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03 Dicembre 2019


Il cambio di rotta delle Sezioni Unite: riconosciuta la legittimazione del curatore a proporre l’istanza di revoca e le impugnazioni in materia cautelare reale

Cass., Sez. Un., 26 settembre 2019 (dep. 13 novembre 2019), n. 45936, Pres. Carcano, rel. Zaza, ric. Fallimento Mantova Petroli s.r.l.



1. Il tema dei rapporti tra misure cautelari reali e procedure concorsuali è stato più volte oggetto – a fronte di un panorama normativo alquanto lacunoso – di incertezze interpretative e successivi contrasti giurisprudenziali. La pronuncia in commento ne costituisce un’ulteriore conferma; più specificamente, le Sezioni Unite sono state chiamate a risolvere il quesito sulla legittimazione del curatore fallimentare «a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale, quando il vincolo penale sia stato disposto prima della dichiarazione di fallimento»[1].

Per una maggiore contestualizzazione della materia, va rilevato che essa viene in rilievo in quelle ipotesi in cui un bene, appartenente al patrimonio di una persona fisica o giuridica, rispetto alla quale intervenga una declaratoria di fallimento (rectius, nel prossimo futuro, liquidazione giudiziale[2]), sia stato anche sottoposto a un vincolo penale e, più specificamente, a un sequestro preventivo. È chiaro che, sullo sfondo della questione, concorrono interessi contrapposti, vale a dire, da un lato, quelli perseguiti dalla procedura concorsuale e, dall’altro, le esigenze proprie della materia cautelare reale.  

 

2. In particolare, nel caso alla base della decisione, era stato disposto un sequestro preventivo, funzionale alla confisca del profitto del reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nei confronti di somme di denaro di una società. In tale contesto, è importante rilevare che, prima dell’imposizione del vincolo penale, era stata presentata domanda di ammissione al concordato preventivo; successivamente, però, era intervenuta la declaratoria di fallimento della società.

Ebbene, avverso il rigetto dell’istanza di revoca del decreto impositivo del vincolo, proposta dalla curatela ex art. 321, comma 3, c.p.p., veniva presentato appello, che, a sua volta, era dichiarato inammissibile, sulla scorta dell’assenza di legittimazione del curatore fallimentare. Contro quest’ultimo provvedimento la difesa ricorreva per cassazione, sulla base di tre motivi, tra cui la censura del diniego a proporre l’impugnazione.

La Terza sezione rimetteva la decisione alle Sezioni Unite, secondo quanto previsto dall’art. 618, comma 1-bis, c.p.p., non condividendo il principio di diritto di un precedente arresto delle medesime[3] e nella prospettiva di un suo superamento[4].

 

3. A ben vedere, infatti, la tematica era già stata affrontata dal massimo Consesso con due pronunce, le quali, tuttavia, erano pervenute a opposte conclusioni. Pertanto, alla luce della complessità del tema e al fine di comprendere l’assunto cui è giunta la sentenza in esame, pare necessario delineare brevemente il quadro giurisprudenziale e legislativo nel quale si è inserita. 

Così, dapprima, una nota pronuncia del 2004, nell’individuare i criteri a cui attenersi circa i rapporti tra misure cautelari reali e procedura fallimentare, aveva sancito che il curatore fosse «sicuramente legittimato» a proporre sia l’istanza di revoca, sia le impugnazioni di cui agli artt. 322, 322-bis e 325 c.p.p.[5]. La soluzione si fondava sulla «funzione istituzionale» di tale organo, rivolta alla «ricostruzione dell’attivo fallimentare» e, pertanto, la proposizione dei rimedi processuali veniva giustificata sulla base della finalità di rimuovere un atto pregiudizievole, nella prospettiva della «reintegrazione del patrimonio»[6].

