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10 Febbraio 2025


La triste sorte degli “inemendabili” (ma davvero esistono?) e il forte bisogno di ritorno ai manicomi

Brevi note a margine della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura



1. La Commissione mista per i problemi della magistratura di sorveglianza e dell’esecuzione penale ha proposto al Plenum il “documento finale relativo alle Rems” e il Consiglio Superiore della Magistratura ha deliberato di prendere atto del documento finale licenziato dalla Commissione mista il 12 novembre 2024[1].

Nel documento - consultabile in allegato - si pongono premesse di ampio respiro sulla necessità di «favorire la ripartenza di una riflessione comune sui problemi della sorveglianza e dell’esecuzione in generale al fine di individuare concrete linee di intervento … del nostro sistema penitenziario… legate al sovraffollamento e alle difficili condizioni inframurarie che ne conseguono sul piano trattamentale; al precario equilibrio tra afflittività della pena, disagio psichico e misure di sicurezza … precarietà dell’assistenza sanitaria intramuraria di competenza regionale; all’inadeguatezza complessiva, tanto ordinamentale che amministrativa, del modello organizzativo delle misure di sicurezza».

 

 

2. L’attenzione, dunque, è tutta incentrata sul “problema REMS”.

In sintesi, i contenuti del documento riassumono e inquadrano le svariate questioni che ancora si pongono in tema di misure di sicurezza psichiatriche e le numerose problematiche esistenti.

 

Pur prendendo atto delle buone intenzioni di questo lavoro e dell’importanza del volere affrontare il problema dei sofferenti psichici autori di reato, destano perplessità alcuni passaggi argomentativi e talune proposte contenute nelle conclusioni, l’assenza di una raccolta di dati complessivi mediante il coinvolgimento dei PUR[2] (punti unici regionali istituiti con la Conferenza Stato-Regioni del 30.11.2022) e attraverso audizioni più capillari e, non ultimo, la mancanza di un processo di consultazione e visite alle diverse strutture e dipartimenti di salute mentale.

 

 

3. Le proposte finali sono così riassumibili:

  1. Implementazione dei posti disponibili nelle REMS di circa 700 unità corrispondenti al fabbisogno stimato per ridurre le liste di attesa;
  2. costituzione di un osservatorio per il monitoraggio dei dati e istituzione di un albo specializzato di periti del Giudice (consulenti dei P.M.) appositamente formati per valutare la capacità di intendere e volere e la pericolosità sociale;
  3. individuazione di meccanismi operativi che consentano un efficace scambio interistituzionale tra servizi sanitari e magistratura in modo da consentire all’Autorità Giudiziaria di intervenire celermente per rivalutare i profili di rilievo, eventualmente modificando la misura di sicurezza applicata, qualora l’osservazione clinica svolta dagli operatori sanitari dia conto di discrasie e divergenze rispetto alle valutazioni già effettuate sia con riferimento alla capacità di intendere e di volere che in relazione alla pericolosità sociale;
  4. potenziamento delle sezioni di ATSM all’interno degli istituti penitenziari e realizzazione di apposite sezioni specialistiche psichiatriche per soggetti tossicodipendenti con comorbilità;
  5. individuazioni di un “doppio” circuito che distingua tra pazienti stabilizzati che possano seguire un percorso di riabilitazione e soggetti con alta pericolosità bisognosi di contenimento da gestire in strutture di alta sicurezza con la proposta di ipotizzare tre REMS (nord, centro e sud) ove accordare la prevalenza al profilo custodiale;
  6. ricognizione delle strutture psichiatriche presenti sul territorio con setting differenziati per pazienti ordinari e pazienti “autori di reato”;
  1. sollecito intervento del legislatore per riconoscere al Ministero della Giustizia la gestione delle REMS in leale collaborazione con le restanti figure istituzionali.

 

In tutta evidenza il documento si distanzia fortemente dalle due precedenti risoluzioni del CSM del 19 aprile 2017 e del 24 settembre 2018[3], che prevedevano una visione di sistema di tipo evolutivo e la necessità di protocolli di collaborazione tra sanità e giustizia che sono stati alla base dello sviluppo di prassi ancora non generalizzate, ma in molte realtà assai proficue. Documenti che erano volti a dare attuazione ad una legge che aveva riconosciuto il diritto ad una cura dignitosa ai pazienti psichiatrici in una logica di inclusione territoriale, abbandonando o cercando di abbandonare per sempre la logica manicomiale.

