Cass., sez. III, sent. 16 maggio 2019 (dep. 26 luglio 2019), n. 34091, Pres. Rosi, Est. Reynaud
1. Con la sentenza in esame, la Terza sezione della Corte di cassazione, adottando una lettura dell’art. 392 comma 1-bis c.p.p. conforme alle finalità espresse dalle fonti internazionali in materia, dichiara l’abnormità dell’ordinanza, emessa dal g.i.p. presso il Tribunale di Tivoli, con la quale era stata rigettata la richiesta di incidente probatorio c.d. speciale, relativo cioè a procedimenti per reati lesivi della libertà personale e sessuale.
L’ordinanza veniva impugnata dal pubblico ministero che, in via principale, ne deduceva l’abnormità e, in subordine, evidenziava l’illegittimità costituzionale degli artt. 392 comma 1-bis e 398 c.p.p., in quanto contrastanti con l’art. 117 comma 1 Cost., atteso che la mancata previsione di un rimedio – quale il ricorso per cassazione – in caso di rigetto dell’istanza richiamata avrebbe favorito il verificarsi della c.d. vittimizzazione secondaria della persona offesa di reati sessuali, ovvero proprio l’esito che le citate disposizioni processuali mirano ad evitare.
Prima di addentrarsi nella parte motiva della sentenza, pare utile riassumere la vicenda processuale sottostante. Il caso che ha interessato la Corte muove dall’istanza di incidente probatorio formulata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli per l’assunzione della testimonianza della persona offesa – minorenne all’epoca dei fatti, ma ormai prossima al compimento della maggiore età – in un procedimento per il delitto di violenza sessuale, di cui all’art. 609-bis c.p. Nonostante la richiesta fosse stata ritualmente presentata, il giudice per le indagini preliminari, con ordinanza, ne disponeva il rigetto. Provvedimento, quest’ultimo, che il pubblico ministero ha ritenuto assolutamente illegittimo e la cui rimozione, considerata la relativa inoppugnabilità, si sarebbe potuta profilare solo denunciandone l’abnormità innanzi alla Suprema Corte. A tal fine, il Procuratore ha sostenuto che l’introduzione del comma 1-bis nell’art. 392 c.p.p., in virtù degli obblighi internazionali assunti dall’Italia, imponesse al giudice di disporre la deposizione a futura memoria della vittima “presunta” vulnerabile, così evitando il verificarsi di una stasi processuale che, altrimenti, avrebbe fatto sorgere la responsabilità del pubblico ministero stesso e dello Stato per aver obbligato le persone offese a “rivivere” l’accaduto, innescando il richiamato effetto della c.d. vittimizzazione secondaria[1].
2. I giudici della Suprema Corte, preliminarmente, esordiscono ripercorrendo la genesi dell’art. 392, comma 1-bis c.p.p. La disposizione, introdotta con la l. 15 febbraio 1996 n. 66, di contrasto alla violenza sessuale, e sostituita dalla l. 1 ottobre 2012 n. 172, di ratifica ed esecuzione della Convenzione firmata a Lanzarote nel 2007, per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, offre la possibilità alla persona sottoposta alle indagini e al pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, di chiedere l’assunzione della testimonianza della persona offesa minorenne, ovvero maggiorenne, che sia stata vittima di gravi reati, tra i quali la violenza sessuale ex art. 609-bis c.p., «anche al di fuori delle ipotesi del comma 1». La prescrizione in esame è stata integrata, da ultimo, dal d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212 (che recepisce la direttiva 2012/29/UE, in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato)[2], e consente l’audizione della vittima mediante incidente probatorio, indipendentemente dal reato per cui si procede, qualora essa «vers[i] in condizione di particolare vulnerabilità».
Alla luce dell’assetto normativo interno e sovranazionale, il Collegio ravvisa una duplice ratio insita in tale norma: anzitutto, riconosce, in sede processuale, una maggior protezione alla vittima di reati violenti e lesivi della libertà personale e sessuale al fine di evitarne la c.d. vittimizzazione secondaria “da processo”[3]. In secondo luogo, ricorda come la disposizione tenda anche a salvaguardare, per quanto possibile, la genuinità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, specialmente laddove queste rappresentino la principale prova d’accusa[4].
I giudici della Suprema Corte, per avvalorare una simile esegesi, ripercorrono la legislazione sovranazionale ed europea[5] volta a sollecitare gli Stati a rafforzare la tutela e la protezione della vittima «dal processo»[6]. In particolar modo, degna di nota appare soprattutto la già menzionata direttiva 2012/29/UE che, come affermato in una recente pronuncia delle Sezioni Unite, «rappresenta un vero e proprio snodo per le politiche criminali, di matrice sostanziale e processuale, dei legislatori europei»[7].
Sulla base di tali premesse, il Supremo collegio illustra il significato da attribuire all’art. 392 comma 1-bis c.p.p., peraltro così prospettato anche dal Procuratore ricorrente: nel caso in cui si richieda di procedere all’incidente probatorio per l’assunzione della testimonianza della persona offesa “presunta” vulnerabile[8], vale a dire la vittima, minorenne o maggiorenne, dei gravi reati indicati dalla disposizione stessa, il giudice non avrebbe alcun potere discrezionale nel valutarne l’opportunità, sicché dovrebbe sempre accogliere la richiesta, purché, beninteso, sussistano i requisiti processuali prescritti. Siffatta esegesi, secondo la Corte, trova peraltro conforto negli intenti del legislatore nazionale, che ha identificato nell’assunzione anticipata del mezzo di prova il meccanismo congeniale a scongiurare il rischio di una “seconda vittimizzazione” della fonte personale debole.
