ISSN 2704-8098
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  Recensione  
05 Marzo 2021


G. Insolera (a cura di), Quando la difesa è legittima? Il diritto della paura e la paura del diritto, Raffaello Cortina, Milano 2020


L’incomunicabilità nel rapporto fra sapere e potere[1], con riferimento all’elaborazione della politica-criminale e alla «produzione del “penale”»[2], è un tema centrale dell’epoca del populismo penale[3]. La dottrina e in generale i “tecnici” della giustizia penale, arroccati a presidio dei principi fondamentali, vengono percepiti da “la gente” come distanti dalle proprie esigenze reali, di cui qualche leader politico si fa invece di volta in volta incarnazione. La dottrina, dal canto suo, accusa i politici (o parte di essi) di governare con la paura[4], una paura guidata, se non addirittura costruita, a fini elettorali. Attualissima, infatti, pare ancora la nota massima di Leonardo Sciascia, per cui la sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini. Negli ultimi anni, inoltre, la stessa dottrina penalistica risulta meno coesa su questo profilo, vedendo sollevarsi al proprio interno delle voci critiche nei confronti dell’«autoritarismo epistemico (antiegualitario) degli idealisti del diritto penale»[5]. Se, quindi, da un lato vi è un fronte dottrinale che rivendica per sé il compito di elaborare una «meta-politica criminale»[6], libera dai condizionamenti e dagli interessi «derivati dal gioco delle maggioranze politiche e dagli accordi ideologici»[7], dall’altro vi è chi denuncia le aporie del garantismo. Si qualifica dunque il c.d. «principialismo»[8] come una forma di «elitismo intellettuale»[9], sostenendo al contrario la necessità di una ri-politicizzazione della politica criminale attraverso la partecipazione democratica.

Ecco perché l’iniziativa da parte di Gaetano Insolera di raccogliere in questo libro le riflessioni di differenti studiosi, teorici e pratici del diritto, è particolarmente significativa .

La legittima difesa, infatti, ha anticipato le tendenze che abbiamo sin qui sommariamente descritto, diventando emblema dell’incomunicabilità fra sapere e potere, ma anche fra difesa dei principi e democrazia. È vero che qui all’apparenza la situazione è opposta, in quanto le istanze popolari non mirano a chiedere “più diritto penale”, bensì ad ampliare la portata applicativa di una scriminante; tuttavia, a parti invertite, il tema alle spalle è lo stesso. In generale, infatti, il populismo penale tende ad ampliare l’area della punibilità e a reintrodurre un’anacronistica idea della pena come sofferenza, negandone la funzione rieducativa. Coerentemente, nel caso della legittima difesa, le spinte populiste chiedono di non punire chi ha agito per “punire” un criminale in maniera autonoma. Vi è dunque lo stesso attacco al garantismo, ma al garantismo a favore del “delinquente” vittima e non del “cittadino” imputato. Si ha sempre così indirettamente a che fare con un’estensione della punibilità (da pena pubblica a pena privata), con una concezione della pena come sofferenza (qui il delinquente non è incarcerato, ma ferito o addirittura ucciso) e con una negazione del garantismo (poiché diretta contro un delinquente, la legittima difesa dovrebbe essere sempre legittima e il suo autore nemmeno perseguito).

Il volume che si segnala ha il pregio di riconoscere e mostrare che l’incomunicabilità deriva spesso da fraintendimenti e falsificazioni comunicative, nel senso che i due interlocutori, pur parlando all’apparenza la stessa lingua, si trovano su livelli distinti e i loro linguaggi sono sostanzialmente incomprensibili all’altra parte, quasi come nei dialoghi fra i mortali e le figure metà umane e metà divine: Penteo e Dioniso ne “Le Baccanti” o Ponzio Pilato e Gesù di Nazareth nei vangeli. Ma deve essere necessariamente così o si può costruire un linguaggio comune, ascoltando l’uno le ragioni dell’altro?

