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07 Ottobre 2024


La Corte di Cassazione solleva questione di costituzionalità in materia di TSO e diritto di ricorso effettivo

Cass. civ., Sez. I, ord. 14 giugno 2024 (dep. 9 settembre 2024), n. 24124, Pres. Valitutti, rel. Russo



1. Con l’ordinanza in commento, la Cassazione solleva questione di costituzionalità avente ad oggetto il preteso contrasto di una parte – attinente alla fase post-ricovero – della disciplina procedurale in materia di trattamento sanitario obbligatorio (artt. 33, 34 e 35, l. 23 dicembre, n. 833), rispetto ai diritti di informazione tempestiva e qualificata e ricorso effettivo, ricostruiti con riferimento ai parametri costituzionali degli artt. 2, 3, 13, 24 e 111, nonché a quelli euroconvenzionali di cui agli artt. 6 e 13 della CEDU.

La pronuncia offre, anzitutto, al lettore un inquadramento normativo, ripercorrendo la ratio che ha condotto all’entrata in vigore della l. 23 dicembre 1978, n. 833 – nonché della l. 13 maggio 1978, n. 180 – come superamento della previgente l. 14 febbraio 1904, n. 36. Sulla base di tale premessa, il Supremo Consesso svolge una approfondita indagine sulle carenze procedurali della fase post-ricovero.

2. Il giudizio di legittimità origina da una vicenda in cui la ricorrente era risultata destinataria di un trattamento sanitario obbligatorio, in condizione di degenza ospedaliera, disposto dal sindaco di Caltanissetta, e convalidato dal giudice tutelare[1]. Avverso il decreto di convalida veniva, prima, proposta opposizione avanti al Tribunale di Caltanissetta e, poi, interposto appello: entrambi i gravami venivano rigettati, sulla base del rilievo che i due requisiti del grave scompenso psichico e del comportamento oppositivo alle cure fossero stati correttamente rilevati dai sanitari ed emergessero compiutamente dalle risultanze istruttorie[2]. Contro la pronuncia di appello veniva presentato ricorso per Cassazione, affidato ad un unico motivo.

3. Nell’unico motivo, la ricorrente propone doglianze in procedendo, come in iudicando. Sotto il primo profilo, lamenta: di non aver ricevuto la notificazione del provvedimento del sindaco; l’assenza, nell’ordinanza sindacale, di indicazioni circa la durata del trattamento; di non aver avuto accesso agli atti; di non essere stata ascoltata dal giudice tutelare in sede di opposizione; di essere stata dimessa dopo nove giorni, e non sette come da limite di legge. Quanto agli errores in iudicando, la ricorrente nega ogni intento suicidario e contesta il mancato tentativo di ricercare il previo consenso al trattamento (cd. alleanza terapeutica), prima di procedere con le modalità coattive[3].

Nonostante la commistione di pretese violazioni di legge e vizi motivazionali in un unico motivo, e nonostante l’introduzione di considerazioni di merito, il giudice di legittimità ha ritenuto l’impugnazione ammissibile, rilevando come, ancorché in “unico motivo di ricorso”, le censure siano “facilmente distinguibili” e non “incompatibili tra di loro”[4].

4. In udienza, il pubblico ministero domandava il rigetto del ricorso, o, in subordine, che venisse sollevato incidente di costituzionalità sulla l. 833/1978, «nella parte in cui, pur consentendo l’opposizione da parte del soggetto in trattamento sanitario obbligatorio, non ne prevede una tempestiva informazione, in modo tale da consentirgli una efficace opposizione in tempo utile»[5]. I parametri di costituzionalità richiamati involgono tanto profili di diritto sostanziale, inerenti al diritto alla libertà personale (13 Cost.) ed alla salute (32 Cost.), quanto di diritto processuale, riguardanti i principi del giusto processo (artt. 24 e 111 Cost.; artt. 6 e 13 CEDU).

5. La Suprema Corte premette l’esigenza di un excursus sul quadro normativo in materia di trattamento sanitario obbligatorio. L’ordinanza risulta di particolare interesse, perché il giudice ricostruisce le ragioni che hanno segnato l’evoluzione dalla legge 36/1904 alle leggi 180/1978 e 833/1978. L’avvicendamento normativo ha, essenzialmente, comportato il passaggio dalla logica di difesa sociale (cd. manicomiale), verso un nuovo assetto, in cui il trattamento sanitario obbligatorio prescinde da finalità difensive, essendo funzionalizzato all’esclusiva tutela della salute del paziente[6]. Oggi, la procedura di applicazione del trattamento obbligatorio si divide, fondamentalmente, in due momenti.

