1. La cronaca e il significato dei fatti. Secondo la definizione dell’enciclopedia Treccani, la cronaca è «narrazione di fatti esposti secondo la successione cronologica», «senza alcun tentativo di interpretazione o di critica degli avvenimenti».
Tuttavia, per narrare un avvenimento anche senza proporne un’interpretazione, occorre pur sempre cogliere il significato dei fatti, che inevitabilmente dipende dal contesto di riferimento, in quanto una medesima successione di fatti può assumere significati anche molto diversi secondo che siano considerati in una prospettiva professionale, familiare o politica.
Può accadere in particolare che il significato di un avvenimento sia definito non soltanto da un’elementare regola di esperienza naturale, come quella della pioggia che ti bagna, ma da un contesto di abitudini, tecnologie, istituzioni; e quando la vicenda da narrare interferisce in ambiti specificamente regolati, è ineludibile il riferimento al relativo contesto normativo.
Nelle ultime settimane si è molto discusso del possibile nesso tra l’incarcerazione in Iran della giornalista italiana Cecilia Sala e l’arresto in Italia dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedininajafabadi, avvenuto su richiesta degli Stati uniti d’America che intendevano ottenerne l’estradizione. Le ipotesi relative a questo nesso, che è stato prima riconosciuto e poi negato, possono essere certamente ascritte all’ambito delle opinioni, sebbene abbiano una ovvia plausibilità. Ma la narrazione di questa vicenda, conclusasi con la liberazione dell’ingegner Abedini dopo la liberazione di Cecilia Sala, non è comunque possibile senza considerarne lo specifico contesto normativo, che è quello del procedimento di estradizione promosso dagli Stati uniti d’America per ottenere la consegna dell’ingegner Abedini.
Non è in realtà possibile comprendere i fatti, da narrare «secondo la successione cronologica», senza considerarne il rapporto con la disciplina normativa del procedimento di estradizione.
Una considerazione di questa normativa, anche se limitatamente a quella parte che strettamente qui rileva, è indispensabile premessa di una cronaca attendibile, a sua volta necessaria per una plausibile valutazione dei fatti.
2. Il procedimento di estradizione: un quadro sintetico. – Per il caso in cui lo Stato italiano sia richiesto di consegnare una persona a uno stato estero (estradizione passiva), il codice di procedura penale detta una disciplina destinata a trovare applicazione quando nei rapporti con un determinato stato estero o per determinate materie non risulti una specifica disciplina convenzionale (art. 697 c.p.p.).
L’art. 13 comma 2 c.p. prevede poi che «l’estradizione non è ammessa, se il fatto che forma oggetto della domanda di estradizione non è preveduto come reato dalla legge italiana e dalla legge straniera». E nei rapporti tra Stati uniti e Italia vige un trattato di estradizione, che ribadisce questo principio di “doppia punibilità”.
Secondo la giurisprudenza, tuttavia, «il requisito della doppia incriminabilità, di cui all’art. 11 del trattato bilaterale di estradizione fra Italia e Stati uniti d’America del 13 ottobre 1983, come modificato dall’accordo del 3 maggio 2006, ratificato con legge 16 marzo 2009, n. 25, non postula l’esatta corrispondenza della configurazione normativa e del trattamento della fattispecie, ma solo l’applicabilità della sanzione penale, in entrambi gli ordinamenti, ai fatti per cui si procede»[1].
Ovviamente devono sussistere gravi indizi di colpevolezza a carico dell’estradando, quando non sia stato già condannato con sentenza definitiva (art. 705 comma 1 c.p.p., art. 10 comma 3, Trattato di estradizione tra Italia e U.S.A.); ma comunque, secondo la giurisprudenza, «la presenza nel territorio italiano della persona della quale si richiede l’estradizione costituisce un presupposto la cui mancanza rende privo il procedimento estradizionale del suo oggetto tipico»; «sicché, qualora vi sia certezza che l’estradando se ne è allontanato, la decisione sulla estradabilità non può essere resa e va dichiarato il non luogo a provvedere»[2].
Per l’estradizione passiva è previsto un procedimento misto, che si compone di una fase giurisdizionale e di una fase amministrativa.
Per la fase giurisdizionale è competente la corte d’appello che ha adottato o convalidato una misura cautelare ovvero, in mancanza di misura cautelare, la corte d’appello nel cui distretto l’imputato o il condannato ha la residenza, la dimora o il domicilio nel momento in cui la domanda di estradizione perviene al Ministro della giustizia e, in mancanza, la corte d’appello di Roma (art. 701 comma 4).
