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  Scheda  
30 Marzo 2021


La Corte di giustizia delinea i rapporti fra la direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali e la decisione quadro relativa al mandato di arresto europeo

CGUE, sent. 28 gennaio 2021, IR, C-649/19



1. La sentenza della Corte di giustizia, 28 gennaio 2021, IR, C-649/19 (con l’intervento di Spetsializirana prokuratura: Procura specializzata, Bulgaria) affronta per la prima volta la problematica dei rapporti fra la direttiva 2012/13/UE, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali[1], e la decisione quadro relativa al m.a.e.: a entrare in gioco, come si vedrà, non sono le previsioni della direttiva che si rivolgono specificamente al procedimento di esecuzione del m.a.e., bensì i dubbi espressi dal giudice del rinvio sulla estensione di altri disposti della medesima direttiva alla persona destinataria dell’euromandato.

Ecco le circostanze di fatto che hanno indotto il Tribunale speciale per i procedimenti penali (Bulgaria) a rivolgersi in via pregiudiziale ai giudici di Lussemburgo. La Spetsializirana prokuratura aveva avviato un procedimento penale nei riguardi di IR, accusato di partecipazione a un’organizzazione criminale finalizzata alla commissione di reati tributari: durante la fase preliminare di tale procedimento, IR, che aveva nominato due avvocati di sua scelta, era stato informato «soltanto di taluni dei suoi diritti in qualità di imputato»[2]. Nel momento di avvio della fase del giudizio, il 24 febbraio 2017, IR aveva lasciato il proprio domicilio, rendendosi irreperibile: avendo i due avvocati dichiarato di non rappresentarlo più, gli era stato nominato di ufficio un nuovo avvocato. Con ordinanza del 10 aprile 2017 (confermata in appello il successivo 19 aprile), il giudice del rinvio aveva adottato nei confronti di IR – il quale non aveva partecipato al procedimento ed era stato difeso dal legale nominato di ufficio – una misura di custodia cautelare (cioè il mandato di arresto nazionale). Infine, il 25 maggio 2017 era stato emesso un m.a.e., dato che IR non era stato ancora rintracciato, e l’avvocato nominato di ufficio sostituito con un altro, anch’egli nominato di ufficio[3].

A questo punto, però, il giudice del rinvio, dubitando che il m.a.e. fosse conforme al diritto dell’Unione, «in quanto taluni diritti» che IR «poteva pretendere in forza del diritto bulgaro non erano stati portati a sua conoscenza», lo ha annullato[4]. Intendendo emettere un nuovo m.a.e., il predetto giudice mirava a ottenere dalla Corte di giustizia «precisazioni sulle informazioni da allegare a tale mandato, al fine di garantire il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 2012/13»[5]. Sono quattro gli aspetti che non convincevano il giudice del rinvio: innanzitutto, a suo parere non risulta in modo chiaro dalla direttiva se gli artt. 4, 6 § 2 e 7 § 1 di quest’ultima possano venire applicati a una persona arrestata nel territorio di un altro Stato membro in base a un m.a.e.[6]. In secondo luogo, qualora si ritenesse che la persona arrestata nello Stato membro di esecuzione «debba disporre di tutti i diritti di cui avrebbe beneficiato se fosse stata arrestata nel territorio dello Stato membro emittente», il giudice del rinvio si domandava se il contenuto del m.a.e. (art. 8 decisione quadro) potesse venire modificato, per indicarvi, in conformità all’art. 4 § 3 direttiva, i mezzi di ricorso contro i mandati di arresto emessi da tale giudice[7]; in terzo luogo, se si dovesse concludere che le informazioni contenute nel modello di m.a.e. allegato alla decisione quadro non possano essere integrate, il giudice del rinvio si interrogava sui possibili altri mezzi che consentirebbero di garantire a IR «l’esercizio reale ed effettivo» dei diritti dei quali dispone in virtù della direttiva, immediatamente dopo essere stato arrestato nello Stato membro di esecuzione in seguito al m.a.e. (uno di tali mezzi potrebbe consistere per l’appunto nell’applicazione degli artt. 4 § 3, 6 § 2 e 7 § 1 della direttiva medesima)[8]. Infine, e in quarto luogo, ove si reputasse che il giudice che ha emesso il m.a.e. abbia la possibilità – ma non l’obbligo – di integrarne il contenuto o di informare la persona dei propri diritti dopo l’arresto, il giudice del rinvio affermava che si pone «la questione della validità della decisione quadro», che non garantirebbe «un effettivo esercizio dei diritti di cui dovrebbe disporre la persona arrestata in forza della direttiva 2012/13 nonché degli artt. 6 e 47 della Carta»[9].

