Trib. Milano, Sezione GIP, sent. 12 dicembre 2022 (dep. 12 dicembre 2022)
1. Con sentenza del 12 dicembre 2022, il Tribunale di Milano si è pronunciato sulla contravvenzione della violazione della quarantena da parte del positivo pervenendo all’assoluzione dell’imputato: si tratta di un’ulteriore conferma della sostanziale ineffettività della disposizione incriminatrice introdotta nell’ordinamento con la legislazione emergenziale al fine di tutelare la salute pubblica rispetto a condotte di diffusione del contagio.
2. La vicenda da cui trae origine il procedimento in esame si può sintetizzare in poche battute: il giorno 15 gennaio 2022, l’imputato veniva sottoposto a controllo dalla Polizia Ferroviaria di Pescara mentre viaggiava su di un treno partito dalla stazione di Milano Centrale in direzione di Bari. A seguito del controllo, si evinceva che lo stesso era stato sottoposto dall’Autorità sanitaria ad un obbligo di isolamento domiciliare (c.d. quarantena) a causa del suo stato di positività al virus SARS-Cov-2. Il passeggero in questione – che, già al momento del controllo, aveva affermato di essere risultato negativo al tampone al quale si era sottoposto quella stessa mattina nel proprio domicilio – veniva fatto scendere dal treno. Quello stesso pomeriggio, l’imputato inviava alle autorità competenti l’esito negativo di un tampone effettuato presso una farmacia poco dopo essere sceso dal treno; l’esito negativo era poi confermato da un tampone molecolare effettuato qualche giorno dopo presso l’unità sanitaria territoriale di riferimento.
3. Prima di esaminare le motivazioni della sentenza, vale la pena soffermarsi in estrema sintesi sui tratti essenziali della contravvenzione in esame che, introdotta con la legislazione emergenziale per il contrasto alla pandemia di Covid-19, è ‘sopravvissuta’ allo stato di emergenza, divenendo una norma ‘stabile’ all’interno del nostro ordinamento[1]. Evitando in questa sede di percorrere l’evoluzione, assai tormentata, della disciplina[2], possiamo confrontarci direttamente con le norme nella loro formulazione definitiva, e vigenti al momento del fatto, ossia da un lato l’art. 1 co. 6 d.l. 16 maggio 2020, n. 33, conv. l. 14 luglio 2020, n. 74, che ha stabilito il “divieto di mobilità dalla propria abitazione o dimora alle persone sottoposte alla misura della quarantena per provvedimento dell’autorità sanitaria in quanto risultate positive al virus Covid-19, fino all’accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata”, e d’altro lato con l’art. 2 co. 3 dello stesso decreto, a tenore del quale “salvo che il fatto costituisca violazione dell’articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, la violazione della misura di cui all’art. 1 co. 6 è punita ai sensi dell’articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265”, ossia con le pene dell’arresto da 3 a 18 mesi e dell’ammenda da 500 a 5000 euro. Come si evince dalla formulazione letterale della norma, e secondo quella che è l’interpretazione pacifica in dottrina e prevalente nella (scarna) giurisprudenza che sino ad oggi si è occupata di tale fattispecie, il riferimento all’art. 260 r.d. 1265/1934 è da intendersi solo quoad poenam, facendo la disposizione riferimento, quanto al precetto, alla violazione della misura di contenimento di cui all’art. 1 co. 6.
Come si ricorderà, la previsione di una sanzione penale per punire la violazione di una misura di contenimento del contagio ha costituito un’eccezione rispetto alla scelta del legislatore pandemico, il quale, dopo una primissima fase nella quale aveva optato per una penalizzazione ‘a tappeto’ di qualsiasi violazione delle misure di contenimento del contagio introdotte con i decreti emergenziali, ha poi deciso di rinunciare al diritto penale a favore della sanzione amministrativa[3]. La scelta di utilizzare la pena per il caso di violazione della quarantena da parte del positivo si spiega in considerazione della particolare pericolosità della trasgressione rispetto all’obiettivo di tutela della salute collettiva.