Sennonché, a distanza di dieci anni, tale principio veniva sconfessato da una successiva sentenza, nella quale le Sezioni Unite escludevano la legittimazione del curatore fallimentare a proporre impugnazione contro il provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca dei beni della società fallita ex art. 19 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231[7]. Si giungeva a tale conclusione alla luce dell’assenza di un diritto reale in capo al curatore fallimentare sui beni del fallito, poiché – si argomentava – la dichiarazione di fallimento trasferisce alla curatela esclusivamente l’amministrazione e la disponibilità degli stessi. Parimenti – secondo l’impostazione della Corte – l’organo non avrebbe potuto esercitare diritti, in qualità di rappresentante dei creditori, che, oltretutto, durante l’intero corso della procedura concorsuale, avrebbero vantato una mera pretesa sui beni del fallito[8]. In aggiunta, i Giudici dubitavano dell’esistenza di un interesse concreto del curatore a esperire i rimedi avverso i provvedimenti cautelari, poiché – si sosteneva – la massa fallimentare non avrebbe subito alcun pregiudizio dagli stessi. Infatti, esclusivamente a chiusura della procedura fallimentare, lo Stato avrebbe potuto far valere «il suo diritto sui beni […], salvaguardando i diritti riconosciuti ai creditori»[9].

La portata di quest’ultimo arresto, limitata alla disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, veniva poi estesa, a opera di alcune pronunce successive, a tutta la materia cautelare reale[10]. Al contempo, tuttavia, l’applicazione pratica del principio di diritto comportava il sorgere di ulteriori e diversi approdi interpretativi.

Sulla scorta di quanto emerso, possono essere, quindi, colte le ragioni alla base dell’ultima tappa del presente discorso.

Di recente, infatti, in questo confuso quadro giurisprudenziale, è intervenuto il legislatore con il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, il cosiddetto Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. In particolare, nel dedicare il Titolo VIII alle relazioni tra «liquidazione giudiziale e misure cautelari penali», è stato espressamente sancito all’art. 320 che «contro il decreto di sequestro e le ordinanze in materia di sequestro il curatore p[ossa] proporre richiesta di riesame e appello nei casi, nei termini e con le modalità previsti dal codice di procedura penale». Parimenti, la stessa previsione legittima l’organo a presentare ricorso per cassazione[11].

Certamente, la novella rappresenta una netta presa di posizione del legislatore, nel segno di un superamento di quanto sancito dalla Suprema Corte nel 2014. Nondimeno, essa entrerà in vigore solo a partire dal 15 agosto 2020[12], onde per cui si comprende la necessità e l’importanza dell’ultimo intervento delle Sezioni Unite, finalizzato a chiarire, nell’attuale cornice normativa, i dubbi esegetici sorti in materia. 

 

4. Ebbene, con la pronuncia in esame, il massimo Collegio ha riconosciuto la legittimazione del curatore fallimentare «a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale».

I Giudici si sono, quindi, per un verso, posti sulla stessa linea di continuità della decisione del 2004, pur sulla base – come meglio si vedrà – di diverse argomentazioni; per un altro verso, hanno fornito un’interpretazione della disciplina vigente tale da uniformarla di fatto alla nuova normativa.

Per pervenire a questa conclusione la Suprema Corte ha anzitutto analizzato la giurisprudenza successiva all’elaborazione delle Sezioni Unite del 2014. Come anticipato, la pronuncia aveva condotto alla formazione di un panorama giurisprudenziale talmente complesso da essere definito dalla stessa Corte «senza dubbio problematico». Sembra quindi utile ripercorrere il ragionamento sotteso a tali pronunce, al fine, oltretutto, di cogliere sia la specifica questione formulata nell’ordinanza di rimessione, sia il principio di diritto, espresso in termini più ampi, del massimo Collegio.

Più specificamente, si potevano ravvisare tre diversi orientamenti.

Il primo si limitava a ribadire quanto affermato dalla decisione della Suprema Corte, escludendo, in generale, la legittimazione della curatela a promuovere i rimedi avverso i provvedimenti cautelari reali[13].

Alcune pronunce, infatti, avevano limitato il campo di applicazione del principio di diritto della Suprema Corte, attraverso una rilevante distinzione tra le ipotesi in cui la dichiarazione di fallimento fosse intervenuta prima del sequestro preventivo e quelle in cui, invece, fosse sopravvenuta[14].

Il punto centrale di tale ragionamento poggiava sulla formulazione degli artt. 322, 322-bis e 325 c.p.p., i quali conferiscono la legittimazione a esperire le relative impugnazioni alla «persona a cui le cose sono state sequestrate». Tale locuzione – si argomentava – sarebbe riferita ai casi di «effettiva disponibilità», corrispondente, secondo l’interpretazione giurisprudenziale, all’«istituto civile del possesso»[15].