A distanza di anni la cosiddetta “riforma gentile”[4] presenta criticità legate soprattutto ad un grande utilizzo di misure di sicurezza detentive (ancora in evidente sovrannumero rispetto ai criteri portati e introdotti dalla legge n. 81/2014), alla mancanza di una (ri)strutturazione dell’organizzazione territoriale destinata a far fronte ai necessari bisogni (sempre in aumento), nonché ad un ritardo nel potenziamento degli interventi per la tutela della salute mentale in carcere, a partire dalla realizzazione di ATSM, non ancora attivate in tutte le Regione e Province autonome come previsto dall’Accordo della Conferenza Unificata n. 95/2011,  e con una presenza di 280 detenuti al 31 marzo 2023.

 

 

4. A fronte della situazione esistente, che non può essere ignorata e che determina non pochi problemi nel quotidiano giudiziario (ed è evidentemente determinata da problemi strutturali di fondo), alcune proposte possono essere ritenute condivisibili.

 

4.1. Appare apprezzabile l’aver sottolineato la necessità di un aumento complessivo e strutturale dell’offerta psichiatrica per i soggetti sottoposti a misure di sicurezza e con problemi psichiatrici, ma appare sconcertante il solo riferimento alla creazione di posti in REMS e all’aumento proposto del numero di posti nella misura di 700 letti in più, ossia pari al raddoppio di quelli esistenti.

Soluzione che appare lontana dalla posizione del Ministero della Salute che, nel dare atto dell’eccessivo uso della misura di sicurezza detentiva (problema non affrontato nel documento del CSM), ipotizza un aumento di posti nelle REMS nella misura del 20% (ovvero pari a 140/150 posti).

È incomprensibile il ragionamento posto a base dell’individuazione del numero di posti asseritamente necessari considerato che dal rilevamento dei dati raccolti in alcune regioni, e verificabili attraverso i PUR[5] esistenti, molte delle assegnazioni alle REMS non sono in realtà concretamente eseguibili (per la presenza di una doppia posizione giuridica o per l’inserimento delle persone in contesti comunitari) con riduzione di quel dato di carattere generale che ha evidentemente condotto alle conclusioni assunte nel documento. Inoltre, sempre a partire dai dati qualitativi disponibili, un numero anche maggiore è quello delle persone che, sebbene destinatarie di una misura di sicurezza detentiva, risultano già assistite dai servizi sanitari con modalità e in contesti non detentivi, in linea con la ratio della legge 81/2014.

Una rapida lettura del rapporto di Antigone è sufficiente per capire il sistema attuale: «Delle 154 formali assegnazioni in REMS di persone di competenza delle regioni che hanno completato le attività di inserimento in lista di attesa […], circa il 27% non potrebbe essere eseguito, anche in caso di immediata disponibilità di posti liberi, e circa il 42% dovrebbe essere prima interessato verso la possibile soluzione alternativa definita dai Servizi sanitari. Pertanto, nel rispetto dei principi della legge 81/2014, può stimarsi che solo il 32% dei presenti in lista di attesa avrebbe effettiva necessità di accoglienza in una REMS»[6].

Al fine di prevenire erronee interpretazioni della problematica e consequenziali erronee soluzioni, di questo quadro si dovrebbe necessariamente tenere conto prima di promuovere e proporre un aumento generalizzato di posti pari al cosiddetto dato astratto e sovradimensionato delle liste di attesa attualmente considerate, in assenza di un monitoraggio nazionale standardizzato e attendibile, conforme ai criteri definiti con il richiamato Accordo della Conferenza Unificata n. 188/CU/2022.

In questa risoluzione manca, in definitiva, un’analisi dei dati reali sui concreti bisogni e sulle misure effettivamente eseguibili; dati che ben avrebbero potuto essere rilevati attraverso una semplice interlocuzione con i PUR, laddove già costituiti, il cui compito è proprio quello di monitorare le liste di attesa, redigendo liste prioritarie e non prioritarie tramite l’analisi delle singole posizioni.

