Trib. Macerata, ord. 28.3.2025, Giud. Manzoni; Trib. di Siena, ord. 18.4.2025, Giud. Grandinetti
1. Oltre a quella del G.I.P. del Tribunale di Pordenone, già pubblicata in questa Rivista, è ora possibile dare conto di almeno altre due ordinanze recenti che sollevano questione di legittimità costituzionale riguardo alla nuova formulazione dell’art. 187 c.d.s., come risultante dopo l’intervento di riforma realizzato con la l. 25 novembre 2025, n. 177.
È ormai ben noto che il legislatore ha eliminato dalla fattispecie contravvenzionale in questione il riferimento esplicito allo stato di alterazione psico-fisica, mirando a renderne superfluo l’accertamento ai fini della punibilità del guidatore, per cui potrebbe quindi bastare una sua previa assunzione qualsiasi di sostanze stupefacenti o psicotrope. L’art. 187 c.d.s. prevede infatti oggi la rilevanza penale della condotta di chi, semplicemente, «guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope».
In questo quadro, si sono peraltro appena inserite delle istruzioni operative del Ministero dell’Interno e del Ministero della Salute (anch’esse pubblicate in questa Rivista) che fanno registrare, di fatto, un’inversione di rotta dell’attuale compagine di maggioranza politica, tentando di realizzare un recupero del requisito dell’alterazione alla guida attraverso una selezione delle metodologie di accertamento da privilegiare. Come si dirà meglio, questo intervento governativo, lungi dall’apparire totalmente risolutivo, va comunque al cuore della questione, perché cerca di farsi carico dell’obiezione principale rivolta alla nuova disciplina, cioè quella di legittimare condanne basate potenzialmente su accertamenti che sono capaci di rilevare anche tracce non recenti di assunzione, minando così la tenuta epistemologica della presunzione di pericolosità della condotta di chi sia colto alla guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti[1]. È evidente che più l’assunzione è risalente nel tempo, in misura corrispondente, tenderà a calare fino, da un certo punto in avanti, a svanire del tutto ogni possibile effetto sulla lucidità alla guida dell’assuntore.
2. Nell’iter che aveva condotto il G.I.P. del Tribunale di Pordenone a rivolgersi alla “Consulta” era stato già il P.M. a stimolare la proposizione della questione di legittimità costituzionale della disciplina di recente introduzione, per contrasto con gli artt. 3, 25, 2° c. e 27, 3° c., Cost.[2]. Nei due casi su cui si concentra il presente commento, i rispettivi P.M. avevano invece chiesto l’emissione di un decreto penale di condanna. Così, in data 28 marzo (quindi già prima del provvedimento del G.I.P. del Tribunale di Pordenone, che risale all’8 aprile) e 18 aprile 2025, i G.I.P. (rispettivamente) dei Tribunali di Macerata e di Siena hanno depositato un’ordinanza di proposizione della questione di costituzionalità sfruttando il potere di provvedere anche d’ufficio, come consentito dall’art. 23 l. 11 marzo 1953, n. 87.
L’impostazione dei provvedimenti in esame è in ampia parte omogenea, ma emergono comunque alcune peculiarità di cui, per quanto selettivamente, è opportuno dare conto, a partire dalla diversa natura dei fatti concreti oggetto di giudizio.
L’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Macerata prende le mosse da un caso in cui il conducente di una moto protagonista di un incidente presentava sintomi tipicamente dell’abuso di alcolici («e non di stupefacenti», precisa il giudice), che hanno poi trovato riscontro, tramite esami ematici, in un tasso alcolemico pari a 2,55 g/l (quindi tale da poter integrare gli estremi della forma più grave di guida in stato di ebbrezza, quella dell’art. 186, 2° c., lett. c., c.d.s.). Nel contesto degli accertamenti svolti presso una struttura sanitaria su richiesta specifica della polizia giudiziaria, tramite analisi dell’urina è risultata pure una positività alla cocaina.