Sulla base di quanto rilevato, si escludeva quindi la legittimazione del curatore, qualora il decreto di sequestro preventivo fosse intervenuto prima della dichiarazione di fallimento, poiché, in tale circostanza, «il vincolo penale [avrebbe] assorb[ito] ogni potere fattuale» sui beni sequestrati[16]. Viceversa, nella situazione opposta – vale a dire nel caso in cui la misura cautelare fosse successiva all’apertura della procedura concorsuale – la facoltà di impugnare sarebbe stata ammessa, avendo la curatela l’effettiva disponibilità dei beni[17].

Infine, il terzo orientamento riconosceva in termini più lati la legittimazione della curatela a impugnare. Per la verità, va precisato che le pronunce riconducibili a quest’ultima posizione presentavano declinazioni differenti le une dalle altre; nondimeno, il loro comune denominatore poteva essere rinvenuto nel superamento della distinzione effettuata dal secondo indirizzo.

Così, secondo una sentenza non si sarebbe potuto negare o ammettere a priori la facoltà di impugnazione del curatore fallimentare, ma, ai fini del suo riconoscimento, il giudice avrebbe dovuto effettuare una valutazione in concreto sulla base di un «giudizio di bilanciamento» degli interessi in gioco, tenendo in considerazione anche il principio della prevenzione[18]. Pertanto, declinata in questi termini, la legittimazione sarebbe stata ancorata al concreto interesse ad attivare i rimedi processuali avverso i provvedimenti cautelari reali, sulla base di un accertamento rimesso al giudice.

Un’altra pronuncia, invece, aveva ravvisato la legittimazione dell’organo – valutata, anche in questa ipotesi, in relazione all’intesse a impugnare – in un autonomo e specifico «diritto alla restituzione del bene come effetto del dissequestro»[19]. Sicché, ad esempio, nella fattispecie concreta, questo era stato individuato in una sentenza divenuta irrevocabile, che aveva accolto un’azione revocatoria fallimentare[20].

Da ultimo, un’ulteriore decisione sembrava propendere per una generale apertura alla facoltà della curatela a impugnare, con specifico riferimento al caso in cui i beni fossero stati illegittimamente sottratti alla massa fallimentare. Sulla scorta di un’analisi degli artt. 31, 42 e 88 l. fall., si era argomentato che, in tale situazione, il curatore sarebbe stato l’unico avente diritto alla restituzione dei beni[21].

Per concludere, è interessante, altresì, osservare come la nuova previsione di cui all’art. 320 d.lgs. n. 14 del 2019 non avesse inciso particolarmente sull’interpretazione giurisprudenziale; basti pensare che, quantomeno i primi due orientamenti, avevano rispettivamente rinvenuto nella novella un ulteriore argomento a favore dei loro assunti.

Da una parte, infatti, veniva tratta dalla disciplina la conferma di una generale assenza di legittimazione in capo al curatore fallimentare: la circostanza – si rilevava – che il legislatore avesse considerato necessario prevedere espressamente tale facoltà avrebbe dimostrato, argomentando a contrario, l’insussistenza della legittimazione nella precedente cornice normativa[22].

Dall’altra parte, il secondo indirizzo era pervenuto a una diversa conclusione. Si era sostenuto, in una fattispecie in cui la procedura concorsuale era precedente al sequestro, che il citato art. 320 d.lgs. n. 14 del 2019 avrebbe avallato il riconoscimento della legittimazione a impugnare in capo al curatore[23].

Tutto ciò considerato, merita, infine, precisare che l’orientamento di gran lunga maggioritario era il secondo tra quelli delineati. Pertanto, proprio sulla base di tale assunto, si possono cogliere le ragioni per cui l’ordinanza di rimessione aveva limitato il quesito sulla facoltà del curatore a esperire i rimedi avverso i provvedimenti cautelari all’ipotesi in cui la dichiarazione di fallimento fosse temporalmente successiva alla disposizione del sequestro preventivo. In altri termini, la Terza sezione, nonostante avesse dato conto delle diverse interpretazioni sull’argomento, sembrava ritenere ormai assodata la legittimazione della curatela, qualora la declaratoria di fallimento fosse intervenuta prima dell’adozione della misura cautelare reale. In tale modo, la portata del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite nel 2014 era stata circoscritta al solo caso in cui la procedura concorsuale fosse successiva all’imposizione del vincolo penale[24].