A questa fase è estranea qualsiasi valutazione di opportunità. Sicché «la valutazione compiuta dalla corte d’appello concerne esclusivamente la legale possibilità della estradizione passiva, mentre rientra nell’esclusiva sfera di competenza del Ministro della giustizia ogni valutazione in ordine all'opportunità della consegna»[3].
Mentre la fase amministrativa è necessaria, perché apre il procedimento e lo chiude con il provvedimento finale sulla domanda di estradizione, la fase giurisdizionale è solo eventuale, perché non ha luogo se il ministro ritenga che la domanda di estradizione debba essere senz’altro respinta.
Ricevuta una domanda di estradizione, il Ministro della giustizia, ove non intenda respingerla immediatamente, entro trenta giorni la trasmette con i documenti allegati al procuratore generale presso la corte d’appello competente (art. 703 comma 1 c.p.p.).
Il procuratore generale, sentito l’estradando che non sia stato già inteso in occasione dell’applicazione di una misura cautelare, presenta entro trenta giorni la sua requisitoria, che viene depositata nella cancelleria della corte d’appello, unitamente agli atti e alle cose sequestrate, con avviso all’estradando, al suo difensore e all’eventuale rappresentante dello Stato estero della facoltà di prenderne visione e di estrarne copia entro dieci giorni (art. 703 comma 5). Scaduto tale termine, «il presidente della corte fissa l’udienza per la decisione, con decreto da comunicarsi al procuratore generale e da notificarsi alla persona della quale è chiesta l'estradizione, al suo difensore e all'eventuale rappresentante dello Stato richiedente, almeno dieci giorni prima, a pena di nullità» (art. 704 comma 1c.p.p.).
La corte accerta se sussistono le condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione (art. 704 comma 2), decidendo con sentenza impugnabile per cassazione dal procuratore generale, dal difensore della persona interessata e dal rappresentante dello Stato estero.
A carico della persona da estradare possono essere adottate misure cautelari personali coercitive da parte della corte d’appello. Ma nei casi di urgenza, quando sia stata presentata domanda di arresto provvisorio, la polizia giudiziaria può procedere direttamente all'arresto della persona interessata, informandone immediatamente il Ministro della giustizia, che entro quarantotto ore, pone l’arrestato a disposizione del presidente della corte d'appello competente, per la convalida dell'arresto e l’eventuale applicazione in via provvisoria di una misura coercitiva (art. 716 comma 3 c.p.p.). La misura è revocata se il Ministro della giustizia non ne chiede il mantenimento entro dieci giorni dalla convalida (art. 716 comma 4 c.p.p.) e se, entro quaranta giorni dalla comunicazione della sua applicazione allo Stato richiedente, non perviene la domanda di estradizione (art. 716 comma 5 c.p.p.); è comunque revocata, se ne fa richiesta il Ministro della giustizia, cui compete in ultima istanza la decisione di estradizione (art. 718 comma 2).
Conclusa la fase giurisdizionale, infatti, la fase amministrativa si apre solo se l’estradizione sia stata autorizzata o consentita, perché il Ministro della giustizia può, comunque, respingere la domanda di estradizione.
Seppure connotata da una larga discrezionalità, la decisione del ministro, favorevole o sfavorevole all’estradizione, «riveste natura giuridica di atto amministrativo, sottoposto all’obbligo di motivazione e alla gerarchia delle fonti normative e perciò suscettibile di sindacato da parte del giudice amministrativo per i tipici vizi di legittimità propri del procedimento amministrativo»[4].
3. I fatti. – Alle ore 22.50 del 16 dicembre 2024 Mohammad Abedininajafabadi fu arrestato all’aeroporto di Malpensa perché colpito da mandato di cattura emesso in data 13 dicembre 2024 dall’Autorità Giudiziaria degli U.S.A., per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla violazione dell’International Emergency Economic Powers Act e per la fornitura di supporto materiale ad un’organizzazione terroristica straniera.
Il 17 dicembre 2024 un magistrato delegato dal Presidente della Corte d’appello di Milano convalidò l’arresto e dispose che Abedininajafabadi rimanesse in stato di custodia cautelare.