Eppure, il Collegio tenta comunque di prevenire eventuali critiche, fondate sul mero dato letterale della disposizione, che potenzialmente potrebbero invalidare l’argomentazione interpretativa appena esposta. Difatti, posta la rilevanza degli interessi in gioco, esclude la possibilità di dar corso ad una lettura restrittiva della disposizione, che parrebbe ancorarsi ad una «formalistica interpretazione letterale» dell’art. 392 c.p.p., ove, a ben vedere, non si esplicita alcun obbligo per il giudice circa l’accoglimento della richiesta presentata nei casi del comma 1-bis. Semmai, solo nelle ipotesi in cui emerga un interesse da considerarsi preminente rispetto a quello di protezione delle vittime dai rischi della vittimizzazione secondaria – che le stesse fonti internazionali ritengono bisognoso di preminente tutela – al giudice potrà essere riconosciuto un margine di discrezionalità circa l’opportunità di disporre, o meno, l’incidente probatorio; ciò detto, però, la Corte non fornisce ulteriori precisazioni al riguardo.
Dopo aver chiarito il significato da attribuire all’art. 392, comma 1-bis c.p.p. e le ragioni che, in sede sovranazionale, ne hanno determinato l’introduzione nel nostro sistema processuale, la Terza sezione ritiene «decisamente fondate» le doglianze lamentate nel ricorso.
Quanto al profilo di illegittimità del diniego opposto dal giudice per le indagini preliminari all’istanza di incidente probatorio c.d. atipico o speciale, la Corte considera pressoché apparente la motivazione da quest’ultimo addotta, poiché non contiene alcun riferimento alle circostanze concrete che hanno fondato la richiesta, sicché tale rigetto, benché espressione di un potere astrattamente esercitabile, risulta disposto «al di là di qualsiasi ragionevole limite». Si tratta, dunque, secondo il Collegio, di un «rigetto arbitrario», fondato su valutazioni che non trovano alcun riscontro in motivazione, e che comunque esulano dalla disciplina processuale attuativa degli obblighi assunti dallo Stato in sede internazionale[9].
Posta la singolarità del provvedimento oggetto di censura, la Suprema Corte ritiene di doversi discostare, nella vicenda de qua, dalla costante giurisprudenza[10], secondo cui è inoppugnabile, in ragione del principio di tassatività che governa il regime dei mezzi di impugnazione (art. 568 comma 1 c.p.p.), la decisione del giudice per le indagini preliminari sull’ammissibilità della richiesta di incidente probatorio, ex art. 398 comma 1 c.p.p.
Beninteso, la Terza sezione non intende rinnegare tale principio. Anzi, ribadisce di condividerne la portata, purché il giudice adotti il provvedimento in conformità al modello legale; tuttavia, non può sfuggire come sia proprio dallo schema ordinario che si esula nel caso di specie.
Il Collegio, dunque, assumendo come preminente la tutela che deve essere accordata alle vittime di violenza sessuale, conclude di doversi disallineare pure da un suo stesso precedente specifico, in cui il ricorso per cassazione avverso il rigetto dell’istanza presentata ai sensi dell’art. 392 comma 1-bis c.p.p. veniva dichiarato inammissibile, in quanto provvedimento inoppugnabile[11].
A ben vedere, però, nel “precedente” appena menzionato i profili inerenti all’esigenza – che, indubbiamente, negli ultimi anni ha assunto sempre più vigore – di assicurare una maggior tutela, anche dal punto di vista processuale, alle persone offese in procedimenti per reati lesivi della libertà personale e sessuale, non sono stati in alcun modo valorizzati. Per converso, nell’economia della decisione in esame, il riferimento alla sempre maggiore attenzione dedicata alle «vittime con specifiche esigenze di protezione»[12] trova conferma anche nella recente approvazione della l. 19 luglio 2019 n. 69, c.d. codice rosso, in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. In virtù di siffatte considerazioni, la Corte conclude per la non condivisibilità in assoluto dell’indirizzo maggioritario suesposto, ancorché consolidato.
Sciolto questo primo nodo relativo alla fondatezza della censura, il Collegio giunge a vagliare il secondo profilo rilevante nel caso di specie, ai fini dell’effettiva ammissibilità del ricorso[13]: la singolarità del provvedimento impugnato, «che si configura come strutturalmente abnorme per il suo contenuto»[14].
L’ordinanza impugnata, che risulta adottata «al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite»[15], deve considerarsi viziata da abnormità strutturale[16]. Vizio che, con riferimento all’indirizzo consolidato in seno alle Sezioni Unite[17], può essere ravvisato unicamente nelle situazioni in cui l’ordinamento non abbia predisposto alcun rimedio per poter censurare il provvedimento giudiziale «che sia frutto di sviamento di potere e fonte di pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti»[18].
Pertanto, secondo il Collegio, se in queste circostanze – espressione di uno «sviamento della funzione giurisdizionale»[19] – non vi fosse alcun rimedio esperibile, ancorché non espressamente prescritto, le vittime di gravi reati verrebbero irrimediabilmente esposte ai rischi della vittimizzazione secondaria “da processo”, e, di conseguenza, lo Stato finirebbe per violare gli obblighi internazionali sottoscritti. Per queste ragioni, la Terza sezione della Corte di cassazione ha annullato senza rinvio, perché abnorme, l’ordinanza di rigetto della richiesta di incidente probatorio avanzata ai sensi dell’art. 392 comma 1-bis c.p.p.
3. La pronuncia illustrata appare, dunque, di notevole interesse proprio per la lettura che la Corte di cassazione offre dell’art. 392 comma 1-bis c.p.p., interpretato sotto la luce dei richiamati obblighi internazionali; esegesi che, di fatto, ha rappresentato un revirement rispetto alla giurisprudenza che applicava rigidamente il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, anche laddove fosse ravvisabile l’abnormità del provvedimento giudiziale, derivante dall’arbitraria “disapplicazione” di «una regola generale di assunzione della prova prevista in ottemperanza ad obblighi assunti dallo Stato in sede internazionale»[20].
