Cass., Sez. III, 20 settembre 2019 (dep. 24 ottobre 2019), n. 43542, Pres. Ramacci, est. Corbetta
1. Con la sentenza in commento, la Suprema Corte si sofferma sulla fattispecie di atti osceni commessi all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori, di cui all’art. 527 co. 2 c.p.[1].
In particolare, sono due gli aspetti affrontati dalla Corte: a) l’accertamento che il giudice deve effettuare per verificare che il fatto sia stato commesso nei luoghi indicati; b) la necessità di una verifica in concreto del pericolo che i minori assistano agli atti osceni.
2. Anzitutto, è opportuno un cenno al caso di specie. L’imputato era stato condannato, in primo e in secondo grado, per i delitti di violenza sessuale e di atti osceni, ai sensi degli artt. 609-bis e 527 co. 2 c.p., uniti dal vincolo della continuazione. Gli atti osceni erano stati commessi sulla pubblica via limitrofa a un giardino pubblico.
Tra i motivi di ricorso, merita attenzione la doglianza relativa alla violazione dell’art. 527 co. 2 c.p. Il ricorrente, in particolare, evidenziava come la sentenza della Corte d’Appello di Roma avesse erroneamente qualificato la pubblica via limitrofa a un giardino pubblico come luogo abitualmente frequentato da minori. Nel ricorso, sul punto, veniva richiamata l’attenzione sulla necessità di considerare come luoghi abitualmente frequentati da minori solo quelli “specificamente destinati” alla frequentazione di minori o quelli che siano tali per “vocazione strutturale” o per “elezione specifica”. Questi ultimi, in particolare, andrebbero identificati, secondo il ricorrente, con quei luoghi che costituiscono abituale luogo di incontro tra minori, i quali vi si trattengono per un lasso di tempo non breve.
3. Prima di esaminare la pronuncia in commento, vale la pena di richiamare l’attenzione sulla fattispecie di cui all’art. 527 co. 2 c.p.
Il reato di atti osceni è stato oggetto di una recente depenalizzazione, da parte del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8. In particolare, non è più previsto come reato il compimento di atti osceni “in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico”, prima punito dall’art. 527 co. 1 c.p.
Non è stato oggetto di depenalizzazione, invece, il co. 2 del medesimo articolo, riguardante l’ipotesi in cui gli atti osceni siano commessi “all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano”. Prima dell’intervento del legislatore, con il d.lgs. n. 8/2016, la disposizione di cui al co. 2 c.p. veniva qualificata come circostanza aggravante. Oggi, invece, deve essere considerata una fattispecie autonoma, come, del resto, affermato dalla giurisprudenza di legittimità[2]: la commissione del fatto all'interno o nelle immediate vicinanze dei luoghi abitualmente frequentati da minori è diventato elemento costitutivo di una fattispecie autonoma; in quanto tale, quindi, dovrà essere oggetto del dolo.
Affinché sussista il reato, dunque, è necessario che: a) gli atti osceni siano compiuti in uno dei luoghi indicati dalla norma; b) che vi sia pericolo che minori vi assistano. I due elementi del fatto devono essere tenuti ben distinti: un conto è la tipologia di luogo in cui viene compiuto l’atto, un altro è che vi sia il pericolo che dei minori assistano a tale atto. Quindi: se la condotta viene tenuta in un luogo abitualmente frequentato da minori, ma – tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, anche di tempo e di luogo – non vi è pericolo che minori assistano all’atto osceno, il reato non è integrato. Viceversa, non sussiste il delitto di cui all’art. 527 co. 2 c.p. quando taluno compia atti osceni alla presenza occasionale di un minore, in un luogo diverso da quelli abitualmente frequentati da minori.
4. La Cassazione accoglie il ricorso, soffermandosi su entrambi i profili.
4.1. Rispetto al compimento dell’atto osceno “all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori”, in particolare, viene presa in considerazione l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui le probabilità statistiche di imbattersi in minori siano più elevate nelle vie situate in prossimità dei parchi pubblici dotati di giochi per bambini, rispetto alle altre vie cittadine. Ciò che la S.C. non condivide non è l’affermazione di principio, ma l’assenza, nella sentenza impugnata, di un accertamento in concreto della presenza, nel parco, di “giochi o altre attività ludiche” per bambini.
La sentenza in esame conferma la giurisprudenza precedente sulla definizione di luoghi abitualmente frequentati da minori. La nozione comprende due categorie di luoghi. La prima è rappresentata dai luoghi che sono abitualmente frequentati da minori per “vocazione strutturale”, come ad esempio le scuole o i “recinti creativi all'interno dei parchi”. La seconda, invece, racchiude i luoghi che, pur non essendo strutturalmente deputati alla frequentazione di minori, lo sono per “elezione specifica”[3]. Questi ultimi sono i luoghi che i minori scelgono come punto abituale di incontro e di socializzazione e ivi si trattengono per un tempo non breve, come ad esempio il cortile di un condominio.