Il G.I.P. del Tribunale di Siena si trovava invece di fronte a un caso in cui non vi era stato alcun incidente. Il guidatore era stato sottoposto a un controllo dopo aver fermato la marcia del proprio autoveicolo in un’area boschiva limitrofa a quella dove stava stazionando personale dei Carabinieri, che ha poi raggiunto il conducente, il quale aveva con se un involucro apparentemente contenente sostanza stupefacente. Alla luce di ciò, era stata attivata una procedura di accertamento urgente presso il più vicino nosocomio, ove era risultata una positività piuttosto netta alla cocaina, sulla base sia di un esame dell’urina che di un esame del sangue; circostanza che, come si dirà, ha impegnato di più il giudice nella motivazione in ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale per la definizione del caso concreto.
3. L’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Macerata è la più asciutta nel motivare in merito ai ravvisati profili di attrito della nuova disciplina con la Carta fondamentale repubblicana. I parametri di legittimità vengono individuati, in maniera essenziale, negli artt. 3 e 25 Cost. Si tratta, in ogni caso, di un provvedimento alimentato da un’argomentazione ficcante e indubbiamente attento agli aspetti fondamentali, a partire da quando mette a nudo i tratti di criticità dell’attuale formulazione normativa sul piano della vaghezza della formulazione. Un esempio volutamente paradossale cerca di gettare luce sulla carenza di determinatezza del criterio temporale ora apparentemente “lasciato solo” a regolare l’area di tipicità dell’art. 187 c.d.s.: persino un’assunzione di stupefacenti avvenuta all’età di 18 – osserva il giudice, precisando che si tratterebbe di una conseguenza verosimilmente non voluta dal legislatore – potrebbe rivelarsi fonte di responsabilità penale quando, all’età di 60 anni, la stessa persona si metterà poi alla guida, perché lo farà, in un certo senso, «dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope». Interessante è poi la considerazione per cui, se anche si partisse dal presupposto di dover restringere di molto l’arco temporale rilevante, in assenza del punto di riferimento in precedenza rappresentato dalla condizione di alterazione, resterebbe in ogni caso il problema di stabilire se la vicinanza tra assunzione e condotta di guida debba essere contenuta, a titolo esemplificativo, in 1, 2, 4, 8 oppure 24 ore.
Sostanzialmente le stesse incertezze si rifletterebbero anche e soprattutto sul piano dell’offensività, perché il rischio è, in definitiva, pur sempre quello di attrarre nell’area della punibilità condotte che non siano insidiose per la sicurezza degli utenti della strada, che verrebbe comunque già tutelata in via anticipata anche se si tornasse a richiedere la prova dell’effettiva alterazione psico-fisica del guidatore. Neppure le supposte difficoltà di accertamento potrebbero giustificare una deroga al principio di offensività, in quanto ritenute infondate (potendosi in realtà ricorrere a esami plausibilmente dirimenti, come quello basato sul sangue, eventualmente corroborati dall’osservazione dei sintomi e dalla raccolta di dichiarazioni di terzi) e comunque inaccettabili metodologicamente.
Con riferimento al «criterio di uguaglianza e ragionevolezza», viene condivisibilmente giudicato «irrazionale» il fatto che il reato di «guida dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti» sia ancora (nonostante già prima l’equiparazione destasse non poche perplessità) sanzionato con la stessa pena principale – ma l’equiparazione va oltre, ad esempio estendendosi all’applicazione della confisca del veicolo – prevista per la guida in stato di ebbrezza “acuta”, cioè quella qualificata da un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l, per cui è però indispensabile la sussistenza di una effettiva condizione di alterazione al momento della guida.