Con il superamento della l. 36/1904, il primo momento (pre-ricovero) ha trovato nuova regolamentazione nella l. 180/1978 (cd. legge Basaglia), che ha inaugurato la riforma del sistema di cura per l’infermità mentale e che costituisce, pertanto, una legge-quadro, contenente anche alcune disposizioni concernenti il secondo momento (post-ricovero). Il disegno riformatore è proseguito con la successiva l. 833/1978, che riprende le disposizioni concernenti il pre-ricovero, per poi concentrarsi sul post-ricovero, disciplinandone specificamente le garanzie giurisdizionali, oltre a contenere norme ultronee, concernenti, in generale, l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.

Il primo momento attiene all’accertamento della situazione di infermità mentale, al conseguente tentativo di alleanza terapeutica, infine alla scelta fra trattamento coattivo extraospedaliero o in degenza ospedaliera, con il secondo residuale rispetto al primo[7]. In sintesi, rilevata una infermità di mente, si procede alla ricerca del consenso terapeutico, in mancanza del quale si sceglie la tipologia di trattamento, da applicarsi con ordinanza del sindaco, che sarà, successivamente, convalidata dal “medico della unità sanitaria locale”[8].

Nell’ipotesi di degenza ospedaliera, vi è una ulteriore fase post-ricovero, perché l’ordinanza del sindaco deve essere convalidata anche dal giudice tutelare – nel termine di 48 ore – senza, tuttavia, obbligo di audizione del paziente. Contro il decreto tutelare può essere proposta opposizione al Tribunale da parte dell’infermo di mente, sebbene la legge non preveda che siano a lui notificate l’ordinanza sindacale o il decreto di convalida.[9]

6. Ulteriormente, la Suprema Corte precisa la necessità di distinguere fra trattamenti sanitari obbligatori in senso lato e obbligatori coattivi. Nel primo caso, «si tratta di un ordine della autorità sanitaria rimesso alla spontanea esecuzione dell’interessato»,[10] come avvenuto, esemplificativamente, per gli obblighi vaccinali[11] ed i provvedimenti quarantenali,[12] in occasione dell’epidemia di Covid-19.[13] La seconda tipologia attiene invece, paradigmaticamente al trattamento sanitario obbligatorio in degenza ospedaliera, in cui «il paziente viene ricoverato coattivamente, id est con l’uso della forza pubblica… e gli viene impedito di uscire dal presidio ospedaliero»:[14] in questo senso, si tratta di «una misura che incide sulla libertà personale»[15]. Le due species differiscono in punto di garanzie applicabili: nel primo caso, solo l’art. 32, nel secondo, anche l’art. 13.[16] La costituzionalità del trattamento sanitario obbligatorio in degenza ospedaliera dovrà, pertanto, valutarsi alla luce di entrambi i parametri dell’art. 13 e dell’art. 32, oltre a quelli ulteriori di cui si dirà infra.

7. In punto di rilevanza della questione, la Cassazione, brevemente, argomenta circa la necessità di applicare le disposizioni censurate, circostanza che rappresenta – secondo consolidato indirizzo costituzionale – condizione “sufficiente, ma altresì necessaria” ai fini dell’ammissione dell’eccezione di legittimità.[17] Dal momento in cui, nel giudizio de quo, la parte ricorrente lamenta “la irregolarità della procedura” ed il mancato rispetto delle relative garanzie procedurali, “la questione della legittimità della procedura è quindi al tempo stesso preliminare e centrale, al fine di decidere se la ricorrente sia stata sottoposta legalmente al trattamento sanitario”.[18]

Neppure, comunque, è possibile, secondo il giudicante, una interpretazione costituzionalmente orientata, atteso che “gli adempimenti procedurali in materia in cui la Costituzione impone la riserva di legge… non può imporli il giudice creando diritto al posto del legislatore”.[19]

8. Stante la rilevanza della questione, il fuoco si sposta sui termini della non manifesta infondatezza della questione. Come detto, i parametri sono quelli degli artt. 13 e 32 della Costituzione, essendo il trattamento sanitario obbligatorio in degenza ospedaliera un trattamento coattivo.

