Cass., Sez. I, 24.2.2023 (dep. 20.3.2023), n. 13258, Pres. Tardio, Rel. Di Giuro, ric. Cospito
*Il presente contributo è destinato alla pubblicazione sul fascicolo 4/2023.
1. La sentenza della Corte di cassazione qui pubblicata rappresenta, in ordine di tempo, l’ultimo tassello della complessa vicenda giudiziaria che interessa Alfredo Cospito. La Cassazione ha rigettato il ricorso contro l’ordinanza con la quale, nello scorso mese di dicembre, il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva a sua volta rigettato il reclamo contro il decreto del Ministro della Giustizia che, nel maggio del 2022, aveva disposto il regime detentivo ex art. 41 bis ord. penit.
2. Alfredo Cospito è detenuto in carcere dal 2012 e deve espiare 30 anni di reclusione per il cumulo di più pene inflitte per diversi reati, tra i quali: associazione con finalità di terrorismo, anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico (art. 270 bis c.p.), attentato con finalità terroristiche o di eversione, con esito di lesioni personali (art. 280, co. 2 c.p.), istigazione a delinquere (art. 414 c.p.).
Con sentenze definitive Cospito è stato riconosciuto quale capo e organizzatore della FAI (Federazione Anarchica Informale), costituita nel 2003, che si propone “la distruzione dello Stato e del capitale”. E’ stato inoltre condannato per istigazione a delinquere, realizzata attraverso numerosi scritti, e per l’attentato del 2012 nei confronti dell’amministratore delegato di Ansaldo, Roberto Adinolfi, gambizzato davanti alla propria abitazione.
Nei confronti di Cospito è inoltre stata disposta la custodia cautelare in carcere in relazione al delitto di strage ex art. 285 c.p., oggetto di un procedimento pendente davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Torino a seguito del collocamento e della deflagrazione di ordigni presso la Scuola Allievi Carabinieri di Fossano allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato. Per questo fatto, che fortunatamente non ha comportato morti o feriti, Alfredo Cospito rischia la pena dell’ergastolo. L’attenuante della lieve entità del fatto ex art. 311 c.p., ravvisata dal giudice procedente, potrebbe rendere inapplicabile l’ergastolo se potesse prevalere sull’aggravante della recidiva reiterata. In tal caso l’ergastolo sarebbe sostituito con 30 anni di reclusione, da cumularsi alle pene in esecuzione con il criterio moderatore dell’art. 78 c.p., che fissa in 30 anni il limite massimo di pena. Questo esito è però precluso dal divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata, introdotto dalla legge ex Cirielli, nel 2005, nell’art. 69, co. 4 c.p. La Corte d’Assise d’Appello di Torino – come si è segnalato sulla nostra Rivista – ha così sollevato una questione di legittimità costituzionale sulla quale la Consulta si pronuncerà a breve.
3. È altresì noto come Cospito abbia avviato da oltre cinque mesi uno sciopero della fame per protestare contro il regime detentivo dell’art. 41 bis; sciopero che ha comportato la perdita di 45 kg di peso e seriamente compromesso la sua salute. Attualmente è detenuto nel carcere di Opera e ricoverato presso il Reparto di Medicina Penitenziaria dell’Ospedale San Paolo di Milano.
Come si ricorderà, risale poi a inizio febbraio il rigetto dell’istanza di revoca del regime detentivo speciale, da parte del Ministro della Giustizia, ed è di pochi giorni fa il deposito dell’ordinanza, pure pubblicata dalla nostra Rivista, con la quale il Tribunale di sorveglianza di Milano ha rigettato l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare.
4. La decisione della Cassazione pone, per il momento, la parola fine all’iter avviato con il reclamo avverso il decreto ministeriale di adozione del regime detentivo speciale. Mentre il Tribunale di sorveglianza di Milano si è pronunciato sulla compatibilità del carcere duro con le sopravvenute e attuali condizioni di salute di Cospito – evidentemente destinate a peggiorare finché lo sciopero della fame continuerà –, la Cassazione si è invece espressa sulla legittimità dell’originaria decisione, assunta nel maggio del 2022, di adottare il regime detentivo speciale. In particolare, la Cassazione, quale giudice di legittimità, si è pronunciata solo in relazione alla lamentata violazione di legge – anche con riferimento al difetto della motivazione dell’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma –, con un orizzonte cognitivo molto più circoscritto, pertanto, rispetto a quello dello stesso Tribunale di sorveglianza.
