1. Ancora una volta, in assenza dei necessari interventi sul terreno educativo e culturale idonei a soddisfare davvero le ormai improcrastinabili esigenze di prevenzione di delitti “da codice rosso”, il legislatore processuale penale gioca la carta della decretazione d’urgenza in chiave reattiva rispetto agli ennesimi episodi di cronaca. Stavolta, a impedire un tempestivo intervento preventivo da parte delle forze di polizia a tutela della persona offesa è stato il malfunzionamento del “braccialetto elettronico”, cui era sottoposto l’imputato di delitti commessi nell’ambio di relazioni affettive.
Se tale malfunzionamento ha, in qualche modo, rappresentato l’occasio legis dell’art. 7 («Disposizioni urgenti in materia di procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici») del d.l. 29 novembre 2024 n. 178, la novella s’inserisce nel più ampio contesto rappresentato dalle insistite modifiche alla disciplina del “braccialetto elettronico”. Al riguardo, è noto come gli strumenti tecnologici di sorveglianza da remoto siano impiegati dal legislatore come il deus ex machina per fissare un (ragionevole) punto di equilibrio fra l’esigenza di proteggere la vittima e la tutela dell’inviolabilità della libertà personale che, in forza del principio di proporzionalità, deve patire il minor sacrificio possibile, come più volte sottolineato dalla copiosa giurisprudenza costituzionale a proposito dell’art. 275 comma 3 c.p.p.
Che le soluzioni legislative via via messe in campo non centrino l’obiettivo – essendo anelastiche e sempre sospese fra eccessi o difetti di tutela – è, però, ben evidenziato dalla sent. cost. n. 176 del 2024, con cui il Giudice delle leggi pone alcuni punti fermi. Per un verso, in rapporto alla portata degli ordini di protezione penalistici di cui all’art. 282-ter c.p.p., si precisa che il limite di distanza minima fra l’indagato e la persona offesa – legislativamente fissato in cinquecento metri dal relativo comma 2 – può essere ridotto ai sensi del successivo comma 4, quando sussistono «motivi di lavoro o esigenze abitative dell’imputato» [1]. Per l’altro, si chiarisce che, «se l’indagato consente a indossare il dispositivo e questo non può funzionare per motivi tecnici (quale il difetto della copertura di rete), il giudice non è tenuto a imporre una misura più grave del divieto di avvicinamento, ma deve rivalutare le esigenze cautelari della fattispecie concreta, potendo, all’esito della rivalutazione, in base ai criteri ordinari di adeguatezza e proporzionalità, scegliere non solo una misura più grave (in primis, il divieto od obbligo di dimora ex art. 283 cod. proc. pen.), ma anche una misura più lieve (segnatamente, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria ex art. 282 cod. proc. pen.)»[2]. Resta così confermata, da un lato, l’esigenza di flessibilità delle prescrizioni cautelari, dall’altro, il necessario rispetto del principio di proporzionalità nella scelta della misura a tutela della inviolabilità della libertà personale, sulla falsariga di quanto già affermato dalle Sezioni unite in rapporto all’accertata indisponibilità del braccialetto elettronico[3].
2. In questa cornice, si inserisce – per l’appunto – il decreto legge n. 178 del 2024, attualmente in attesa di conversione, destinato anche a dare concretezza al dictum della Corte costituzionale.