Tra le peculiarità di questa ordinanza vi è un’ulteriore considerazione in tema di ragionevolezza. Un paragone che non pare impertinente viene cioè sviluppato anche con la disciplina della guida senza patente, sanzionata soltanto amministrativamente ex art. 116, c. 15, c.d.s.; la responsabilità penale è riservata alle ipotesi di recidiva nel biennio. Si osserva che tale illecito, il quale sarebbe fondato su una presunzione pregnante di pericolosità per gli utenti della strada, ha mera rilevanza amministrativa, quindi, a fortiori, non sarebbe razionale che l’attuale formulazione del reato dell’art. 187 c.d.s. legittimasse la punibilità (pure) di fatti del tutto innocui per il bene giuridico.
Nell’impostare i dettagli del petitum, un passaggio è dedicato all’individuazione di un tertium comparationis specifico, che pare privilegiato più che altro per la funzionalità sul piano terminologico. La formulazione guardata con favore è quella dell’art. 186-bis c.d.s., dedicato alla disciplina della guida in stato di ebbrezza relativa a guidatori “speciali”, come quelli inesperti o, al contrario, professionali: «È vietato guidare dopo aver assunto bevande alcoliche e sotto l’influenza di queste». La proposta è evidentemente nel senso di mutuare la precisazione che segue la congiunzione «e». Si invoca, in definitiva, una «pronuncia additiva costituzionalmente necessitata», aggiungendo al «criterio temporale» un «criterio di risultato»: l’art. 187 c.d.s. dovrebbe essere dichiarato illegittimo nella parte in cui prevede la punibilità «in assenza di ogni specificazione in ordine al periodo temporale di assunzione ed ai perduranti effetti di tale assunzione al momento della guida».
Avendo appena ripercorso la “spina dorsale” della questione di legittimità costituzionale del giudice “marchigiano”, che nella sostanza può rappresentare una matrice comune (omogenea pure rispetto all’impostazione del provvedimento cronologicamente di poco successivo del Tribunale di Pordenone), si può procedere un po’ più speditamente nell’analisi dell’argomentazione dell’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Siena, nonostante questa si presenti molto sviluppata e curata in ogni sua articolazione. Lo si può notare, ad esempio, dall’inclusione tra i parametri di costituzionalità di quelli degli artt. 13 e 27, 3° c. Cost. Il primo viene considerato funzionale a corroborare il rango costituzionale del principio di offensività, dottamente identificato come «principio dimostrativo»[3], e il secondo viene evocato perlopiù per esplicitare l’idea che un fatto dalla pericolosità esangue non potrebbe proficuamente porsi alla base di alcun percorso rieducativo. Anche con riferimento a questa idea piuttosto consolidata, l’ordinanza sfoggia un’apprezzabile sensibilità nei confronti di autorevole dottrina[4], così come ha “sapore” dottrinale la considerazione (già del G.I.P. del Tribunale di Pordenone) per cui, spogliata di indici di reale offensività, l’incriminazione in esame sembrerebbe recare i tratti di un illecito «d’autore» (il consumatore di stupefacenti), dichiaratamente avvertito come in contrasto con una cultura del «principio penale del fatto», «presupposto indefettibile del principio di offensività».
Viene auspicata una «pronunzia additiva (in bonam partem)», che dovrebbe colpire l’art. 187 c.d.s., come risultante dalla riforma del 2024, «nella parte in cui non prevede la necessità di accertamento in ordine alla ricorrenza di un’effettiva alterazione psico-fisica derivante dall’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope in capo a colui che si ponga alla guida».
4. Come si accennava, dell’ordinanza del giudice “toscano” è interessante il percorso seguito in punto di rilevanza della questione per la definizione del caso sotto giudizio, posto che il risultato di netta positività sia dell’esame dell’urina che di quello ematico rende assai probabile la non decisività dell’eventuale declaratoria di parziale incostituzionalità ai fini della punibilità.