Senza entrare nel dettaglio della disciplina della contravvenzione, ci interessa in questa sede metterne in luce alcuni profili, che ci paiono rilevanti nella misura in cui su di essi si sofferma la motivazione della sentenza in esame.
Un primo profilo di interesse riguarda la struttura della fattispecie che, nel punire il fatto in sé della violazione del divieto di allontanamento dal domicilio da parte di un soggetto di cui si sia accertata la positività al virus, appare costruita come un reato di pericolo astratto a tutela della salute pubblica: una scelta legislativa di per sé non peregrina, in considerazione dell’elevatissimo rango del bene tutelato. Come la dottrina ha avuto sin da subito modo di osservare, una interpretazione costituzionalmente orientata della fattispecie dovrà in ogni caso portare il giudice ad escludere la rilevanza penale di condotte che, alla luce delle circostanze del caso concreto, si rivelino totalmente inoffensive[4].
Lasciando da parte le considerazioni relative alla problematicità della disposizione sotto il profilo della legalità (tanto in relazione al rispetto della riserva di legge, quanto sul piano della compatibilità con il principio di determinatezza/precisione della norma)[5], è rilevante in questa sede segnalare che, a partire dalle modifiche della disciplina introdotte con la conversione in legge del d.l. 25 marzo 2020, n. 19 (e poi conservate nella formulazione del citato d.l. 33/2020), la rilevanza penale della condotta di violazione degli obblighi di isolamento domiciliare del soggetto positivo risulta espressamente subordinata all’emanazione di un provvedimento individuale di quarantena da parte dell’Autorità sanitaria[6]. Il punto risulta di particolare importanza, perché – come si avrà modo di rilevare anche nel caso di specie – proprio la mancata regolamentazione dei profili attuativi relativi all’emanazione e alla notifica del provvedimento amministrativo di quarantena è alla base dei gravi problemi di effettività della disposizione incriminatrice.
4. Venendo ora alla motivazione della sentenza, occorre innanzitutto osservare che il giudice non sembrerebbe aderire all’orientamento maggioritario di dottrina e giurisprudenza che interpretano il rinvio all’art. 260 r.d. 1265/1934 come riferito solamente al trattamento sanzionatorio, ritenendo piuttosto che a tale norma ci si debba riferire anche per individuare il precetto della contravvenzione per cui si procede. In particolare, secondo tale disposizione, è punito “chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo”: osserva il giudice che “l’ordine legalmente dato nel caso di specie (…) è quello generale” contenuto nella legislazione emergenziale, salvo però poi precisare che il provvedimento individuale di quarantena disposto dall’autorità sanitaria costituisce “presupposto dell’applicazione dell’art. 260 citato”.
Tale ricostruzione, a nostro avviso non del tutto lineare, non incide in realtà sul percorso motivazionale che porta il Tribunale a concludere per l’assoluzione dell’imputato. In particolare, l’assoluzione è motivata sulla base di due ordini di ragioni: l’inoffensività in concreto della condotta dell’imputato e la mancata notifica al destinatario del provvedimento individuale di quarantena.