La recentissima manovra legislativa modifica, anzitutto, l’art. 275-bis comma 1 c.p.p., prescrivendo che le «procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici» possano essere disposte dal giudice a condizione che la polizia giudiziaria abbia previamente accertato, oltre alla relativa «fattibilità tecnica», anche quella «operativa». A far da pendant, stanno, poi, le interpolazioni - dall’identico contenuto – all’art. 282-bis comma 6 quarto periodo c.p.p., per l’allontanamento dalla casa familiare, e all’art. 282-ter comma 1 quarto periodo c.p.p., per il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa: anche qui, si evidenzia come l’effettiva operatività tecnica dello strumento di sorveglianza elettronica integri una condizione per l’adozione della misura. A corredo, in chiave strumentale all’effettività delle innovazioni, opera la modifica all’art. 276 comma 1-ter c.p.p., in forza della quale, alla già previste condotte dell’imputato idonee a legittimare la revoca della misura applicata e la sua sostituzione con la custodia cautelare, lo stesso epilogo ora s’impone (salvo che il fatto sia di lieve entità) quando l’imputato ponga in essere «una o più condotte gravi o reiterate che impediscono o ostacolano il regolare funzionamento» dello strumento elettronico. Dal canto suo, infine, il neo introdotto art. 97-ter norme att. c.p.p. regola le «[m]odalità di accertamento della fattibilità tecnica, ivi inclusa quella operativa, delle particolari modalità di controllo di cui agli articoli 275-bis, 282-bis e 282-ter» c.p.p., di cui è investita la polizia «anche coadiuvata da operatori della società incaricata di fornire i relativi servizi elettronici o tecnici»: essa, anzitutto, «verifica senza ritardo e comunque entro quarantotto ore l’attivabilità, l’operatività e la funzionalità dei mezzi elettronici o degli altri strumenti tecnici negli specifici casi e contesti applicativi, analizzando le caratteristiche dei luoghi, le distanze, la copertura di rete, la qualità della connessione e i tempi di trasmissione dei segnali elettronici del luogo o dell’area di installazione, la gestione dei predetti mezzi o strumenti e ogni altra circostanza rilevante in concreto ai fini della valutazione dell'efficacia del controllo sull'osservanza delle prescrizioni imposte all'imputato» (comma 1); dopodiché (comma 2), «trasmette senza ritardo e comunque nelle successive quarantotto ore all'autorità giudiziaria che procede, il [relativo] rapporto …, per le valutazioni di competenza, compresa l'applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari, anche più gravi».
3. A dispetto della collocazione topografica, il cuore pulsante della novella sta nell’art. 97-ter norme att. c.p.p. che, animato dall’ambizione di imprimere certezza e speditezza all’accertamento in parola, mira ad assicurare un tempestivo ed efficace esercizio del potere cautelare. Ma – al contempo – è proprio qui che la novella risulta negativamente condizionata dalla mancata attenzione verso il sistema codicistico.
L’effettività della nuova disciplina può dirsi agevolmente assicurata quando l’intervento cautelare si realizza in via ordinaria, ossia quando la misura è applicata a sorpresa o a seguito dell’interrogatorio previo di cui all’art. 292 comma 1-quater c.p.p. In tali ipotesi, le tempistiche che nella prassi caratterizzano l’applicazione della misura cautelare dopo la richiesta avanzata dal pubblico ministero lasciano ampi margini di manovra alla polizia giudiziaria per svolgere l’accertamento circa l’operatività degli strumenti di sorveglianza elettronica e per la comunicazione dei relativi esiti all’autorità procedente. Anzi, si potrebbe persino immaginare che – pragmaticamente – i tempi del procedimento volto all’applicazione della misura cautelare vengano calibrati su quelli (pur ordinatori) che regolano le nuove procedure di accertamento imposte sulla polizia giudiziaria.
Sennonché, quando l’intervento cautelare si caratterizza per la stringente urgenza tipica delle ipotesi in cui sia stata disposta una misura precautelare, l’effettività della disciplina non regge, con effetti negativi – paradossalmente – a carico sia della persona offesa di cui occorre tutelare l’incolumità (personale e come fonte di prova) sia della persona sottoposta a indagini.
In effetti, l’appena descritta disciplina contemplata dall’art. 97-ter norme att. c.p.p. sconta un serio difetto di coordinamento con quella che regola le cadenze cronologiche per la convalida di una misura precautelare e con quella volta all’applicazione di una misura cautelare coercitiva contestualmente alla convalida medesima.
Due i profili critici, derivanti dalle implicazioni del principio della domanda cautelare, in forza del quale il giudice – salva espressa diversa previsione – non è legittimato ad applicare una misura più grave di quella richiesta dal pubblico ministero.
Anzitutto, viene in rilievo l’ipotesi in cui è disposto l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare ex art. 384-bis commi 1 e 2-bis c.p.p. e la polizia giudiziaria non ha ottemperato al dovere di verificare, entro novantasei ore dall’esecuzione della misura precautelare ex art. 97-ter comma 2 norme att. c.p.p., la sussistenza dei presupposti tecnici della sorveglianza elettronica. In tale eventualità, la disciplina di recentissimo conio comporta negative implicazioni sull’esercizio del potere cautelare di cui è investito il giudice all’esito della convalida, destinate a mutare a seconda del contenuto delle richieste avanzate dal pubblico ministero, ma accomunate dalla mancanza delle necessarie informazioni tecniche sull’operatività del braccialetto elettronico.
Se il pubblico ministero non chiede l’applicazione di una misura cautelare più grave di quella prevista dall’art. 282-bis c.p.p., il giudice potrà applicare le sole misure meno afflittive rappresentate dal divieto di espatrio (art. 281 c.p.p.) e dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 282 c.p.p.), ambedue ovviamente inidonee ad assicurare un’adeguata protezione della persona offesa. Da qui, si configura un irragionevole vuoto di tutela per la persona offesa, in contrasto con la ratio della disciplina di nuovissima introduzione.