Pur dando conto di una pluralità di sensibilità nei precedenti della Corte costituzionale, ne vengono richiamati alcuni piuttosto recenti con i quali si è stabilito che «ai fini dell’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale è sufficiente che la disposizione censurata sia applicabile nel giudizio a quo e che la pronuncia di accoglimento possa incidere sull’esercizio della funzione giurisdizionale, anche soltanto sotto il profilo del percorso argomentativo che sostiene la decisione del processo principale, senza che occorra la dimostrazione della sua effettiva capacità di influire sull’esito del processo medesimo»[5]. In questa prospettiva, il giudice osserva che l’accoglimento della questione sollevata «imporrebbe l’accertamento di aspetti fattuali […] attualmente obliterati» e, comunque, a seconda dell’esito del giudizio presso la “Consulta”, si tratterebbe – così si legge sempre nell’ordinanza – di emettere o meno il decreto penale di condanna, anche se – sia consentito ribadirlo – chiedendosi una declaratoria di illegittimità parziale e non di ablazione totale, difficilmente l’imputato specifico sembra poter andare incontro a un rovesciamento dell’esito del proprio giudizio in dipendenza dal segno della pronuncia della Corte.
Non aveva invece bisogno di essere “sofisticata” l’argomentazione del G.I.P. del Tribunale di Macerata sulla rilevanza della questione, posto che gli elementi probatori a carico del conducente della moto erano maturati soltanto per effetto di un esame dell’urina, che, nell’ottica di valorizzare il riscontro di una effettiva alterazione al momento della guida, è stato ripetutamente etichettato come inadeguato.
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5. Per quanto un intervento autorevole della “Consulta” sia indubbiamente in grado di produrre effetti più significativi e stabili, è nota la necessità, per il giudice che dubiti della legittimità costituzionale di una previsione normativa, di sviluppare un previo tentativo di interpretazione conforme. In materia, un punto di riferimento che non pare del tutto superato è la sentenza “Zagrebelsky” del 1996, per cui «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali»[6].
Prima della diffusione delle questioni di legittimità in commento, un’interpretazione “correttiva” è sembrata a chi scrive praticabile[7], operando in bonam partem e – non pare così trascurabile – in assenza di una preclusione esplicita del dato testuale, se solo lo si approccia con uno sguardo “statico”. Certo, l’operazione si presenta poco sintonica rispetto agli ulteriori canoni ermeneutici dell’interpretazione sistematica – la disarmonia con la formulazione dell’illecito di guida in stato di ebbrezza resta lampante – e dell’intenzione del legislatore, ma sarebbe quantomeno immediatamente capace, nel frattempo, di “limitare i danni” di una scelta legislativa la cui criticità è stata ora evidentemente compresa, almeno in parte, dallo stesso legislatore, come accennato in apertura.
Per il G.I.P. del Tribunale di Macerata, mentre si può chiedere alla giurisprudenza un’interpretazione chiarificatrice, non le si può chiedere di creare la norma. Il giudice, per un attimo, prende in considerazione l’ipotesi di una lettura che non valorizzi esclusivamente il criterio temporale, in funzione di privilegiare gli effetti degli stupefacenti, ma vede ostacoli insuperabili nel fatto che: l’art. 187 (almeno al 1° c.) c.d.s. non afferma nulla al riguardo; si tratterebbe di introdurre un elemento costitutivo «del tutto estraneo al tenore letterale della norma», che si tradurrebbe in un «arbitrio della giurisprudenza»; si tratterebbe di un’«interpretazione che farebbe riferimento e darebbe rilevanza a elementi costitutivi univocamente espunti dal legislatore dalla formulazione della norma».
Viene forse un po’ sbrigativamente definito «distonico rispetto alla previsione sanzionatoria» il riferimento allo stato di alterazione nel comma 2-bis, che pure avrebbe potuto rappresentare un appiglio testuale capace di illuminare la strada dell’interpretazione conforme[8]: «profilo che però si ritiene mera incongruenza normativa e non tale da poter comportare che il comma 1 si possa/debba intendere come tuttora facente implicito riferimento ad un necessario attuale stato di alterazione dovuto a effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope».