Come previsto dall’art. 716 comma 4 c.p.p., entro i dieci giorni successivi alla convalida dell’arresto il Ministro della giustizia chiese il mantenimento della misura cautelare, ritenendo che sussistessero i presupposti dell’estradizione. Ma il successivo 12 gennaio 2025 lo stesso ministro dispose a norma dell’art. 718 comma 2 c.p.p. la revoca della misura cautelare, escludendo che nei confronti del cittadino iraniano potessero essere assunte decisioni favorevoli all’estradizione verso gli Stati uniti d’America.
Tra la prima decisione del 17 dicembre 2024 e la seconda del 12 gennaio 2025 era infatti intervenuta la liberazione della giornalista Cecilia Sala, detenuta in Iran sin dal 19 dicembre 2024: un evento, quello della liberazione di Cecilia Sala, che non solo spiegava ma giustificava pienamente, sul piano politico, il mutato orientamento del Governo italiano.
Tuttavia, il Ministro della giustizia intese giustificare la revoca della misura esclusivamente sul piano giuridico, ritenendo insussistente ai fini dell’estradizione il presupposto della incriminabilità anche in Italia dei fatti contestati dalle autorità statunitensi all’ingegner Abedini.
Considerò infatti il ministro che:
a) quanto alla condotta di associazione per delinquere finalizzata alla violazione dell’International Emergency Economic Powers Act, «essa non trova corrispondenza nelle fattispecie previste e punite dall’ordinamento penale italiano»;
b) quanto alla seconda e alla terza condotta, fornitura di supporto materiale ad un’organizzazione terroristica straniera, nessun elemento risultava addotto a fondamento delle accuse rivolte all’ingegner Abedini, in quanto emergeva «con certezza unicamente lo svolgimento, attraverso società a lui riconducibili, di attività di produzione e commercio con il proprio Paese di strumenti tecnologici aventi potenziali, ma non esclusive, applicazioni militari»;
c) inoltre, nessun elemento risultava acquisito per ritenere che l’ingegner Abedini fosse o fosse stato collegato in qualsiasi modo a organizzazioni terroristiche o complice anche solo morale nel sanguinoso attentato terroristico perpetrato il 28 gennaio 2024 ai danni dei militari statunitensi nel nord della Giordania.
Immediatamente liberato, dunque, Mohammad Abedininajafabadi fu rimpatriato a bordo di un aereo dei servizi di sicurezza italiani.
4. Un’opinione. – Così ricostruiti i fatti, non pare che risulti adeguata la motivazione esibita dal Ministro a sostegno della decisione del 12 gennaio 2025 contraria all’accoglimento della domanda di estradizione.
Risulta quantomeno affrettato il rilievo che non risultassero addotti elementi a fondamento delle accuse rivolte all’ingegner Abedini.
L’art. 715 comma 6 c.p.p. prevede infatti che le misure cautelari applicate all’estradando sono revocate se entro quaranta giorni dalla loro comunicazione allo stato richiedente non sono pervenuti al Ministero degli affari esteri o a quello della giustizia la domanda di estradizione e i documenti previsti dall'art. 700 c.p.p., anche ai fini della prova delle accuse.
Secondo quanto prevede inoltre l’art. 12 del trattato bilaterale di estradizione fra Italia e Stati uniti d’America, nei casi di arresto provvisorio d’urgenza, come quello eseguito ai danni dell’ingegner Abedini, è riconosciuto allo stato richiedente un termine di quarantacinque giorni per produrre la documentazione relativa alla richiesta di estradizione.
Sicché, essendo stato eseguito l’arresto il 16 dicembre 2024 e la misura cautelare applicata il 17 dicembre 2024, ne consegue che il 12 gennaio 2025 lo stato richiedente era ancora in termini per produrre la documentazione necessaria a ottenere l’estradizione. E comunque, secondo quanto prevede l’art. 11 del trattato di estradizione, «se la Parte Richiesta considera che la documentazione fornita a sostegno di una richiesta di estradizione è incompleta o altrimenti non conforme ai requisiti previsti dal presente trattato, tale parte richiederà la presentazione della necessaria documentazione aggiuntiva».
Non è dunque ragionevole che a distanza di meno di trenta giorni dall’arresto si negasse l’estradizione adducendo la mancanza di prove ancora producibili dallo stato richiedente.
Non è condivisibile neppure l’affermazione che il delitto associativo contestato all’ingegnere iraniano «non trova corrispondenza nelle fattispecie previste e punite dall’ordinamento penale italiano».