Difatti, il Collegio inquadra il provvedimento impugnato tra gli atti abnormi, come tali annullabili, atteso che il diniego opposto dal giudice alla richiesta di incidente probatorio c.d. speciale, sulla base della summenzionata interpretazione, non può dirsi espressione d’esercizio di un legittimo potere.
Il percorso argomentativo seguito dalla Corte, tuttavia, non può dirsi privo di criticità; inoltre, non appare del tutto convincente.
Anzitutto, è opportuno evidenziare come dalla lettura degli artt. 392 comma 1-bis e 398 comma 1 c.p.p. non emerga un vero e proprio obbligo in capo al giudice per le indagini preliminari di disporre, a mera richiesta di parte, l’incidente probatorio[21]. In particolare, la prima disposizione delinea un’ipotesi “speciale” di incidente probatorio, la quale, fondata su «un giudizio positivo di indifferibilità»[22] dell’assunzione probatoria, già di per sé rappresenta un’eccezione[23] alla formazione della prova nella sua sede naturale, cioè a dire il dibattimento.
Il comma 1-bis che ci occupa, peraltro, disciplina due casi distinti: l’uno è volto a consentire in via anticipata l’escussione del minore – sia esso teste o vittima – e della persona offesa maggiorenne, qualora si proceda per gravi reati lesivi della sfera di libertà personale e sessuale, espressamente elencati dalla disposizione, e indipendentemente dal ricorrere delle condizioni di grave impedimento o minaccia, di cui alle lett. a) e b) del comma 1; l’altro è dedicato all’assunzione «in ogni caso»[24], previa declaratoria di “particolare vulnerabilità” da parte dell’autorità giudiziaria procedente ex art. 90-quater c.p.p.[25], della testimonianza della persona offesa che versi in tale condizione. Si profila, dunque, una doppia facoltà per le parti processuali – esclusa, comunque, la persona offesa[26] – di richiedere al giudice l’apertura della parentesi incidentale.
La seconda prescrizione, rubricata «provvedimenti sulla richiesta di incidente probatorio», senza distinguere in alcun modo i poteri valutativi attribuiti al giudice investito di una richiesta di formazione della prova in via anticipata (sia essa presentata ai sensi del comma 1 ovvero del comma 1-bis dell’art. 392 c.p.p.), dispone che «il giudice pronuncia ordinanza con la quale accoglie, dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di incidente probatorio».
Dalla mera lettura, seppur combinata, delle due norme, non può, dunque, ricavarsi l’imperativo per il giudice di accogliere, stante la correttezza delle sole formalità rituali, l’istanza di cui al comma 1-bis. E, pur condividendo le rationes fondanti la disposizione in esame, volte, da un lato, ad evitare il fenomeno della vittimizzazione secondaria “da processo” e, dall’altro, ad assicurare quanto più possibile la genuinità della prova, non si ritiene di poter escludere in maniera integrale la discrezionalità valutativa rimessa al giudice[27]. Sembra infatti da preferire una prospettazione che attribuisca al giudice un potere decisionale dotato di un margine di discrezionalità, sebbene limitato e circoscritto a presupposti per lo più “oggettivi”.
Stando al dettato normativo, siffatto vaglio si dovrebbe tradurre nella verifica della legittimazione soggettiva dell’istante (pubblico ministero o persona sottoposta ad indagini), del momento (ossia che il procedimento penda nella fase delle indagini preliminari o in udienza preliminare), dell’oggetto, vale a dire che si proceda per uno dei gravi delitti espressamente indicati dalla norma[28], e che si chieda di assumere la «testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne»[29]. Peraltro, ai sensi dell’art. 393 comma 1 c.p.p., la richiesta deve contenere, a pena di inammissibilità: la prova da assumere, i fatti oggetto di prova e le ragioni per cui la si ritiene rilevante per la decisione dibattimentale, nonché l’indicazione della persona nei cui confronti si procede e le circostanze che rendono la prova non rinviabile al dibattimento. Circostanze, queste ultime, che parte della dottrina ritiene debbano essere comunque allegate alla richiesta, perché non specificatamente escluse per tali ipotesi dall’art. 393 comma 1 c.p.p., mentre altri considerano del tutto marginali, poiché subordinate ai presupposti dell’art. 392 comma 1-bis c.p.p.[30]. Ciò nonostante, come si è detto poc’anzi, è lo stesso comma 1-bis a consentire la richiesta di attivazione dello strumento anticipato di assunzione probatoria «anche al fuori delle ipotesi previste dal comma 1».
Il giudice, quindi, è tenuto a vagliare, in un primo momento, i requisiti di ammissibilità della richiesta e, solo successivamente, la fondatezza della stessa; valutazione, quest’ultima, che il giudice compie sulla base sia delle argomentazioni addotte dalla parte istante, sia delle eventuali deduzioni presentate dalla parte avversa, in ragione del contraddittorio cartolare sull’istanza, quale diritto riconosciuto alle parti dall’art. 396 comma 1 c.p.p.
Orbene, sulla base di tali premesse, l’opzione esegetica avallata dalla Corte appare tecnicamente discutibile: infatti, il potere discrezionale del giudice, cui è rimessa la decisione sull’istanza presentata ai sensi dell’art. 392 comma 1-bis c.p.p., non può dirsi del tutto escluso, quanto, al più, limitato alla verifica delle condizioni oggettive e soggettive indicate dalla stessa norma, e destinato «a constatare che la prova sia rilevante ai fini della decisione dibattimentale»[31]. Se così non fosse, l’unica valutazione in ordine all’opportunità di attivare la procedura anticipata di acquisizione probatoria verrebbe rimessa, in via esclusiva, alla parte che si fa istante, in quanto titolare di azionare un diritto alla prova privo di qualsivoglia controllo giurisdizionale nel “merito”.
