G.u.p. Roma, sent. 19 dicembre 2020 (dep. 17 febbraio 2021), giud. Sturzo
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1. La decisione in esame trae origine da una vicenda di particolare rilevanza mediatica, consistita nell’investimento di due ragazze sedicenni, avvenuto nella notte tra il 18 e il 19 dicembre del 2019 nei pressi del centro urbano di Roma, ad opera dell’imputato, il quale, in stato di ebbrezza alcolica, conduceva la propria autovettura a velocità sostenuta e, effettuando il sorpasso di un’auto fermatasi in prossimità di un attraversamento pedonale, non si avvedeva della presenza sulla carreggiata delle persone offese, così travolgendole e causandone il decesso.
Il g.u.p. del Tribunale di Roma, in sede di giudizio abbreviato, ha pronunciato sentenza di condanna alla pena finale di otto anni di reclusione[1], riconoscendo la sussistenza del reato di omicidio stradale ex art. 589 bis c.p., aggravato dallo stato di alterazione alcolica del conducente, secondo quanto previsto dal quarto comma della disposizione richiamata, oltre alla sussistenza degli illeciti amministrativi di cui agli artt. 142 comma ottavo (per aver l’imputato superato il limite di velocità consentito, pari a 50 km/h) e 173 comma terzo bis (per aver l’imputato fatto uso del telefono cellulare mentre era alla guida del veicolo) del Codice della Strada.
2. Gli aspetti di maggiore criticità legati all’effettiva dinamica fattuale possono essere così riassunti: la ricostruzione della velocità dell’autovettura investitrice; l’effettivo utilizzo del cellulare da parte dell’imputato; l’esatta individuazione del punto d’urto; la ricostruzione della condotta del guidatore e delle vittime negli istanti immediatamente antecedenti e successivi all’urto.
Nonostante le citate difficoltà, il materiale probatorio emerso nel corso delle indagini preliminari ha consentito al g.u.p. di addivenire ad una ricostruzione dei fatti razionalmente credibile, in particolare con riferimento al punto d’urto, da collocarsi sulle strisce pedonali (impegnate dalle persone offese negli ultimi istanti del verde pedonale), e alla sostenuta velocità mantenuta non solo dall’auto dell’imputato, ma da altre due autovetture, con le quali era in atto una gara di sorpassi negli attimi immediatamente antecedenti l’impatto (alta velocità che ha imposto alle persone offese di fermarsi prudentemente nel mezzo della carreggiata, per un tempo sufficiente a far scattare il verde veicolare, in attesa che le sopravvenienti autovetture rallentassero la propria andatura).
3. Oltre all’irrogazione di una pena particolarmente elevata (pari, come anticipato e al netto della diminuente per il rito, ad otto anni di reclusione), la decisione in esame presenta tre profili di interesse interpretativo: la configurabilità dell’attenuante di cui al settimo comma dell’art. 589-bis c.p., che prevede una diminuzione della pena quando l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o omissione del colpevole, in relazione alla condotta di attraversamento pedonale posta in essere dalle persone offese; la sussistenza del reato di omissione di soccorso ex art. 189 comma sesto Codice della Strada, per aver l’imputato, nel caso in esame, arrestato la propria autovettura a circa 200 metri dal punto di collisione con le vittime; infine, l’applicabilità dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., per avere l’assicurazione dell’auto formulato una proposta risarcitoria ai familiari delle vittime.
Occorre preliminarmente dare conto delle considerazioni formulate dal g.u.p. circa la sussistenza della fattispecie base di omicidio colposo stradale ex art. 589-bis c.p.
Prendendo le mosse dalla vigenza del principio di affidamento, il giudice di merito accoglie quel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità volto a riconoscerne un temperamento nell’opposto principio della prevedibilità del comportamento imprudente altrui[2], alla luce della frequente interazione tra utenti stradali caratterizzata da violazioni di regole di prudenza, tali da configurare un rischio tipico, e, per questo motivo, di regola prevedibile[3].
Ciò premesso, se “nulla quaestio” per quanto riguarda la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 589-bis c.p., con riferimento al rimprovero colposo ne sussistono tutti i requisiti.
La violazione di norme cautelari può ben ravvisarsi nell’assunzione di sostanze alcoliche prima di mettersi alla guida, nonché nell’accertata violazione dei limiti di velocità e nei continui sorpassi effettuati dall’imputato nell’imminenza dell’urto, circostanze che hanno di fatto contribuito a ravvisare un coefficiente di colpa di particolare intensità in capo all’imputato, tale da giustificare, unitamente alla considerazione del carattere duplice dell’omicidio commesso, l’elevata pena irrogata.