 

Di conseguenza, il Tribunale speciale per i procedimenti penali (Bulgaria) ha sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali[10]: 1) se i diritti dell’imputato previsti dagli artt. 4 (in particolare dal suo § 3), 6 § 2 e 7 § 1 direttiva 2012/13/UE «si applichino all’imputato arrestato in forza di un mandato d’arresto europeo»; 2) in caso affermativo, se l’art. 8 decisione quadro sul m.a.e. debba essere interpretato «nel senso che consente una modifica del contenuto» del m.a.e. rispetto al modello allegato, «in particolare, l’inserimento all’interno di detto modello di un nuovo testo concernente i diritti riconosciuti alla persona ricercata nei confronti delle autorità giudiziarie dello Stato membro emittente di impugnare il mandato d’arresto nazionale e il mandato d’arresto europeo»; 3) in caso di risposta negativa alla seconda questione, se l’emissione di un m.a.e. nel pieno rispetto del modello allegato alla decisione quadro (quindi privo delle informazioni al ricercato circa i suoi diritti dinanzi all’autorità giudiziaria emittente) sia compatibile con il considerando n. 12 e con l’art. 1 § 3 decisione quadro, con gli artt. 4, 6 e 7 direttiva e con gli artt. 6 e 47 c.d.f.u.e., laddove «l’autorità giudiziaria emittente, non appena venga a conoscenza dell’arresto della persona, la informi immediatamente dei diritti a lei spettanti e le invii i relativi documenti»; 4) se la decisione quadro sul m.a.e. sia «valida ove non sussista alcun altro mezzo giuridico per garantire i diritti riconosciuti a una persona arrestata» sulla base di un m.a.e. a norma degli artt. 4 (in particolare del suo § 3), 6 § 2 e 7 § 1 direttiva.

 

2. La Corte di giustizia, dopo avere chiarito la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale[11], ha risposto in senso negativo[12] alla prima questione, riguardante l’applicabilità dei diritti contemplati negli artt. 4 (in specie il suo § 3), 6 § 2 e 7 § 1 direttiva 2012/13/UE alle persone arrestate al fine di eseguire un m.a.e., fondandosi sia sulla lettera delle disposizioni richiamate sia sul contesto e sullo scopo della direttiva in cui esse sono inserite.

Effettuata un’analisi letterale dell’art. 4, relativo alla «Comunicazione dei diritti al momento dell’arresto» (il § 3 precisa che tale comunicazione «contiene anche informazioni su qualsiasi possibilità prevista dal diritto nazionale di contestare la legittimità dell’arresto, ottenere un riesame della detenzione o presentare una domanda di libertà provvisoria»), dell’art. 6 § 2 (ai sensi del quale gli Stati membri «assicurano che le persone indagate o imputate, che siano arrestate o detenute, siano informate dei motivi del loro arresto o della loro detenzione, e anche del reato per il quale sono indagate o imputate») e dell’art. 7 § 1 (ove si prevede che, quando «una persona sia arrestata e detenuta in una qualunque fase del procedimento penale, gli Stati membri provvedono affinché i documenti relativi al caso specifico, in possesso delle autorità competenti, che sono essenziali per impugnare effettivamente, conformemente al diritto nazionale, la legittimità dell’arresto o della detenzione, siano messi a disposizione delle persone arrestate o dei loro avvocati»), la Corte ha constatato che una simile analisi non consente, «di per sé, di determinare se le persone arrestate ai fini dell’esecuzione» di un m.a.e. «rientrino tra le persone indagate o imputate che siano arrestate o detenute ai sensi della direttiva 2012/13 e alle quali sono applicabili i diritti»[13] previsti dalle disposizioni de quibus. Per sciogliere l’ambiguità non restava dunque altra via che verificare il contesto di tali disposizioni e l’obiettivo perseguito dalla direttiva.