Una precisa analisi dei dati porta a ridurre notevolmente le “liste di attesa in REMS”: a titolo esemplificativo, in Lombardia i dati del PUR restituiscono a gennaio 2025 un numero di 28 persone in lista di attesa, la metà delle quali già inserite in comunità.

 

Ecco perché, a fronte delle condivisibili buone intenzioni di individuare (prima di stabilire di quanto implementare i posti nelle REMS) «un meccanismo che consenta una precisa stima numerica del reale fabbisogno di posti» e la dichiarata volontà di «guardare ai possibili percorsi di assistenza psichiatrica alternativi sul territorio», non si comprendono le conclusioni volte a prediligere un così consistente aumento di posti senza alcun input ad una rafforzamento dei servizi, che già si fanno carico di circa 7000 persone con misure giudiziarie.

Non senza evidenziare che per creare 700 posti in REMS occorrono circa 500 milioni di euro per le strutture e una spesa di gestione annuale intorno ai 130 milioni; denaro che potrebbe essere più utilmente utilizzato per realizzare, rafforzare e incentivare percorsi di cura esterni e di presa in carico delle persone in misura di sicurezza non detentiva mediante progetti con budget di salute, alloggio, formazione e lavoro.

Resta, in ogni caso, indispensabile prima di assumere conclusioni di questa portata il ripristino dell’Osservatorio Nazionale (punto 2 delle proposte conclusive) per la raccolta di dati, la cui certezza ed attualità dopo 10 anni dalla riforma è fondamentale per un approccio scientifico al problema: prima di altre proposte, occorrerebbe fare un bilancio sulle procedure e sugli esiti.

 

In questo quadro sarebbe utile che il Consiglio Superiore della Magistratura esaminasse, sulla base di una raccolta dei dati regione per regione, il problema dell’elevato numero di ordinanze applicative di misure di sicurezza detentive sia provvisorie che definitive, delle condizioni delle REMS, dell’esistenza ancora oggi di REMS (come Castiglione delle Stiviere) non in linea con i principi della riforma (trattasi,  infatti, di struttura rimasta sostanzialmente  inalterata a fronte del cambio di nome) e, infine, dell’applicazione concreta della sentenza della Corte Costituzionale n. 99 del 2019[7], che richiederebbe un corredo di strutture territoriali allo stato non esistenti.

 

Preoccupa che la legge n. 81 venga definita “fragile” in sé e che venga scritto che è necessaria «una complessiva revisione dell’impianto normativo vigente laddove non adeguato all’avvenuto superamento degli OPG»: la legge richiedeva una serie di interventi organizzativi ed economici che sono stati solo parzialmente realizzati.

Non è la legge ad essere fragile, ma la mancanza dei necessari interventi a non averne consentito una piena realizzazione.

 

La legge n. 81 è tutt’altro che fragile; si tratta di una legge estremamente coraggiosa che ha sancito alcuni principi fondamentali[8] che devono presiedere alla gestione dei soggetti che hanno commesso un reato a cagione della propria sofferenza psichica; principi che, se rispettati e attuati, assicurerebbero la tutela dei diritti di queste persone. Estremamente importante tra questi principi quello di territorialità della cura, in quanto strettamente connesso alla finalità della cura stessa che è anche il reinserimento del soggetto nel tessuto sociale di provenienza.

 

Desta quindi serio allarme il fatto che si ipotizzi «la costituzione di tre strutture ad Alta Sicurezza – distribuite a nord, centro e sud – destinate ciascuna a raccogliere 20 soggetti circa, per così dire, “inemendabili” in cui prevalga l’aspetto custodiale su quello curativo, da affidarsi alla polizia penitenziaria anche al fine di assicurare una migliore funzionalità e regolarità delle REMS ordinarie”. Una previsione che, a nostro parere, contrasta con la sentenza n. 253 del 2003 della Corte costituzionale[9] ed appare assai discutibile sotto il profilo della cura psichiatrica.