Il giudice va, però, oltre, rilevando come «l’art. 13, inevitabilmente, si pone in connessione con altre norme di garanzia, e cioè con l’art. 24 Cost… e con l’art. 111 Cost.».[20] Non basta, secondo il giudicante, il nucleo minimo di garanzie sostanziali (riserva di legge) e processuali (riserva di giurisdizione e termine di convalida) previste dall’art. 13, poiché, con il passare del tempo, hanno acquistato sempre maggiore importanza sistemica – anche per effetto del lavorio interpretativo della Corte costituzionale e della Corte di Strasburgo[21] – le garanzie del giusto processo accusatorio.

Il collegamento inevitabile fra l’art. 13 e gli artt. 24 e 111 della Costituzione è conseguenza dell’esistenza di un secondo collegamento fra diritto alla salute e dignità umana, nella misura in cui «il bene salute [sarebbe] espressione anch’esso della dignità dell’essere umano».[22] Se il trattamento sanitario obbligatorio prescinde da finalità difensive, ed è rivolto alla sola tutela dell’infermo di mente, se la sua libertà di auto-determinazione deve essere tutelata nella fase pre-ricovero, a fortiori dovrà esserlo anche in quella post-ricovero, dove il soggetto sta già subendo una privazione della libertà personale e si trova, di conseguenza, in una posizione di maggiore debolezza. Altrimenti, non solamente sarebbe possibile applicare un ricovero coattivo, ma, dopo quel ricovero, sarebbero anche denegati efficaci rimedi giurisdizionali: in tale ottica, «dignità significa… il diritto di potersi difendere quando sono adottate, o meglio si discute se debbano essere adottate, misure che comprimono la libertà personale».[23] Il concetto di dignità assume, perciò, una doppia declinazione, come dignità medica (nella fase pre-ricovero), ma anche dignità giuridica (nel post-ricovero).[24]

Quanto alla fase pre-ricovero, non si rilevano frizioni con l’art. 32 della Costituzione, poiché la legge Basaglia – anche perché “scritta da uno psichiatra” – risulta pienamente rispettosa del principio di dignità medica, prevedendo il triplo requisito della diagnosi di infermità mentale, della previa ricerca del consenso, nonché della residualità del trattamento in degenza ospedaliera.[25]

Nondimeno, la logica medicinale della l. 180/1978 ha informato anche la successiva l. 833/1978, conducendo a costruire una procedura post-ricovero «ispirata a criteri di semplificazione e di rapidità»,[26] poiché finalizzata ad una celere stabilizzazione della vicenda terapeutica. La logica medicinale finisce, così, per fagocitare ogni altra esigenza, sulla scorta di una erronea concezione per cui la garanzia medica sarebbe, da sola, idonea ad evitare abusi, senza necessità di rimedi giurisdizionali particolarmente raffinati dal punto di vista delle garanzie del giusto processo. In sostanza, confidando in una accurata diagnosi dell’infermità, nonché in un autentico tentativo di ricerca del consenso, si sarebbe rapidamente avviato il processo clinico, senza passare da artifizi giuridici, che avrebbero, per la notoria lentezza, ostacolato le esigenze terapeutiche.[27]

Se, dunque, il Supremo Consesso non rinviene profili di incompatibilità costituzionale nella fase pre-ricovero, lo stesso non si può dire della fase post-ricovero. Quest’ultima è, da un lato, compatibile con l’art. 13, poiché il legislatore – in ossequio alla riserva di legge – ha ottemperato anche alla riserva di giurisdizione, nonché al termine di 48 ore, prevedendo la convalida del giudice tutelare con le suddette tempistiche, oltre al diritto di opporre il medesimo decreto di convalida avanti al Tribunale competente.[28]

Dall’altro lato, la fase post-ricovero è, però, compatibile con gli artt. 24 e 111 Cost., inevitabilmente connessi all’art. 13, in espressione del principio di dignità giuridica. Le parentesi giurisdizionali della convalida e dell’opposizione sono idonee a soddisfare il livello minimo di giurisdizionalizzazione richiesto dall’art. 13, non anche il più elevato standard garantistico richiesto, ai fini del giusto processo, dagli artt. 24 e 111 della Costituzione. Infatti, in sede di convalida non è previsto alcun obbligo di audizione del paziente, né si prevede la notificazione dell’ordinanza sindacale o dello stesso decreto di convalida: in questi termini viene sollevata la questione di costituzionalità, nella parte in cui lo statuto giurisdizionale del trattamento sanitario obbligatorio (artt. 33-34-35 della l. 833/1978) non prevede le due citate notifiche, con i connessi avvisi.