È ciò che qui si vuole fare, a partire dall’analisi dell’evoluzione dell’art. 52 c.p., nato in epoca fascista eppure sopravvissuto sino al 2006, per poi essere nuovamente modificato nel 2019. Due riforme intese a intervenire principalmente sull’interpretazione giurisprudenziale della legittima difesa domiciliare; in questo si tratterebbe più di un «un messaggio politico-criminale rivolto all’interprete giudiziario»[10], anche a scapito della funzione di orientamento culturale dei consociati. Ma siamo sicuri che sia ad ogni costo preferibile la visione del legislatore fascista, per cui tutto sommato è sempre «meglio un’ingiustizia che un disordine»[11]? Se lo chiede provocatoriamente Marcello Gallo nel primo contributo. L’introduzione del Curatore e il saggio dell’avvocato Alessan­dro Gamberini ci guidano nel percorso storico, ricostruendo l’origine dell’istituto e valutando l’innesto delle riforme recenti. Anna Finocchiaro, già ministra della Repubblica, si focalizza sui fraintendimenti e le distorsioni comunicative che la politica ha indotto nell’opinione pubblica. L’ampio e dettagliato quadro comparato offerto da Gabriele Fornasari, con particolare attenzione al criterio della proporzione e all’ipotesi di legittima difesa domiciliare, è integrato poi da Antonio La Spina, che indaga il rapporto fra aumento e diminuzione di armi in possesso ai privati, da un lato, ed il numero delle vittime delle armi da fuoco, dall’altro. Quella di Domenico Siciliano, invece, è una comparazione diacronica, che analizza l’evoluzione della scriminante nell’ordinamento tedesco. Infine, il contributo del magistrato Letizio Magliaro contesta correttamente il falso luogo comune per cui se la riforma viene poi nella prassi interpretata dal giudicante alla luce della Costituzione, alla fine si tratterà di un mero intervento simbolico senza conseguenze dannose per il sistema penale e i suoi principi.

I procedimenti ove entra in gioco la legittima difesa sono un fenomeno sporadico nel nostro ordinamento; dal 2006 al 2018 solo 50 sentenze di Cassazione si sono confrontate con la scriminante.[12] Tuttavia, questo libro guarda alla legittima difesa anche e soprattutto come chiave di volta della deriva sopra descritta, al fine di costruire un dialogo su un terreno comune. È evidente, tuttavia, come questo non possa che rappresentare un punto di partenza. La speranza, infatti, è che la sintesi fra le paure e le legittime pretese individuali, da un lato, e i principi fondamentali, dall’altro, torni a realizzarsi nel luogo a ciò deputato: lo spazio politico, che invece è oggi più interessato a cavalcare distorsioni comunicative nel breve termine che a sciogliere un conflitto endemico fra popolo e scienza, che va ben oltre la scienza penalistica.

 

 

[1] Si rimanda al confronto di idee fra Pelissero, Sotis, Santoriello, Bianchetti, Brunelli su “Diritto penale di lotta versus diritto penale di Governo: sconfiggere l’incomunicabilità o rassegnarsi all’irrilevanza” in Archivio Penale, 1, 2019.

[2] Espressione ripresa da G. Insolera, La produzione del “penale”: tra governo e parlamento maggioritario, in Studi Senesi, 2017, 23-37.

[3] Nella vasta letteratura sul tema, fra le opere più recenti E. Amati, L’enigma penale: l’affermazione politica dei populismi nelle democrazie liberali, Giappichelli, Torino, 2020; E. Amodio, A furor di popolo, Donzelli, Roma, 2019; M. Donini, Populismo e ragione pubblica, Mucchi, Modena, 2019; G. Insolera, Declino e caduta del diritto penale liberale, Ets, Pisa, 2019.

[4] Al riguardo si vedano i contributi in Quaderno di storia penale e giustizia, 1, 2019.

[5] Cfr. K.F. Gärditz, Staat und Strafrechtspflege, Paderbon, Ferdinand Schöningh, 2015, 43; contra J.M. Silva Sanchez, Malum Passionis. Mitigar el dolor del derecho penal, Barcelona, Atelier, 2018, 54-

[6] Cfr. R. Robles Planas, “Introducción a la edición española. Dogmática de los límites del derecho penal”, in Id. (a cura di), Límites al Derecho Penal. Principios operativos en la fundamentación del castigo, Atelier, Barcelona, 2012, 19-47, 20.

[7] Ibidem.

[8] Al riguardo J.P. Mañalich, “El principialismo politico-criminal como fetiche”, in Revista de Estudios de la Justicia, 29, 2018, 59-71, con riferimento in particolare a G. Seher, “Kann Strafrecht „subsidiär” sein? Aporien eines „unbestrittenen” «Rechtsgrundsatzes»”, in A. von Hirsch - K. Seelmann - W. Wohlers (a cura di), Mediating Principles. Begrenzungsprinzipien bei der Strafbegründung, Nomos, Baden Baden, 2006, 70-82 e P. Ramsey, “A Democratic Theory of Imprisonment”, in A. Dzur - I. Loader - R. Sparks (a cura di), Democratic Theory and Mass Incarceration, OUP, New York, 2016, 84-113.

[9] Cfr. J.P. Mañalich, op. cit., 63

[10] Cfr. G. Insolera, Introduzione, in Id. (a cura di), Quando la difesa è legittima? Il diritto della paura e la paura del diritto, Raffaello Cortina, Milano 2020, xi-xxiv, xviii.

[11] Cfr. M. Gallo, Chi lascia la via vecchia…, ivi, 1-9, 2.

[12] Così L. Magliaro, Una riforma semplicemente inutile o anche dannosa?, ivi, 63-86, 66.