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06 Aprile 2023


La dichiarazione di fallimento quale causa ostativa al sequestro preventivo ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000: rimessa la questione alle Sezioni Unite

Cass., Sez. III, ord. 29 novembre 2022 (dep. 22 febbraio 2023), n. 7633, Pres. Sarno, rel. Gentili, ric. Fallimento Lavanderia Giglio Snc



*Il presente contributo è destinato alla pubblicazione sul fascicolo 4/2023.

 

1. Con l’ordinanza in commento, la terza sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: “se, in caso di fallimento dichiarato anteriormente alla adozione del provvedimento cautelare di sequestro preventivo, emesso nel corso di un procedimento penale relativo alla commissione di reati tributari, avente ad oggetto beni attratti alla massa fallimentare, l'avvenuto spossessamento del debitore erariale, indagato o, comunque, soggetto inciso dal provvedimento cautelare, per effetto della apertura della procedura concorsuale operi o meno quale causa ostativa alla operatività del sequestro ai sensi dell'art. 12-bis, comma I, del d.lgs. n. 74 del 2000, secondo il quale la confisca e, conseguentemente, il sequestro finalizzato ad essa, non opera nel caso di beni, pur costituenti il profitto o il prezzo del reato, se questi appartengono a persona estranea al reato”.

Il tema dei rapporti tra la procedura fallimentare – con gli interessi della massa creditoria ad essa sottesi – e la confisca (nonché il sequestro preventivo ad essa finalizzato), lungi dal costituire un inedito argomento di discussione, è invero già stato affrontato da diverse pronunce della Corte di cassazione (di cui si darà sinteticamente conto nel prosieguo), le quali tuttavia non sono state in grado di consolidare un orientamento interpretativo uniforme, manifestando al contrario un perdurante contrasto di opinioni che ha indotto gli stessi giudici di legittimità a sollecitare l’intervento delle Sezioni Unite.

La questione di fondo sottesa al quesito formulato dalla Corte risiede nel significato e nella portata da attribuire alla locuzione “beni appartenenti a persona estranea al reato”, la quale opera, come noto, quale limite all’applicabilità della confisca (e, dunque, del sequestro ad essa funzionale) ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000. Segnatamente, nell’ambito che qui ci interessa, gli sforzi ermeneutici della giurisprudenza sono stati tesi a stabilire se la curatela fallimentare possa considerarsi terzo estraneo al reato, nonché se lo spossessamento dei beni del fallito determini l’altrui “appartenenza” degli stessi.

L’ordinanza in commento dà ampiamente conto delle divergenti risposte fornite nel corso degli anni dalla Corte agli interrogativi testé riportati. Pare dunque opportuno ripercorrere i passaggi più rilevanti dell’ordinanza stessa, così da ricostruire compiutamente gli indirizzi interpretativi che si contendono il campo.

 

2. I fatti che hanno dato origine al provvedimento della Corte possono essere così sommariamente sintetizzati.

Nel gennaio 2019, il Tribunale di Pescara dichiarava il fallimento di una società in nome collettivo e dei suoi soci illimitatamente responsabili.

Nel gennaio 2020, il giudice per le indagini preliminari disponeva il sequestro di beni già confluiti nella massa fallimentare, in relazione a un’ipotesi di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (si trattava, in particolare, di beni conferiti in trust, rispetto ai quali tuttavia la curatela del fallimento aveva già chiesto – e poi ottenuto – la revocatoria).

Il Tribunale di Pescara, quale giudice di appello cautelare sull’impugnazione proposta dalla curatela fallimentare, ha rigettato l’istanza di dissequestro, ritenendo che “il sequestro preventivo (...) prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto di qualsiasi procedura concorsuale (...) attesa l'obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro, per cui il rapporto fra il vincolo imposto dall'apertura della procedura concorsuale e quello discendente dal sequestro deve essere risolto a favore della seconda misura".

L’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Pescara è stata oggetto di ricorso per cassazione da parte della curatela fallimentare. In particolare, secondo il ricorrente il Tribunale di Pescara avrebbe errato nell’interpretare l’espressione – limitativa del potere di confisca – “salvo che appartengano a persona estranea al reato”. La curatela ha infatti osservato che, una volta dichiarato il fallimento, il soggetto attinto dalla procedura è spossessato dei propri beni, con perdita della disponibilità degli stessi, sicché dovrebbe essere preclusa la possibilità di sottoporre tali beni a sequestro.