Così, «il momento partecipativo riconosciuto nella fase pre-ricovero» risulta «escluso nella fase… di controllo»: la legge «disegna una forma di partecipazione dell’interessato… ma esclusivamente sul piano medico» e non giuridico.[29] Non è, in questo senso, un problema di an della garanzia giurisdizionale – poiché i presidi della convalida e della opposizione esistono – bensì di quomodo della medesima. In altri termini, non si fa questione della quantità, ma della qualità, dello standard qualitativo della giurisdizione, allo stato attuale, sufficiente ad assicurare la compatibilità con il livello minimo di garanzia richiesto dall’art. 13, non anche con quello più elevato di cui agli artt. 24 e 111 della Costituzione. I canoni del giusto processo richiedono, in effetti, non solo la garanzia della giurisdizione, non soltanto, cioè, il diritto di ricorso, ma che si tratti di un ricorso effettivo.

Il diritto di ricorso effettivo implica un quid pluris rispetto alla semplice riserva di giurisdizione, nonché alla sola previsione di rimedi giurisdizionali. Ciò implica che l’interessato non soltanto possa disporre di strumenti giurisdizionali, ma che egli abbia previamente ricevuto una informazione tempestiva e qualificata circa i provvedimenti che lo riguardano e le tutele che la legge gli riconosce, con connessi avvisi circa i tempi e i modi con cui espletare tali tutele. In tal senso, il diritto di informazione è strumentale rispetto al diritto di ricorso effettivo: priva di concretezza è la previsione, in astratto, del diritto di adire l’autorità giurisdizionale, quando, poi, in concreto, il legittimato ad esperire quel rimedio non possa compiutamente avvalersene, perché il provvedimento non gli è stato notificato, o non gli è stato notificato in tempo utile, o, ancora, non riporta le informazioni necessarie circa le sue facoltà difensive.[30]

9. Questo sviluppo interpretativo è effettuato integrando gli artt. 24 e 111 della Costituzione con gli artt. 6 e 13 CEDU, come interpretati dalla Corte di Strasburgo, che, in materia, ha fatto da apripista. Ben prima dell’ordinanza in esame, la Corte EDU – pur dichiarando l’irricevibilità del ricorso per difetto di esaurimento dei rimedi interni – si era, infatti, espressa negativamente sulla compatibilità convenzionale della legge italiana, per via dell’omessa notificazione dei provvedimenti impositivi il trattamento sanitario obbligatorio. [31] Lo stesso ha, successivamente, ribadito il Comitato per la Prevenzione della Tortura (CPT) presso il Consiglio d’Europa, nel proprio report del 2023.[32]

***

10. In conclusione, pare condivisibile il rilievo per cui le garanzie mediche previste nella fase pre-ricovero costituiscano condizione sufficiente, ma non necessaria a salvaguardare la posizione dell’infermo, che richiede, altresì, che siano predisposte garanzie giurisdizionali di livello elevato – fino al canone del giusto processo – nella fase post-ricovero. Diversamente, allo stato attuale della disciplina, si consente che l’infermo di mente sia, prima, privato della libertà personale, potendo, solo in seguito, esperire rimedi giurisdizionali, che non hanno, però, come presupposto neppure la notifica dei provvedimenti impositivi, con i connessi avvisi: viene, perciò, “da chiedersi come una persona che si trovi da un lato in stato di alterazione psichica, dall’altro in stato di soggezione fisica all’altrui potere, possa reagire ad una misura privativa della libertà personale”.[33]

Se non è possibile ipotizzare un sistema in cui l’intervento giurisdizionale preceda il ricovero, almeno occorre che il rimedio giurisdizionale, seppur postumo, sia effettivo.