L’interpretazione della Suprema Corte non trova, dunque, né riscontro immediato nel dato codicistico, né, a ben guardare, nelle fonti internazionali invocate, dalle quali emerge il solo interesse primario all’adozione di misure protese alla limitazione delle audizioni della vittima[32] (mediante specifiche cautele, quali la videoregistrazione e le precauzioni a salvaguardia dell’interessato vulnerabile) [33]: interesse primario che non può essere declinato in un automatismo dispositivo, non trovando esso spazio in alcuna disposizione[34]. Pertanto, far discendere dalle fonti internazionali un vero e proprio obbligo, in capo al giudice per le indagini preliminari, di disporre l’assunzione della testimonianza “a futura memoria” della persona offesa vulnerabile appare quantomeno una forzatura.
Del resto, che un’effettiva protezione delle persone offese, e comunque dei minori, dai rischi della c.d. vittimizzazione secondaria possa essere realizzata solo anticipando la loro escussione non si evince né dagli articoli della direttiva 2012/29/UE, né dalle disposizioni delle Convenzioni di Lanzarote e Istanbul. Ciò nonostante, il legislatore nazionale ha prescelto quest’ultima via, di modo che, al ricorrere di predeterminati criteri oggettivi e soggettivi, si rende possibile l’attivazione del (pur sempre eccezionale) strumento incidentale, non ultimo al fine di consentire una celere estromissione della vittima dal processo.
Trattasi di un’esigenza che, per converso, non è stata compiutamente tutelata, allorché si tratti di persona offesa maggiorenne in procedimenti per delitti a sfondo sessuale o comunque lesivi della libertà personale, nel caso in cui non possa essere considerata “particolarmente vulnerabile”. Un vulnus ricavabile dall’esame di due disposizioni che, nel nostro sistema, compongono, per così dire, l’apparato di tutela della vittima “nel processo”.
In virtù dell’art. 398 commi 5-bis e 5-ter c.p.p., rispettivamente dedicati all’audizione dei minori e delle persone offese particolarmente vulnerabili, si riconosce al giudice il potere di ammettere l’escussione mediante “modalità protette”. Con riguardo alla deposizione del minorenne, spetta al giudice, ove ricorrano particolari esigenze di tutela, disporre che si proceda con specifiche cautele; invece, per l’assunzione della prova che coinvolga «maggiorenni in condizione di particolare vulnerabilità», idonei presidi di tutela possono essere prescritti dal giudice soltanto «su richiesta di parte».
Si tratta, dunque, di un’ulteriore discrasia dell’impostazione normativa, che poggia, per così dire, su una duplice limitazione della valutazione giudiziale: da un lato, esclude qualsivoglia potere “discrezionale” in capo al giudicante in ordine all’ammissibilità dell’atto probatorio, che, in modo pressoché automatico, dovrebbe conseguire alla richiesta di parte; dall’altro, l’impianto normativo non consente allo stesso giudice di valutare l’opportunità di adottare modalità protette nell’espletamento dell’incidente probatorio, non essendo queste, nei casi qui contemplati, previste.
Allora, riconoscere quale “atto dovuto” l’accoglimento della richiesta di incidente probatorio c.d. speciale, senza che l’audizione della vittima maggiorenne “presunta” vulnerabile implichi quantomeno una valutazione giudiziale sull’opportunità di predisporre particolari cautele in sede di escussione della fonte, denota una discutibile incoerenza dello statuto di tutela della persona offesa “dal e nel processo”.
In secondo luogo, quanto all’esigenza di contenere le occasioni in cui la vittima può essere chiamata a deporre, nel nostro sistema processuale ricopre un ruolo centrale l’art. 190-bis comma 1-bis c.p.p., che, nel bilanciamento con il diritto di difesa dell’imputato, consente la ri-audizione della persona offesa minore d’età, ovvero di quella che versi in condizione di particolare vulnerabilità, soltanto ove ricorrano specifiche circostanze. Tale disposizione, che deve essere affiancata al disposto dell’art. 392 comma 1-bis c.p.p., difetta di un puntuale coordinamento con le altre norme, poiché, oltre alla mancanza di simmetria nell’indicazione dei reati per cui si procede, non si applica alla persona offesa maggiorenne che non sia “particolarmente” vulnerabile.
Inoltre, sembra sufficientemente chiaro come il Collegio, per argomentare l’esclusione di qualsivoglia potere discrezionale in capo al giudice, abbia in qualche modo assunto come prevalente l’interesse di proteggere la vittima “dal processo”, al fine di evitare che la stessa si trovi esposta in maniera reiterata allo stress innescato dalla macchina processuale, rispetto alla necessità di assicurare, quanto più possibile, la genuinità della prova, ossia l’esigenza di consentire una verifica sulla credibilità ed attendibilità della deposizione della persona offesa[35], che, invero, il legislatore avrebbe voluto come prevalente.
Orbene, così invertita la gerarchia finalistica sottesa all’art. 392 comma 1-bis c.p.p., la Corte si spinge ad affermare l’illegittimità della decisione che ha respinto una richiesta di incidente probatorio speciale, perché arbitraria e fonte di un pregiudizio insanabile per la vittima vulnerabile. E l’incongruenza dell’epilogo rispetto tanto al carattere eccezionale dello strumento dell’incidente probatorio, quanto al dato normativo, dal quale l’obbligatorietà dell’ammissione non trapela, appare sufficientemente chiara.
Sempre nel solco del vaglio di compatibilità normativa, occorre aggiungere come il riconoscimento in capo al giudice di un potere discrezionale, per quanto limitato a presupposti sostanziali stringenti, trovi conforto non solo nel previsto contraddittorio cartolare sulla richiesta, bensì pure nell’art. 393 comma 2-bis c.p.p., che impone al pubblico ministero istante di depositare contestualmente tutti gli atti di indagine compiuti[36]; così, concludere – senza riserve – che l’accoglimento della richiesta debba essere automatico vanifica persino il senso di tale ultima previsione[37], riducendo il deposito ad incombente superfluo rispetto alla sottostante esigenza di contraddittorio.