Così tratteggiato in estrema sintesi l’iter processuale, si può ora concentrare l’attenzione sul problema giuridico posto all’attenzione del Supremo Collegio, nonché sui passaggi più significativi dell’ordinanza con cui i giudici di legittimità hanno richiesto l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

 

3. Una questione preliminare, sulla quale in passato vi sono stati vivaci dibattiti in seno alla giurisprudenza di legittimità, riguarda – come ricorda puntualmente l’ordinanza in esame – il tema della legittimazione del curatore fallimentare a impugnare il sequestro preventivo funzionale alla confisca. È infatti evidente che, qualora si negasse al curatore la facoltà di impugnare i provvedimenti penali (cautelari o definitivi) che incidono pregiudizievolmente sull'entità della massa fallimentare, sarebbe di fatto sancita la prevalenza sulla integrità di questa delle istanze ablatorie di carattere penale.

3.1. Sul punto si erano espresse le Sezioni Unite Uniland nel 2014, le quali avevano concluso nel senso della mancanza di legittimazione del curatore fallimentare a proporre impugnazione avverso il decreto di sequestro preventivo funzionale alla confisca dei beni della società fallita. In particolare, era stato ritenuto che il curatore non potesse agire in rappresentanza dei creditori per opporsi all’ablazione patrimoniale, poiché gravato “da un munus pubblico, di carattere prevalentemente gestionale, che affianca il giudice delegato al fallimento ed il tribunale”, senza essere titolare di alcun diritto sui beni del fallito, né in proprio, né quale rappresentante dei creditori del fallito, i quali, prima della conclusione della procedura concorsuale, non hanno alcun diritto restitutorio sui beni. Di conseguenza, il curatore non sarebbe stato portatore di alcuna posizione soggettiva tutelabile né in relazione al sequestro preventivo né, a maggior ragione, in ordine alla successiva confisca, fosse essa diretta od anche per equivalente.[1]

3.2. Successivamente, in alcune pronunce, il principio affermato dalla sentenza Uniland era stato limitato ai casi nei quali la dichiarazione di fallimento fosse successiva al sequestro.[2] Tale orientamento, che ha ricevuto sempre maggiore seguito, aveva infine fondato una nuova questione sottoposta alle Sezioni Unite, riguardante proprio la legittimazione del curatore fallimentare a chiedere la revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale quando il vincolo penale sia stato disposto prima della dichiarazione di fallimento.

3.3. Le Sezioni Unite nel 2019, con un revirement rispetto all’orientamento espresso nella sentenza Uniland, hanno concluso che “il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo ai fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale”.[3] In tale pronuncia, il massimo consesso nomofilattico, dopo aver ricordato che “la giurisprudenza civilistica qualifica esplicitamente il curatore come detentore dei beni del fallimento. E si tratta senz'altro di una detenzione qualificata, anche per il carattere pubblicistico della funzione per la quale la stessa è attribuita", ha altresì rilevato che "la legittimazione all'impugnazione del curatore, in quanto derivante dalla sua posizione di soggetto avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati, investe necessariamente la totalità dei beni facenti parte dell'attivo fallimentare. Ciò corrisponde peraltro al dato normativo rinvenibile nel già rammentato contenuto dell'art. 42 legge fallimentare, per il quale la dichiarazione di fallimento, privandone il fallito, conferisce alla curatela la disponibilità di tutti i beni di quest'ultimo esistenti alla data del fallimento; e quindi anche di quelli già sottoposti a sequestro".

Con quest’ultima chiosa, dunque, le Sezioni Unite hanno chiarito che la legittimazione del curatore sussiste a prescindere dal dato temporale di apertura della procedura concorsuale. Inequivocabili le parole spese sul punto: “[l]a risposta al quesito proposto a queste Sezioni Unite, nei termini nei quali è specificamente formulato, impone da ultimo di precisare come non abbia fondamento, nella ricostruzione appena esposta, la limitazione della legittimazione del curatore alle impugnazioni riguardanti beni sequestrati successivamente alla dichiarazione di fallimento, prospettata dall'indirizzo giurisprudenziale formatosi successivamente alla sentenza Uniland”.[4]

Asserita pertanto la legittimità del curatore a chiedere la revoca del sequestro e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale, il dibattito, lungi dal sopirsi, si è spostato sulla questione se, una volta dichiarato il fallimento, l'eventuale sequestro penale (finalizzato alla confisca sia essa diretta ovvero per equivalente) disposto successivamente alla apertura della procedura concorsuale possa distogliere dalla massa fallimentare, anche prima della formale assegnazione ai creditori, dei beni già acquisiti ad essa.