Se è condivisibile la volontà di addivenire ad un innalzamento della qualità giurisdizionale della procedura post-ricovero, propositivo sembra anche il tentativo di farlo richiamando, in materia di infermità mentale, concetti – come il diritto di ricorso effettivo – che finora hanno sempre riguardato altri settori, estremamente specifici, come quello delle sanzioni amministrative pecuniarie in materia finanziaria. La Suprema Corte apre, quindi, alla possibilità di estendere anche a misure trattamentali presidi di garanzia fino ad oggi riservati alle sole misure formalmente o sostanzialmente punitive.[34]

L’ordinanza di rimessione pare, allora, ben argomentata in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza, affondando le radici in precedenti costituzionali ed euroconvenzionali, i cui approdi è verosimile che possano essere riproposti e sviluppati dalla Consulta, accogliendo la questione di costituzionalità.

Ciononostante, merita di essere segnalato, a parere di chi scrive, l’approccio particolarmente interventista della Cassazione, che ha, senza esitazioni, ritenuto ammissibile un ricorso che presentava profili di inammissibilità, per il tentativo di introdurre elementi di merito in sede di legittimità, ma anche per la commistione, nell’unico motivo, di elementi di violazione di legge e vizio di motivazione.

Sul punto, non può essere sufficiente il tautologico rilievo per cui le censure sarebbero «facilmente distinguibili e non incompatibili» dopo aver, poche righe prima, enunciato, di fatto, una causa di inammissibilità, avendo la ricorrente “proposto un unico motivo di ricorso, con esso denunciando… sia errores in procedendo che errores in iudicando”.[35] Se la regola è – per consolidato orientamento giurisprudenziale – uno stringente vaglio di ammissibilità,[36] la deroga dovrebbe essere almeno appropriatamente motivata, senza il richiamo a clausole di stile e formule tautologiche. Altrimenti, occorre accettare che il vaglio di ammissibilità, di regola stringente – fino al punto da creare un serio vulnus proprio ai principi dell’equo processo – possa essere, di volta in volta, rimodulato, sulla base di imprevedibili, e neppure esplicitate, ragioni attinenti alla sensibilità della materia: unica occasione in cui riemerge, arbitrariamente, il principio del favor impugnationis.[37]

D’altra parte, non si vuole negare come l’intervent(ism)o della Corte sia un’alternativa emergenziale di fronte all’immobilismo del legislatore, incapace di intervenire sulla materia, come accaduto, da ultimo, nel 2017, con la presentazione di un d.d.l. mai giunto a compimento[38]. A patto di essere d’accordo sulla natura emergenziale dell’intervento, nella misura in cui né l’ordinanza in esame, né il successivo intervento della Consulta, potranno “eludere la funzione che spetta al legislatore”[39]. La complessità della materia richiede, infatti, di mettere in gioco competenze interdisciplinari, che non possono essere esaurite dal – e neppure concentrate nel – potere giurisdizionale, oltre al più evidente rilievo per cui una materia tanto sensibile necessiti l’intervento dell’organo democraticamente rappresentativo.

Quindi, ancorché appaia probabile che la Corte costituzionale possa accogliere l’eccezione, non è auspicabile che l’estensione delle garanzie in oggetto di questione possa far ritenere definitivamente soddisfacente lo statuto procedurale in tema di trattamento sanitario obbligatorio, che continuerà, ancora, a presentare criticità, come la mancanza dell’obbligo di audizione in sede di convalida tutelare, circostanza non dedotta nella questione, seppur richiamata nell’ordinanza di rimessione e segnalata dalla Corte europea e dal Comitato per la Prevenzione della Tortura[40].

L’alternativa sarebbe quella di rinviare la decisione, assegnando al legislatore un termine per intervenire a sanare il vulnus procedurale – anche oltre il limitato oggetto della questione di legittimità – come il giudice costituzionale ha fatto, in passato, con riferimento a materie altrettanto sensibili, ad esempio nel paradigmatico caso Cappato, concernente la fattispecie di istigazione o aiuto al suicidio (art. 580 c.p.)[41].

 

 

 

 

[1] § 1. (rilevato che).

[2] §§ 1.-2. (rilevato che).

[3] §§ 1.1.-1.2. (ritenuto che).

[4] § 2. (ritenuto che).

[5] §§ 2 e 4. (ritenuto che).