4.2. Con riferimento al profilo attinente al pericolo che i minori assistano agli atti osceni, la S.C. valorizza l’espressa menzione del pericolo nell’art. 527 co. 2 c.p., che, pertanto, deve essere oggetto di una puntuale verifica da parte del giudice. Nello specifico, occorre accertare che, al momento del fatto, nei luoghi indicati dalla norma, fossero presenti uno o più minori. In assenza di minori sul luogo “è escluso il pericolo che i minori possano assistere alla realizzazione, da parte dell’agente, di atti osceni”[4]. Trattandosi di un reato di pericolo, non rileva che uno o più minori abbiano effettivamente assistito agli atti osceni: è sufficiente, invece, che ciò potesse accadere, in ragione della loro presenza nei luoghi indicati dalla norma.
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5. A noi pare che la soluzione prospettata dalla sentenza in commento sia apprezzabile perché richiama l’attenzione sulla necessità di effettuare una duplice valutazione in concreto, al fine di ritenere sussistente il reato di atti osceni in luogo abitualmente frequentato da minori.
5.1. In particolare, ci pare corretta l’interpretazione dell’elemento rappresentato dall’aver commesso gli atti osceni in luogo abitualmente frequentato da minori, come luogo strutturalmente destinato alla frequentazione abituale di minori o riconoscibile come tale per “elezione specifica”. Altrettanto condivisibile, a nostro avviso, è il richiamo alla necessità di non affidare la qualificazione di un luogo come abitualmente frequentato da minori – per “elezione specifica” – ad affermazioni apodittiche, come quella utilizzata nella sentenza della Corte d’appello nel caso di specie. La S.C., richiamando l’esigenza di una verifica in concreto, valorizza la necessità di non estendere eccessivamente l’ambito dei luoghi rilevanti ai fini del reato di cui all’art. 527 co. 2 c.p.: ciò è possibile verificando che essi siano – effettivamente – abitualmente frequentati da minori.
Traendo spunto dal caso di specie, però, ci sembra opportuno osservare che la semplice presenza di giochi per bambini in un parco potrebbe non essere sufficiente per qualificare la via limitrofa come luogo abitualmente frequentato da minori. Infatti, la presenza di giochi permetterebbe di qualificare quell’area del parco come luogo deputato alla frequentazione abituale di minori, ma potrebbe non bastare per considerare la strada limitrofa un luogo abitualmente frequentato da minori per “elezione specifica”. Come anticipato, infatti, quest’ultima tipologia di luogo è caratterizzata dalla effettiva frequentazione da parte di minori, che lo scelgono come luogo di abituale ritrovo o aggregazione. In altri termini: il fatto che nel parco ci siano giochi per bambini non significa – necessariamente – che proprio quella strada limitrofa sia stata scelta come luogo di aggregazione e quindi di frequentazione abituale da parte di minori. Si tratta di un accertamento da effettuare in concreto, alla luce di tutte le caratteristiche del luogo: ad esempio, la presenza di esercizi commerciali di interesse per i minori o il fatto che la strada sia l’unico modo per raggiungere il parco da una scuola. Si tratta, comunque, di un accertamento che va effettuato di volta in volta, sulla base di tutte le circostanze del caso concreto.
5.2. Infine, la qualificazione della fattispecie come reato di pericolo concreto è, a nostro avviso, del tutto condivisibile. L’espressa menzione del pericolo fa di quest’ultimo un elemento costitutivo del reato, che deve essere oggetto di specifico accertamento. In dottrina[5], del resto, è stato evidenziato come debba sussistere la probabilità che un minore assista alla condotta contraria alla pubblica decenza, escludendo dalla rilevanza penale, ad esempio, i comportamenti tenuti sì in un luogo abitualmente frequentato da minori, ma di fatto deserto, per via della tarda ora.
[1] Comma inserito dall’art. 3 co. 22, l. 15 luglio 2009, n. 94.
[2] Cass. pen., sez. III, 17 febbraio 2017 (dep. 13 giugno 2017), n. 29239.
[3] Cass. pen., sez. III, 21 settembre 2017 (dep. 15 dicembre 2017), n. 56075; Cass. pen., sez. III, 18 ottobre 2016 (dep. 21 giugno 2017), n. 30798; Cass. pen., sez. III, 17 febbraio 2017 (13 giugno 2017), n. 29239.
[4] Cass. pen., sez. III, 20 settembre 2019 (dep. 24 ottobre 2019), n. 43542, p. 5.
[5] Scalia, Le modifiche in materia di tutela dei minori, in Dir. pen proc., 2009, p. 1222.