Il G.I.P. del Tribunale di Siena, analogamente, ritiene che l’interpretazione della norma così come voluta dal legislatore non potrebbe essere avversata da letture correttive costituzionalmente conformi perché sarebbero tese a ripristinare l’alterazione, «che il legislatore ha voluto superare ed al cui recupero osterebbe il principio di legalità, inteso nella sua declinazione di riserva di legge»; riserva di legge che era già stata invocata in precedenza nell’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Pordenone, unitamente alla «separazione dei poteri».
6. Una sentenza di legittimità emessa prima che la riforma del 2024 entrasse in vigore, pur avendo già in mente lo scenario attuale (in quanto depositata nel gennaio 2025), ha ribadito l’orientamento della stessa Cassazione per cui, rispetto in particolare a quelli sull’urina, «gli esami ematici hanno un’affidabilità di gran lunga maggiore, rilevando la presenza di sostanze che, al momento dell’accertamento, per il fatto di essere in circolazione nel sangue, sono suscettibili di provocare lo stato di alterazione»[9].
Questa considerazione è sostanzialmente stata posta al centro del recente documento – si è parlato al riguardo di «circolare»[10] – con cui il governo, pur senza delegittimare apertamente la propria scelta a monte (e anzi rilanciando a parole la ratio di contrasto alla guida pericolosa), ha cercato di limitare operativamente le criticità della nuova formulazione dell’art. 187 c.d.s.
Un primo passaggio rilevante è il seguente: «L’elemento caratterizzante la nuova fattispecie, contenuto nella locuzione “dopo aver assunto”, è costituito dallo stretto collegamento tra l’assunzione della sostanza e la guida del veicolo: in luogo del nesso eziologico tra assunzione e alterazione, il nuovo articolo 187 c.d.s. prevede, quale presupposto per la punibilità della condotta, una correlazione temporale tra l’assunzione e la guida, che si concretizza in una perdurante influenza della sostanza stupefacente o psicotropa in grado di esercitare effetti negativi sull’abilità alla guida». Si aggiunge poi: «L’accertamento del reato presuppone, quindi, l’esecuzione di analisi strumentali di tipo tossicologico su campioni di liquidi biologici che siano capaci di circoscrivere l’assunzione in un periodo temporale definito. In altri termini, occorre provare che la sostanza stupefacente o psicotropa sia stata assunta in un periodo di tempo prossimo alla guida del veicolo, tale da far presumere che la sostanza produca ancora i suoi effetti nell’organismo durante la guida. A tal fine, la presenza dei principi attivi delle sostanze stupefacenti o psicotrope deve essere determinata esclusivamente attraverso analisi di campioni ematici o di fluido del cavo orale del conducente, le uniche matrici biologiche nelle quali la presenza di molecole o metaboliti attivi costituisce indice di una persistente attività della sostanza, in grado di influire negativamente sulla guida»[11].
Sempre a livello operativo, un guadagno di fatto sul piano dell’offensività dell’illecito si potrebbe forse ottenere pure per effetto della “sensibilità” dell’accertamento, che potrebbe “pescare a maglie larghe”, pervenendo quindi a risultati di “positività” soltanto a fronte di una presenza delle singole sostanze in questione tale da far ipotizzare un’attualità degli effetti. È una questione relativa ai c.d. valori di cut-off (nella pratica comunque già esistenti), come se si fosse in presenza, di fatto, di soglie analoghe a quelle rappresentate, per la guida in stato di ebbrezza, dai tassi alcolemici di 0,5 (per l’illecito amministrativo) o 0,8 (per l’illecito penale) g/l, i quali, sulla base di razionali generalizzazioni, quantomeno rendono plausibile immaginare una concreta alterazione nel momento specifico in caso di loro superamento[12].