[6] § 3.4. (ritenuto che). Cfr. Cass. civ., Sez. III, ord., n. 509, ud. 04/10/2022, dep. 11/01/2023, § 5.2., ivi richiamata. Questa la ragione per cui la l. 180/1978 e la l. 833/1978 non prevedono – a differenza della previgente l. 36/1904 – quale causa del TSO, né il pubblico scandalo, né il fatto che il soggetto sia pericoloso per gli altri.

[7] § 3.3. (ritenuto che). In relazione al punto a), v. art. 2 della l. 180/1978, nonché art. 34 della l. 833/1978; con riferimento a b), v. art. 1 della l. 180/1978, nonché art. 33 della l. 833/1978; su c), v. art. 2 della l. 180/1978, nonché art. 34 della l. 833/1978.

[8] Sulla convalida del medico dell’unità sanitaria locale, v. art. 2 della l. 180/1978, nonché art. 34 della l. 833/1978.

[9] § 3.4 (ritenuto che). Il procedimento post-ricovero è ricostruito nell’art. 35 della l. 833/1978, nonché negli artt. 3 e 5 della l. 180/1978.

[10] § 3.5. (ritenuto che). Cfr. amplius § 4.1 (ritenuto che).

[11] Cfr., ex multis, A. Mangia, Si caelum digito tetigeris. Osservazioni sulla legittimità costituzionale degli obblighi vaccinali, in Rivista AIC, 3/2021, 432 ss.; I. Spadaro, Green pass in Italia e all’estero, tra garanzie costituzionali e obbligatorietà vaccinale indiretta, in Federalismi, 29/2021, 50 ss.; A. Poggi, Green pass, obbligo vaccinale e le scelte del Governo, in Federalismi, 21/2021, IV ss.; R. Romboli, Aspetti costituzionali della vaccinazione contro il Covid-19, in questionegiustizia.it, 6 settembre 2021, 1 ss.

[12] In tema, Corte cost., sent., dep. 26 maggio 2022, n. 127; Corte cost., ord., dep. 25 ottobre 2022, n. 220. Per un commento a Corte cost., 127/2022, e per maggiori riferimenti giurisprudenziali e bibliografici, cfr., ex multis, V. Zagrebelsky, Quarantena da Covid nella giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti umani, in Dir. pen. proc., 12/2022, 1510 ss.; A. Della Bella, Quarantena obbligatoria, libertà personale e libertà di circolazione. Riflessioni a margine di Corte cost. 7 aprile 2022, n. 127, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2022, 772 ss.; M. Ferrara, La quarantena obbligatoria come «istituto che limita la libertà di circolazione, anziché restringere la libertà personale» (Corte Cost., sent. n. 127/2022) e il ruolo della Corte Costituzionale nella fase di metabolizzazione dell’emergenza, in Oss. cost., 6/2022, 337-354. In commento a Corte cost., 220/2022, v. N. Panigada, Quarantena obbligatoria e libertà personale: “effetto persuasivo” nelle pieghe di una pronuncia di manifesta infondatezza della Corte costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/2023, 247 ss.

[13] § 4.1. (ritenuto che). Cfr. Corte cost., sent., dep. 9 febbraio 2023, n. 14, §§ 5-6-16 (cons. dir.), ivi richiamata.

[14] § 3.5. (ritenuto che).

[15] § 4. (ritenuto che). Per una ricostruzione sul concetto di libertà personale, G. Amato, Art. 13, in G. Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione, Roma, 1977; G. Amato, Individuo e autorità nella disciplina della libertà personale, Milano, 1967; A. Barbera, I principi costituzionali della libertà personale, Milano, 1975; P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984; A. Cerri, Libertà personale (voce), in Enc. giur., Roma, 1991.

