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13 Ottobre 2021


Insider di sé stesso e abuso di informazioni privilegiate: la Corte di cassazione conferma la punibilità anche del creatore della notizia

Cass., Sez. V, sent. 15 aprile 2021 (dep. 11 agosto 2021), n. 31507, Pres. Palla, rel. De Marzo



1. La pronuncia in esame rappresenta la conclusione della nota vicenda processuale che ha investito il gruppo di controllo di una nota società quotata in borsa. La decisione assume particolare rilievo quanto all’interpretazione della definizione di “informazione privilegiata”, quale elemento costitutivo del reato di insider trading (art. 184 t.u.f.).

La Corte di cassazione, da un lato, ha stabilito la rilevanza, anche prima della riforma del 2018, delle tappe intermedie di processi prolungati quali informazione privilegiata; dall’altro, ha confermato l’orientamento già espresso – sia nei gradi di merito sia nel parallelo procedimento avente ad oggetto le sanzioni amministrative irrogate in relazione ai medesimi fatti – quanto alla rilevanza del c.d. insider di sé stesso. La sanzionabilità di quest’ultimo che, creatore della notizia, la usa sul mercato a fini speculativi prima di comunicarla al pubblico, dipende dal significato che viene attribuito al termine “informazione”.

La questione interpretativa della quale è stata investita la Corte è se il concetto di “informazione” sia sinonimo di “dato conoscitivo”/“notizia” o se, al contrario, sia necessario un trasferimento di dati da un soggetto che crea la notizia ad un soggetto che, ricevendola, diviene informato.

I giudici hanno affrontato altresì il problema della legittimità, alla luce dell’art. 4 Protocollo 7 CEDU e dell’art. 50 CDFUE, dell’avvio di due separati procedimenti – uno amministrativo e l’altro penale – per lo stesso fatto nei confronti dei medesimi soggetti[1], tema che però non verrà trattato, essendo stato già ampiamente scandagliato dalla dottrina e dalla giurisprudenza con approdi, ad oggi, sufficientemente pacifici.

 

2. Prima di analizzare l’iter argomentativo attraverso il quale la Corte ha affermato la rilevanza delle tappe intermedie quali informazione privilegiata e la sanzionabilità del c.d. insider di sé stesso, appare utile una sintetica ricostruzione del fatto storico.

Il gruppo di controllo della società quotata in borsa aveva deciso di cancellare la stessa dal listino di borsa ovverosia eseguire il c.d. delisting. A tal fine, in data 31 marzo 2008 veniva comunicata al mercato la decisione del lancio di un’OPA totalitaria e volontaria.

Senonché, la Consob accertava (con delibera n. 17777 del 15/05/2011) che nell’arco temporale tra il 9 gennaio e il 20 febbraio 2008 la C. s.r.l. aveva acquistato, per mezzo del suo amministratore unico e in attuazione della decisione presa dal presidente e azionista di controllo di C. s.p.a. e dall’amministratore delegato della predetta società, un innumerevole quantitativo di azioni della società quotata. Per tale ragione, l’ente di vigilanza riteneva che i soggetti avessero agito in violazione dell’art. 187-bis t.u.f. per aver effettuato acquisti degli strumenti finanziari utilizzando l’informazione privilegiata, allora ancora non conosciuta dal mercato, del lancio dell’OPA. Quindi, la Consob irrogava loro la sanzione pecuniaria e quella accessoria prevista dall’art. 187-quinquies t.u.f. La Corte di Appello di Bologna, investita dell’opposizione (ex art. 187-septies t.u.f.), la rigettava; decisione poi convalidata anche dalla Corte di cassazione civile nel 2017[2].

Per gli stessi fatti veniva avviato altresì il procedimento penale. Le Corti territoriali confermavano gli approdi a cui era già giunta la Corte di cassazione civile quanto alla illiceità delle condotte poste in essere dal gruppo di controllo della C. s.p.a e, in particolar modo, della rilevanza dell’insider di sé stesso.

 

3. Come è noto, il delitto di insider trading è stato introdotto nell’ordinamento italiano con la legge 17 maggio 1991, n. 157, in attuazione della direttiva 89/592/CEE ove appariva per la prima volta il concetto di informazione privilegiata. La disposizione, che puniva anche il c.d. insider secondario, era imperniata sull’obbligo assoluto di astensione dall’operare o dal comunicare a terzi informazioni riservate di cui si entrava in possesso[3]. Nel 1998, con la legge n. 58 del 1998, Testo unico della Finanza, il reato di insider trading è stato trasposto nell’art. 180 del citato t.u.f. e rubricato “abuso di informazioni privilegiate”. La configurazione attuale dell’illecito penale è, invece, scaturita dalla riforma del 2005 (legge 8 aprile 2005, n. 62), in attuazione delle direttive eurounitarie n. 6 (MAD I) e n. 124 del 2003. In particolare, la riforma del 2005 ha modificato la struttura del delitto pur mantenendo invariata la rubrica e lo ha trasferito all’art. 184 t.u.f.[4].

Il delitto di abuso di informazioni privilegiate punisce il soggetto che, essendo in possesso di un’informazione privilegiata in ragione della carica ricoperta nell’emittente o per l’esercizio di un’attività lavorativa, professione o funzione, anche pubblica, o di un ufficio, pone in essere condotte di trading, tipping e tuyautage. L’illecito è quindi incentrato sul divieto di uso e comunicazione a terzi di un’informazione acquisita in ragione di una carica o dell’attività lavorativa svolta (c.d. nesso funzionale), che viene definita come privilegiata. Tale informazione, quale elemento di fattispecie, trovava la sua definizione all’epoca dei fatti della presente pronuncia (risalenti al 2008), prima della riforma europea e di quella ad opera del d.lgs. n. 107 del 2018, all’art. 181 t.u.f.