 

4. Come anticipato – e come evidenziato dall’ordinanza di rimessione –, sulla questione è possibile individuare in seno alla giurisprudenza di legittimità due orientamenti interpretativi, nell’ambito dei quali è peraltro possibile ravvisare diversi impianti argomentativi a sostegno della rispettiva tesi.

4.1. Un primo filone interpretativo ritiene che il sequestro e la successiva confisca disposti su beni della società fallita sarebbero pienamente legittimi, atteso che il fallimento non si traduce in una perdita della proprietà in capo al fallito, ma unicamente nella destinazione della totalità dei beni a soddisfacimento dei creditori, oltre che nell’assoluta insensibilità del patrimonio all’attività svolta dall’imprenditore successivamente alla dichiarazione del suo fallimento.[5] Conseguentemente, non potrebbe rilevarsi, in capo alla curatela fallimentare, una situazione di altrui appartenenza dei beni, i quali pertanto potrebbero essere legittimamente confiscati (e dunque sequestrati).

In altre pronunce si è sostenuto che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto della dichiarazione di fallimento, attesa la obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro.[6] Tale orientamento è evidentemente tributario di quanto affermato dalle Sezioni Unite nella nota sentenza Focarelli, in cui il Supremo Collegio aveva ritenuto che, con riferimento alla confisca obbligatoria, il sequestro rimarrebbe “insensibile” al fallimento, in quanto la cosa è “pericolosa in base ad una presunzione assoluta”.[7]

Il carattere di obbligatorietà della confisca a cui è funzionale il sequestro viene evocato dalle pronunce da ultimo richiamate per giustificare la prevalenza della misura ablatoria sui diritti dei creditori e sull’ordine di prelazione nei pagamenti fissato dalla legge: segnatamente, la ratio di tale prevalenza dell'interesse statale sull'interesse dei creditori è rinvenuta nell'esigenza di inibire l'utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente "pericoloso", in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato.[8]

È stato poi sostenuto che i termini della questione non sarebbero risolvibili sulla base della regola della priorità temporale, attribuendosi prevalenza al provvedimento intervenuto prima dell'altro, dovendo invece valutarsi quale sia preminente – e in che termini – tra le diverse esigenze che i due istituti (procedura fallimentare e sequestro/confisca penale) tendono a salvaguardare: nel caso della articolata procedura fallimentare, la soddisfazione concorsuale del ceto creditorio dell'impresa insolvente; nel caso della confisca, la sottrazione alla disponibilità del condannato dei proventi del reato da lui commesso.[9]

Così delineati i termini della questione, la Corte ha quindi ribadito che la misura ablatoria reale, in virtù del suo carattere obbligatorio, è destinata a prevalere su eventuali diritti di credito gravanti sul medesimo bene, non potendosi attribuire alla procedura concorsuale effetti preclusivi rispetto alla operatività della misura reale disposta nel rispetto dei requisiti di legge, e ciò a maggior ragione nell'ottica della finalità evidentemente sanzionatoria perseguita dalla confisca espressamente prevista in tema di reati tributari quale strumento volto a ristabilire l'equilibrio economico alterato dal reato.

4.2. Un orientamento ermeneutico di segno radicalmente opposto è riscontrabile in altre pronunce di legittimità, in cui la Corte ha sostenuto che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all'art. 12-bis d.lgs. 74/2000 non può essere adottato sui beni già assoggettati alla procedura fallimentare, in quanto la dichiarazione di fallimento importa il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, attribuendo al curatore il compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento.[10]

Pertanto, si è affermato che in caso di fallimento della società in cui ha operato l’imputato, risulterebbe inapplicabile nei confronti dell’ente la confisca diretta, potendosi dunque ricorrere alla confisca per equivalente nei confronti della persona fisica imputata.[11]

In seno a tale indirizzo interpretativo è stato altresì osservato che la prevalenza dell’attrazione alla massa fallimentare non è riconducibile esclusivamente a interessi privatistici del ceto creditorio, riflettendosi invece soprattutto nella necessità che il tracollo dell'impresa non si estenda a macchia di leopardo ai soggetti che con questa abbiano avuto rapporti, a salvaguardia – dunque – delle esigenze economiche della collettività.[12]

Infine, è stata ribadita l’importanza del limite espressamente previsto dal legislatore per l’operatività della confisca, dato dall’appartenenza dei beni a persona estranea al reato. Orbene, è stato osservato che, una volta dichiarato il fallimento, interviene il fenomeno dello spossessamento dei beni del fallito, sicché può ben dirsi che questi non sia più nella disponibilità dei medesimi. Con la conseguenza che, poiché ai fini della confisca non è tanto rilevante la proprietà ovvero la formale titolarità del bene interessato dalla misura ablatoria quanto il sostanziale dominio su di esso, l’apertura della procedura fallimentare determinerebbe l’impossibilità di disporre il sequestro di beni ormai sottratti alla signoria del soggetto nei cui confronti dovrebbe essere adottato il provvedimento ablatorio.[13]