 

5. Se questo era dunque l’articolato assetto giurisprudenziale, le Sezioni Unite hanno fondato la loro conclusione su un percorso argomentativo che si è discostato, non solo dal precedente arresto del 2014, ma anche da ogni altro indirizzo emerso successivamente. In particolare, la Suprema Corte ha condiviso talune argomentazioni espresse dalla Terza sezione nell’ordinanza di rimessione, per poi svilupparne altre e accantonare il secondo orientamento.

Peraltro, prima di affrontare nel merito la questione, i Giudici hanno ritenuto necessario risolvere un’altra tematica, ritenuta pregiudiziale; ci si riferisce all’applicazione del cosiddetto principio di consecuzione tra le procedure fallimentari, invocato nel ricorso.

Si ricordi, infatti, che, nella fattispecie concreta, l’adozione della misura cautelare reale era avvenuta dopo la presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo e prima della declaratoria di fallimento. Ebbene, in forza del delineato principio, sarebbe stato possibile ritenere anticipati gli effetti di quest’ultima al momento della presentazione della domanda di ammissione al concordato. Sulla scorta dell’orientamento maggioritario, la conseguenza sarebbe stata, allora, quella di considerare legittimata la curatela all’impugnazione, poiché il vincolo penale sarebbe stato successivo a un atto equiparato alla dichiarazione di fallimento.  

La Corte, tuttavia, ha escluso l’operatività del citato principio nella materia in esame, in linea con l’interpretazione restrittiva del medesimo, fornita dalla giurisprudenza civilistica[25].

In particolare, i Giudici hanno rilevato che esso troverebbe la sua consacrazione normativa nell’art. 69-bis, comma 2, l. fall., secondo cui i termini previsti per l’individuazione degli atti dispositivi soggetti ad azione revocatoria decorrono dalla pubblicazione della domanda di concordato preventivo nel registro delle imprese, qualora essa sia seguita dalla dichiarazione di fallimento[26]. Pertanto, alla luce della portata circoscritta di tale previsione, per le Sezioni Unite non vi sarebbero ragioni per estendere gli effetti del principio ivi sotteso al di là del suo campo di applicazione.

Risolta la questione, il massimo Collegio ha, quindi, improntato il suo discorso a partire dalla disciplina che verrebbe in rilievo nella materia in esame, vale a dire gli artt. 322, 322-bis e 325 c.p.p. Come noto, le disposizioni individuano, tra i soggetti legittimati a proporre l’impugnazione, non solo «la persona alla quale le cose sono state sequestrate», ma anche «quella che avrebbe diritto alla loro restituzione».

Le due espressioni – hanno continuato i Giudici – si riferirebbero a «soggetti diversi e non coincidenti»; difatti, la prima categoria verrebbe individuata in ragione di «una circostanza di fatto», mentre la seconda sulla base di un rapporto di fatto tra una persona e un bene, purché tutelata dall’ordinamento. In altre parole, quest’ultima situazione sarebbe ravvisabile qualora un soggetto abbia una «disponibilità autonoma e giuridicamente tutelata» di un bene.

Chiarita, dunque, questa premessa esegetica, la Corte ha affermato che la qualifica del curatore fallimentare sarebbe riconducibile alla seconda fattispecie e, in particolare, alla posizione della persona avente diritto alla restituzione dei beni sequestrati: tra la curatela e i beni del fallimento vi sarebbe, infatti, un rapporto di fatto giuridicamente tutelato.

Più specificamente, nell’ottica delle Sezioni Unite, tale assunto troverebbe fondamento sulla base di due principali argomenti, il primo normativo, il secondo giurisprudenziale.

Anzitutto, verrebbe in rilievo l’art. 42, comma 1, l. fall., secondo cui «la sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento». Da questa disposizione, emergerebbe chiaramente che, a partire dall’apertura della procedura concorsuale, la disponibilità dei beni passerebbe dal fallito alla curatela, la quale avrebbe la specifica funzione di amministrare la massa fallimentare, al fine di assicurarne la conservazione e tutelare, così, gli interessi dei creditori. Proprio in questa prospettiva – ha quindi specificato la Corte – l’art. 43 l. fall. conferisce al curatore fallimentare la rappresentanza in giudizio dei rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento.

In secondo luogo, e a conferma di quanto appena espresso, la Suprema Corte ha rilevato come la stessa giurisprudenza civilistica individui nel rapporto tra curatela e beni del fallimento una detenzione qualificata.