Ad esito parimenti positivo conduce il giudizio circa l’evitabilità dell’evento lesivo, trattandosi di incrocio ben illuminato e segnalato, tale che una adeguata velocità, unitamente alla lucidità del conducente, avrebbero consentito di avvedersi dell’attraversamento pedonale, come del resto dimostrato dalla condotta dell’autovettura fermatasi in prossimità dell’attraversamento suddetto.
È del pari evidente la sussistenza del requisito della concretizzazione del rischio (avendo le norme sulla circolazione stradale “in primis” la finalità di prevenire condotte lesive dell’integrità fisica di utenti stradali e pedoni), nonché l’impossibile invocazione da parte dell’imputato del principio di affidamento, a fronte della sicura prevedibilità della condotta di imprudente attraversamento pedonale[4] (argomento richiamato dal giudice “ad abundantiam”, dato quanto si dirà nel paragrafo successivo circa la condotta diligente mantenuta dalle persone offese).
3.1. Proprio sulla valutazione circa l’effettiva prevedibilità dell’attraversamento pedonale posto in essere dalle persone offese nel caso in esame si innestano le considerazioni relative al primo profilo di rilievo sopra richiamato, concernente la sussistenza dell’attenuante di cui al settimo comma dell’art. 589 bis c.p., che prevede una diminuzione della pena in caso di concorso colposo della condotta della persona offesa nella realizzazione dell’evento.
Con riferimento alla citata attenuante, giurisprudenza di legittimità costante ne esclude la sussistenza in tutte le ipotesi in cui possa dirsi accertato un “comportamento della vittima perfettamente lecito e completamente estraneo al decorso causale dell’evento colposo”[5].
A fronte del combinato disposto di fonti testimoniali e consulenze in atti, secondo il giudice di prime cure è da ritenersi certo che le persone offese non siano comparse all’improvviso di fronte all’autovettura dell’imputato. Al contrario, le stesse, scese dal marciapiede probabilmente negli ultimi istanti del loro verde pedonale, si sono bloccate nel mezzo della corsia, avendo notato il sopravvenire a grande velocità di tre auto, tra cui quella dell’imputato, che sembravano gareggiare tra loro, in attesa di capire se le stesse si sarebbero fermate.
Per queste ragioni, la condotta delle due vittime non può essere inserita all’interno di un contesto di autonomia causale rispetto all’evento lesivo, secondo quanto richiesto dall’art. 589 bis comma settimo c.p.: il fatto che le vittime siano rimaste bloccate sulle strisce pedonali, per un tempo tale da far scattare il verde veicolare, è infatti conseguenza del sopravvenire ad alta velocità dell’autovettura dell’imputato, che non mostrava alcuna intenzione di fermarsi.
Ne consegue che, nel caso in esame, oltre a non potersi applicare l’attenuante di cui al settimo comma dell’art. 589 bis c.p., non possa essere invocato alcun principio di affidamento nella condotta diligente delle persone offese, trovandosi le stesse sull’attraversamento pedonale ed avendolo impegnato, come accertato, negli ultimi istanti del verde pedonale.
3.2. Il secondo profilo di interesse interpretativo concerne la configurabilità del reato di omissione di soccorso ex art. 189 comma sesto Codice della Strada, contestato all’imputato per aver arrestato il veicolo dopo aver proseguito la marcia per circa 200 metri, rispetto al quale il giudice di primo grado addiviene ad un giudizio di assoluzione per insussistenza del fatto tipico.
L’art. 189 comma sesto prevede un’ipotesi speciale rispetto al reato di omissione di soccorso ex art. 593 c.p.[6], che punisce il soggetto che, in caso di incidente con danno alle persone, non ottemperi all’obbligo di fermarsi.
Malgrado l’astratta configurabilità del suddetto delitto nel caso di specie, il giudice romano ritiene che nel corso del procedimento siano emersi elementi idonei a sostenere che dopo il duplice impatto frontale fossero sorte delle criticità nell’impianto di frenata dell’autovettura, tali da impedire all’imputato di fermare immediatamente il mezzo. Per queste ragioni si ritiene di formulare un giudizio di assoluzione per aver l’imputato compiuto il fatto per forza maggiore.
Interessante notare come il giudice di prime cure recepisca di tale istituto l’impostazione della dottrina tradizionale, che lo qualifica alla stregua di una situazione esterna all’agente tale da determinarlo irresistibilmente ad assumere una condotta attiva o omissiva (secondo il noto brocardo “non agit sed agitur”), prendendo le distanze dall’orientamento avverso che identifica la forza maggiore quale fattore che, alla stregua di un’esimente, preclude l’imputazione colposa della condotta[7]. Sono dunque estranei alla valutazione giudiziale profili relativi alla esigibilità della condotta mantenuta dell’imputato[8], essendo esclusa in radice la stessa tipicità del fatto, per mancanza di “suitas”, ex art. 42 primo comma c.p[9].