 

5. In tempi recenti, i sostenitori dell’irrilevanza della avvenuta dichiarazione del fallimento ai fini dell’inibitoria della misura cautelare penale strumentale alla confisca hanno addotto un nuovo argomento a sostegno della propria tesi, condiviso dal Tribunale di Pescara nell’ordinanza da cui ha avuto origine il giudizio di legittimità qui in esame. Segnatamente, è stato osservato che la prevalenza della misura ablatoria troverebbe giustificazione nelle disposizioni degli agli artt. 317 e ss. del Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, non escludendo la sua differita entrata in vigore la possibilità che le norme definitorie in esso contenute, venute ad esistenza e a conoscenza con la promulgazione e la pubblicazione, siano utilizzate nell'ambito di una interpretazione logico-sistematica delle norme vigenti, contenute in altre leggi.[14]

5.1. In particolare, l’art. 317, co. 1, del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza prevede che “[l]e condizioni e i criteri di prevalenza rispetto alla gestione concorsuale delle misure cautelari reali sulle cose indicate dall’articolo 142 [i.e. i beni del debitore] sono regolate dalle disposizioni del Libro I, titolo IV del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”. Il secondo comma della disposizione precisa poi che “[p]er misure cautelari reali di cui al comma 1 si intendono i sequestri delle cose di cui è consentita la confisca disposti ai sensi dell’articolo 321, comma 2, del codice di procedura penale”.

Orbene, il d.lgs. 159/2011 contiene due norme dedicate ai rapporti tra sequestro e procedura concorsuale.

L’art. 63 d.lgs. 159/2011, riguardante i casi in cui la dichiarazione di fallimento sia successiva al sequestro, prevede, al quarto comma, che “[q]uando viene dichiarato il fallimento, i beni assoggettati a sequestro o confisca sono esclusi dalla massa attiva fallimentare”.

L’art. 64 d.lgs. 159/2011, invece, chiamato a disciplinare le ipotesi in cui il sequestro sia disposto successivamente alla dichiarazione di fallimento, stabilisce che, ove sui beni compresi nel fallimento ai sensi dell’art. 42 l. fall. sia disposto sequestro, “il giudice delegato al fallimento, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dispone con decreto non reclamabile la separazione di tali beni dalla massa attiva del fallimento e la loro consegna all’amministratore giudiziario”.

5.2. Questa articolata disciplina – è stato sostenuto – corroborerebbe l’indirizzo interpretativo secondo cui andrebbe riconosciuta prevalenza al sequestro, come si evincerebbe infatti dalla circostanza che “il nuovo Codice della crisi dell’impresa, sebbene composto da molteplici disposizioni di cui è stata differita la vigenza, contenga norme, la cui entrata in vigore è stata appunto differita e poi prorogata, con le quali sono stati regolati i rapporti tra sequestro penale e procedure concorsuali, stabilendo il medesimo principio di prevalenza, fissato nella materia delle misure di prevenzione, del sequestro finalizzato alla confisca rispetto ai beni vincolati nel seno delle procedure concorsuali”.[15]

5.3. Tale impostazione, tuttavia, viene criticata dall’ordinanza in commento, non solo perché fa riferimento a disposizioni legislative che, all’epoca dei fatti, non erano ancora entrate in vigore, ma anche – e soprattutto – perché elude la questione di fondo del problema, ossia se lo spossessamento conseguente all’avvio della procedura fallimentare determini l’appartenenza dei beni caduti nella massa fallimentare alla curatela. In caso di risposta affermativa, infatti, il sequestro non potrebbe essere ab origine disposto, sicché non verrebbero nemmeno in considerazione questioni inerenti alla prevalenza della misura ablatoria o della procedura fallimentare.

In definitiva, atteso il riscontrato, perdurante, contrasto giurisprudenziale sul tema, la Corte ha ritenuto di dover rimettere la questione alle Sezioni Unite, chiamate a fornire una soluzione in grado di dirimere un dibattito che si protrae ormai da decenni.

 

* * *

6. In attesa del responso a cui addiverrà la Corte di cassazione nel suo più ampio consesso nomofilattico, si consenta di appuntare qualche breve riflessione.