Infatti, a distanza di più di dieci anni dalla prima direttiva, al fine di rendere più effettiva ed omogena la repressione dei fenomeni illeciti in tutto il territorio dell’Unione, la materia del market abuse è stata oggetto nel 2014 di un intervento riformatore. L’Unione Europea ha adottato il Regolamento n. 596 del 2014 (MAR), concernente la modifica alla disciplina amministrativa degli abusi di mercato – che contiene all’art. 7 la nuova definizione di informazione privilegiata – e la direttiva 2014/57/UE (MAD II) inerente alla riforma degli illeciti penali. Questi hanno abrogato le precedenti direttive (la n. 6 e n. 124 del 2003).

Alla luce di tali interventi normativi, la legge di delegazione europea 2014 – legge n. 114 del 2015 – conteneva esplicita indicazione al Governo di dare attuazione alle riforme, quindi di adeguare la normativa interna in materia di market abuse. Senonché, quest’ultimo ha invece ritenuto l’Italia già conforme alla nuova disciplina degli abusi di mercato e, pertanto, di non dover dare alcuna attuazione alla direttiva MAD II[5].

Di conseguenza, alla scadenza del termine per l’attuazione della direttiva (3 luglio 2016) è entrato in vigore il solo Regolamento MAR perché direttamente applicabile. Lo stesso, però, necessitava di essere coordinato con le disposizioni del t.u.f. ancora in vigore. L’esecutivo, investito della delega per procedere in tal senso, con il d.lgs. n. 107 del 2018 ha adeguato la normativa nazionale al solo regolamento MAR, e quindi alla sola disciplina amministrativa degli abusi di mercato. Tuttavia, il legislatore ha modificato la nozione di informazione privilegiata andando ad incidere, di conseguenza, anche sulla disciplina penalistica. Infatti, è stato abrogato l’art. 181 t.u.f., che conteneva la definizione di informazione privilegiata e, contestualmente, questa è stata inserita all’art. 180, lettera b-ter), t.u.f., attraverso un rimando diretto all’art. 7 MAR.

L’art. 181 t.u.f. prevedeva una definizione “a cascata” interamente ricalata su quella eurounitaria, derivante dalla lettura in combinato disposto delle direttive 6 e 124[6] del 2003.

Al comma 1 il legislatore italiano definiva in via generale il concetto di informazione privilegiata, mentre ai commi successivi specificava il significato di alcuni elementi chiave. L’informazione era considerata privilegiata quando aveva carattere preciso, non era stata resa pubblica[7], concerneva direttamente o indirettamente uno o più strumenti finanziari, e che se fosse stata resa pubblica avrebbe potuto influire sul prezzo degli stessi. Al comma 3 si definiva il concetto di precisione. Si leggeva nel testo che un’informazione è “precisa” se: a) si riferisce ad un complesso di circostanze esistente o che si possa ragionevolmente prevedere che verrà ad esistenza o ad un evento verificatosi o che si possa ragionevolmente prevedere che si verificherà; b) è sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto del complesso di circostanze o dell'evento di cui alla lettera a) sui prezzi degli strumenti finanziari. Al comma 4 si esplicitava uno dei requisiti fondamentali dell’informazione privilegiata: la price sensitivity[8]. Per informazione “price sensitive” (corrispondente grossomodo al concetto di materiality di matrice statunitense[9]) si intendeva quell’informazione che presumibilmente un investitore ragionevole (reasonable man) avrebbe usato per fondare le proprie ragioni di investimento. L’investitore ragionevole (soggetto modello) era considerato – ed è tutt’ora considerato – dalla dottrina un individuo dotato di medie competenze nel mercato in cui l’insider opera[10].

Come detto, con il d.lgs. n. 107 del 2018, è stato abrogato l’art. 181 t.u.f. e contestualmente modificato l’art. 180 t.u.f. con l’inserimento della lettera b-ter), in cui è prevista l’attuale definizione di informazione privilegiata attraverso un rimando all’art. 7 MAR. Il legislatore interno, quindi, ha scelto di non definire direttamente l’informazione privilegiata, utilizzando la tecnica del rinvio. Pertanto, ad oggi, la definizione di informazione privilegiata è contenuta esclusivamente nell’art. 7 del regolamento UE n. 596 del 2014.

La definizione contenuta nel MAR appare quasi totalmente conforme alle direttive abrogate e all’art. 181 t.u.f. Le novità sono: la rilevanza delle informazioni relative a quote d’emissione o ai prodotti oggetto d’asta e correlati (comma 1, lettera c)); l'ipotesi della trasmissione dell'informazione dal cliente alla persona incaricata dell'esecuzione di ordini relativi a strumenti finanziari (comma 1, lettera d)); in ultimo, l’esplicita inclusione, delle tappe intermedie dei processi prolungati quali informazione privilegiata (comma 3)[11]. Si può notare, dunque, come la definizione di un elemento di fattispecie del reato di insider trading è contenuta in una fonte extrastatale, che va ad eterointegrare il delitto ex art. 184 t.u.f., e ciò desta alcune perplessità circa la compatibilità di tale tecnica normativa con il principio della riserva di legge[12].