[16] § 4.1. (ritenuto che). Cfr. Corte cost., sent., dep. 27 gennaio 2022, n. 22, § 5.3.1 (cons. dir.), ivi richiamata, secondo cui “allorché un dato trattamento sia configurato dalla legge non soltanto come obbligatorio – con eventuale previsione di sanzioni a carico di chi non si sottoponga spontaneamente ad esso – ma anche come coattivo – potendo il suo destinatario essere costretto con la forza a sottoporvisi… le garanzie dell’art. 32, secondo comma, Cost. debbono sommarsi a quelle dell’art. 13 Cost.”. Per un commento, v. R. Casiraghi, L’accesso alle R.E.M.S. tra Corte di Strasburgo e Corte costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2022, 898 ss.; K. Poneti, Le REMS in prospettiva costituzionale: sul diritto alla salute contro il potere di rinchiudere, in L’altro diritto, 5/2021, 6 ss.; O. Di Capua, La Corte alla ricerca di nuove strade per garantire la massima effettività dei diritti fondamentali. Note a margine della sentenza n. 22 del 2022 della Corte costituzionale, in Oss. cost., 3/2022, 294 ss.; V. Piscopo, Una rinnovata attenzione per il sistema delle REMS: dall’ordinanza istruttoria n. 131 del 2021 alla sentenza n. 22 del 2022 della Corte costituzionale, in Rivista di biodiritto, 437 ss.; G. Mentasti, L’attuale disciplina delle REMS al vaglio della Corte costituzionale: tra riserve di legge non rispettate e liste d’attesa serve ancora un intervento del legislatore, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2022, 1188 ss.

[17] § 3.1. (ritenuto che), anche per i riferimenti giurisprudenziali della Corte costituzionale.

[18] Ibidem.

[19] §§ 3.1. e 3.7. (ritenuto che).

[20] § 4.2. (ritenuto che).

[21] V. infra nota 34.

[22] § 4.2. (ritenuto che). Alla dignità umana fanno, infatti, riferimento sia l’art. 32 Cost., sia anche le disposizioni legislative dell’art. 1, l. 180/1978, nonché dell’art. 33, l. 833/1978.

[23] Ibidem.

[24] Secondo la Corte, § 4.8 (ritenuto che), “è questo un profilo di dignità della persona che attiene alla titolarità del diritto a partecipare, debitamente informato, ai processi in cui si discute del suo interesse e il diritto ad un ricorso effettivo avverso le decisioni della autorità, diritto che ogni qualvolta la persona sconti una posizione di debolezza o di asimmetria, deve essere assicurato anche tramite una adeguata informativa”.

[25] § 4.4. (ritenuto che).

[26] § 4.6. (ritenuto che).

[27] Il punto è, efficacemente, chiarito in uno dei primissimi commenti all’ordinanza, da parte dell’associazione Diritti alla Follia, in cui si ricorda come, fino ad oggi, risultasse prevalente l’orientamento per cui sarebbe necessario “contemperare il diritto alla salute del malato con la procedura giuridica del TSO, senza blaterare di garanzie che avrebbero intralciato il lavoro dei medici”      (https://dirittiallafollia.it/2024/09/11/comunicato-stampa-cassazione-riforma-urgente-del-tso-svolta-in-linea-con-la-proposta-di-diritti-alla-follia/).

[28] § 4.2. (ritenuto che).

[29] § 4.9. (ritenuto che).

[30] § 5.1. (ritenuto che). Plasticamente, rileva la Corte, come sia “impensabile che si possa proporre ricorso avverso un provvedimento della cui esistenza non si ha contezza”.

[31] § 4.7 (ritenuto che), richiamando Corte Edu, Patience Azenabor c. Italia, 08/10/2013, ric. 25367/11, § 22, che rileva come la “mancata comunicazione alla ricorrente di copia delle decisioni con le quali veniva disposto il TSO nei suoi confronti, ossia la decisione del sindaco e la decisione del giudice tutelare… possa, in linea di principio, ridurre le garanzie procedurali”. Nel caso di specie, tuttavia, la Corte non solo dichiarava l’irricevibilità, ma osservava anche, con obiter dictum, che “i diritti della ricorrente non sono stati pregiudicati dalla mancata consegna di copia delle decisioni contestate e che l’interessata ha potuto promuovere un ricorso dinanzi al tribunale civile di Roma”. Il richiamo a tale precedente sembra, dunque, a sommesso parere di chi scrive, non pienamente confacente.

[32] § 4.7. (ritenuto che). Il Report del 24 marzo 2023 segnalava che “all patients met by the CPT delegation… stated that they had not been informed of the imposition of the measure, or of its cessation, or of any renewals, nor had they received any documentation in that respect. All of them were unaware of the avenues of complaint or how to challenge the legal decisions on their TSOs”. Nessuna contestazione si muoveva, invece, nei confronti della fase pre-ricovero, ritenuta – così come fa l’ordinanza in commento – sufficientemente accurata da una prospettiva (di dignità) medica: “the request for the initiation of a TSO and its co-validation were signed by psychiatrists from the same DSM and contained, in principle, an accurate description of the status of the patient and the circumstances which had led to its initiation”.