Non intendiamo, in questa sede, ripercorrere i motivi di ricorso e le argomentazioni della sentenza, che li ha ritenuti in parte infondati e in parte inammissibili. Rinviamo in proposito il lettore al testo della sentenza qui annotata. Come anche rinviamo il lettore al testo delle conclusioni dell’Avvocato Generale Dott. Pietro Gaeta, per conto della Procura Generale della Cassazione.
Ci limitiamo qui a mettere a disposizione dei lettori i due documenti allegati, che forniscono molte informazioni e spunti di riflessione attorno a una vicenda controversa, che ha interessato o interesserà non solo le aule giudiziarie, ma anche il Governo e il Parlamento (caso Delmastro/Donzelli), il Comitato Nazionale di Bioetica (clicca qui per il parere, pubblicato sulla nostra Rivista), la Corte costituzionale (clicca qui per l’ordinanza di rimessione) e, da quanto si apprende dalla stampa, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Per maturare delle opinioni sono fondamentali da sempre le informazioni. Per questo riteniamo utile pubblicare i documenti allegati che, al di là e meglio delle sintesi giornalistiche, consentono di capire i termini del problema di cui da mesi ormai si discute, non senza apprensione per le precarie condizioni di salute di una persona in stato di detenzione e per le tensioni sociali che la sua protesta contro il 41 bis ha provocato e può provocare, con ripercussioni sulla pubblica sicurezza.
Siamo di fronte, indubbiamente, ad un hard case, per molti versi inedito: soluzioni facili non ce ne sono, come dimostra anche solo il fatto che, mentre la Cassazione ha deciso per il rigetto del ricorso, l’Avvocato Generale dello Stato aveva concluso per l’accoglimento parziale e il rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma per un nuovo e più approfondito esame. Come si ricorderà, d’altra parte, anche il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, in un parere reso al Ministro della Giustizia, aveva prospettato la possibilità di una revoca del 41 bis con ritorno al regime di alta sicurezza.
5. Il profilo problematico che ci sembra centrale, leggendo la sentenza e la requisitoria dell’Avvocato Generale, attiene alla necessità del 41 bis per contenere l’estremismo ideologico (cfr. la requisitoria e, ivi, p. 14). Cospito non ha comunicato all’esterno con dei pizzini, destinati a rimanere segreti: come si legge nella sentenza allegata (punto n. 5.2. del considerato in diritto), ha comunicato – ha propalato dal carcere “parole pericolose”, per dirla con Alessandra Galluccio (Punire la parola pericolosa? Pubblica istigazione, discorso d’odio e libertà di espressione nell’era di internet, Giuffrè, 2020) – attraverso interviste non autorizzate, articoli e scritti pubblicati su riviste e siti internet di area anarchica. Si tratta di scritti che esaltano l’azione violenta e che sono stati ritenuti capaci di “mettere in pericolo con forza e concretezza la vita delle persone”. Il nodo del problema, sul quale a parere dell’Avvocato Generale Gaeta sarebbe stata opportuna un’ulteriore riflessione nel merito, riguarda la necessità del 41 bis per fronteggiare le parole pericolose di Cospito, che sono state ritenute peraltro penalmente rilevanti e oggetto di condanne definitive per il delitto di istigazione a delinquere. La domanda che solleva la lettura dei due documenti qui allegati è, in ultima analisi, la seguente: anche tenuto conto della realtà fluida e mutevole dell’organizzazione anarchica di cui fa parte Cospito non vi è altro modo per escludere la pubblicazione di interviste o scritti, dall’interno del carcere, se non quello di collocarlo al 41 bis? La censura della corrispondenza – che risulta non essere stata effettuata durante il regime detentivo ordinario (cfr. p. 30 della sentenza) – e i controlli e le cautele proprie dei regimi detentivi di alta sicurezza – che ci collocano in gradini inferiori rispetto al 41 bis e ai quali ha fatto riferimento nel suo parere il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo Giovanni Melillo – non possono essere sufficienti a tal fine? Le limitazioni del 41 bis, nel caso Cospito, sono tutte necessarie e proporzionate? E’ in fondo il tema che Massimo Cacciari ha posto in un recente intervento su La Stampa, con un titolo che parla da sé: “Sono tempi bui se Cospito al 41 bis non può leggere neanche la Bibbia”.