Nell’ordinanza di rimessione, i termini della questione possano essere ricondotti a un semplice quesito di fondo: se la dichiarazione di fallimento della società, a cui si accompagna il venir meno della disponibilità dei beni per il fallito, determini l’altrui appartenenza di tali beni (in particolare, a favore della curatela fallimentare), ponendosi quindi come causa ostativa all’operatività della confisca (e, dunque, del sequestro ad essa funzionale) ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000.

In relazione a tale questione, naturalmente, qualora si condividessero le statuizioni a cui la Corte è pervenuta in alcune delle sentenze già richiamate in precedenza – secondo cui i beni confluiti nella massa fallimentare devono essere ritenuti appartenenti a terzi (i.e. la curatela), in quanto la dichiarazione di fallimento importa il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, attribuendo al curatore il compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento[16] –, allora si dovrebbe necessariamente concludere per l’impossibilità di disporre la confisca (e quindi il sequestro) del risparmio d’imposta costituente il profitto del reato tributario.

Tuttavia, a noi pare che, quand’anche si escludesse la sussistenza del dato formale dell’appartenenza a terzi dei beni, vi sarebbero comunque fondate ragioni per escludere l’operatività della confisca (e del sequestro ad essa funzionale) ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000 dopo l’apertura della procedura fallimentare (il che, peraltro, precluderebbe sul nascere l’applicabilità delle norme di cui agli artt. 63 e 64 d.lgs. 159/2011, le quali infatti presuppongono un sequestro validamente disposto).

 

7. Nel dettaglio, per valutare (ed escludere) l’applicabilità della confisca nell’ipotesi di cui si discute, pare dirimente prendere le mosse dalla natura giuridica che si riconosce alla misura ablatoria in parola. Come è stato limpidamente osservato, infatti, il problema della natura giuridica della confisca, lungi dall’involversi in uno sterile parossismo tassonomico, presenta importanti implicazioni pratiche. In particolare, la natura della confisca svolge la funzione di criterio a cui orientare l’interpretazione del dato normativo: tra più possibili significati, tutti compatibili con il dato letterale, il giudice dovrà scegliere quello maggiormente conforme alla natura giuridica della confisca.[17]

Non è chiaramente questa la sede per indagare con la dovuta profondità di analisi la natura giuridica della confisca prevista dall’art. 12-bis d.lgs. 74/2000. Quello che si vuole verificare è invece se, con riferimento a ciascuna tesi relativa alla natura giuridica della confisca in esame, l’applicazione della misura ablatoria su beni ormai confluiti nella procedura fallimentare trovi giustificazione. Infatti, qualora dovesse concludersi che rispetto a nessuna delle varie ipotesi sulla natura della confisca quest’ultima trovi legittimazione nel caso in esame, allora ne discenderebbe pacificamente l’ostatività dell’apertura della procedura concorsuale all’operatività del sequestro preventivo.

7.1. Un primo orientamento ritiene che la confisca (diretta) prevista in materia di reati tributari sia da qualificare come misura di sicurezza patrimoniale.[18] In tale ordine di idee, la confisca assolverebbe a una funzione essenzialmente preventiva, ponendosi quale reazione inibitoria alla pericolosità indotta nel reo dalla disponibilità di beni che, derivando dal reato, ne costituiscono il prezzo o il profitto.

Accogliendo tale tesi, pare doversi concludere che l’apertura della procedura fallimentare impedisca la legittima applicabilità della confisca (e del sequestro ad essa strumentale), poiché la misura ablatoria, invero, perderebbe la propria funzione, e con essa la propria giustificazione.

Infatti, preliminarmente escluse esigenze di prevenzione fondate sulla pericolosità intrinseca della res (trattandosi di mero denaro), deve ritenersi che scopo della confisca, qualora le venisse riconosciuta natura di misura di sicurezza, sarebbe quello di impedire che l’illecito risparmio di imposta conseguito, lasciando la somma nummaria nella disponibilità del reo, mantenga viva l’idea e l’attrattiva del reato e renda agevolmente possibile una ulteriore violazione della legge penale. Tuttavia, va osservato che tale scopo è già efficacemente assolto dalle norme che disciplinano la procedura fallimentare, le quali infatti prescrivono che con la dichiarazione di fallimento il debitore sia privato dell’amministrazione e della disponibilità dei beni. In altri termini, lo spossessamento connaturato alla procedura fallimentare soddisfa le esigenze preventive e cautelari a cui sarebbe tesa – secondo l’ipotesi qui accolta – l’applicazione della confisca, la quale dunque diverrebbe assolutamente pleonastica.