Ciò considerato, la Corte ha, quindi, tratto la conclusione secondo cui sussisterebbe sempre la facoltà del curatore di proporre l’istanza di revoca ed esperire i mezzi di impugnazione ai sensi degli artt. 322, 322-bis e 325 c.p.p.

Ma vi è di più. A questo punto, le Sezioni Unite hanno affrontato un altro importante profilo, vale a dire la sussistenza di un concreto interesse della curatela a impugnare, che – si ricordi – era stata posta in termini assai dubitativi da parte del precedente arresto del 2014.

Ebbene, se la funzione del curatore è quella di tutelare la massa fallimentare, allora – secondo il ragionamento dei Giudici – non vi sarebbero ragioni per escludere l’attualità dell’interesse a esperire i rimedi avverso i provvedimenti cautelari, in vista della rimozione di vincoli «comunque potenzialmente incidenti sulla valutazione della consistenza patrimoniale dell’attivo». In altri termini, anche con riferimento a questo secondo profilo, la Corte ha affermato la permanenza di un interesse della curatela ad attivarsi avverso la cautela reale.

Per concludere, le Sezioni Unite hanno avuto cura di esplicitare un ultimo aspetto, che forse già emergeva tra le righe della pronuncia. Evidentemente, la precisazione è stata ritenuta necessaria al fine di fugare ogni dubbio sul punto.

La Corte ha messo in chiaro che quanto affermato avrebbe l’effetto di ritenere privo di fondamento il criterio discretivo, fornito dal secondo indirizzo e basato sull’anteriorità o meno della declaratoria di fallimento rispetto all’imposizione di un sequestro preventivo. In altri termini, la legittimazione del curatore sussisterebbe a prescindere dal dato temporale di apertura della procedura concorsuale.

A maggiore sostegno dell’assunto, i Giudici hanno, ancora una volta, richiamato la disciplina di cui all’art. 42 l. fall., la quale attribuisce alla curatela la disponibilità di tutti i beni del fallito esistenti alla data del fallimento, inclusi, quindi, quelli già sottoposti anteriormente a sequestro. Pertanto – hanno affermato i Giudici – pure in quest’ultima situazione, il curatore ben potrebbe attivarsi per tutelare gli interessi della procedura fallimentare.

 

6. In conclusione, la soluzione adottata dalle Sezioni Unite sembra certamente condivisibile, in quanto ritenuta più aderente al dato normativo, tenuto conto sia della disciplina fallimentare, sia di quella del giudizio cautelare reale. Invero, pare apprezzabile l’impostazione fatta propria dalla Corte di partire dagli artt. 322, 322-bis e 325 c.p.p., e, in particolare, dall’interpretazione letterale della qualifica di “persona avente diritto alla restituzione”, distinguendola da “quella a cui le cose sono state sequestrate”. Risolta questa premessa, si è potuto così riconoscere, con un ragionamento lineare e alla luce della funzione istituzionale della curatela, una sua legittimazione generale a opporsi al sequestro preventivo.

Inoltre, l’abbandono dell’impostazione dell’arresto del 2014, nonché il discostamento dai successivi arresti giurisprudenziali, sembra più rispettosa delle esigenze di difesa della massa fallimentare, a fronte di vincoli penali pregiudizievoli per la medesima.

Pare, infatti, che negare la sussistenza di una legittimazione ad attivare i rimedi in materia cautelare potrebbe avere come conseguenza la sostanziale impossibilità di far valere un’ingiustificata compressione o lesione dei diritti dei creditori concorsuali.

A ben vedere, come messo in luce dalla dottrina[27] e da una parte della giurisprudenza[28], tale impostazione inciderebbe sulla tutela effettiva delle pretese creditorie, rispetto a una misura cautelare emessa in assenza dei presupposti applicativi o in difetto delle condizioni formali dell’atto impositivo.

Invero, la giurisprudenza – anche se in modo non del tutto pacifico – sembra escludere, nella fattispecie in esame, una legittimazione a impugnare in capo all’indagato o all’imputato[29]. Se così è, precludere pure alla curatela la facoltà di opporsi al sequestro preventivo, condurrebbe alla conseguenza secondo cui nessun soggetto potrebbe far valere eventuali vizi del provvedimento di sequestro.