Quanto al primo profilo, nella sentenza si afferma, in linea generale, che i reati di pericolo astratto devono essere sottoposti ad una rilettura costituzionalmente orientata che ne garantisca la conformità al principio di offensività: in questo senso si osserva che il giudice “non può prescindere dall’accertamento in ordine alla concreta offensività della condotta” e che deve pronunciare assoluzione ‘perché il fatto non sussiste’, ogni qualvolta tale accertamento porti a concludere che la condotta, benché formalmente conforme al modello legale, si riveli in realtà priva di lesività per il bene giuridico tutelato. Con riferimento alla contravvenzione della violazione della quarantena del positivo, riconosciuto che si tratta di un pericolo astratto, si afferma nella sentenza che il giudice “è sempre e in ogni caso chiamato a valutare le circostanze concrete della violazione posta in essere dal soggetto agente, in modo da poter stabilire se il fatto era in grado di esporre a pericolo la salute pubblica mediante concreta possibilità di contagio di un numero indeterminato di persone”. Nel caso di specie, la condotta dell’imputato si rivela, a parere del giudice, “del tutto priva del requisito di offensività e tipicità del fatto”, dal momento che “al momento del controllo (…) egli era del tutto asintomatico e solo due ore dopo essere stato fermato, sottoposto ad un test eseguito in farmacia, è risultato negativo al Covid”.
Il passaggio ci pare certamente interessante, sia perché, in linea generale, rivela la sempre crescente propensione della giurisprudenza ad un’utilizzazione del principio di offensività ‘in concreto’, ossia come strumento ermeneutico funzionale ad una rilettura costituzionalmente orientata delle fattispecie di pericolo astratto; sia perché, con riferimento alla materia del contagio, ne costituisce (a quanto ci risulta) la prima applicazione.
5. Quanto al secondo profilo, il giudice ritiene insussistente il fatto, in quanto “manca uno dei presupposti del reato”: da quanto sembrerebbe evincersi da una lettura complessiva della motivazione, il provvedimento di quarantena emesso nei confronti dell’imputato – che era certamente sussistente, in quanto visibile nelle banche dati consultate dalla polizia ferroviaria al momento del controllo – non era però stato comunicato al destinatario, nemmeno sotto forma di messaggio telefonico.
È evidente dunque che, anche a prescindere dalle circostanze concrete del caso che hanno portato il giudice ad affermare la sostanziale inoffensitivà del fatto, il reato non si sarebbe potuto ritenere integrato. Il punto merita attenzione perché i (pochi) procedimenti penali ad oggi avviati sulla contravvenzione della violazione della quarantena del positivo si sono sempre conclusi, a quanto ci consta, con provvedimenti di archiviazione o con assoluzioni, proprio in ragione dell’insussistenza o della mancata notifica dei provvedimenti individuali di quarantena[7].
La ragione di questo ‘fallimento’ è presumibilmente da rinvenire nel fatto che è mancata una regolamentazione dei profili attuativi: in assenza di una disciplina che individuasse chiaramente i soggetti competenti, le procedure applicative e le modalità di notifica, per lungo tempo i provvedimenti di quarantena non sono stati emanati dalle autorità sanitarie locali o, se emanati, non sono stati notificati al destinatario, così pregiudicando la possibilità di attribuire rilevanza penale alle condotte di violazione degli obblighi domiciliari da parte del soggetto positivo.
6. La motivazione si conclude poi con un’ulteriore osservazione. Afferma in particolare il giudice che, qualora non si aderisse all’interpretazione secondo cui il reato presuppone un provvedimento amministrativo di quarantena ‘ad personam’, la disposizione dovrebbe considerarsi incostituzionale per violazione del principio di riserva di giurisdizione: l’obbligo domiciliare a carico del positivo integrerebbe infatti una privazione della libertà personale e presupporrebbe pertanto l’intervento di un giudice ai sensi dell’art. 13 Cost. Il ragionamento svolto in questi termini nella sentenza non risulta persuasivo: non si vede infatti in che modo la sussistenza di un provvedimento amministrativo individuale potrebbe ‘sanare’ la presunta violazione dell’art. 13 Cost.
Il punto tuttavia merita un cenno, se non altro perché la questione è stata oggetto di considerazione da parte della Corte costituzionale nella sentenza 127/2022[8].