 

4. Il caso di specie, quindi, ha ad oggetto lo sfruttamento di un’informazione concernente un evento futuro ed incerto, inserito in un processo decisionale a formazione progressiva. Per tale ragione, il quarto motivo di ricorso lamenta, in concreto, l’assenza del carattere della precisione della notizia che, invece, deve avere l’informazione privilegiata il cui uso è vietato ai sensi dell’art. 184 t.u.f.

Come visto, la rilevanza delle tappe intermedie dei processi prolungati quali informazione privilegiata è divenuta esplicita solo a seguito della modifica della definizione, ora contenuta all’art. 7 del MAR, di cui l’art. 180 t.u.f. dal 2018 ne fa diretto rinvio. La questione che si è posta all’interprete è se queste rilevassero anche prima di tale modifica poiché, essendo un elemento di fattispecie dell’illecito ex art. 184 t.u.f., dalla risposta a tale quesito dipende l’ambito del penalmente rilevante. Invero, se la risposta fosse negativa si tratterebbe di una nuova incriminazione applicabile solo per il futuro (ex art. 2, comma 1, c.p.), e quindi non al fatto concreto in esame.

Il caso della sentenza in oggetto riguardava, infatti, una condotta di insider trading commessa nel 2008, quindi nella vigenza della normativa abrogata dal d.lgs. n. 107 del 2018 e prima dell’adozione del MAR e della MAD II (2014). Dunque, stante il principio costituzionale della irretroattività della legge sfavorevole, bisogna far riferimento alla normativa ante 2014 per valutare se il caso concreto, avente ad oggetto un evento price sensitive non ancora esistente, da apprezzarsi in un quadro decisionale a formazione progressiva, costituisse reato.

La definizione di informazione privilegiata prima dell’abrogazione dell’art. 181 t.uf. era contenuta in una disposizione emanata dal legislatore italiano in attuazione di una direttiva europea. Sul punto è pacifico che le disposizioni di derivazione europea vadano interpretate non solo alla luce del diritto dell’Unione ma anche alla luce dell’interpretazione di questo operata della Corte di Giustizia[13].

Ci si deve quindi domandare se la definizione di informazione privilegiata contenuta nelle direttive 2003/6/CE e 2003/124/CE ricomprendesse già tacitamente le tappe intermedie dei processi prolungati e, successivamente, se la definizione italiana (art. 181 t.u.f.) andasse interpretata alla luce di quella europea o se tale interpretazione costituisca analogia in malam partem.

La soluzione al quesito prospettata dalla presente pronuncia si inserisce nel solco di una precedente della stessa Corte italiana (del 2019)[14], che ha affermato la rilevanza delle tappe intermedie dei processi prolungati quali informazione privilegiata, risultando pienamente conforme.          Il percorso argomentativo, che ha condotto i giudici di legittimità all’affermazione della sussistenza nel caso di specie del carattere della precisione della notizia abusata poggia sull’interpretazione della definizione di informazione privilegiata fornita dalla Corte di Giustizia nel 2012, nel caso Markus Gelti v. Daimler AG[15], ove la stessa ha affermato che non vi è alcuna ragione per ritenere escluso dalla definizione di informazione privilegiata la tappa intermedia di un processo prolungato.

Seppur la sentenza Daimler è inerente ad una violazione di obbligo di disclosure, questa risulta di particolare interesse anche per la definizione di informazione privilegiata integrante il reato di insider trading. Tale definizione non è funzionale esclusivamente al reato di cui all’art. 184 t.u.f., ma anche agli obblighi di comunicazione al pubblico di informazioni price sensitive (art. 114 t.u.f.). Nonostante le definizioni non siano esattamente coincidenti tra le stesse sussiste uno stretto legame[16]. Dunque, l’elaborazione giurisprudenziale in tema di obbligo di comunicazione è comunque idonea a fungere da parametro interpretativo per il concetto di informazione privilegiata rilevante ai fini del delitto di insider trading. Infatti, poiché l’informazione ex art. 114 t.u.f. si presenta più ristretta di quella ex art. 184 t.u.f. ne deriva che tutto quello che è soggetto ad obbligo di comunicazione è necessariamente oggetto di divieto di abuso.

Si deve quindi valutare se una tappa intermedia di un processo prolungato possegga tutti gli elementi costitutivi di un’informazione privilegiata, ed in particolare il requisito della precisione (poiché può rispettare indubbiamente tutti gli altri requisiti, ovverosia non pubblicità, riferimento a strumenti finanziari e price sensitivity).

Ebbene, secondo la Corte di Giustizia un’informazione può dirsi precisa quando rispetta due requisiti cumulativi: a) l’informazione deve riferirsi ad un complesso di circostanze – o ad un evento – esistente o di cui si possa ragionevolmente ritenere che si verificherà; b) l’informazione deve essere sufficientemente specifica da consentire di trarre conclusioni sul possibile effetto di detto complesso di circostanze o di evento sul prezzo degli strumenti finanziari o di derivati ad essi connessi.

A parere della stessa Corte, il fatto che nel concetto di circostanze o di evento possa rientrare anche una fase intermedia sarebbe supportata dall’art. 3, paragrafo 1, della direttiva 2003/124 che menziona tra gli esempi di informazione privilegiata di cui si può ritardare la divulgazione (nei casi previsti dall’art. 6, paragrafo 2, della MAD I) alcune ipotesi palesemente riconducibili ad una tappa intermedia, come ad esempio le negoziazioni in corso.

Nessun dubbio, quindi, secondo la Corte di Lussemburgo, sulla riconducibilità nell’alveo del concetto di informazione privilegiata anche della tappa intermedia, quando questa sia precisa[17], anche alla luce della ratio della disciplina emergente dal secondo e dodicesimo considerando della MAD I.