4. Ora, se le premesse di “merito” fatte proprie dalla Corte di cassazione possono essere “sovvertite” nel senso auspicato – teso a riconoscere un margine di vaglio giudiziale sull’opportunità dell’incidente probatorio – ci si deve interrogare sull’effettiva possibilità di configurare l’abnormità dell’ordinanza di rigetto dell’incidente probatorio c.d. speciale.
Infatti, la via così imboccata dalla Corte pare più che altro un escamotage, volto a rendere ammissibile il ricorso per cassazione avverso un provvedimento che, in virtù del principio di tassatività delle impugnazioni, non sarebbe stato altrimenti impugnabile[38].
Se nei “casi tradizionali” di incidente probatorio, dottrina e giurisprudenza sono pacificamente concordi sull’inoppugnabilità dell’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari[39], in quanto «estrinsecazione di un potere discrezionale del giudice e [di] natura strumentale per assicurare il più corretto e spedito iter processuale»[40], altrettanto non può dirsi per le ipotesi “speciali”, almeno stando alla pronuncia che ci occupa.
Preliminarmente, pare opportuno inquadrare a livello generale la categoria dell’abnormità, la quale, benché di elaborazione giurisprudenziale, ammette reazioni dalla parte che vi ha interesse, al di fuori dei confini tassativi delle invalidità e delle impugnazioni, proprio allo scopo di sanare situazioni talmente singolari da essere imprevedibili e, quindi, non presidiabili positivamente da alcun rimedio.
L’abnormità, pur rappresentando un “fenomeno” unitario, appare connotata da molteplici sfaccettature: a fianco dell’originaria abnormità genetica – ravvisabile quando il provvedimento, «per la singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplica al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite»[41] – si collocano l’abnormità “strutturale” e “funzionale”. Le caratteristiche di queste ultime sono state, negli anni, definite da una cospicua elaborazione giurisprudenziale delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, attraverso la messa a punto di una serie di criteri rivelatori: un atto va considerato strutturalmente abnorme allorché si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, mentre è “tacciabile” di abnormità funzionale quando, pur non risultando estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo[42]. In sostanza, si tratta di provvedimenti extra ordinem, tali da rendere indispensabile la loro rimozione immediata dal procedimento.
Nel caso in esame, ad una prima prospettazione, da parte del pubblico ministero ricorrente, d’un provvedimento affetto da abnormità funzionale, il Collegio ha ravvisato, invece, un’abnormità strutturale, la quale – invero – non appare convincente.
Anzitutto, il provvedimento con cui il giudice, ancorché erroneamente, nega l’accoglimento dell’incidente probatorio, ai sensi dell’art. 392 comma 1-bis c.p.p., non si pone ab norma, poiché non vi è alcun difetto di potere (nucleo sostanziale che connota l’abnormità) in capo all’organo che lo ha emesso, essendo tale provvedimento previsto dal sistema, in virtù dell’art. 398 comma 1 c.p.p. Tuttavia, parimenti indispensabile diviene il vaglio da compiersi in ordine all’esistenza di una violazione della «destinazione funzionale dell’atto»[43] nell’incedere processuale; in altre parole, della forma di esercizio del potere decisorio, che si concretizza nel provvedimento emanato. Ecco, allora, che si deve richiamare quanto già sostenuto in ordine alla sussistenza, in capo al giudice per le indagini preliminari, della possibilità di esercitare una valutazione discrezionale sulla richiesta, presentata da una parte, di procedere in via anticipata all’escussione della persona offesa: in tali casi, postulare l’abnormità dell’ordinanza di rigetto di tale istanza appare una scelta alquanto opinabile.
Inoltre, va considerato come l’ordinanza che decide sull’accoglimento dell’istanza di incidente probatorio risulti inoppugnabile, per non sacrificare la speditezza del procedimento penale già nella fase preliminare, e per non appesantire oltre modo una parentesi istruttoria che si voleva quanto più possibile snella, vista l’originaria eccezionalità[44].
È anche vero che, in relazione alle ipotesi di cui al comma 1-bis dell’art. 392 c.p.p., altre sono le ragioni che hanno condotto alla c.d. liberalizzazione dell’incidente probatorio: ci si riferisce, in particolar modo, alla protezione di un interesse di carattere extraprocessuale, vale a dire la tutela della vittima dallo strepitus fori. Ciò nondimeno, posto che la valorizzazione di tale ultimo interesse non può tradursi in un proporzionale detrimento della posizione processuale dell’imputato e del sotteso diritto di difesa, rimane imprescindibile un bilanciamento degli interessi in gioco; ragion per cui, una conclusione tanto radicale, quale la declaratoria di abnormità dell’atto, deve essere esclusa, anche alla luce dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui «non ogni forma di illegittimità può dar luogo ad abnormità, ma solo quelle violazioni che per loro natura pongono l'atto in contrasto con l’intero ordinamento processuale»[45]. Semmai, ci si potrebbe trovare di fronte ad un provvedimento illegittimo, ma non abnorme.
A tal proposito, se le ordinanze devono essere assistite, a pena di nullità, da un onere motivazionale in forza dell’art. 125 comma 3 c.p.p., il giudice – che non può essere a priori vincolato all’accoglimento dell’istanza – deve motivare la sua scelta. Pertanto, qualora il giudice intenda optare per il rigetto dell’istanza, pur in presenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi di cui all’art. 392 comma 1-bis c.p.p., che comunque ne restringono i margini di discrezionalità valutativa, sarebbe opportuno che adducesse una motivazione, per così dire, “rafforzata”, dalla quale ricavarsi le specifiche ragioni della decisione.
A ben vedere, ecco che il giudice per le indagini preliminari, nella vicenda de qua, non pare adempiere a tale onere, nel senso che, pur stendendo una breve motivazione, giustifica il diniego sulla base di presupposti e valutazioni di opportunità non riconducibili al novero dei criteri suscettibili di impiego a fronte di una richiesta presentata ai sensi del comma 1-bis: ne consegue, pertanto, un rigetto sostanzialmente immotivato[46].