Come certamente si ricorderà, nel momento in cui il legislatore ha introdotto nella normazione emergenziale obblighi di isolamento domiciliare ai fini di contenimento del contagio, in dottrina si è cominciato a discutere, assai vivacemente, sulla loro qualificazione: se cioè essi implicassero una privazione della libertà personale o invece una limitazione della libertà di circolazione. Si tratta di una questione certamente rilevante, posto che dalla sua risoluzione discende l’applicazione delle diverse garanzie predisposte per le due diverse libertà: per la libertà personale, le garanzie contemplate dall’art. 13 Cost. e dall’art. 5 Cedu; per la libertà di circolazione, quelle che discendono dall’art. 16 Cost. e dall’art. 2 Prot. 4 Cedu.
Con riferimento alla contravvenzione della violazione della quarantena del positivo, il dubbio è stato sciolto dalla Corte costituzionale. Chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità della relativa disciplina con l’art. 13 Cost., che prescrive la riserva di giurisdizione per gli atti privativi della libertà persona-le, la Corte ha rigettato la questione, ritenendo che la libertà sacrificata dalla misura in questione fosse quella di circolazione, che, ai sensi dell’art. 16 Cost., può essere limitata sulla base della legge, senza necessità dell’intervento di un giudice.
7. Appianati dunque i dubbi di incostituzionalità della fattispecie contravvenzionale rispetto all’art. 13 Cost., rimane da riflettere sull’opportunità della sua conservazione nell’ordinamento anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Oltre alle perplessità che solleva la scelta del legislatore di ‘stabilizzare’ la contravvenzione della violazione della quarantena del positivo al SARS-Cov-2, senza ancorarla ad un parametro che ne subordini l’applicabilità alla persistente pericolosità del virus[9], ciò su cui occorre interrogarsi è la capacità di prevenzione generale di una disposizione così costruita. Se è vero, infatti, che le difficoltà di funzionamento della fattispecie sono dipese da carenze sul piano attuativo che potrebbero essere agevolmente superate, ci pare tuttavia che altre ragioni condannino tale disposizione penale all’ineffettività. In particolare, suscita perplessità il fatto che la fattispecie sia paradossalmente destinata ad operare solo nei confronti di chi, avendo ‘denunciato’ la propria positività all’autorità sanitaria, è stato sottoposto al provvedimento amministrativo di quarantena. Ciò porta a chiedersi se la minaccia di una pena per chi viola gli obblighi di isolamento domiciliare non possa risultare addirittura controproducente rispetto agli obiettivi di tutela, incentivando il soggetto positivo a non sottoporsi al test ‘ufficiale’ e a vivere in clandestinità il proprio stato di positività, con evidenti riflessi sul piano della diffusione del contagio.
Anche nella prospettiva di un ripensamento del sistema di illeciti a tutela della salute pubblica in un contesto pandemico, la domanda da porsi è se non sarebbe forse più opportuno rinunciare alla pena, ricorrendo alla sanzione amministrativa anche per la violazione di questa misura di contenimento, riservando invece il diritto penale a quelle sole condotte che realizzino un grave pericolo di diffusione del contagio[10].
[1] La stabilizzazione della contravvenzione della violazione del provvedimento di ‘quarantena’ del positivo (a partire da questo momento denominato provvedimento di ‘isolamento’) si deve al d.l. 24 marzo 2022, n. 24, conv. nella l. 19 maggio 2022, n. 52 (“Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da Covid-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza”).
[2] L’obbligo di ‘quarantena’ per i soggetti positivi al Covid è stato introdotto nell’ordinamento con D.p.c.m. del 9 marzo 2020, è solo poi con il d.l 25 marzo 2020 n. 19, conv. l. 22 maggio 2020, n. 35 che tale obbligo, e la relativa contravvenzione per il caso di inosservanza, sono stati dotati di base legale. Per una ricostruzione della disciplina, si consenta il rinvio a A. Della Bella, Quarantena obbligatoria, libertà personale e libertà di circolazione. Riflessioni a margine di Corte cost. 7 aprile 2022, n. 127, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 772 ss.