 

La situazione nelle varie regioni è assai diversificata e dovrebbe essere oggetto di un’accurata analisi. Di questa si dovrebbe tenere conto prima di promuovere grandi strutture nazionali o macroregionali (le c.d. Unità di Valutazione Assesment e Prognosi - UVAP) con 80 posti (una per il nord, una per il centro e una per il sud) per evitare che «in REMS finiscano soggetti affetti da patologie irrecuperabili e perciò non curabili».

Prima di decidere di aprire costose strutture sovraregionali o nazionali – che, peraltro, saranno in molti casi lontane dai DSM di riferimento territoriale, dalla famiglia e, quindi, dalla rete sociale di riferimento – dovrebbe essere dunque condotta, con un adeguato raccordo tra giustizia e psichiatria e con la collaborazione dei PUR,  un’accurata analisi per comprendere la situazione delle varie realtà.

 

La valutazione delle persone oltre che oggettiva, è sempre anche relazionale e contesto-dipendente, ed ancor più lo è il piano di trattamento. Pur sapendo della difficoltà connessa a scarse responsività ai trattamenti e difficoltà nell’adesione alle cure, mediante un approccio complesso, olistico, che tenga conto di tutti i bisogni biopsicosociali, ambientali e culturali, si può addivenire a percorsi che lascino sempre aperta la speranza di una prospettiva di recovery, individuando congiuntamente il miglior setting di cura ed evitando un impianto meramente custodiale. Perché nessun uomo è irrecuperabile e la categoria psicopatologica dei soggetti inemendabili è scientificamente inesistente.

 

La delibera afferma che si dovrebbe evitare che questi soggetti (definiti inemendabili e non curabili) vengano inseriti nelle REMS e ipotizza il loro collocamento in strutture prevalentemente custodiali e non di cura: non è chiaro cosa si intenda dire.

Forte e fondato è il timore di volere “custodire” soggetti malati con una scarsa attenzione alla loro cura e alla loro rieducazione e re-inclusione sociale in contrasto con gli att. 27 e 32 della Costituzione. Altrettanto forte è il timore – purtroppo fondato – che si ipotizzi l’apertura di strutture assimilabili ai vecchi OPG. Quale – altrimenti – il significato di questa proposta? Difficile comprendere, da un punto di vista clinico e peritale, chi qualificherà un malato (che tale è il soggetto riconosciuto totalmente o parzialmente incapace di intendere o di volere) come soggetto “inemendabile”.

 

La paura di una ri-apertura di strutture estremamente vicine ai vecchi OPG diventa ancora più forte alla lettura della parte della delibera che affronta il tema dei c.d. antisociali. Si legge che nella discussione è stato affrontato il tema dei «c.d. antisociali, soggetti afflitti da disturbi di personalità che non necessitano di prese in carico da parte dei servizi sanitari quanto piuttosto di contenimento». Si legge ancora che per questi soggetti sono stati «immaginati dei luoghi, ove questi fossero ritenuti non imputabili o semi infermi, che siano all'interno di strutture forti, probabilmente delle carceri, che abbiamo chiamato strutture giudiziarie per l'esecuzione delle misure di sicurezza».

 

Se bene si è compreso – e si spera sinceramente di sbagliare – si intenderebbe, dunque, “custodire” soggetti riconosciuti affetti da vizio totale o parziale di mente in “strutture” non meglio definite, ma interne agli istituti penitenziari: come definire questi luoghi se non come i figli degli OPG?

Lascia stupiti – e necessiterebbe adeguata attenzione – la «tendenziale volontà del Ministero della sanità di non farsi più carico di circa 180 soggetti psichiatrici sottoposti a misura di sicurezza detentiva asseritamente incurabili optando per il loro reinserimento nel circuito penitenziario».  

Non si comprende il senso – né la legittimità – di questa affermazione che, se vera, comporterebbe l’inserimento degli autori di reato affetti da vizio di mente nel circuito penitenziario: superfluo sottolineare l’assoluta illegittimità di questa soluzione che necessariamente determinerebbe una seria quanto grave illegittimità costituzionale della normativa.