La conclusione a cui giunge la Corte, pertanto, potrebbe rivelarsi non del tutto irragionevole, se si considera l’estraneità contenutistica del provvedimento rispetto al suo presupposto procedimentale e allo scopo cui tendeva. Tuttavia, favorire l’impiego della categoria dell’abnormità per censurare tali provvedimenti, stante una sorta di vizio motivazionale, non appare la via più corretta da percorrere, rischiandosi, ancora una volta, di “aggirare” il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione.
5. Per le ragioni esposte, la pronuncia in esame non convince appieno: né con riferimento al percorso argomentativo seguito dalla Corte allo scopo di far discendere dagli obblighi internazionali un automatismo per il giudice in ordine all’accoglimento della richiesta di incidente probatorio speciale, né per quanto riguarda il ricorso alla categoria dell’abnormità per superare l’impasse dovuta all’inoppugnabilità di tali provvedimenti.
I Giudici di legittimità rischiano di forzare il dettato codicistico – che risulta attuativo di obblighi (di risultato) assunti in sede internazionale – con l’intento di imporre al giudice per le indagini preliminari di accogliere, giuste le condizioni sostanziali, la richiesta formulata dal pubblico ministero o dall’indagato volta all’escussione, attraverso incidente probatorio, della vittima minorenne, ovvero maggiorenne, di gravi reati, in quanto presunta vulnerabile. Data questa premessa, ne discenderebbe l’abnormità di un eventuale provvedimento di rigetto.
In una prospettiva più ampia, se così davvero fosse, il giudice si vedrebbe privato di quei poteri discrezionali di controllo che, per quanto limitati, devono ritenersi impliciti nella funzione decisoria, soprattutto a presidio di iniziative rimesse alla disponibilità delle parti. Peraltro, la trasformazione dell’ordinanza di rigetto, di solito inoppugnabile, in provvedimento affetto da abnormità, tale da offrirsi ad un ricorso immediato per cassazione, rischia di generare un’inopportuna dilatazione dell’ambito applicativo di tale categoria, del tutto atipica e residuale, atteso che il provvedimento in questione non può dirsi, in alcun modo, “eccentrico” rispetto al sistema.
Infine, la Corte, nonostante la richiesta del Procuratore ricorrente di sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 392 comma 1-bis e 398 c.p.p., ritenuti in contrasto con l’art. 117 comma 1 Cost., ha preferito offrire essa stessa una soluzione interpretativa: forse, nella convinzione che, così facendo, si sarebbe ridotto il rischio di ledere ulteriormente gli interessi in gioco. Tuttavia, ottenere una declaratoria di (in)costituzionalità delle norme in questione, nella parte in cui non prevedono l’esperibilità di un rimedio contro un eventuale rigetto del giudice, sarebbe stata verosimilmente la via corretta da percorrere.
In ogni caso, se dovesse aver seguito l’opzione interpretativa avallata dalla Terza Sezione della Corte con la pronuncia in commento, che certo rappresenta un’inversione di tendenza rispetto alla costante giurisprudenza sul tema, la questione non potrebbe che trovare risposte più certe in un futuro intervento delle Sezioni Unite.
[1] Corte cost., sent. 21 febbraio 2018 (dep. 27 aprile 2018), n. 92, in www.iusexplorer.it, definisce il fenomeno della c.d. vittimizzazione secondaria come quel meccanismo per il quale la vittima di reato (nella specie, minorenne) è portata a rivivere i sentimenti di paura, di ansia e di dolore provati al momento della commissione del fatto.
[2] La vittima di reato ritrova nella direttiva 2012/29/UE una sorta di statuto di tutela. V. amplius M. Bargis-H. Belluta, La direttiva 2012/29/UE: diritti minimi della vittima nel processo penale, in M. Bargis-H. Belluta (a cura di), Vittime di reato e sistema penale. La ricerca di nuovi equilibri, Giappichelli, 2017, p. 15 ss.
[3] Ad evitare la c.d. vittimizzazione secondaria del teste minorenne, ovvero della persona offesa di reati contro la libertà sessuale, anche se maggiorenne, in quanto soggetti ritenuti vulnerabili, interviene anche il disposto dell’art. 190-bis c.p.p., introdotto con l. 3 agosto 1998, n. 269 e modificato, da ultimo, con il d.lgs. 212 del 2015, che limita le possibilità di esaminare in dibattimento tali soggetti, se già escussi in incidente probatorio, ai soli casi in cui la deposizione riguardi «fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze».
[4] In argomento, S. Arasi, L’incidente probatorio atipico, in Dir. pen. proc., 2012, 5, p. 622 ss.
[5] Il riferimento è alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali, fatta a Lanzarote, in data 25 ottobre 2007, e ratificata dall’Italia con l. 1° ottobre 2012 n. 172. L’art. 35 della Convenzione di Lanzarote tende a limitare il numero di audizioni necessarie allo svolgimento del procedimento penale e alla previsione di meccanismi di registrazione audiovisiva di tali deposizioni. Per approfondimenti, F. Cassibba, Le vittime di genere alla luce delle Convenzioni di Lanzarote e di Istanbul, in M. Bargis-H. Belluta (a cura di), Vittime di reato e sistema penale, cit., p. 67 ss.; cfr. anche G.L. Gatta, Protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale: ratificata la Convenzione di Lanzarote del 2007 (e attuata una mini-riforma nell’ambito dei delitti contro la persona), in Dir. pen. cont., 20 settembre 2012. Da menzionare altresì la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata a Istanbul, in data 11 maggio 2011, ratificata dall’Italia con l. 23 giugno 2013 n. 77. L’art. 18 della Convenzione mira ad evitare la vittimizzazione secondaria, sollecitando l’adozione di misure necessarie alla protezione delle vittime. Cfr. ancora F. Cassibba, Le vittime di genere alla luce delle Convenzioni di Lanzarote e di Istanbul, cit., p. 66 ss.; A. Di Stefano, La Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, in Dir. pen. cont., 11 ottobre 2012.