La Corte, nel caso Daimler, veniva investita di una seconda domanda pregiudiziale. Il quesito era se l’espressione “si possa ragionevolmente ritenere”, di cui all’art. 1 della direttiva 2003/124/CE, richieda che la probabilità sia giudicata preponderante o elevata, oppure se si debba intendere che il grado di probabilità dipenda dall’attitudine della circostanza o dell’evento di influire sui prezzi.

Hanno affermato i giudici di Lussemburgo che il termine “ragionevolmente” evoca un criterio fondato su regole derivanti dall’esperienza comune; non andrebbe comunque interpretato nel senso di esigere la dimostrazione di un’elevata probabilità delle circostanze o degli eventi[18].

Per quanto attiene al quesito se la probabilità di verificazione del fatto futuro ed incerto dipenda dall’ampiezza degli effetti, la risposta della Corte è stata negativa. Infatti, non vi è alcuna ragione per ritenere che da una maggiore ampiezza discenda una maggiore probabilità di verificazione dell’evento. I due criteri (precisione e price sensitive) sono due requisiti minimi, i quali devono sussistere entrambi affinché l’informazione possa definirsi privilegiata. Il bilanciamento tra probabilità di verificazione e possibile impatto sui prezzi, a ben vedere, a parere dei giudici di Lussemburgo, è diretto a determinare se l’informazione sia idonea ad incidere sensibilmente sui prezzi e, quindi, se un investitore modello la terrebbe in considerazione. Tale affermazione sembra inserirsi nel solco dell’elaborazione giurisprudenziale statunitense ove il c.d. probability magnitudo test viene utilizzato in caso di eventi ad alta speculatività per valutare se l’informazione è material, ovverosia se è un’informazione che un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno dei dati su cui fondare le proprie scelte di investimento[19].

Avendo stabilito che nella definizione europea fossero già tacitamente ricomprese anche le tappe intermedie di processi a formazione progressiva, si deve valutare se l’art. 181 t.u.f. andasse interpretato alla luce della normativa europea. Sembrerebbe potersi dire che, quantomeno dal 2014 in poi, si sarebbero dovute già far rientrare nel concetto di informazione privilegiata le tappe intermedie dei processi prolungati. Bisogna invero rilevare come dal 2014 la definizione è contenuta, non più in una direttiva (ci si riferisce alla direttiva 124/2003/CEE), bensì in un regolamento, che ai sensi dell’art. 228, comma 2, TFUE, è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile a ciascuno degli Stati membri.

Alla stessa conclusione si dovrebbe arrivare, ed è arrivata anche la Corte italiana nel caso di specie, per la definizione ante 2014, attraverso l’interpretazione conforme che non sembrerebbe risolversi un procedimento analogico in malam partem[20].

Nel caso in esame, dunque, la Corte di Cassazione ha rilevato come l’evento futuro rappresentato dal lancio dell’OPA (e non anche dalla concretizzazione delle modalità negoziali del finanziamento correlato) avesse il carattere della precisione e della specificità, alla luce di solidi dati oggettivi, individuabili in una serie di passaggi operativi che costituivano l’attuazione del progetto di delisting, che si era reso improcrastinabile a seguito di un accordo concluso nel dicembre 2007 con il gruppo brasiliano. Invero, a parere dei giudici di legittimità, il permanere, anche a seguito dell’accordo, del c.d. holding discount, nonostante la riduzione dell’indebitamento consolidato, unitamente allo svolgersi di trattative caratterizzate da un alto dinamismo operativo ed un numero significativo di controparti, hanno dimostrato la ferma volontà del lancio dell’OPA; situazione che rendeva del tutto prevedibile la verificazione dell’evento futuro ed incerto.

 

5. La pronuncia in esame appare di sicuro interesse per l’affermazione della rilevanza penale dell’insider di sé stesso. Il nodo interpretativo da sciogliere è costituito dal corretto significato da attribuire al termine “informazione” e, segnatamente, se questo sia sinonimo di “notizia”/“dato conoscitivo”[21], ovvero se, al contrario, sia necessario un trasferimento di dati da un soggetto creatore della notizia ad un soggetto che, ricevendola, diviene “informato”[22].

Sul punto la presente decisione aderisce alla prima opzione interpretativa, in totale conformità con la giurisprudenza di merito e di legittimità civile sugli stessi fatti.

Contrariamente, in una pronuncia di poco precedente a quella in esame, vertente su un caso di richiesta di estradizione per il reato di insider trading criminale (art. 184, comma 2, t.u.f.), la sesta sezione della Corte di cassazione, seppur in un obiter dictum, sembrerebbe affermare l’irrilevanza penale dell’insider di sé stesso, in aperto contrasto con la giurisprudenza dominante[23]. Invero, la sesta sezione ha rilevato come il tenore letterale della norma incriminatrice richiede che il soggetto agente sia in possesso dell’informazione “a motivo” del compimento o della preparazione dell’attività delittuosa, e quindi in quanto “produttore” della stessa. Sicché, ha statuito la Corte, «fermo il canone che non si può essere insider di sé stessi», senza tale disposizione la condotta dell’insider criminale non si sarebbe potuta sussumere nel delitto di abuso di informazioni privilegiate. Tale pronuncia sembrerebbe ripercorrere quelle argomentazioni che rinvengono nell’insider criminale la conferma dell’esclusione della rilevanza penale dell’insider di sé stesso. La tesi poggia sull’assunto errato, secondo la giurisprudenza dominante, che la disposizione contenuta al secondo comma dell’art. 184 t.u.f. ha come fine quello di consentire, in via eccezionale, l’assoggettamento alla sanzione penale del produttore dell’informazione privilegiata. In merito, il Tribunale di Milano aveva rilevato come, in assenza della norma, l’insider criminale non sarebbe stato sanzionabile, non in virtù dell’assenza di alterità tra informazione e creatore, ma per difetto della qualifica soggettiva richiesta al primo comma (ovverosia essere venuto in possesso della notizia “a ragione” della carica ricoperta nell’emittente o dell’attività lavorativa svolta). Pertanto, tale disposizione non dovrebbe essere letta quale deroga ad alcun principio generale di irrilevanza dell’insider di sé stesso.