[3] Come osservato sin da subito in dottrina, alla base della scelta di rinunciare alla sanzione penale vi è stata, da un lato, la volontà di non gravare eccessivamente sul sistema della giustizia penale, già messo a dura prova dalla situazione di emergenza sanitaria (si pensi, a questo proposito, che nel breve periodo di tempo intercorrente tra i due decreti legge, si contavano già più di 100.000 denunce per la contravvenzione in esame) e, dall’altro, la consapevolezza della maggiore efficacia deterrente della sanzione pecuniaria amministrativa, rispetto alla sanzione penale originariamente comminata (ossia la pena pecuniaria prevista dall’art. 650 c.p.), in quanto non oblabile, più facilmente applicabile ed esigibile. Cfr. sul punto G.L. Gatta, Il diritto penale di fronte all’emergenza, in Valori dell’ordinamento vs. esigenze dell’emergenza in una prospettiva multidisciplinare, 2022, p. 150, il quale parla di una scelta del legislatore dettata da ‘sano realismo’.
[4] Sul punto cfr. S. Fiore, «Va’, va’ povero untorello, non sarai tu quello che spianti Milano». La rilevanza penale della violazione della quarantena obbligatoria, in questa Rivista, fasc. 11/2020.
[5] Su questi profili si consenta il rinvio a A. Della Bella, Il legislatore penale di fronte all’emergenza sanitaria. Principi penalistici alla prova del Covid-19, Giappichelli, 2023, p. 87 ss.
[6] Anche chi — alla luce della prima formulazione della norma — aveva sostenuto la tesi secondo cui l’obbligo della quarantena dovesse ritenersi discendente direttamente dalla legge, ha poi convenuto sul fatto che, a seguito delle modifiche normative intervenute, l’obbligo dell’isolamento domiciliare si fondasse su di un provvedimento individuale emesso dall’autorità sanitaria. Così M. Bignami, Di nuovo tra apocalittici ed integrati, in F. S. Marini, G. Scaccia (a cura di), Emergenza Covid e ordinamento costituzionale, Giappichelli, 2020, p. 49.
[7] A fronte di circa 4000 denunce da parte delle forze dell’ordine solamente nel primo anno di vita della contravvenzione (cfr. i dati contenuti nel “Monitoraggio dei servizi di controllo inerente le misure urgenti per il contenimento della diffusione del virus COVID-19”, relativo al periodo marzo 2020-marzo 2021, pubblicato sul sito internet del Ministero dell’interno), i procedimenti penali avviati si contano sulle dita di una mano. Sulle banche dati giuridiche l’unico precedente rinvenibile, concluso con una assoluzione, è Trib. Lodi 29/08/2022, n. 290 (in DeJure). Cfr. poi anche Gip Milano, decreto 1 marzo 2021, in questa rivista, 16 marzo 2021, con nota di A. Della Bella, L’allontanamento dal domicilio del soggetto positivo al Covid tra problemi di diritto transitorio e inesistenza dei provvedimenti di quarantena.
[8] Corte cost. 7 aprile 2022 (dep. 26 maggio 2022), n. 127, con nota di A. Della Bella, Quarantena obbligatoria, cit., p. 772 ss.
[9] L’ipotesi, avanzata in accreditati studi scientifici, è infatti che nell’arco di un tempo non lungo, il virus SARS-CoV-2, grazie anche alla progressiva copertura vaccinale della popolazione, possa evolvere in forme endemiche lievi, con un tasso di mortalità pari o inferiore a quella della normale influenza. Cfr. J.S. Lavine et al., Immunological characteristics govern the transition of COVID-19 to endemicity, in Science, 371, 2021, p. 741 ss.
[10] Per una riflessione sui limiti e sui modi dell’esercizio del potere punitivo dello Stato in una situazione di emergenza sanitaria a tutela della salute collettiva si consenta il rinvio a A. Della Bella, Il legislatore penale di fronte all’emergenza sanitaria, cit.