7. Nel concludere questo commento, si può condividere l’opinione per cui, «considerata anche la dubbia natura delle circolari e il loro essere in qualche modo volatili e mutevoli, non adatte di per sé a fare da puntello e garanzia del rispetto dei principi costituzionali», sarebbe allora meglio una presa di posizione chiarificatrice della Corte. Del resto, più in generale, l’interpretazione conforme, proprio in quanto non ancorata strettamente alla legge, ma rimessa in concreto alla (certamente benintenzionata) declinazione dei principi costituzionali che ritenga ciascun giudice di poter sviluppare, rischia di lasciare aperti spazi poi occupati da forme di non trascurabile diseguaglianza sul territorio nazionale. Non solo: a ben vedere, anche di recente, se ne sono viste esemplificazioni piuttosto discutibili, persino ai “piani alti”, quelli della Corte di legittimità. Si pensi a questa massima in materia di preterintenzione, che, nel proporre un’interpretazione asseritamente conforme al principio di colpevolezza, continua in realtà ad accreditare la responsabilità oggettiva, nascosta – ma è una “foglia di fico” – dietro a una colpa in astratto: «In tema di omicidio preterintenzionale, è manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 27, commi 1 e 3, Cost., dell’art. 584 c.p. nell’interpretazione che ravvisa l’elemento soggettivo del reato nel dolo unitario di percosse o di lesioni, in quanto la valutazione relativa alla prevedibilità dell’evento da cui dipende l’esistenza del reato è insita nella stessa norma che lo prevede, la quale reputa assolutamente probabile che da un’azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa»[13].
Nel contesto stradale, la questione pare inquadrata in maniera piuttosto omogenea e ben più condivisibile dai giudici di cui si sono considerate le ordinanze, ma si potrebbe comunque osservare che, a voler essere davvero rigorosi nel rapportarsi con i principi costituzionali pertinenti, nemmeno la positività alle analisi di campioni ematici o di fluido del cavo orale, di per sé, significherebbe aver raggiunto la prova dell’effettiva alterazione, che, idealmente, dovrebbe quindi potersi mettere in discussione in presenza di evidenze in controtendenza rispetto al dato probatorio di carattere tossicologico. Come si può osservare con validità generale, in una prospettiva di sufficiente concretizzazione del canone dell’offensività, i metodi di accertamento, per essere davvero tali, dovrebbero gettare luce sulla sussistenza degli elementi costitutivi di volta in volta in rilievo, senza al contempo – è semplicemente un’altra faccia della stessa medaglia – far calare una nebbia impenetrabile nell’apprezzamento della loro possibile carenza.
Pragmaticamente, non è certo questo il momento di guardare a scenari persino più garantisti dell’assetto pre-riforma del 2024. Tuttavia, in attesa di un auspicabile intervento della Corte costituzionale, si è almeno cercato di fornire qualche punto di riferimento ai giudici che eventualmente ritenessero di cimentarsi fino in fondo con l’interpretazione conforme.
[1] Sulle numerose problematiche dell’accertamento dell’alterazione correlata all’assunzione di stupefacenti, in particolare, A. TRINCI, La guida sotto l’influenza delle sostanze stupefacenti, in S. BALZANI, A. TRINCI (a cura di), Diritto penale della circolazione stradale, Milano, 2021, p. 234 ss.
[2] Per un commento congiunto dei due provvedimenti, M.C. UBIALI, Riforma del codice della strada (l. n. 177/2024) e “guida dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti” punibile a prescindere dallo stato di alterazione psico-fisica del conducente: sollevata questione di legittimità costituzionale, in questa Rivista, 4/2025, p. 127 ss.
[3] Per il ricorso a questa terminologia e per la distinzione tra principi argomentativi (più o meno implementabili e tendenzialmente non in grado di suscitare una declaratoria di incostituzionalità) e dimostrativi (maggiormente in grado di evidenziare una la loro violazione che possa determinare l’incostituzionalità della norma con essi confliggente), si rinvia, specialmente, a M. DONINI, Teoria del reato. Una introduzione, Padova, 1996, p. 27 ss. (p. 27); V. MANES, Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Torino, 2005, p. 4; tra i manuali, esplicitamente, S. CANESTRARI, L. CORNACCHIA, G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale. Parte generale, 2a ed., Bologna, 2017, pp. 100 e 101.