Tornando alla pronuncia in esame, l’iter argomentativo muove dall’assunto che tutti gli enunciati – ed anche quelli legislativi – siano caratterizzati per natura da vaghezza ed ambiguità di senso delle singole parole e che, per tale ragione, il significato di questi vada considerato nel suo insieme e non rispetto ai singoli termini che li compongono, secondo quanto, d’altronde, prescritto dall’art. 12 disp. prel. cod. civ. [24].

A parere della Corte, ne deriva che, la connessione tra i termini e la ratio legis deve orientare l’interprete, ovviamente nei limiti in cui quest’ultima sia fatta palese nella formula legislativa[25]. In questo quadro, la Corte, nel caso in commento, ribadisce come la determinatezza, che costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento in materia penale (art. 25, comma 2, cost.), assicura non solo al giudice di poter avere disposizioni sufficientemente definite da poter essere applicate senza particolari difficoltà ma, soprattutto, garantisce ai consociati «una percezione sufficientemente chiara ed immediata»[26] della liceità o meno della propria condotta. Sul punto, hanno cura di precisare i giudici di legittimità, che il principio determinatezza non è violato dall’inserimento nei testi di legge di termini polisensi, clausole generali o concetti elastici (come sembrerebbe essere il termine “informazione”), quando la formulazione consenta – avuto riguardo alla ratio legis ed al contesto in cu questa si colloca – comunque all’interprete di individuare il corretto significato attraverso un’operazione interpretativa non eccedente i limiti costituzionalmente dati[27].

Dopo aver brevemente delineato i limiti entro il quale l’interprete deve esplicare la sua attività esegetica, la Corte ha affermato che l’”informazione” è definibile come un insieme di dati descrittivi della realtà, che non necessariamente è costituita da una componente dinamica di raccolta e trasferimento a terzi. A sostegno di tale interpretazione, oltre che richiamare la pronuncia della Corte civile sugli stessi fatti, i giudici di legittimità hanno rilevato come il termine “informazione” sia stato utilizzato proprio in tale senso anche nel reato di cui all’art. 316-ter c.p. Invero, recentemente la giurisprudenza ha avuto modo di affermare come configuri il reato di indebita percezione di erogazione pubbliche il conseguimento dell’assegno sociale ove l’imputato non aveva comunicato all’INPS il proprio trasferimento all’estero[28]. In tale caso, non v’è dubbio che il termine informazione sia stato usato quale sinonimo di “conoscenza”, essendo il dato prodotto dal soggetto stesso e non una notizia a lui pervenuta da terzi.

L’argomentazione della Corte a sostegno di tale interpretazione si snoda poi nel solco dei percorsi già tracciati dalle pronunce di merito e di legittimità per gli stessi fatti. In motivazione della sentenza in esame si afferma l’erroneità della tesi difensiva che sostiene che si debba escludere la rilevanza penale l’insider di sé stesso in virtù del fatto che a questi manchi la qualifica soggettiva richiesta dalla norma incriminatrice. Tale tesi ritiene che vi sia assenza della qualifica in capo al soggetto agente perché detentore dell’informazione non in ragione della posizione ricoperta nell’emittente o del lavoro svolto (c.d. nesso funzionale) ma per averla ideata. La Corte, contrariamente, ha rilevato come il sostantivo informazione sia polisenso e quindi vada letto alla luce dell’intera disposizione e che il termine “in ragione” non orienta l’interpretazione verso la necessità di alterità tra creatore e utilizzatore.

Al fine di una più agevole comprensione di tale passaggio argomentativo della Corte penale, è utile la lettura congiunta anche della pronuncia, per gli stessi fatti, della cassazione civile.

Invero, più esplicativa appare sul tema l’argomentazione della Cassazione civile. La stessa ha rilevato come la tesi che afferma che il soggetto creatore della notizia non la possegga “in ragione” della sua attività lavorativa o per la carica ricoperta nell’emittente, ma a motivo di averla creata, poggia sull’errato postulato che il termine informazione non sia sinonimo di “dato conoscitivo” ma, al contrario, necessiti di un trasferimento di dati. Infatti, se si assume tale ultima definizione di informazione, infatti, ne deriva che solo colui che viene informato la può detenere in ragione della sua attività lavorativa o per la carica ricoperta nell’emittente, mentre il creatore la deterrà a titolo di ideatore. Però, una volta rigettato il postulato che l’informazione debba essere un trasferimento di dati, viene meno, di conseguenza, anche l’asserita mancanza del nesso funzionale.

Nel caso di specie è agevole notare come gli imputati fossero in possesso della notizia del lancio dell’OPA in ragione delle loro cariche sociali. Invero, se non avessero ricoperto esattamente quei ruoli, l’oggetto stesso dell’informazione posseduta non sarebbe venuto ad esistenza. Interessante, al tempo stesso, è anche il rilievo della sentenza di merito del Tribunale penale di Milano, ove si aggiunge che la modifica legislativa, che ha sostituito la locuzione “ottenute in virtù” – dell’art. 2, comma 1, L. 17 maggio 1991, n. 157 – con “in ragione”, indichi una precisa volontà, in rottura con il passato, di non connotare il termine informazione di alcuna necessità di trasferimento conoscitivo.