 

In merito alla “inemendabilità” va tenuto presente che già in epoca OPG i c.d. “ergastoli bianchi” erano conseguenza non tanto di gravi psicopatologie o psicopatie, ma di mancanza di progetti terapeutico-riabilitativi, di interventi sociali, in sostanza di abbandono. Tanto che la legge n. 81, ai fini della definizione della pericolosità sociale, ha previsto che non rilevino – per ritenere necessaria l’applicazione di misura di sicurezza detentiva - le “condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo” di cui all’art 133 comma 2 n. 4 cp. Punto, questo, assai rilevante e sottoposto anche alla Corte costituzionale, che si è espressa in merito[10].

L’impossibilità di accedere alla fruizione dei diritti per mancanza di documenti, cittadinanza e residenza è una questione molto attuale per le persone private della libertà ed andrebbe risolta con urgenza.

 

4.2. Ben diverso – e sicuramente da affrontare – il tema della necessaria qualità delle perizie psichiatriche e della necessaria formazione specifica dei periti, tema che dovrebbe essere di pertinenza e affrontato soprattutto dalle scuole di specializzazione dei medici, ma è assolutamente condivisibile averne sottolineato l’importanza. Per migliorare la qualità potrebbero essere inserite anche perizie “di gruppo” o “secondo parere”; in ambito professionale sono state elaborate buone pratiche che potrebbero essere validate in una Consensus Conference. Rilevante è anche la qualità del quesito peritale e la formazione specifica di magistrati e avvocati che devono occuparsi di questa materia.

 

4.3. Appare difficile comprendere (e come trasferire nelle prassi) il significato del punto n. 3, che ipotizza la realizzazione di: «meccanismi operativi che consentano un efficace scambio interistituzionale tra servizi sanitari e magistratura in modo da consentire all’Autorità Giudiziaria di intervenire celermente per rivalutare i profili di rilievo, eventualmente modificando la misura di sicurezza applicata, qualora l’osservazione clinica svolta dagli operatori sanitari dia conto di discrasie e divergenze rispetto alle valutazioni già effettuate sia con riferimento alla capacità di intendere e di volere che in relazione alla pericolosità sociale».

 

È di tutta evidenza che la pericolosità sociale del soggetto riconosciuto autore di reato e totalmente o parzialmente incapace è un concetto in divenire ed una condizione che la misura di sicurezza (sia essa detentiva che non detentiva) dovrebbe cercare di superare. Il fine ultimo della misura di sicurezza psichiatrica è la cura funzionale alla elisione, o quanto meno alla riduzione, della pericolosità sociale dell’autore di reato. Già nella prassi si realizzano utili interlocuzioni al fine di adeguare il percorso di cura – magari prima più contenitivo – all’evoluzione migliorativa delle condizioni cliniche del paziente. La revisione della misura di sicurezza, come è noto, è sempre possibile anche prima della scadenza dei termini di durata con trasformazioni e adeguamenti necessari.

 

Non si comprende, invece, come questo scambio interistituzionale possa intervenire rispetto a divergenze con le valutazioni già effettuate con riferimento alla capacità di intendere e di volere (così come espressamente previsto nel punto n. 3).

L’ irrevocabilità della sentenza di condanna del semi-incapace di intendere e di volere o di assoluzione del soggetto totalmente incapace di intendere e di volere riguarda anche l'accertamento del vizio totale o parziale di mente. Questo accertamento non potrà essere suscettibile di modificazioni. Dopo l'irrevocabilità della sentenza non si potrà ritenere capace di intendere e di volere un soggetto che sia stato giudicato totalmente o parzialmente incapace nel giudizio.

 

Positivo deve considerarsi l’accento posto in sede di audizione dal dottor Russo sulla necessità di verificare, decorso un certo tempo dall’applicazione della misura, la effettiva necessità dell’internamento dei c.d. liberi in attesa ovvero la praticabilità di una diversa misura idonea a garantire comunque la sicurezza;  è da evidenziare tuttavia che la revisione della pericolosità sociale è già oggi ben possibile anche prima della effettiva esecuzione della misura di sicurezza quando la stessa sia stata dichiarata eseguibile.

 

Appaiono invece decisamente impraticabili le ulteriori proposte del DAP.