Dal primo angolo visuale, i giudici di Lussemburgo non hanno incontrato particolari difficoltà. In primis, è semplice rilevare che l’art. 5 direttiva 2012/13/UE è espressamente dedicato alla «Comunicazione dei diritti nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo»: da un lato (§ 1), gli Stati membri «assicurano che a chiunque sia arrestato», ai fini dell’esecuzione di un m.a.e., «venga fornita tempestivamente un’idonea comunicazione contenente informazioni sui suoi diritti, ai sensi del diritto che attua la decisione quadro 2002/584/GAI nello Stato membro di esecuzione»; dall’altro (§ 2), un modello indicativo di tale comunicazione, «redatta in linguaggio semplice e accessibile», è contenuto nell’allegato II della direttiva. L’art. 5 va poi letto in collegamento con il considerando n. 39 della stessa direttiva, secondo cui il diritto «all’informazione scritta sui diritti al momento dell’arresto» dovrebbe «applicarsi anche, mutatis mutandis, alle persone arrestate in esecuzione di un mandato di arresto europeo», in quanto – osserva la Corte di giustizia – il considerando rinvia al solo modello indicativo previsto nell’allegato II, che mira ad assistere gli Stati membri nell’elaborare una comunicazione dei diritti per tali persone[14].

Non c’è dubbio che il modello di comunicazione contenuto nell’allegato II si distingua da quello contenuto nell’allegato I, riservato alla comunicazione dei diritti destinata alle persone indagate o imputate, che siano arrestate o detenute. Infatti, questi modelli – pur entrambi meramente indicativi, nel senso che gli Stati membri possono modificarli in modo da meglio adeguarli alla propria normativa interna e arricchirli di altre informazioni – «contengono una sola rubrica identica, ossia quella relativa all’assistenza di un avvocato», mentre le altre, come emerge «dal loro titolo o dal loro contenuto»[15], sono diversificate in ragione dei differenti destinatari. Insomma, in linea con quanto affermato dall’avvocato generale nelle sue conclusioni[16], nessuna disposizione della direttiva prevede che le persone arrestate sul fondamento di un m.a.e. «debbano ricevere una comunicazione scritta che cumuli le informazioni contenute nei due modelli indicativi»[17]. Ne deriva che le disposizioni della direttiva richiamate dal giudice del rinvio, riferite a persone indagate o imputate che siano arrestate o detenute, non riguardano le persone arrestate in esecuzione di un m.a.e.

A conforto, la Corte di giustizia ha addotto il considerando n. 21 della direttiva, dove si fa riferimento all’art. 5 § 1 lett. c c.e.d.u.[18], e ha rammentato, conformemente alle conclusioni dell’avvocato generale[19], che quest’ultima disposizione riguarda la situazione in cui un individuo «è stato arrestato o detenuto per essere tradotto dinanzi all’autorità giudiziaria competente quando vi sono ragioni plausibili per sospettare che egli abbia commesso un reato o ci sono motivi fondati per ritenere necessario di impedirgli di commettere un reato o di fuggire dopo averlo commesso»: si differenzia, pertanto, dalla situazione considerata all’art. 5 § 1 lett. f c.e.d.u., cioè l’arresto o la detenzione regolari di una persona «per impedirle di penetrare irregolarmente nel territorio, o contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione», evenienza, quest’ultima, che corrisponde al meccanismo del m.a.e.[20].