[6] Sul punto, H. Belluta, Un personaggio in cerca d’autore: la vittima vulnerabile nel processo penale italiano, in Id., Il processo penale ai tempi della vittima, Giappichelli, 2019, p. 33 ss.
[7] Cass., Sez. Un., 29 gennaio 2016, n. 10959, in www.iusexplorer.it.
[8] In tema, tra altri, S. Recchione, La vittima cambia il volto del processo penale: le tre parti “eventuali”, la testimonianza dell’offeso vulnerabile, la mutazione del principio di oralità, in Dir. pen. cont., Riv. trim., 1, 2017, p. 69 ss.; v. altresì F. Cassibba, Oltre Lanzarote: la frastagliata classificazione soggettiva dei dichiaranti vulnerabili, in Dir. pen. cont., 11 luglio 2014.
[9] Così il § 4 del Considerato in diritto.
[10] Cass., sez. V, 17 luglio 2017, n. 49030, in www.iusexplorer.it; Cass., sez. I, 28 aprile 2014, n. 37212, ivi.
[11] Cass., sez. III, ord. 13 marzo 2013, n. 21930, in www.iusexplorer.it.
[12] Espressione, questa, utilizzata dalla direttiva 2012/29/UE, all’art. 22, in luogo della nostrana categoria di “vittima vulnerabile”, dalla quale ben si evince la logica sottesa alla normativa europea volta all’individual assessment delle vittime di reato. Al riguardo, v. A. Presutti, Le audizioni protette, in M. Bargis-H. Belluta (a cura di), Vittime di reato e sistema penale, cit., p. 379 s.
[13] Cfr. E. Lupo, voce Cassazione penale, in Enc. dir., Ann., X, 2017, p. 195 s. L’A. sostiene come l’abnormità – vizio non tipizzato, ma elaborato in via giurisprudenziale – presenti l’anomalia di «rovesciare l’ordine logico del giudizio», dal momento che l’accertamento della patologia diviene una conseguenza della valutazione della fondatezza del ricorso.
[14] § 4.1.2 del Considerato in diritto.
[15] Cass., Sez. Un., 20 dicembre 2007, n. 5307, in Cass. pen., 2008, p. 2310 ss.
[16] Sul punto, relativamente all’estensione della categoria dell’abnormità, da quella genetica a quella strutturale, finanche, da ultimo, a quella funzionale, v. F.M. Iacoviello, La Cassazione penale. Fatto, diritto e motivazione, Giuffrè, p. 153 ss.
[17] Cass., Sez. Un., 20 dicembre 2007, n. 5307, cit. L’orientamento qui affermato, pochi anni più tardi, è stato ribadito ed approfondito da Cass., Sez. Un., 26 marzo 2009, n. 25957, in www.iusexplorer.it.
[18] Cass., Sez. Un., 18 gennaio 2018, n. 20569, in www.iusexplorer.it.
[19] Cass., Sez. Un., 26 marzo 2009, n. 25957, cit.
[20] § 4.1.2. del Considerato in diritto.
[21] In dottrina, si veda, ex multis, K. La Regina, Incidente probatorio, in G. Garuti (a cura di), Trattato di procedura penale, UTET, 2009, p. 572 s.; E. Aprile, L’incidente probatorio, in E. Aprile-P. Silvestri, Le indagini preliminari e l’archiviazione, II ed., Giuffrè, 2011, p. 668 ss. (secondo l’A., il comma 1-bis dell’art. 392 c.p.p. rappresenta un’ipotesi di «incidente probatorio ‘automatico’, instaurabile, cioè, sulla base dell’accertamento di presupposti oggettivi»). Altresì, S. Recchione, sub art. 392 c.p.p., in G. Canzio-G. Tranchina (a cura di), Codice di procedura penale, Giuffrè, 2012, p. 3568 s.
[22] P. Renon, L’incidente probatorio nel procedimento penale. Tra riforme ordinarie e riforme costituzionali, CEDAM, 2000, p. 65.
[23] Per una panoramica generale dell’istituto, v. G. Di Chiara, voce Incidente probatorio, in Enc. dir., Agg., VI, 2002, p. 550.
[24] La lettera della norma, nella sentenza qui in commento, viene interpretata nel senso di «indipendentemente dal reato per cui si procede». V. § 1 del Considerato in diritto. Mentre S. Sau, sub art. 392 c.p.p., in A. Giarda-G. Spangher (a cura di), Codice di procedura penale commentato, V ed., Wolters Kluwer, 2017, p. 998, legge in tale locuzione il venir meno della necessità di dimostrare l’indifferibilità della testimonianza, poiché «il vulnus inferto alla persona offesa integra, in sé, il diritto al ricorso alla procedura incidentale al di fuori di quanto prescritto dagli artt. 392, comma 1-bis e 393, comma 1, lett. c), c.p.p.».
[25] Cfr. L. Parlato, sub art. 90-quater c.p.p., in H. Belluta-M. Gialuz-L. Lupária (a cura di), Codice sistematico di procedura penale, IV ed., Giappichelli, 2019, p. 164 s.
[26] Al riguardo, nel 2011 è stata sollevata una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, attinente alla mancata previsione, nel nostro ordinamento, del diritto per la persona offesa di richiedere direttamente al giudice l’incidente probatorio finalizzato alla sua audizione (questione peraltro “non accolta”). Sulla pronuncia v. soprattutto L. Lupària, Vittime vulnerabili e incidente probatorio: la normativa italiana supera il vaglio della Corte UE, in Dir. pen. cont., 21 dicembre 2011.
[27] Sul punto, concorda S. Caporale, L’audizione dei minori in incidente probatorio: una questione di equilibri, in Arch. pen., 2015, p. 964 s.
