/2020, in quanto fatti posti in essere durante l’emergenza sanitaria, nella vigenza dunque della legislazione pandemica. Pur nella identità del fatto (si è già detto che può pacificamente ritenersi la continuità normativa tra le varie fattispecie) ciò che cambia è la natura eccezionale o meno della legge che lo disciplina.

Nel primo caso, dunque nell’ipotesi in cui la norma applicata sia l’art. 10 ter, si può ritenere che eventuali sentenze di condanna passate in giudicato debbano essere revocate, trovando applicazione l’art. 2 co. 2 c.p.

Al contrario, laddove la norma applicata sia l’art. 4 d.l 19/2020 oppure l’art. 1 co. 6 d.l. 33/2020, si deve a mio parere concludere nel senso che le condanne non debbano essere revocate, trovando applicazione l’art. 2 co. 5 c.p. Come noto, tale disposizione contiene una deroga al principio della retroattività della legge penale più favorevole, stabilendo che esso non operi qualora le leggi che introducano il trattamento di sfavore abbiano natura eccezionale o temporanea. Ora non è dubbio che le due disposizioni citate abbiano carattere eccezionale e temporaneo, in quanto emanate per fronteggiare lo stato di emergenza pandemica e dotate da un termine finale di vigenza[11]. Non così l’art. 10 ter d.l. 52/2021, che – come si è visto – è stato emanato dopo la cessazione dello stato di emergenza e senza la previsione di termini finali di vigenza.

Ci si potrebbe a questo punto chiedere – e la questione infatti è stata discussa – se sia ragionevole, una volta cessato lo stato di emergenza e non essendo più attuale il pericolo di collasso del sistema sanitario a causa della circolazione del virus, continuare a punire la violazione dell’isolamento domiciliare del positivo (e più in generale la violazione delle misure di contenimento del contagio) o se non sia invece più opportuno evitare l’applicazione retroattiva della normativa emergenziale, prevedendo una deroga al principio di cui all’art. 2 co. 5 c.p. A mio avviso, deve rimanere ferma l’applicazione dell’art. 2 co. 5 per due diversi ordini di ragioni: innanzitutto perché il superamento dell’emergenza ha reso non più necessaria l’osservanza delle misure di contenimento del contagio, ma non ha modificato la valutazione politico-criminale della violazione di tali misure: il giudizio di disvalore dell’ordinamento per tali condotte, che in una situazione di pandemia generano un grave pericolo per la tenuta del sistema sanitario e quindi in ultima analisi per la salute pubblica, rimane intatto.

In secondo luogo, e forse questa è la considerazione dirimente, l’ultrattività delle sanzioni punitive deve essere garantita a salvaguardia dell’efficacia general-preventiva delle disposizioni eccezionali e temporanee, che sarebbe vanificata qualora si potesse contare sulla disapplicazione delle sanzioni punitive una volta cessato lo stato di emergenza: un’esigenza questa che si manifesta con particolare urgenza nei contesti di emergenza sanitaria, ove – come la recente pandemia ha consentito di toccare con mano – la tutela della salute pubblica viene a dipendere massimamente dall’osservanza generalizzata delle misure di contenimento. È dunque pensando al futuro, per non privare di efficacia general-preventiva le disposizioni che potrebbero essere emanate nel contesto di nuove emergenze sanitarie, che deve garantirsi l’applicabilità delle sanzioni anche dopo la cessazione della situazione eccezionale che le ha generate.

Né mi sembra che possa porsi un problema di violazione dell’art. 3 Cost. per la diversa disciplina a cui sono soggette le sentenze di condanna per lo stesso reato a seconda che si riferiscano a fatti commessi nella vigenza della legislazione pandemica o meno: da questo punto di vista, non può sfuggire infatti come la stessa condotta, ossia l’allontanamento dall’abitazione da parte del soggetto positivo al Covid-19, abbia un disvalore ben diversa a seconda che sia stata commessa dopo la cessazione dell’emergenza o nel corso della stessa, in un momento in cui il contagio per Covid-19 rappresentava, come noi tutti sappiamo, un gravissimo rischio per la vita e la salute della collettività.

 

9. Concludo con un’ultima più generale riflessione. L’abrogazione della contravvenzione della violazione dell’isolamento domiciliare da parte del soggetto positivo al Covid-19 da parte del d.l. 105/2023 è a mio avviso condivisibile. La sopravvivenza di una fattispecie di reato finalizzata a contrastare la diffusione del Covid-19, al di fuori del contesto pandemico ed in un momento in cui la nocività del virus è oggettivamente molto diminuita, sollevava infatti fondati dubbi sulla corrispondenza ai principi di proporzionalità e di offensività.