La risposta negativa alla prima questione pregiudiziale è confermata, a parere della Corte, pure dagli obiettivi che la direttiva 2012/13/UE persegue. L’art. 1 dell’atto europeo, nell’enunciarne l’oggetto, distingue i diritti delle persone indagate o imputate da quelli delle persone soggette a un m.a.e.: dal combinato disposto dell’art. 1 con i considerando n. 14, n. 27 e n. 39 della direttiva emerge che quest’ultima «ha lo scopo di stabilire norme minime da applicare in materia di informazione delle persone indagate o imputate per un reato, al fine di consentire loro di preparare la propria difesa e di garantire l’equità del procedimento», ma «mira altresì a preservare le peculiarità del procedimento relativo al mandato d’arresto europeo»[21]. A quest’ultimo proposito, la Corte ricorda, rinviando alla sua più recente giurisprudenza[22], che la decisione quadro sul m.a.e. tende «a facilitare e ad accelerare la cooperazione giudiziaria allo scopo di contribuire a realizzare l’obiettivo» dell’Unione europea di «diventare uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia fondandosi sull’elevato livello di fiducia che deve esistere tra gli Stati membri»[23] e rimarca come la direttiva 2012/13/UE, con il suo art. 5, dedicato al procedimento di esecuzione del m.a.e., contribuisca «efficacemente» all’obiettivo di «semplificazione e rapidità del procedimento»[24]. D’altro canto, sulla falsariga delle conclusioni dell’avvocato generale[25], la Corte sottolinea che, una volta effettuata la consegna alle autorità dello Stato membro emittente, la persona destinataria di un m.a.e. emesso ai fini dell’esercizio dell’azione penale acquisisce la qualità di imputato ai sensi della direttiva in discorso e viene dunque a beneficiare di tutti i diritti connessi a tale qualità, compresi quelli previsti dagli artt. 4, 6 e 7 della medesima direttiva, venendo messa in grado di «preparare la sua difesa e vedersi garantita l’equità del procedimento, conformemente agli obiettivi»[26] dell’atto europeo.

 

3. Poiché la risposta negativa alla prima questione pregiudiziale rende non necessario occuparsi della seconda questione[27], la Corte passa a esaminare congiuntamente la terza e la quarta questione, certo più interessanti e delicate, ponendosi sul tappeto addirittura la validità della decisione quadro sul m.a.e. alla luce tanto della direttiva 2013/12/UE quanto degli artt. 6 e 47 c.d.f.u.e., «nella parte in cui tale decisione quadro prevede che le informazioni comunicate alle persone arrestate ai fini dell’esecuzione» di un m.a.e. siano limitate a quelle presenti nel suo art. 8 § 1 «e contenute nel modulo allegato alla stessa nonché nel modello dell’allegato II» della direttiva[28].

Sgombrato il campo dalla necessità di esaminare la validità della decisione quadro sul m.a.e. sulla scorta delle disposizioni della direttiva, posto che tanto la decisione quadro quanto la direttiva sono atti di diritto derivato, la decisione quadro «non è stata adottata in applicazione della direttiva 2012/13, la quale, peraltro, è successiva ad essa», e «non è espressamente previsto che uno di questi due atti prevarrebbe sull’altro»[29], l’attenzione viene rivolta agli artt. 6 e 47 c.d.f.u.e.

Da questo punto di vista, il giudice del rinvio domandava se, qualora non fossero applicabili alle persone arrestate in base a un m.a.e. i diritti previsti dagli artt. 4, 6 § 2 e 7 § 1 direttiva 2012/13/UE, diverrebbe «impossibile o eccessivamente difficile per dette persone contestare i mandati d’arresto nazionale ed europeo emessi nei loro confronti»[30]. Adducendo a sostegno la pronuncia della Corte di giustizia nei casi OG e OP[31], dalla quale emergerebbe che la decisione di emettere un m.a.e. deve poter formare oggetto, nello Stato membro emittente, di un ricorso giurisdizionale che soddisfi pienamente i requisiti inerenti a una tutela giurisdizionale effettiva, il giudice del rinvio riteneva che l’interessato, per poter effettivamente beneficiare dei diritti conferitigli dalla direttiva 2012/13/UE, «dovrebbe godere degli stessi non soltanto dopo la sua consegna alle autorità giudiziarie emittenti, ma dal momento del suo arresto nello Stato membro di esecuzione»[32].