Per rispondere a queste domande – che è lecito e doveroso porsi – occorrerebbe conoscere ancora meglio i fatti e gli atti. Secondo la Cassazione, esistono valide ragioni per il 41 bis, che ruotano attorno al pericolo, da valutare in prospettiva prognostica e dinamica, di collegamenti con un’associazione terroristica “vitale”, “informale e fluida”, della quale Cospito è stato riconosciuto quale capo e organizzatore e della quale “potrebbe continuare a essere, in termini autorevoli, per gli accoliti in libertà, se sottoposto a regime ordinario”, punto di riferimento e fonte di indicazioni sulle linee programmatiche criminosi e degli obiettivi da colpire”. Nulla quaestio, insomma, sulla pericolosità dei messaggi che sono stati e possono essere ancora veicolati dal carcere.
6. In un interessante passaggio, meritevole di massimazione (punto 5.5. del considerato in diritto), la sentenza allegata afferma che gli “elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva”, cui si riferisce l’art. 41 bis per individuare i presupposti fattuali di applicazione del relativo regime detentivo, non sono sempre e necessariamente “messaggi criptici” o “pizzini”, come normalmente avviene in relazione al contesto mafioso.
Da quanto è dato intendere, i messaggi di estremismo ideologico, nel caso Cospito, vengono veicolati al pubblico, non (o non tanto) a persone determinate. La stessa protesta avviata attraverso lo sciopero della fame si concretizza, all’evidenza, in un messaggio pubblico oggi a tutti ben noto perché amplificato, paradossalmente, dal regime detentivo del 41 bis. Tale regime impedisce la diffusione di parole pericolose – salvo quanto inopinatamente rivelato in occasione della nota vicenda Delmastro/Donzelli – ma non impedisce la comunicazione di un messaggio di contrapposizione allo Stato attraverso un gesto, come lo sciopero della fame per protesta contro un regime detentivo disposto dal potere esecutivo, che anzi viene amplificato proprio attraverso la sottoposizione al 41 bis. Di qui il dubbio: siamo sicuri che tale regime, soprattutto nelle condizioni determinatesi dopo mesi di sciopero della fame, sia la soluzione migliore per la tutela della sicurezza pubblica e che non esistano o possano essere cercate altre soluzioni capaci di assicurare tale tutela, col minor sacrificio possibile della salute e dei diritti fondamentali del detenuto? Al di là del pressante problema – di per sé enorme – della compatibilità dello stato di detenzione con le condizioni di salute in via di progressivo peggioramento, resta sullo sfondo – ben messa in evidenza dalla sentenza della Cassazione e della requisitoria dell’Avvocato Generale – questa domanda che non può non interrogare i giuristi, e non solo. Con la consapevolezza che si tratta di un hard case, anche per le implicazioni etico-morali, e che non si tratta di difendere posizioni, ma di adottare, nel rispetto dei principi costituzionali e della legge, le scelte più opportune nell’interesse del Paese e di tutti. Come hanno sottolineato sulle pagine di questa Rivista con due diversi interventi Roberto Cornelli e Angela Della Bella, la dimensione politica – e ‘di posizione’ – che purtroppo ha assunto il caso Cospito man mano che acquisiva un rilievo mediatico di primissimo piano – non agevola la soluzione del problema; anzi, la complica, ed è questa di per sé sola una lezione da trarre per il futuro.