3.4. L’ultimo profilo di rilievo riguarda infine l’applicabilità dell’attenuante dell’integrale riparazione del danno ex art. 62 n. 6 c.p., con riferimento alla proposta risarcitoria formulata nel caso di specie dall’assicurazione del veicolo dell’imputato a favore dei familiari delle vittime.
Oltre all’integralità, il profilo maggiormente problematico circa la configurazione dell’attenuante in esame è quello legato alla volontarietà dell’intervento risarcitorio.
Il g.u.p. fa infatti richiamo all’interpretazione giurisprudenziale, relativa al risarcimento posto in essere dalla compagnia assicurativa, volta a disconoscerne l’operatività in ragione dell’impossibilità di ricollegare tale intervento risarcitorio all’operato dell’imputato[10].
Anche l’opposto orientamento interpretativo, che ammette la configurabilità dell’attenuante in favore dell’assicurato in caso di intervento risarcitorio ad opera della compagnia assicurativa, ne circoscrive la portata a due condizioni rigorose: la manifestazione da parte dell’imputato della volontà di farla propria; l’integralità del risarcimento nei confronti di tutte le persone offese[11].
Non potendo ravvisarsi nemmeno tali condizioni specifiche nel caso in esame (essendo stata formulata una singola proposta risarcitoria da parte della compagnia assicuratrice del veicolo), ritiene dunque il giudice di escludere l’applicabilità dell’attenuante.
4. A fronte delle suesposte considerazioni, di fatto e di diritto, il giudice dell’udienza preliminare di Roma dichiara l’imputato penalmente responsabile per il reato di omicidio colposo stradale, aggravato dall’assunzione di sostanze alcoliche, ex art. 589-bis c.p., condannandolo alla pena finale di otto anni di reclusione.
Conformemente all’orientamento interpretativo consolidatosi a seguito dell’entrata in vigore della l. 41/2016, che qualifica le fattispecie di cui agli artt. 589-bis e 590-bis secondo e terzo comma come ipotesi di reato complesso ex art. 84 c.p. rispetto alle fattispecie incriminatrici di guida sotto l’influenza di alcool e guida in stato di ebbrezza ex artt. 186 e 187 Codice della strada[12], il giudice ritiene assorbito nel delitto colposo il reato di guida in stato di ebbrezza aggravato dalla qualifica di neopatentato, ex artt. 186 comma secondo lett. b) e 186-bis comma terzo Codice della strada.
Accertata la velocità superiore ai limiti consentiti e l’indebito utilizzo del cellulare nell’atto della guida, si applicano altresì gli illeciti amministrativi ex artt. 173 comma terzo bis e art. 142 comma ottavo Codice della Strada.
Per contro, le evidenze fattuali impongono di assolvere l’imputato per quanto riguarda il delitto di omesso soccorso stradale ex art. 189 comma nono Codice della Strada, non potendosi ritenere cosciente e volontaria la condotta di proseguimento della marcia dell’autovettura per circa 200 metri successivi al punto d’urto con le vittime.
[1] Trib. di Roma, g.u.p., 19 dicembre 2020, n. 1934.
[2] “Il principio di affidamento, nello specifico campo della circolazione stradale, trova opportuno temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché ritorni nel limite della prevedibilità”, Cass. 6 dicembre 2017, n. 7664, richiamata in Trib. di Roma, cit., p. 11.
[3] In questi termini, Cass. 8 ottobre 2009, n. 46741, in CED 245663.
[4] Cass. 27 aprile 2017 n. 25552, che ha ritenuto ragionevolmente prevedibile la presenza, di sera e in una strada scarsamente illuminata, di persone intente all’attraversamento pedonale, richiamata da Trib. di Roma, cit., p. 11.
[5] Cass. 26 febbraio 2019, n. 13587, richiamata da Trib. di Roma, cit., p. 15.
[6] Più diffusamente sul punto, Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Torino, 2016, I, XVI ed., p. 122.
[7] In questi termini, si veda Marinucci, Il reato come “azione”, Milano, 1971, p. 223; analogamente, Marinucci, Dolcini, Gatta, cit., p. 413.
[8] Con riferimento alla tendenza giurisprudenziale di accostare la forza maggiore al concetto di inesigibilità, in materia di reati tributari, si veda Cass. 13 dicembre 2019, n. 15218, in www.dejure.it.
[9] Trib. di Roma, cit., p. 182.
[10] Cass. 29 febbraio 2019, n. 25326, richiamata da Trib. di Roma, cit., p. 16.
[11] Cass. 22 febbraio 2018, n. 22022, richiamata da Trib. di Roma, cit., p. 16.
[12] Ex plurimis, Cass. 29 maggio 2018 n. 26857 in CED 273730.