Si suggerisce la costituzione di un «organismo centrale (validato dal Ministero, dalla Società italiana di Psichiatria) che possa dare fondamento alla scelta del magistrato di Sorveglianza, circa la misura da adottare e la struttura di accoglienza» e «ancora di affidare ad un giudice di cognizione, dopo il giudicato, la diretta rivalutazione motu proprio del soggetto posto in misura, demandandone l’esame medico legale ad un corpo centrale di esperti…».

Appare giuridicamente insostenibile una ‘validazione’ delle scelte dei magistrati da parte di un “organismo centrale”, mentre il processo di revisione della pericolosità sociale è già ben disciplinato.

Quanto alla creazione di un corpo decisionale centrale, sia per validare le scelte del magistrato sia per le rivalutazioni - se già appare complessa l’interlocuzione a livello regionale in sede di PUR tra l’Autorità giudiziaria e i capi di Dipartimento di salute mentale al fine di individuare soluzioni pratiche - non si capisce come possa realizzarsi un dialogo tra una supercommissione centralizzata e i riferimenti sanitari regionali dei pazienti.

 

L’apprezzamento mostrato dalla commissione per alcune indicazioni contenute nel rapporto Agenas 2021[11] circa «l’esigenza di un coordinamento strutturato tra periti e consulenti tecnici dell’autorità giudiziaria, da un lato, e i dipartimenti di salute mentale territorialmente competenti dall’altro; la previsione di una rivalutazione periodica della pericolosità dei soggetti in lista di attesa per l’inserimento in una REMS tendenzialmente a sei mesi dall’adozione della misura qualora non sia ancora sotto attuate; l’organizzazione di momenti di formazione comune tra magistrati sanitari specializzati nel trattamento di pazienti psichiatrici autori di reato ed esperti in psichiatria forense», che evidentemente è a base della proposta conclusiva n. 3, sembra non considerare l’esistenza dei PUR regionali e delle funzioni cui sono destinati.

Ed infatti molte di queste proposte e molte delle indicazioni ritenute apprezzabili sono già di fatto funzioni espletate dai PUR, che sono destinati a creare a livello regionale una interlocuzione più rapida possibile tra i dipartimenti di salute mentale, i giudici di cognizione, i magistrati di sorveglianza, di “fornire supporto per l’esecuzione dei provvedimenti applicativi delle misure di sicurezza detentive” con l’utile raccordo del DAP,  “al fine di permettere una periodica, stringente revisione delle misure di sicurezza e sarà compito del Pur indicare le strutture presenti sul territorio per accogliere il soggetto, anche in regime residenziale o semiresidenziale, previa eventuale sostituzione, da parte dell’autorità giudiziaria della misura di sicurezza detentiva con quella non detentiva della libertà vigilata”.

 

Non solo, ma i PUR dovrebbero anche promuovere la stipula di protocolli operativi con le Autorità giudiziarie al fine di elaborare percorsi assistenziali condivisi in favore di autori di reati, promuovere una interlocuzione tra i periti e i PUR perché vengano messe a disposizione informazioni circa le strutture residenziali presenti sul territorio e disponibili all’accoglienza, favorire la rivalutazione della pericolosità sociale ai fini dell’eventuale revoca o sostituzione delle misure di sicurezza detentive, nonché monitorare qualitativamente e quantitativamente le liste di attesa, comunicando gli esiti delle rilevazioni ai Ministeri della Giustizia e della Salute e al DAP, liste di attesa elaborate con i criteri  previsti dall’art. 4 del documento.

Il tutto sotto il monitoraggio costante di una cabina di regia nazionale presso il tavolo di consultazione permanente, le cui funzioni sono meglio spiegate all’art. 13 del medesimo documento. A questo proposito va rilevato che l’Osservatorio Nazionale, istituito nel 2021 mediante decreto del ministero della Salute[12], andrebbe rapidamente riattivato in quanto potrebbe monitorare i percorsi, l’attuazione dei PUR e dei protocolli e raccogliere i dati e gli esiti dei procedimenti penali con imputati affetti da vizio totale o parziale di mente ex art 85 cp.

