Corte cost., sent. 8 luglio 2021, n. 143, Pres. Coraggio, Red. Amoroso
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Segnaliamo ai lettori il deposito della sentenza n. 143 del 2021, in cui la Corte costituzionale, con un nuovo intervento puntuale sul divieto di subvalenza della recidiva reiterata nel giudizio di bilanciamento tra circostanze – di recente oggetto delle sentenze n. 73/2020 (sull’attenuante della seminfermità mentale ex 89 c.p.) e n. 55/2021 (sull’attenuante del concorso anomalo ex 116 c. 2 c.p.) – ha dichiarato illegittimo l’art. 69 c. 4 c.p. «nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di lieve entità – introdotta con sentenza n. 68 del 2012 di questa Corte, in relazione al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, di cui all’art. 630 cod. pen.– sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.».
La Corte ha rilevato un contrasto tra il meccanismo descritto e il principio di proporzionalità della pena, dato il ruolo svolto dall’attenuante in questione, pur a effetto comune, nel riequilibrare il trattamento sanzionatorio di una fattispecie caratterizzata da una pena detentiva molto elevata e contenuta entro una cornice edittale stringente (da 25 a 30 anni di reclusione).
Riportiamo di seguito il comunicato ufficiale che accompagna il deposito della sentenza.
Anche se recidivi reiterati, gli imputati del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione potranno beneficiare, se “il fatto è di lieve entità”, della riduzione fino a un terzo della pena. È infatti incostituzionale la norma che vieta di considerare prevalente, rispetto all’aggravante della recidiva reiterata, l’attenuante del “fatto di lieve entità” impedendo così di applicare una pena adeguata e proporzionata alla differente gravità del fatto-reato.
È quanto si legge nella sentenza n. 143 depositata oggi (redattore Giovanni Amoroso), con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 69, quarto comma, del Codice penale nella parte in cui stabilisce che l’attenuante del “fatto di lieve entità” – introdotta dalla stessa Corte nel 2012, con la sentenza n. 68, per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione – non possa prevalere sulla recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, del Codice penale. La norma censurata contrasta con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e vanifica la funzione mitigatrice della pena.
La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dalla Corte di cassazione nel corso di un giudizio concernente la determinazione della pena applicata a cinque imputati di sequestro di persona a scopo di estorsione, nell’ambito di un più ampio contesto di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.
La Corte di assise d’appello, diversamente dal giudice di primo grado, aveva riconosciuto in favore degli imputati la circostanza attenuante del “fatto di lieve entità” poiché il sequestro di uno degli associati che non aveva versato il ricavato della vendita della droga si era protratto solo per poche ore.
Tuttavia, nel determinare la pena dei cinque imputati, la Corte d’appello aveva diversificato le posizioni: per due imputati non recidivi, l’attenuante era stata ritenuta prevalente sull’aggravante del numero di persone, con la conseguente, rilevante, diminuzione della pena complessiva rispetto a quella inflitta in primo grado. Nei confronti degli altri tre imputati, invece, l’attenuante era stata ritenuta equivalente all’aggravante della recidiva reiterata in virtù dell’articolo 69, quarto comma, del Codice penale. Di qui la conferma della pena di 20 anni di reclusione, inflitta in primo grado.
Nella sentenza depositata oggi, viene posto in rilievo che la funzione dell’attenuante del “fatto di lieve entità” «consiste propriamente nel mitigare – in rapporto ai soli profili oggettivi del fatto (caratteristiche dell’azione criminosa, entità del danno o del pericolo) – una risposta punitiva improntata a eccezionale asprezza e che, proprio per questo, rischia di rivelarsi incapace di adattamento alla varietà delle situazioni concrete riconducibili al modello legale».
La Corte ha infatti ricordato che la pena particolarmente elevata prevista per il reato di sequestro di persona – reclusione da 25 a 30 anni – fu introdotta dalla cd. legislazione emergenziale a seguito dell’allarme sociale provocato, negli anni Settanta, da numerosi episodi di sequestro di persona volti a conseguire il riscatto per la liberazione, posti in essere da pericolose organizzazioni criminali, spesso con efferate modalità esecutive, e connotate di norma dal rischio della perdita della vita per il sequestrato, non di rado con l’esito della morte di quest’ultimo.
Nella sentenza viene ribadito il principio della necessaria proporzione della pena rispetto all’offensività del fatto, che risulterebbe vanificato da una «abnorme enfatizzazione» della recidiva, indice di rimproverabilità e pericolosità, rilevante sul piano strettamente soggettivo. La pronuncia si pone quindi nel solco di altre dichiarazioni di illegittimità costituzionale che hanno riguardato circostanze attenuanti espressive della minore gravità del fatto: così la «lieve entità» nel delitto di produzione e traffico illecito di stupefacenti (sentenza n. 251 del 2012); la «particolare tenuità» nel delitto di ricettazione (sentenza n. 105 del 2014); la «minore gravità» nel delitto di violenza sessuale (sentenza n. 106 del 2014); il «danno patrimoniale di speciale tenuità» nei delitti di bancarotta e ricorso abusivo al credito (sentenza n. 205 del 2017).
(F.L.)