7.2. Un secondo orientamento riconosce alla confisca ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000 (non solo a quella per equivalente, ma anche a quella diretta) natura sanzionatoria. È stato infatti osservato che il profitto del reato tributario consiste tipicamente nelle somme di denaro non versate all’Erario, ossia cose che, né possono essere ritenute pericolose in sé per la loro natura, né paiono idonee a incentivare il condannato a commettere ulteriori evasioni di imposta.[19] Qualora poi dovesse ritenersi che la misura si ponga come scopo quello di evitare che l’evasore, non vedendosi sottratto il vantaggio economico derivante dall’evasione, sia incentivato a reiterare le proprie condotte, andrebbe comunque riconosciuta la natura afflittivo-sanzionatoria della confisca, alla quale infatti verrebbe attribuita una funzione di prevenzione speciale e generale, che la assimilerebbe totalmente a una vera e propria pena.[20]

Anche ammettendo che la confisca persegua una finalità di contenuto puramente sanzionatorio, tuttavia, anche in tale ipotesi non si potrebbe giustificare la sua prevalenza sulla attrazione alla massa fallimentare, posto che, in realtà, la sanzione andrebbe a ricadere su soggetti diversi (i creditori del fallito) rispetto a colui il quale ha commesso l'illecito, ormai già privato della disponibilità dei beni su cui andrebbe a cadere la misura ablatoria.[21]

7.3. Un terzo orientamento – alternativo tanto alla qualificazione della confisca in termini di misura di sicurezza, quanto in termini di autentica pena – considera ogni forma di confisca che mira a colpire i proventi di attività criminose come una misura che semplicemente toglie al soggetto qualcosa che in origine egli non aveva diritto di acquisire (ovvero, in materia tributaria, di “risparmiare”). In altri termini, lo scopo che l’ordinamento segue con la confisca sarebbe quello di privare il destinatario della misura dei vantaggi economici che egli ha tratto mediante la realizzazione di un’attività illecita.[22]

Pur in questa prospettiva, non ci si può esimere dall’osservare che, se la finalità della misura ablatoria è quella di privare l’evasore del vantaggio economico derivante dall’inadempimento tributario, allora l’apertura della procedura concorsuale, determinando lo spossessamento dei beni del fallito, già adempie compiutamente a tale scopo.

La confisca, dunque, sarebbe semmai tesa a impedire che l’inadempimento dell’obbligazione tributaria rechi vantaggio agli altri creditori insinuatisi nella procedura fallimentare, che vedrebbero le proprie aspirazioni di soddisfacimento garantite da una massa attiva più ampia rispetto a quella che sarebbe risultata qualora il debito tributario fosse stato regolarmente assolto.

In quest’ottica, la confisca (e il sequestro ad essa funzionale) finirebbe quindi per ridursi a un mero strumento nelle mani dello Stato per assicurarsi l’integrale percezione dei tributi, a scapito delle istanze concorrenti – invero ontologicamente assimilabili – dei diversi creditori del fallito.

In altri termini, qualora si riconoscesse la prevalenza della misura ablatoria sulle ragioni della procedura concorsuale, si determinerebbe la conseguenza, da un punto di vista strettamente sostanziale, di attribuire un evidente privilegio al creditore tributario rispetto agli altri creditori, ad onta della minuziosa disciplina dettata dal legislatore in tema di graduatoria dei creditori nel soddisfacimento delle rispettive pretese sui beni del fallito.[23]

Peraltro, la correttezza di tale affermazione è resa evidente nel momento in cui si è chiamati a individuare il periculum in mora che giustifica l’adozione della misura ablatoria cautelare.[24] Infatti, se la ratio del sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria è da individuarsi nella funzione cautelativa di assicurare che i beni siano ancora presenti nel patrimonio del condannato nel momento in cui la sentenza diverrà definitiva,[25] è evidente che, dopo l’apertura della procedura fallimentare, il “pericolo” di dispersione che il sequestro preventivo è chiamato a fronteggiare è solo quello del pagamento a creditori diversi dal fisco della quota loro dovuta.

 

8. A noi pare, in conclusione, che riconoscere la legittimità del sequestro preventivo (funzionale alla confisca ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000) disposto successivamente alla dichiarazione di fallimento determinerebbe una ingiustificata compromissione del principio della par condicio creditorum.[26] Verrebbe, infatti, sostanzialmente riconosciuto una sorta di “privilegium Fisci”,[27] indicativo della attribuzione di una posizione preminente all'Erario rispetto a quella degli altri creditori fallimentari. Un’affermazione di predominanza dell’interesse fiscale, insomma, in cui sembrano riecheggiare allocuzioni di sordiana memoria.