Ad ogni modo, anche se si riconoscesse una legittimazione dell’imputato ad attivarsi, i termini della questione non sembrerebbero mutare[30]. In linea con quanto rilevato dalla dottrina, difficilmente, infatti, sarebbe ravvisabile in capo al medesimo un reale interesse, considerato che – come, del resto, le stesse Sezioni Unite hanno ribadito – i beni sarebbero, in ogni caso, restituiti al curatore[31].

Per concludere, non si può che salutare con favore l’assunto delle Sezioni Unite, nella prospettiva della futura entrata in vigore dell’art. 320 d.lgs. n. 14 del 2019. Si è già detto che tale disposizione configura un chiara inversione rispetto al precedente arresto della Suprema Corte del 2014, sicché sembra apprezzabile, a fronte delle numerose interpretazioni sorte sul tema, l’allineamento dell’attuale assetto normativo alla nuova disciplina[32].

Il tutto sembra condurre a una ricostruzione unitaria della complessa materia, che pare tenere in debito conto il carattere interdisciplinare della medesima.

 

[1] Cfr. Cass., Sez. III, ord. 16 aprile 2019, n. 22602, in Dir. pen. cont., 2 luglio 2019, con nota di F. Mazzacuva, La Cassazione torna sul rapporto tra sequestri/confische e procedure concorsuali: rimessa alle Sezioni Unite la vexata quaestio della legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare i provvedimenti cautelari reali. In merito, si veda anche B. Romanelli, La legittimazione del curatore all’impugnazione del sequestro preventivo: la parola torna alle Sezioni Unite, in Il fallimentarista, 31 luglio 2019.

[2] Secondo quanto previsto dall’art. 349 d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14.

[3] Ci si riferisce a Cass., Sez. Un., 25 settembre 2014, n. 11170, in CED. Cass., n. 263685, sulla quale v., tra i molti commenti, M. Bontempelli, Sequestro preventivo a carico della società fallita, tutela dei creditori di buona fede e prerogative del curatore, in Arch. pen., 2015, n. 3 (versione web); P. Di Geronimo, La confisca del profitto del reato, tra responsabilità da reato delle società ed esigenze di garantire il soddisfacimento dei creditori nella procedura fallimentare: pregi e limiti della soluzione prospettata dalle Sezioni Unite, in Cass. pen., 2015, p. 3031; M. Riverditi, Le Sezioni Unite individuano il punto di equilibrio tra confisca ex d.lgs. 231 e vincolo imposto dal fallimento sui beni del fallito, in Dir. pen. cont., 3 aprile 2015; E. Romano, Confisca e tutela dei terzi: tra buona fede e colpevole affidamento, in Cass. pen., 2016, p. 2894.

[4] V. Cass., Sez. III, ord. 16 aprile 2019, n. 22602, cit.

[5] V. Cass., Sez. Un., 24 maggio 2004, n. 29951, in CED. Cass., n. 228164. In merito, cfr. F.M. Iacoviello, Fallimento e sequestri penali, in Fall., 2005, p. 1265; V. Pacileo, Sui rapporti tra procedimento penale e procedura fallimentare, in Cass. pen., 2005, p. 2437. 

[6] Cfr. Cass., Sez. Un., 24 maggio 2004, n. 29951, cit.

[7] V. Cass., Sez. Un., 25 settembre 2014, n. 11170, cit.

[8] Cfr. Cass., Sez. Un., 25 settembre 2014, n. 11170, cit.

[9] V. Cass., Sez. Un., 25 settembre 2014, n. 11170, cit.

[10] V., ad esempio, Cass., Sez. III, 1° marzo 2016, n. 23388, in CED. Cass., n. 267346.

[11] In argomento, cfr. M. Bontempelli-R. Paese, La tutela dei creditori di fronte al sequestro e alla confisca. Dalla giurisprudenza “Focarelli” e “Uniland” al nuovo codice della crisi d’impresa, in Dir. pen. cont., fasc. 2/2019, p. 136 e ss.; P. Filippi, Il curatore è legittimato ad impugnare il decreto di sequestro penale, in www.giustiziaisieme.it, 5 maggio 2019; L. Milani, I rapporti tra sequestri e procedure concorsuali, in Dir. pen. proc., 2019, pp. 1348-1349. In termini più generali, sulla nuova disciplina riguardante il rapporto tra misure cautelari reali e procedure concorsuali, v. E. Mezzetti, Codice antimafia e codice della crisi e dell’insolvenza: la regolazione del traffico delle precedenze in cui la spunta sempre la confisca, in Arch. pen., 2019, n. 1 (versione web); A. Rugani, I rapporti tra misure cautelari reali e procedure concorsuali nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d. lgs. 12 gennaio 2019 n. 14), in www.legislazionepenale.eu, 6 maggio 2019.