Nonostante che la disposizione sia stata ora abrogata e nonostante che l’emergenza pandemica sia cessata, rimane comunque molto attuale la riflessione sulle condizioni e sui limiti dell’intervento penale in contesti di emergenza sanitaria a tutela della salute pubblica, nella prospettiva di un generale ripensamento del sistema di illeciti punitivi a tutela della salute pubblica in un contesto pandemico e ciò nell’evenienza di nuove, e purtroppo non improbabili, emergenze[12].

 

 

 

[1] Con circolare del Ministero della Salute 12 ottobre 2020, si era precisato che di quarantena si sarebbe dovuto propriamente parlare con riferimento alle “restrizioni dei movimenti di persone sane per la durata del periodo di incubazione, ma che potrebbero essere state esposte ad un agente infettivo o ad una malattia contagiosa, con l’obiettivo di monitorare l’eventuale comparsa di sintomi e identificare tempestivamente nuovi casi” (dunque le ipotesi di c.d. quarantena obbligatoria). Si aggiungeva poi che con l’espressione isolamento si doveva indicare la misura che consiste nella separazione delle persone infette dal resto della comunità per la durata del periodo di contagiosità, in ambiente e condizioni tali da prevenire la trasmissione dell’infezione. Nonostante tale chiara delimitazione dell’ambito semantico dei due termini, il nostro legislatore per tutta la durata dello stato di emergenza ha utilizzato l’espressione “quarantena” per riferirsi all’isolamento domiciliare del soggetto infetto. Come si dirà, solo con il d.l. 24/2022, il legislatore ha modificato la denominazione della misura, sostituendo alla parola “quarantena” quella di isolamento domiciliare. 

[2] Presumibilmente la soppressione del riferimento al sindaco quale autorità sanitaria competente all’emanazione dei provvedimenti di quarantena si deve alla protesta dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), che ha contestato la ragionevolezza della previsione, considerando che il compito di accertare i contagi e gestire le misure di isolamento era stato attribuito, sin dall’inizio della pandemia, alle aziende sanitarie locali.

[3] Corte cost. 7 aprile 2022, n. 127.

[4] Sul punto cfr.  A. Della Bella, Il legislatore penale di fronte all’emergenza sanitaria. Principi penalistici alla prova del Covid-19, Giappichelli, 2023, p 39 ss.

[5] Ciò avviene sopprimendo nell’art. 13 d.l. 52/2021, dedicato appunto alla disciplina sanzionatoria, il riferimento all’art. 10 ter co. 2.

[6] In questo senso, come rileva anche la sentenza del Tribunale di Pavia in esame, si è espressa anche la Corte costituzionale nell’ordinanza 220/2022.

[7] Sul punto si è espressa la Corte cost. nella già citata sentenza 127/2022: in tale sentenza, pronunciandosi sulla compatibilità del divieto di mobilità dall’abitazione del soggetto positivo sotto il profilo dell’art. 13 Cost., la Corte ha avuto modo di affermare che le modifiche apportate dal d.l. 24/2022 non incidono né sugli elementi costitutivi, né sul trattamento sanzionatorio della contravvenzione, la quale quindi si pone in linea di continuità normativa con la precedente fattispecie delineata nel d.l. 33/2020. Volendo sul punto si rinvia a A. Della Bella, Quarantena obbligatoria,

libertà personale e libertà di circolazione. Riflessioni a margine di corte cost.7 aprile 2022, n. 127, in Riv. it. dir. proc. pen. 2/2022, p. 773 ss.

[8] Cfr. i dati contenuti nel “Monitoraggio dei servizi di controllo inerente le misure urgenti per il contenimento della diffusione del virus COVID-19”, relativo al periodo marzo 2020-marzo 2021, pubblicato sul sito internet del Ministero dell’interno.

[9] Tra i precedenti editi cfr. Trib. Lodi 29 agosto 2022, n. 290, in De Jure; cfr. poi, in questa Rivista, Gip Milano, 1° marzo 2021 e Trib. Milano 12 dicembre 2022, n. 3289.

[10] Lo stesso art. 10 ter stabilisce che deve trattarsi di condotte poste in essere “a decorrere dal 1° aprile 2022”.

[11] Più precisamente può attribuirsi all’art. 4 d.l. 19/2020 carattere di norma eccezionale, essendo il termine della sua vigenza ancorato al “termine dello stato di emergenza” (art. 1); all’art. 1 co. 6 d.l. 33/2020 carattere di norma temporaneo, essendosi indicato nello stesso decreto un termine finale di vigenza (art. 3).

[12] Per una riflessione in questo senso sia consentito il rinvio a A. Della Bella, Il legislatore penale di fronte all’emergenza sanitaria, cit.