[4] Il virgolettato pare tratto da M. GALLO, I reati di pericolo, in Foro pen., 1969, in particolare p. 8.
[5] Tra gli ultimi precedenti in tal senso, Corte cost., n. 135 del 2024, da cui il virgolettato proposto nel testo è tratto.
[6] Corte cost., n. 356 del 1996, punto 4 del «Considerato in diritto». Per un approfondimento, si rinvia a V. MANES, L’evoluzione del rapporto tra Corte e giudici comuni nell’attuazione del “volto costituzionale” dell’illecito penale e V. NAPOLEONI, L’onere di interpretazione conforme, in V. MANES, V. NAPOLEONI, La legge penale illegittima. Metodo, itinerari e limiti della questione di costituzionalità in materia penale, Torino, 2019, rispettivamente pp. 32 ss. e 49 ss.
[7] Sia consentito il rinvio a M.L. MATTHEUDAKIS, Le fattispecie del codice della strada, in M.L. MATTHEUDAKIS, A. NISCO, Diritto penale delle navigazione e della circolazione stradale, Torino, 2025, p. 205 ss. (delle bozze del volume in corso di pubblicazione).
[8] Tale comma fornisce indicazioni sulle metodologie di prova del reato, prevedendo accertamenti tossicologici analitici su campioni di fluido del cavo orale (c.d. accertamento o test salivare) quando abbiano dato esito “positivo” i rilevamenti qualitativi non invasivi talvolta indicati come pre-test o precursori (di cui al 2° c.) «ovvero quando si ha altrimenti ragionevole motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi sotto l’effetto conseguente all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope». Se si interpreta l’avverbio «altrimenti» come riferito all’emergere, in qualsiasi altro modo, di sintomi dell’effetto di tale sostanze, si ricava un importante indizio sulla centralità dell’alterazione del conducente per la sussistenza del reato. In altre parole, se ciò che giustifica un approfondimento probatorio è l’evidenza degli effetti degli stupefacenti, si potrebbe ben concludere che sia proprio la condizione di alterazione, in generale, a essere oggetto di accertamento; rectius: il consumo nella misura in cui si traduca concretamente in un’alterazione.
[9] Cass. pen., sez. IV, 16 ottobre 2024, n. 2020 (depositata il 17 gennaio 2025, cioè dopo l’entrata in vigore della riforma del 2024, come a esplicitare un monito per il futuro), in DeJure.
[10] G.L. GATTA, Guida “dopo” l’assunzione di stupefacenti (art. 187 c. strad.). Una circolare fa rientrare dalla finestra lo stato di alterazione psico-fisica ed esclude l’accertamento attraverso l’esame delle urine, in questa Rivista, 12 maggio 2025.
[11] In nota, lo stesso documento aggiunge una precisazione al testo sopra riportato (p. 2): «Nel sangue e nella saliva, infatti, la maggior parte delle sostanze stupefacenti è rilevabile solo per alcune ore, a seconda dell’emivita della singola sostanza. In tale periodo, le sostanze rinvenute sono ancora in grado di esercitare il loro effetto».
[12] La rivalutazione garantista di profili quantitativi prospettata nel testo non sembra affatto porsi in contrasto con una presa di posizione della “Consulta” (Corte cost., n. 277 del 2004), che li aveva sì considerati irrilevanti nell’economia del precedente assetto dell’art. 187 c.d.s., ma in una prospettiva altrettanto garantista, nel senso cioè di escludere rilevanza a quegli indici quantitativi (per quanto eventualmente elevati) che non fossero accompagnati dal riscontro ulteriore di uno stato di alterazione.
[13] Cass. pen., sez. V, 3 aprile 2023, n. 36402, in DeJure.