La Corte di cassazione penale, poi, valorizzando l’obiettivo della normativa, consistente nel garantire l’integrità dei mercati finanziari ed accrescere la fiducia degli investitori, ha analizzato, altresì, l’esatta portata del 30° considerando della MAD I (ora contenuto all’art. 9, comma 5, MAR). La disposizione prevedeva che non potesse considerarsi abuso di informazione privilegiata la condotta del soggetto che proceda al compimento di operazioni che necessitano di decisioni preliminari, come per l’appunto l’acquisizione o la cessione di strumenti finanziari. A ben vedere, il considerando presupponeva una totale coincidenza con l’oggetto della decisione e l’operazione concretamente effettuata. In altre parole, non costituiva – e non costituisce ai sensi dell’art. 9, comma 5, MAR – insider trading la preliminare decisione di lanciare l’OPA, il compimento delle operazioni tecnicamente necessarie e l’effettivo lancio.

Ha osservato la Corte come, nel caso di specie, non sussiste tale coincidenza poiché le condotte poste in essere dai soggetti agenti si sono concretizzate nel rastrellamento di azioni dal mercato a prezzi più convenienti di quelli che avrebbero pagato dopo il lancio dell’OPA e non in mere attività esecutive del progetto.

Nel quadro di tale ricostruzione, risulta inconferente anche l’ultima censura della difesa circa la necessità di distinguere tra il soggetto creatore della notizia, che la sfrutti per migliorare le condizioni attuative del progetto, e chi sfrutti “parassitariamente” l’informazione appresa da altri.       Invero, la normativa mira a sanzionare chi in possesso di un’informazione non pubblica, precisa ed avente il carattere della price sensitive, la sfrutti, così operando in condizioni di primazia informativa rispetto agli altri operatori di mercato. Pertanto, a parere dei giudici, non sussiste nessuna ragione giuridica per sanzionare solo ed esclusivamente il soggetto che la usi “parassitariamente”.

La Corte conclude quindi per la rilevanza penale del c.d. insider di sé stesso, ritenendo le condotte degli imputati sussumibili nell’art. 184 t.u.f. per aver utilizzato un’informazione non pubblica, precisa, sufficientemente specifica da trarre conclusioni sul possibile effetto sui prezzi delle azioni e che un investitore ragionevole avrebbe utilizzato per fondare le proprio scelte di investimento.

 

 

[1] Sul tema del doppio binario sanzionatorio si rinvia ampiamente a M. Gambardella, Condotte economiche e responsabilità penale, Giappichelli, 2019, p. 435 e ss.; N. Madia, Ne bis in idem europeo e giustizia penale, 2020, Wolters Kluwer Cedam, passim. Quanto alle sanzioni amministrative punitive si veda F. Viganò, Garanzie penalistiche e sanzioni amministrative, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2020, p. 1775 ss.

[2] Cass. Civ, Sez. II, 13 aprile 2017, n. 24310 in Banca borsa e titoli di credito, 2018, p. 962 e ss. con nota di A. Bartalena, O.p.a. per dealisting e insider trading: brevi riflessioni sull’insider di sé stesso e in Cass. pen., 2018, p. 2617 ss. con nota di M. Pesucci, Possibili ricadute penalistiche dell’affermata punibilità dell’insider di sé stesso da parte della cassazione civile e in giur. comm., 2019, p. 105 ss., con nota di F. Cadorin, OPA per il delisting fra insider di sé stesso ed efficienza del mercato.

[3] Gambardella, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., p. 377.

[4] Cfr. sulla genesi della disciplina altresì V. Napoleoni, L’insider trading, in Santoriello (a cura di) La disciplina penale dell’economia. Società, fallimento, finanza, volume I, Giappichelli, 2008, p. 639 ss.; L. Foffani, Gli effetti riflessi del diritto dell’Unione Europea, in I volti attuali del diritto penale europeo. Atti della giornata di studi per Alessandro Bernardi, a cura di Grandi, Pacini Giuridica, 2021, p. 15 ss. il quale evidenzia negli abusi di mercato è particolarmente evidente il processo di “europeizzazione” del diritto penale.

[5] Si segnala sul punto che, in verità, l’Italia non sembra affatto pienamente conforme alla disciplina della MAD II, invero il legislatore eurounitario aveva modellato la disciplina degli abusi di mercato su due atti inscindibili – segnatamente il regolamento e la direttiva – che sono stati invece senza giustificato motivo “sperati”. Cfr. sul punto ampiamente uno per tutti M. Gambardella, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., p. 366.

[6] Direttiva recante modalità di esecuzione della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la definizione e la comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate e la definizione di manipolazione del mercato.

[7] Ai fini di verificare se una notizia sia pubblica è opportuno operare un collegamento con la disciplina di cui all’art. 114 t.u.f. Nello specifico, la notizia dovrebbe considerarsi pubblica quando la sua diffusione è avvenuta seguendo la regolamentazione secondaria Consob emanata in attuazione dell’art. 114 t.u.f. Sul punto v. M. Gambardella, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., p. 386; F. Sgubbi, Le disposizioni generali, in Sgubbi-Tripodi-Fondaroli (a cura di ) Diritto penale del mercato finanziario. Abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, ostacolo alle funzioni di vigilanza della Consob, falso in prospetto. Lezioni, Cedam, 2013, p. 15 ss.