Viceversa, se il pubblico ministero chiede l’applicazione di una misura cautelare più grave di quella prevista dall’art. 282-bis c.p.p., il giudice – in difetto delle necessarie informazioni tecniche sull’operatività del braccialetto elettronico – si trova nell’impossibilità di disporre gli ordini di protezione di matrice penalistica di cui all’art. 282-ter c.p.p. che implicano la necessaria adozione della sorveglianza da remoto (commi 1 e 2). L’organo giudicante sarà, pertanto, vincolato ad applicare (anche se ritenuta non necessaria) una misura più grave di quella in parola, come, ad esempio, il divieto o l’obbligo di dimora (art. 283 c.p.p.), per non vanificare l’intervento cautelare a protezione della persona offesa. Tuttavia, tale provvedimento integra una violazione del principio di proporzionalità: il maggior sacrificio per la libertà personale deriva dal comportamento negligente della polizia giudiziaria, che non ha tempestivamente eseguito le verifiche tecniche richieste.
Inoltre, la nuova disciplina presenta criticità pure nell’eventualità in cui sia stato eseguito l’arresto e il pubblico ministero chieda – unitamente alla relativa convalida – l’applicazione degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico ex art. 284 c.p.p. La sfasatura temporale fra il termine di al massimo ventiquattro ore dall’arresto imposto sulla polizia giudiziaria affinché l’indagato sia posto a disposizione del pubblico ministero (art. 386 comma 3 c.p.p.) dell’arresto da parte della polizia giudiziaria al pubblico ministero e quelli di novantasei ore imposti sulla polizia giudiziaria affinché siano comunicati all’organo procedente gli esiti circa l’accertamento dell’operatività della sorveglianza elettronica (art. 97-ter commi 1 e 2 norme att. c.p.p.) implica che quest’ultima possa effettuare simile comunicazione al giudice entro le ventiquattro ore successive alla scadenza dei termini per la convalida. Ne segue che il giudice – in applicazione dei poteri assegnatigli dall’art. 391 comma 5 c.p.p. ma in difetto delle necessarie informazioni tecniche circa l’operativi del braccialetto elettronico – potrà applicare non già la misura degli arresti domiciliari con sorveglianza elettronica bensì solo quella degli arresti domiciliari non sorvegliati elettronicamente, che potrebbe, però, rivelarsi inidonea ad assicurare lo scopo cautelare a tutela della persona offesa.
Se il pubblico ministero ha, invece, richiesto la custodia cautelare in carcere, il giudice – nell’impossibilità di disporre gli arresti domiciliari con sorveglianza elettronica, mancando le informazioni relative alla sua operatività – sarà forzato ad applicare la misura custodiale carceraria, con violazione del principio di proporzionalità analoga a quella appena sopra segnalata, a causa del maggiore e non necessario sacrificio della libertà personale. Resta ovviamente salva la sostituzione in melius della misura carceraria ex art. 299 c.p.p., all’esito delle verifiche compiute dalla polizia giudiziaria circa l’operatività della sorveglianza elettronica, ma l’adozione di un successivo provvedimento cautelare più lieve non rimedia alla già integrata lesione della libertà personale patita dall’imputato.
In definitiva, emerge sempre più nitidamente come la tendenza del legislatore a operare per alluvionali e ravvicinati interventi normativi in materia processuale penale, già negativamente condizionata dal «disordine verbale» [4] e dalla poco sorvegliata tecnica di costruzione delle fattispecie, genera effetti deleteri e autentiche eterogenesi dei fini quando tutto ciò si concretizzi sull’onda di impulsi emotivi e di calcoli di consenso politico.
Come nel noto adagio “felino”, il legislatore frettoloso fa norme cieche.
[1] C. cost., sent. 4 novembre 2024 n. 173, in G.U., 1a Serie speciale, 6 novembre 2024 n. 45, p. 13.
[2] Così, ancora, C. cost., sent. 4 novembre 2024 n. 173, cit., p. 14.
[3] Cfr. Cass., sez. un., 28 aprile 2016, Lovisi, in Dir. pen. cont., 24 giugno 2026, con nota di I. Guerini.
[4] U. Vincenti, voce Linguaggio normativo, in Enc. dir., Annali, vol. VIII, Giuffrè, Milano, 2015, p. 677.