 

4.4. L’elemento più critico della delibera è quello di riportare la gestione e la responsabilità della REMS nell’ambito della giustizia, riducendo la psichiatria a mera esecutrice. Una proposta che mina alla base le possibilità di cura in favore di un esplicitato mandato custodiale

***

5. Gli interventi migliorativi auspicati e indicati come necessari anche dalla Corte costituzionale[13] non possono e non devono travolgere il senso della riforma il cui valore è stato ritenuto intoccabile nelle sue linee essenziali dai giudici della Consulta. Si legga per tutti questo passaggio: «Una eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata per violazione delle riserve di legge poste dall’art. 25, terzo comma, e dall’art. 32 Cost. determinerebbe, d’altra parte, l’integrale caducazione del sistema delle REMS, che costituisce il risultato di un faticoso ma ineludibile processo di superamento dei vecchi OPG; e produrrebbe non solo un intollerabile vuoto di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, ma anche un risultato diametralmente opposto a quello auspicato dal rimettente, che mira invece a rendere più efficiente il sistema esistente, mediante il superamento delle difficoltà che impediscono la tempestiva collocazione degli interessati in una struttura idonea…».

 

Non è consentita una regressione né rispetto al primato della cura delle persone, né in punto di tutela dei diritti delle stesse, per decenni calpestati; occorre mettere a fuoco le necessità pratiche e le lacune del dettato normativo e procedere rispetto ai bisogni effettivi rispettando e salvaguardano il valore nobile della riforma.

E per fare queste integrazioni occorre innanzitutto una leale interlocuzione con i soggetti che effettivamente si occupano nel quotidiano di queste problematiche, con le persone che occupano i ruoli all’interno delle strutture organizzative già esistenti prevedendo una seria raccolta di dati e un osservatorio permanente, sia essa la cabina di regia o un differente organo.

Solo con una seria visione di insieme potranno essere organizzati gli interventi consequenziali che non possono e non devono tradursi solo in un raddoppio di posti letto o nella creazione di manicomi centralizzati per gli “inemendabili”.

 

 

[1] Delibera della Commissione mista del Consiglio Superiore della Magistratura del 12.11.2024, consultabile in allegato.

[2] Cfr. Conferenza Stato-Regioni del 30.11.2022 istitutiva – all’articolo 3 – dei PUR (Punti Unici Regionali) e consultabile in questa Rivista a seguente link.

[3] Si veda, sul punto, B. Secchi e A. Calcaterra, La nuova risoluzione del CSM in tema di misure di sicurezza psichiatriche, in Diritto Penale Contemporaneo, 5 novembre 2018. Al medesimo indirizzo sono consultabili le richiamate risoluzioni del 19 aprile 2017 e del 24 settembre 2018.

[4] “Rivoluzione gentile” fu l’espressione usata nel 2018 da Franco Corleone per indicare il processo di chiusura degli OPG e la considerava in attesa di una riforma dell’imputabilità, della pericolosità sociale e delle misure di sicurezza

[5] I PUR regionali già istituiti con delibera sono i seguenti: Lazio, Toscana, Emilia-Romagna, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Liguria e Sardegna.

[7] Corte cost., sent. 20 febbraio 2019, n. 99, Pres. Lattanzi.

[8]Si riportano di seguito i principi fondanti della legge n. 81: il principio di priorità della cura necessaria;

l’essere la misura di sicurezza detentiva misura residuale e transitoria; la centralità del progetto terapeutico individuale; il principio di territorialità della cura

[9] Corte cost., 2 luglio 2003, n. 253, Pres. Chieppa, in www.cortecostituzionale.it.

[10] Corte cost., sent. 24 giugno 2015, n. 186, Pres. Criscuolo

[11] AGENAS, Individuazione di elementi migliorativi nell’ambito delle REMS, Protocollo del 3 giugno 2021.

[12] Decreto del Ministero della Salute del 31 dicembre 2021 istitutivo dell’Osservatorio Nazionale sulle Liste d’Attesa, consultabile al seguente indirizzo:

https://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf?anno=2021&codLeg=93609&parte=1%20&serie=null.

[13] Corte cost., sent. 16 dicembre 2022, n. 22, Pres. Coraggio