Infatti, l’art. 2 del trattato prevede che «un reato, comunque denominato, dà luogo ad estradizione solamente se è punibile secondo le leggi di entrambe le Parti Contraenti con una pena restrittiva della libertà per un periodo superiore ad un anno o con una pena più severa»; e aggiunge che ogni forma di associazione per commettere taluno di tali reati «è altresì considerato reato che dà luogo all'estradizione».
Nel nostro caso all’ingegnere iraniano era contestata la condotta di associazione per delinquere finalizzata alla violazione dell’International Emergency Economic Powers Act, che, come chiarito nell’ordinanza di convalida dell’arresto, «considera un crimine esportare intenzionalmente, o tentare o cospirare per esportare, dagli Stati Uniti qualsiasi articolo elencato nella Commerce Control List senza prima ottenere questa licenza di esportazione».
Quanto all’ordinamento italiano, l’art. 25 della legge 9 luglio 1990, n. 185, prevede che è punita con la reclusione da tre a dodici anni ovvero con la multa da euro 25.822 a euro 258.228 la «esportazione, importazione, trasferimenti intracomunitari, transito, intermediazione, cessione delle licenze di produzione e delocalizzazione produttiva di materiali di armamento, nonché trasferimenti intangibili di software e di tecnologia» inclusi in un elenco aggiornabile con decreto ministeriale.
Sicché in Italia come negli Stati uniti d’America è punito con pene detentive superiori a un anno di reclusione il commercio senza autorizzazione degli armamenti inclusi in uno specifico elenco. Non pare si possa allora escludere apoditticamente la doppia punibilità richiesta dal trattato di estradizione, così come interpretato dalla citata giurisprudenza.
Di tanto non tiene conto la decisione adottata il 12 gennaio 2025 dal Ministro della giustizia, la cui motivazione è palesemente inadeguata sia per quanto attiene al presupposto probatorio della richiesta di estradizione sia per quanto attiene al presupposto della doppia punibilità dei reati contestati.
Non è discutibile però che una giustificazione non solo politica di quella decisione fosse comunque necessaria, perché, secondo la giurisprudenza amministrativa, per decidere su una richiesta d’estradizione, «la valutazione del Ministro della Giustizia, lungi dall’ancorarsi a mere considerazioni di “opportunità politica”, deve conseguire a parametri oggettivi»[5]. E questa giurisprudenza è certamente rilevante, perché, come s’è detto, il provvedimento del ministro che nega l’estradizione è impugnabile dallo stato richiedente con ricorso al giudice amministrativo.
Tuttavia, occorre considerare anche che nel caso in esame l’ingegner Abedini, rimpatriato subito dopo la liberazione, non è più presente sul territorio italiano; e quindi, non essendo più eseguibile la sua estradizione, un eventuale ricorso al giudice amministrativo sarebbe dichiarato certamente inammissibile per carenza di interesse.
Piuttosto che impegnarsi in una improbabile giustificazione giuridica, sarebbe stato allora preferibile esibire una motivazione laconica e generica, esattamente come quella con la quale era stata giustificata la richiesta di mantenimento della misura cautelare in carcere disposta in occasione della convalida dell’arresto.
Si è invece vanamente tentato di dissimulare come giuridicamente fondata una pur saggia decisione esclusivamente politica.
Le istituzioni andrebbero prese sul serio, sempre.
[1] Cass., sez. VI, 27 ottobre 2022, Gatta, m. 284105, Cass., sez. VI, 24 settembre 2014, Francisci, m. 260432.
[2] Cass., sez. VI, 8 febbraio 2022, Doring, m. 282912, Cass., sez. VI, 24 giugno 2016, Governo Degli Emirati Arabi Uniti, m. 267682.
[3] Cass., sez. VI, 8 gennaio 2020, Merkaziaj, m. 278616
[4] Cass., sez. I, 3 marzo 2003, Figini, m. 225745. Come precisa Cons. Stato, sez. IV, 18 marzo 2013, n. 1576, in Foro amm. CDS 2013, 3, 697, «il provvedimento con il quale il Ministro della Giustizia, all'esito dello speciale procedimento previsto dal codice di procedura penale, concede l'estradizione è un provvedimento di alta amministrazione, come tale caratterizzato da ampia discrezionalità, ma non sottratto al sindacato giurisdizionale sulle valutazioni compiute dall'autorità politico amministrativa in ordine alla concessione in concreto dell'estradizione, per la quale l'autorità giudiziaria ha già valutato la sussistenza dei relativi presupposti».
[5] Cons. Stato, sez. IV, 18 marzo 2013, n. 1576.