Naturalmente, saranno le Sezioni Unite a tentare di fornire – finalmente – una soluzione alla questione sottoposta al loro esame, con l’auspicio di riuscire a sopire un dibattito che si trascina, talvolta tralatiziamente, talaltra con guizzi argomentativi, da interi lustri.

 

 

 

[1] Cass., SS.UU., 25 settembre 2014, n. 11170, con nota di M. Bontempelli, Sequestro preventivo a carico della società fallita, tutela dei creditori di buona fede e prerogative del curatore, in Arch. pen., 3/2015, nonché con nota di M. Riverditi, Le Sezioni Unite individuano il punto di equilibrio tra confisca ex d.lgs. 231 e vincolo imposto dal fallimento sui beni del fallito, in Dir. Pen. Cont., 3 aprile 2015. Successivamente, conformi Cass., sez. III, 7 giugno 2016, n. 23388; Cass., sez. III, 7 ottobre 2016, n. 42469; Cass., sez. II, 19 giugno 2019, n. 27262.

[2] Cass., sez. III, 12 luglio 2016, n. 42469; Cass., sez. III, 16 maggio 2017, n. 28090; Cass., sez. III, 29 maggio 2018, n. 45574.

[4] È appena il caso di sottolineare che la soluzione adottata dalle Sezioni Unite incontra oggi espresso avallo normativo nell’art. 320 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ai sensi del quale “[c]ontro il decreto di sequestro e le ordinanze in materia di sequestro il curatore può proporre richiesta di riesame e appello nei casi, nei termini e con le modalità previsti dal codice di procedura penale”.

[5] Ex multis Cass., sez. III, 3 giugno 2003, n. 24160.

[6] Cass., sez. III, 1° marzo 2016, n. 23907; v. anche Cass., sez. IV, 5 dicembre 2018, n. 7550, che ha ritenuto applicabile la misura cautelare anche con riguardo a somme di denaro appartenenti alla società fallita e assegnate ai creditori con piano di riparto dichiarato esecutivo ma non ancora eseguito.

[7] Così Cass., SS.UU., 24 maggio 2004, n. 29951; critico sul punto A. Fraioli, Note in materia di confisca e persona estranea al reato, in Giur. mer., 2010, p. 877, nonché T.E. Epidendio, La confisca nel diritto penale e nel sistema della responsabilità degli enti, Cedam, Padova, 2011, p. 198,

[8] Cass., sez. III, 7 giugno 2017, n. 28077; cfr. anche Cass., sez. III, 2 ottobre 2019, n. 47103.

[9] Così Cass., sez. III, 25 maggio 2020, n. 15779.

[10] Cass., sez. III, 10 ottobre 2018, n. 45574; Cass., sez. III, 20 dicembre 2021, n. 47299; Cass., sez. II, 19 maggio 2022, n. 19682. In dottrina, v. L.D. Cerqua, La dichiarazione di fallimento quale limite al sequestro preventivo, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, 1/2019, p. 21.

[11] Cass., sez. III, 4 ottobre 2019, n. 51462; Cass., sez. III, 13 maggio 2020, n. 14766.

[12] Cass., sez. III, 8 luglio 2022, n. 26275.

[13] Cass., sez. III, 18 marzo 2022, n. 11068.

[14] Cass., sez. III, 1° febbraio 2022, n. 3575. In tale pronuncia i giudici di legittimità, richiamando precedente giurisprudenza (cfr. Cass., sez. III, 25 maggio 2020, n. 15776), riconoscono comunque “l’esigenza di valutare anche se l’Erario abbia già proceduto al recupero delle somme non versate dal contribuente, ciò al fine di evitare un’indebita locupletazione da parte del Fisco, tenuto conto che, ai sensi del secondo comma dell’art. 12-bis, la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’Erario anche in presenza di sequestro”. Sul tema, per tutti v. S. Finocchiaro, L’impegno a pagare il debito tributario e i suoi effetti su confisca e sequestro (Commento all’art. 12-bis, comma 2, d.lgs. 74/2000, (introdotto dal d.lgs. 158/2015), in Dir. pen. cont.- Riv. trim., 4, 2015, pp. 164 ss.

[15] Cass., sez. III, 1° febbraio 2022, n. 3575.

[16] Si vedano le già citate Cass., sez. III, 10 ottobre 2018, n. 45574; Cass., sez. III, 20 dicembre 2021, n. 47299; Cass., sez. II, 19 maggio 2022, n. 19682. A conforto di tale impostazione, non pare fuori luogo osservare che la piena ed esclusiva disponibilità dei beni è predicato essenziale del diritto di proprietà ai sensi dell’art. 832 c.c., ma che, una volta aperta la procedura fallimentare e insinuatosi il fisco al passivo, il denaro costituente profitto del reato tributario non tornerà mai nella disponibilità del contribuente-evasore.