[28] Si tratta dei delitti di cui agli artt. 572, 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 609-undecies e 612-bis c.p.
[29] Stante l’eccezionalità dell’istituto processuale dell’incidente probatorio è opportuno attenersi alla disposizione, evitando di estendere ad altri mezzi di prova l’ambito di operatività di questa ipotesi speciale di incidente probatorio.
[30] Cfr. A. Capone, Incidente probatorio e tutela della vittima del reato, in Riv. dir. proc., 2012, 2, p. 349. Contra, P. Renon, L’incidente probatorio nel processo penale. Tra riforme ordinarie e riforme costituzionali, CEDAM, 2000, p. 91 ss.
[31] Cfr. S. Sau, sub art. 398, cit., p. 1066. Sul rigetto per irrilevanza della prova, v. P. Di Geronimo, L’incidente probatorio, CEDAM, 2000, p. 136 s.
[32] L’art. 20 della direttiva 2012/29/UE dispone che la discrezionalità giudiziale venga comunque rispettata e ciò pare all’evidenza collegato alla prescrizione che «le audizioni abbiano luogo solo se strettamente necessarie ai fini dell’indagine penale».
[33] Nell’assetto normativo nazionale, le dichiarazioni rese in incidente probatorio dai minori, ai sensi dell’art. 398 comma 5-bis c.p.p., «devono essere documentate integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva», la cui trascrizione, però, viene disposta solo su richiesta delle parti, rinviando all’art. 134, comma 4, c.p.p.
[34] Cfr. artt. 18, 20 e 24 della direttiva 2012/29/UE; art. 35 della Convenzione di Lanzarote, cit.; art. 18 della Convenzione di Istanbul, cit.
[35] Cfr., ex multis, Cass., Sez. Un., 19 luglio 2012 (dep. 24 ottobre 2012), n. 41461, in www.iusexplorer.it, che ha sancito l’inoperatività dell’art. 192 comma 3 c.p.p. sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, le quali possono, da sole, essere poste legittimamente a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, «previa verifica della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto».
[36] V. S. Sau, L’incidente probatorio, CEDAM, 2001, p. 143 ss.
[37] In argomento, secondo S. Caporale, L’audizione dei minori in incidente probatorio, cit., p. 965, per evitare un’inutile pubblicazione dei risultati delle indagini preliminari dell’organo dell’accusa, che, invero, potrebbe frenarlo a un’istanza in tal senso, si dovrebbe «ritenere che il materiale investigativo depositato a norma dell’art. 393, comma 2-bis c.p.p., non sia immediatamente agibile alla difesa, ma solo allorquando l’organo giudicante abbia accolto e disposto l’escussione anticipata».
[38] Cfr. F.M. Iacoviello, La Cassazione penale, cit., p. 153 ss.
[39] Tuttavia, non mancano le critiche di taluni commentatori alla scelta del legislatore di rendere insindacabile la decisione sulla richiesta di incidente probatorio, poiché non si sarebbe tenuto conto degli effetti pregiudizievoli che da essa possono derivare sul diritto alla prova delle parti e sulla possibilità stessa di pervenire all’accertamento della verità, soprattutto per la difesa. Cfr. P. Renon, L’incidente probatorio nel procedimento penale, cit., p. 222; nonché G. Biondi, L’incidente probatorio nel processo penale, Giuffrè, 2006, p. 313 ss.
[40] Cass., sez. V, 20 giugno 2019 (dep. 2 ottobre 2019), n. 40426, in www.iusexplorer.it.
[41] Cfr., ex multis, Cass., Sez. Un., 20 dicembre 2007 (dep. 1° febbraio 2008), n. 5307, cit.
[42] Le caratteristiche della categoria dell’abnormità sono state individuate e specificate dalle stesse Sezioni Unite della Corte di cassazione in plurime sentenze, tra le quali si ricorda: Cass., Sez. Un., 9 luglio 1997 (dep. 31 luglio 1997), n. 10 e n. 11, in www.iusexplorer.it; Cass., Sez. Un., 10 dicembre 1997 (dep. 12 febbraio 1998), n. 17, ivi; Cass., Sez. Un., 31 gennaio 2001 (dep. 8 febbraio 2001), n. 4, ivi; Cass., Sez. Un., 11 luglio 2001 (dep. 24 settembre 2001), n. 34536, ivi; Cass., Sez. Un., 29 maggio 2002 (dep. 26 luglio 2002), n. 28807, ivi; Cass., Sez. Un., 25 febbraio 2004 (dep. 23 aprile 2004), n. 19289, ivi.
[43] V. G. Santalucia, L’abnormità dell’atto processuale, CEDAM, 2003, p. 138 s.
[44] Cfr. P. Renon, L’incidente probatorio nel procedimento penale, cit., p. 221 ss.; E. Aprile-P. Silvestri, Le indagini preliminari e l’archiviazione, cit., p. 684 s.
[45] Cass., Sez. Un., 22 novembre 2000, n. 33, in www.iusexplorer.it, richiamata da Cass., Sez. Un., 18 gennaio 2018, n. 20569, cit.: «Resta escluso che, come precisato anche dalla dottrina, possa invocarsi la categoria dell’abnormità per giustificare la ricorribilità immediata per cassazione di atti illegittimi, affetti soltanto da nullità o comunque sgraditi e non condivisi, perché tanto si tradurrebbe nella non consentita elusione del regime di tassatività dei casi di impugnazione e dei mezzi esperibili, stabilito dall’art. 568, comma 1 c.p.p.».
[46] Di seguito, si riporta integralmente la motivazione addotta dal giudice per le indagini preliminari al provvedimento di rigetto: «L’assunzione della testimonianza della persona offesa circa i fatti per cui si procede non presenta caratteri di urgenza tali da non consentirne l’espletamento nella sede deputata alla formazione della prova, quale il dibattimento, né appaiono ricorrere ulteriori condizioni che suggeriscano l’adozione del mezzo di prova nelle forme richieste».