Il ragionamento dei giudici di Lussemburgo si snoda lungo gli itinerari recenti della propria giurisprudenza, avallati altresì dalle conclusioni dell’avvocato generale. Viene anzitutto ribadito il consolidato refrain secondo cui, ai sensi dell’art. 1 § 3 decisione quadro sul m.a.e., l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’art. 6 t.u.e. non può essere modificato per effetto di essa[33], e il meccanismo del m.a.e. si fonda sul principio del reciproco riconoscimento, a sua volta imperniato sulla fiducia reciproca «tra gli Stati membri quanto al fatto che i loro rispettivi ordinamenti giuridici nazionali sono in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti a livello dell’Unione, in particolare nella Carta»[34].

Subito dopo, la Corte pone in rilievo che, quando il m.a.e. viene emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale, la persona interessata «deve avere beneficiato, in una prima fase del procedimento, delle garanzie procedurali e dei diritti fondamentali, la cui protezione deve essere assicurata dalle autorità giudiziarie dello Stato membro emittente, in base alla normativa nazionale applicabile, segnatamente in vista dell’adozione di un mandato d’arresto nazionale»[35]. Ma il sistema del m.a.e. comporta «una protezione su due livelli dei diritti in materia procedurale e dei diritti fondamentali» che spettano al ricercato: alla protezione di primo livello, in sede di adozione del mandato di arresto nazionale, si aggiunge infatti quella di secondo livello, in sede di emissione del m.a.e., «la quale può eventualmente intervenire in tempi brevi, dopo l’adozione della suddetta decisione giudiziaria nazionale»[36]. Considerato che l’emissione di un m.a.e. è idonea a ledere il diritto di libertà (art. 6 c.d.f.u.e.), la protezione in discorso implica che, almeno a uno dei due livelli, venga adottata «una decisione conforme ai requisiti inerenti a una tutela giurisdizionale effettiva»[37]. Il secondo livello di protezione presuppone che l’autorità giudiziaria emittente controlli il rispetto delle condizioni per l’emissione del m.a.e. «ed esamini in maniera obiettiva, tenendo conto di tutti gli elementi a carico e a discarico, e senza essere esposta al rischio di essere soggetta a istruzioni esterne, in particolare provenienti dal potere esecutivo»[38], se l’emissione sia proporzionata.

Per quanto attiene al periodo che precede la consegna della persona destinataria del m.a.e. alle autorità competenti dello Stato membro di emissione, la Corte nota come l’art. 8 § 1 decisione quadro sul m.a.e. preveda che il mandato debba contenere informazioni riguardanti «natura e qualificazione giuridica del reato» (lett. d) nonché la «descrizione delle circostanze della commissione del reato, compreso il momento, il luogo e il grado di partecipazione del ricercato» (lett. e): si tratta, a parere dell’avvocato generale[39], di informazioni che corrispondono, in sostanza, a quelle contemplate nell’art. 6 direttiva 2012/13/UE. Inoltre, il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva non postula che il diritto di ricorso stabilito dalla normativa dello Stato membro emittente avverso la decisione di emettere un m.a.e. ai fini dell’esercizio di un’azione penale «possa essere esercitato prima della consegna della persona interessata»[40].

La Corte ribadisce, infine, quanto già affermato nel risolvere la prima questione pregiudiziale: dal momento della consegna, la persona destinataria di un m.a.e. processuale acquisisce la qualità di imputato, cui consegue il riconoscimento di tutti i diritti connessi a tale qualità previsti dagli artt. 4, 6 e 7 direttiva 2012/13/UE[41]. Ne deriva che nessuna violazione del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva può risultare dalla «sola circostanza» che la persona de qua «sia informata dei mezzi di ricorso disponibili nello Stato membro emittente e ottenga l’accesso alla documentazione del fascicolo solo dopo la sua consegna alle autorità competenti»[42] di tale Stato. Dunque, la decisione quadro sul m.a.e., esaminata in rapporto agli artt. 6 e 47 c.d.f.u.e., mantiene intatta la sua validità[43].