[8] Cfr. sul tema V. Napoleoni, L’insider trading, in La disciplina penale dell’economia. Società, fallimento, finanza, cit., p. 685 e ss. Per l’accertamento della price sensitivity nella manipolazione del mercato si veda ampiamente M. Poggi d’Angelo, L’accertamento del “pericolo concreto” nel delitto di manipolazione del mercato, in Cass. pen., 2017, p. 290 ss.

[9] Il concetto di materiality vede la luce dopo il crollo della Borsa di Wall Street, più precisamente con il Securities Act 1933 e il Securities Exchange Act 1934. Il concetto di materiality diventa quindi elemento costitutivo dei reati di Securities Fraud, ovverosia elemento che l’accusa deve provare in giudizio, senza però trovare nel testo una sua definizione. Quest’ultima prende forma attraverso le pronunce delle Corti secondo un approccio tipicamente casistico. Rilevanti in tale ambito sono sicuramente le pronunce TSC Industries v Northway Inc e Basic Inc v. Levinson. Sul punto si veda J. K. Strader – S. D. Jordan, White collar crime, case, materials and problems, Lexis Nexis, III ed. 2015, p. 248 e ss; W. Wang – M. Steinberg, Insider Trading, Oxford, Third Edition, 2010, p. 107 e ss. Sul tema cfr. altresì A. Pantanella, Profili penali delle nuove procedure concorsuali, Aracne, 2020, p. 162 ss.

[10] Cfr. S. Seminara, Diritto penale commerciale. Il diritto penale del mercato mobiliare, Giappichelli, 2018, p. 62 ss., secondo il quale poiché la direttiva n. 2004/39/CE distingue la clientela degli intermediari finanziari in controparti qualificate, clienti professionali e clienti retail, non vi è dubbio che l’investitore ragionevole vada individuato in quest’ultima categoria. Rileva altresì l’autore come la scelta di investitore piuttosto che un altro modifica l’ampiezza della nozione di informazione privilegiata, poiché ad esempio per un investitore esperto saranno significative informazioni che non lo sono per un investitore non esperto.

Si veda ampiamente altresì F. Sgubbi, Le disposizioni generali, cit., p. 18 e ss., ove solleva critiche all’investitore ragionevole. Afferma l’Autore che il criterio del reasonable man risulta poco attendibile poiché è dubbio che un investitore sia dotato sempre di razionalità e che scelga orientato esclusivamente dalla razionalità. Osserva inoltre lo stesso come la formula legislativa che usa l’avverbio “presumibilmente” e l’aggettivo “ragionevole” «configuri una dimensione valutativa particolarmente estesa». Ancora, sulla difficoltà di individuare chi sia l’investitore ragionevole v. E. Amati, L’abuso di informazioni privilegiate, in Mazzacuva – Amati (a cura di), Diritto penale dell’economia, Wolter Klower, 2020, p. 356 ss.

Nella giurisprudenza e dottrina statunitense l’investitore modello è stato tipizzato per la prima volta nella pronuncia Basic Inc. v. Levinson (485 U.S. 224 (1988)) e poi individuato nella pronuncia Matrixx Initiatives Inc v. Siracusano (563 U.S. 27 (2001)) come un soggetto particolarmente qualificato, avuto riguardo alla specifica sezioni di mercato rispetto alla quale l’informazione si riferisce. Per un approfondimento W. Wang – M. Steinberg, Insider Trading, cit., p. 107 ss.

Nella giurisprudenza inglese nel celebre caso Hannam v. Financial Conduct Autority l’investitore modello è descritto come colui che negozia come se conoscesse tutte le informazioni rilevanti. Tale definizione è stata criticata dalla dottrina perché non terrebbe debitamente in conto alcuni fattori, ad esempio che l’investitore potrebbe non avere particolare esperienza in quello specifico settore (cfr. E. J. Swang – J. Virgo, Market abuse regulation, Oxford University Press, 3rd ed., p. 46 ss.).

[11] In tal senso cfr. Cass., sez. V, 15 aprile 2019, n. 39999, in Cass. pen., 2021, p. 331 e ss. con nota di Federici, “Le parole fraintese”: la rilevanza delle tappe intermedie dei processi prolungati quali informazioni privilegiate. In dottrina si veda M. Gambardella, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., p. 382; F. Annunziata, Riflessi organizzativi della rinnovata disciplina di market abuse, in Le Società, 2016, p. 172. Cfr. altresì E. Basile, L’insider trading riformato ... ma non troppo: criticità e prospettive all’indomani del d.lgs. n. 107 del 2018, in Le Società, n. 2, 2019, p. 573.

[12] Cfr. in questo senso M. Gambardella, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., p. 382; A. Bernardi, I tre volti del «diritto penale comunitario», in Riv. it. pubbl. comunitario, 1999, p. 351 e ss.; L. Picotti, Sui “tre volti” del diritto penale comunitario, in I volti attuali del diritto penale europeo. Atti della giornata di studi per Alessandro Bernardi, a cura di Grandi, Pacini Giuridica, 2021, p. 111. Per una ricostruzione delle diverse posizioni dottrinali sull’integrazione da fonte europea si veda C. Sotis, Il diritto senza codice. Uno studio sul sistema penale europeo vigente, Giuffrè, 2007, p. 218.

[13] Ex multis Corte giust., 20 settembre 2001, C-184/99, Grzelcyk, § 50 ove si afferma che «l'interpretazione di una norma di diritto comunitario fornita dalla Corte si limita a chiarire e precisare il significato e la portata della norma stessa, quale avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore».