[33] § 4.6. (ritenuto che).

[34] Per un approfondimento, v. F. Goisis, La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative tra diritto nazionale ed europeo, Torino, 2018; S.L. Vitale, Le sanzioni amministrative tra diritto nazionale e diritto europeo, Torino, 2018; E. Amati, Abusi di mercato e sistema penale, Torino, 2012. V. anche Fr. Mazzacuva, Le pene nascoste. Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantisco, Torino, 2017; E. Nicosia, Convenzione europea dei diritti dell’uomo e diritto penale, Torino, 2006; L. Masera, La nozione costituzionale di materia penale, Torino, 2018.

[35] § 2. (ritenuto che).

[36] Sul punto, si veda amplius D. Castagno, L'inammissibilità nel giudizio di cassazione, in Memorie del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino, 20/2022, 55, dove si rileva come “di fronte al costante aumento del numero dei ricorsi in cassazione legislatore e giurisprudenza hanno progressivamente irrigidito i requisiti contenutistici del ricorso, stabiliti a pena di inammissibilità”. Il vaglio di ammissibilità risulta non meno stringente in sede penale, su cui sempre D. Castagno, op. cit., 105 ss. Cfr. ancora E.N. La Rocca, Inammissibilità cedevole e favor impugnationis offuscato, in Arch. pen., 3/2018, 1 ss.; F.R. Dinacci, L’essere ed il dover essere dell’inammissibilità delle impugnazioni tra dato positivo, costituzione ed azione giurisprudenziale, in Arch. pen., 1/2020, 1 ss; C. Morselli, Inammissibilità: la Cassazione muta natura, ora Corte auto-regolatrice che dissimula la denegata giustizia “purgando” i ricorsi, in Arch. pen., 2/2021, 14, dove si afferma efficacemente che l’illegittimità “è usata dai giudici italiani… come un grimaldello per rifiutare la pronuncia su quanto richiesto dal ricorrente, attraverso la diversione dell’inquadramento in facto piuttosto che in iure”. Per un approfondimento ed ulteriori riferimenti bibliografici, v. amplius L. Marafiori, Selezione dei ricorsi penali e verifica di inammissibilità, Torino, 2004; Oss. Cass. U.C.P.I., Inammissibilità: sanzione o deflazione?, Atti di convegno, Roma, 19-20 maggio 2017.

[37] Salvo si voglia ammettere, extra ordinem, che, a seguito delle “caotiche e confusionarie riforme legislative abbattutesi sulla Corte di cassazione… ci troviamo oggi di fronte ad un ibrido terzo grado di giudizio, ove si trovano commiste in modo contradittorio ed inestricabile funzioni di merito e di legittimità” (D. Castagno, op. cit., 3, in nota 4, richiamando G. Monteleone, Per la sopravvivenza della Cassazione civile, in Giusto proc. civ., 2018, IV, 969).

[38] Come ricordato in § 4.7. (ritenuto che), richiamando il già citato Report del CPT, dove, a pp. 69-70 si rimarca che “draft legislation had been tabled in 2017 at the Italian Parliament in view, inter alia of the reinforcement of legal safeguards of involuntary hospitalised patients in terms of judicial supervision of their fundamental rights [but] The situation has not changed since the CPT’s 2016 visit”.

[39] Nuovamente, si fa richiamo al commento dell’associazione Diritti alla Follia, su cui v. supra nota 27.

[40] § 3.6 (ritenuto che). Cfr. anche 4.7 (ritenuto che), dove si ricorda come Corte Edu, Patience Azenabor c. Italia, § 21, avesse contestato che “le disposizioni applicabili non prevedono per il giudice tutelare l’obbligo” per la “ricorrente di essere vista o ascoltata”; ivi si ricorda, inoltre, come la stessa censura emergesse dal citato Report del CPT, in cui, a p. 70, si segnala come: “guardianship judges never conducted visits to the SPDCs in order to meet the patient in person, nor held any hearings with them”.

[41] Corte cost., ord., dep. 16 novembre 2018, n. 207, §§ 10-11. Per i principali commenti alla decisione, v., ex multis, i riferimenti bibliografici suggeriti su https://giurcost.org/decisioni/2018/0207o-18.html?titolo=Ordinanza%20n.%20207.