[17] In questi termini T. Trinchera, Confiscare senza punire? Uno studio sullo statuto di garanzia della confisca della ricchezza illecita, Giappichelli, Torino, 2020, p. 4.

[18] Tesi propugnata a suo tempo da Cass., SS.UU., 22 gennaio 1983, n. 1983. Più di recente, v. Cass., sez. I, 8 novembre 2007, n. 7116. Esulando dal ristretto settore penal-tributario, ritengono che l’istituto della confisca abbia natura di misura di sicurezza M. Massa, La confisca, in Enciclopedia del diritto, VIII ed., Giuffrè, Milano, 1961, p. 982 – secondo cui presupposto della confisca è la pericolosità della res, intesa come “possibilità che la cosa, qualora sia lasciata nella disponibilità del reo, venga a costituire per lui un incentivo per commettere ulteriori illeciti” –; F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, XVI ed., Giuffrè, Milano, 2003 (a cura di L. Conti), p. 832; G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale. Parte generale, VIII ed., Zanichelli, Bologna, 2019, p. 899; D. Pulitanò, Diritto penale, VII ed., Giappichelli, Torino, 2017, p. 508.

[19] Così F. Cagnola – L. Salvini, Manuale professionale di diritto penale tributario, Giappichelli, Torino, 2021, pp. 998-999.

[20] M. Piccirillo, Il ruolo della confisca prevista dal “nuovo” art. 12-bis D.lgs. n. 74/2000 nella lotta all’evasione fiscale, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1-2, 2016, pp. 428-429.

[21] In questi termini Cass., sez. III, 18 marzo 2022, n. 11068.

[22] Sul tema T. Trinchera, Confiscare senza punire?, cit., p. 390.

[23] In particolare, nell’alveo della graduatoria formata da crediti assistiti da privilegio generale, i crediti dello Stato per tributi indiretti e per le imposte sul reddito occupano il settimo posto, i crediti dello Stato per l’IVA ed il credito di rivalsa il diciannovesimo posto, mentre i crediti degli enti locali per tributi il ventesimo. Per un approfondimento sul tema, v. A. Giovannini – A. Marinello, I privilegi del credito d’imposta: profili sostanziali, in F. Paparella, Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Giuffrè, Milano, 2013.

[24] Come noto, le Sezioni Unite hanno enunciato il principio di diritto secondo cui “il provvedimento di sequestro preventivo ex art. 321 comma 2 c.p.p., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 c.p., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in  mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca prima della definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege” (Cass., SS.UU., 11 ottobre 2021, n. 36959). È pacifico che tale principio sia applicabile anche al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato tributario, disposto ex art. 12-bis d.lgs. 74/2000 (v. Cass., sez. III, 5 luglio 2022, n. 25657).

[25] Così Cass., sez. II, 23 ottobre 2019, n. 48632.

[26] La conclusione non pare mutare laddove il sequestro intervenga prima della dichiarazione di fallimento. Sembra da condividere, infatti, quanto affermato da Cass., sez. III, 25 maggio 2020, n. 15776, secondo cui la sequenza temporale tra i due vincoli non è un aspetto di per sé dirimente, in considerazione del differente ambito operativo intercorrente tra la procedura concorsuale e la misura cautelare reale. Infatti, mentre la prima “è finalizzata a consentire la soddisfazione dei creditori dell’impresa che versi in stato di insolvenza”, la seconda “è volta a sottrarre alla disponibilità dell’indagato i proventi di un determinato reato, per cui il problema, in caso di sovrapposizione dei due vincoli, non sarebbe tanto quello di stabilire quale sia stato apposto per primo, quanto piuttosto quello di valutare a quale delle diverse esigenze di tutela occorre assicurare preminenza” (così Cass., sez. III, 1° febbraio 2022, n. 3575). Così impostati i termini della questione, la conclusione pare assumere tinte quasi lapalissiane: se la finalizzazione del sequestro è la sottrazione alla disponibilità dell’indagato dei proventi del reato tributario, allora tale funzione è già efficacemente assolta dall’art. 42 l. fall., sicché non residua alcuna esigenza imprescindibile per rinunciare alla soddisfazione delle legittime istanze del ceto creditorio del fallito, se non quella di assicurare, a scapito di questi ultimi, l’integrale riscossione del debito erariale.

[27] L’espressione è impiegata da Cass., sez. III, 18 marzo 2022, n. 11068.