[12] Così dispone l’art. 389 d.lgs. n. 14 del 2019.

[13] Cfr. Cass., Sez. III, 1° marzo 2016, n. 23388, cit.

[14] V., tra le molte pronunce, Cass., Sez. II, 16 aprile 2019, n. 27262, in CED. Cass., n. 276284; Cass., Sez. III, 29 maggio 2018, n. 45574, in CED. Cass., n. 273951; Cass., Sez. III, 16 maggio 2017, n. 28090, in DeJure; Cass., Sez. III, 12 luglio 2016, n. 42469, in CED. Cass., n. 268015.

[15] V. Cass., Sez. III, 12 luglio 2016, n. 42469, cit.

[16] In questi termini, Cass., Sez. III, 12 luglio 2016, n. 42469, cit.

[17] V., ancora, Cass., Sez. III, 12 luglio 2016, n. 42469, cit.  

[18] Così, Cass., Sez. III, 7 marzo 2017, n. 37439, in DeJure. Per un commento alla medesima, si veda F. Tetto, Sequestri penali, confische e fallimento, in Fall., 2018, p. 187 e ss.

[19] Cfr. Cass., Sez. III, 24 settembre 2018, n. 47737, in CED. Cass., n. 275438.

[20] V. Cass., Sez. III, 24 settembre 2018, n. 47737, cit.

[21] Cfr. Cass., Sez. III, 6 giugno 2018, n. 54478, in DeJure. In termini meno netti, in quanto riferita a un’ipotesi in cui il sequestro preventivo era stato disposto successivamente alla dichiarazione di fallimento, v. Cass., Sez. III, 17 dicembre 2018, n. 17749, in CED. Cass., n. 275453.

[22] Cfr. Cass., Sez. II, 16 aprile 2019, n. 27262, cit.

[23] V. Cass., Sez. VI, 13 febbraio 2019, n. 37638, in DeJure.

[24] In particolare, quanto rilevato sembra emergere dal ragionamento dell’ordinanza di rimessione: cfr. Cass., Sez. III, ord. 16 aprile 2019, n. 22602, cit.

[25] Cfr., in particolare, Cass., Sez. I, 14 marzo 2016, n. 5924, in CED. Cass., n. 639058; Cass., Sez. I, 17 febbraio 2012, n. 2335, in CED. Cass., n. 621348.

[26] La pronuncia in esame richiama Cass., Sez. I, 11 giugno 2019, n. 15724, in CED. Cass., n. 654456; Cass., Sez. I, 14 dicembre 2016, n. 25728, in CED. Cass., n. 642756.

[27] Cfr. P. Di Geronimo, La confisca del profitto del reato, cit., p. 3049; P. Filippi, Il curatore è legittimato, cit.; D. Pagani, La legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare il provvedimento di sequestro, in Arch. pen., 2017, n. 1 (versione web), p. 17. 

[28] V. Cass., Sez. VI, 13 febbraio 2019, n. 37638, cit. La problematica emerge pure in Cass., Sez. II, 16 aprile 2019, n. 27262, cit., nonché nella stessa ordinanza di rimessione: v. Cass., Sez. III, ord. 16 aprile 2019, n. 22602, cit.

[29] V. Cass., Sez. III, 24 settembre 2018, n. 47737, cit. Contra, cfr. Cass., Sez. III, 17 dicembre 2018, n. 17749, cit.

[30] Cfr. le considerazioni di P. Di Geronimo, La confisca del profitto del reato, cit., pp. 3048-3049.

[31] Si veda, ancora, P. Di Geronimo, La confisca del profitto del reato, cit., p. 3049.

[32] Cfr., peraltro, P. Filippi, Il curatore è legittimato, cit., secondo la quale la previsione ex art. 320 d.lgs. n. 14 del 2019 avrebbe «natura squisitamente interpretativa», con la conseguenza che sarebbe, allo stato attuale, già applicabile.