In dottrina per un approfondimento si veda M. Donini, Europeismo giudiziario e scienza penale. Dalla dogmatica classica alla giurisprudenza-fonte, Giuffrè, 2011, p. 92 ss. ove l’Autore, soffermandosi sulla vincolatività delle pronunce, sia della Corte di Giustizia che della Corte Edu, rileva che l’interprete è vincolato da tali interpretazioni che assumono il carattere di “norma”, facendo sì che suddette Corti fungano nel nostro sistema da “giurisprudenza-fonte”.

[14] Cass., sez. V, 15 aprile 2019, n. 39999, cit.

[15] Corte giust., 28 giugno 2012, C-19/11, Markus Gelti c. Daimler AG. Per un commento sulla sentenza vedasi Lombardo, Acquisto di partecipazione di controllo, fattispecie a formazione progressiva, informazione privilegiata e insider secondario, in Le Società, 2016, p. 706 ss.

[16] Sull’evoluzione del concetto di informazione privilegiata rilevante ex art. 114 t.u.f. v. ampiamente S. Gilotta – F. Raffaele, Informazione privilegiata e “processi prolungati” dopo la Market Abuse Regulation, in Rivista delle Società, 2018, p. 83 e ss. ove si evidenza come il legame oggi esistente tra obblighi di disclosure e divieto di insider trading non fosse originariamente previsto in modo così pregnante dal diritto eurounitario poiché in una prima fase le discipline erano ancorate a due definizioni di informazione privilegiata differenti, seppur comunque in larga parte sovrapponibili.

Cfr. altresì sul legame tra l’obbligo di informazione ex art. 114 t.u.f. e il divieto di trading E. Amati, L’abuso di informazioni privilegiate, cit., p. 353.

[17] V. in dottrina sul punto F. Consulich – F. Mucciarelli, Informazione e tutela penale dei mercati finanziari nello specchio della normativa eurounitaria sugli abusi di mercato, in Le Società, 2016, p. 187.

[18] Corte giust., 28 giugno 2012, C-19/11, Markus Gelti c. Daimler AG, § 46. In dottrina sul punto si veda V. Napoleoni, L’insider trading, cit., p. 671 e ss. ove afferma che il requisito della ragionevolezza, seppur elemento “elastico”, sembra richiedere che la verificazione dell’evento si presenti non solo possibile ma anche con elevato grado di probabilità. Ad ogni modo si precisa che la mancata verificazione dell’evento non comporta il venire meno del carattere preciso dell’informazione.

[19] Tale test, enunciato per la prima volta dal Second Circuit in Sec v. Sulphur e poi riaffermato nella celebre sentenza Basic Inc. v. Levinson. Per un approfondimento si veda J. K. Strader – S. D. Jordan, White collar crime, case, materials and problems, cit., p. 248 ss.

[20] Per un’analisi più approfondita sull’interpretazione conforme al diritto dell’Unione e i suoi limiti cfr.: G. Marinucci – E. Dolcini – G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, 2021, p. 52 ss.; M. Luciani, Interpretazione conforme a costituzione, in Enc. dir., Annali, IX, Giuffrè, 2016, p. 453 ss.; C. Pinelli, Interpretazione conforme (rispettivamente, a Costituzione e al diritto comunitario) e giudizio di equivalenza, in Giur. cost., 2008, p. 1369; V. Manes – M. Caianello, Introduzione al diritto penale europeo, Fonti, metodi, istituti, casi, Giappichelli, 2020, p. 10 ss. R. Conti, Il giudice penale italiano e il diritto dell’Unione europea: un approccio non più differibile, in Dir. pen. cont., 8 giugno 2012, p. 17.

[21] In questo primo senso, seppur in tema di reati fallimentari, si veda A. Pantanella, Il diritto penale della crisi d’impresa alla prova della sindemia: tra modelli di falso e ritorno allo stellionato, in Cass. pen., 2021, p. 2259 ove evidenzia come l’etimologia del termine informazione rende evidente tale conclusione, essendo legata strettamente all’Eidos dei Greci.

[22] In questa seconda accezione si colloca la posizione di autorevole dottrina v. F. Sgubbi – A. F. Tripodi, L’abuso di informazioni privilegiate, in Diritto penale del mercato finanziario, a cura di Sgubbi – Tripodi – Fondaroli, Cedam, 2013, p. 53 e ss. seppur con la precisazione che, in riferimento a decisioni prese nell’ambito di una società, nel caso in cui gli amministratori operino sul mercato a titolo personale e non in nome e per conto della società, verrebbe ad esistenza l’alterità tra fonte e notizia.

[23] Cass., Sez. VI, 05 novembre 2020, n. 10068/2021, in C.E.D. Cass., n. 281154-01.

[24] Per un approfondimento sul tema si veda R. Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, Giuffrè, 1993, p. 359 e ss.

[25] Cfr. sui limiti dell’interpretazione Cass., Sez. U., 24 ottobre 2019, n. 8544, Genco, non massimata sul punto; Cass., Sez. U., 12 gennaio 2010, n. 18288, Beschi, in Foro ambrosiano, 2010, p. 66 con nota di R. Zanotti.

[26] Corte Cost., ord. 21 dicembre 2018, n. 243, in Giur. cost., 2018, p. 2756 e ss.

[27] In questo senso si veda Corte Cost., 20 dicembre 2019, n. 278 in Cass. pen., 2020, p. 1560 con osservazioni di E. Aprile.

[28] Cass., Sez. II, 21 settembre 2017, n. 47064, in C.E.D. Cass., n. 271242-01.