 

4. Solo per completezza, e dunque senza approfondirle in questa sede, vanno rammentate altre due pronunce della Corte di giustizia concernenti la normativa bulgara. Nella prima pronuncia, nel caso MM[44], di pochi giorni anteriore a quella finora sottoposta ad analisi, la Corte di giustizia si è occupata – da diversa prospettiva – del ricorso giurisdizionale relativamente al m.a.e.: i giudici di Lussemburgo hanno chiarito che, in assenza, nella legislazione dello Stato membro emittente (nella specie, appunto, la Bulgaria), di disposizioni che prevedano un ricorso giurisdizionale per controllare le condizioni in presenza delle quali il m.a.e. è stato emesso da un’autorità che, pur partecipando all’amministrazione della giustizia, non è un organo giurisdizionale[45], la pertinente decisione quadro va interpretata, alla luce dell’art. 47 c.d.f.u.e., nel senso che la giurisdizione dello Stato membro di emissione, investita, dopo la consegna dell’interessato (nella specie avvenuta su suo consenso)[46], di un ricorso per contestare la legalità del mantenimento in custodia cautelare sulla base di un euromandato invalido[47], può dichiararsi competente a procedere al relativo controllo[48].

Nella seconda pronuncia, nel caso PI[49], precisando per certi versi quanto dichiarato nel caso MM[50], la Corte di giustizia ha esaminato la normativa bulgara nella prospettiva dei due livelli di protezione dei diritti in materia procedurale e dei diritti fondamentali di cui deve beneficiare la persona ricercata. Come già sappiamo[51], la persona oggetto di un m.a.e. ai fini dell’esercizio di un’azione penale «deve poter beneficiare di una tutela giurisdizionale effettiva prima della sua consegna allo Stato membro emittente» almeno «a uno dei due livelli di tutela»[52] richiesti dalla giurisprudenza della Corte. Si presuppone, in altre parole, che «possa essere esercitato un controllo giurisdizionale o nei confronti del mandato d’arresto europeo o nei confronti della decisione giudiziaria sulla quale detto mandato si innesta», prima che esso venga eseguito[53]. Fissate tali premesse, i giudici di Lussemburgo hanno statuito che l’art. 8 § 1 lett. c decisione quadro sul m.a.e., letto alla luce dell’art. 47 c.d.f.u.e. e della giurisprudenza della Corte, va interpretato nel senso che i requisiti inerenti alla tutela giurisdizionale effettiva a beneficio di una persona soggetta a un m.a.e. finalizzato all’esercizio di un’azione penale «non sono soddisfatti qualora tanto il mandato d’arresto europeo quanto la decisione giudiziaria sulla quale esso si innesta siano emessi da un pubblico ministero qualificabile come “autorità giudiziaria emittente”» ai sensi dell’art. 6 § 1 decisione quadro sul m.a.e., ma «non possano essere oggetto di un controllo giurisdizionale nello Stato membro emittente prima della consegna della persona ricercata ad opera dello Stato membro di esecuzione»[54].

 

 

[1] Direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2012 sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, in G.U.U.E., 1° giugno 2012, L 142. In proposito v. S. Allegrezza, V. Covolo, Directive 2012/13/EU on the right to information in criminal proceedings, in S. Allegrezza, V. Covolo (eds.), Effective defence rights in criminal proceedings. A European and Comparative Study on Judicial Remedies, Wolters Kluver Cedam, 2018, p. 51 ss.; S. Ciampi, Il commento, in Dir. pen. proc., 2013, p. 21 s.; S. Cras, L. De Matteis, The Directive on the Right to Information. Genesis and Short Description, in Eucrim, 2013, p. 22 ss.; R. Puglisi, Le nuove garanzie informative nel procedimento cautelare, in Proc. pen. giust., 2015, n. 2, p. 88 ss.; S. Quattrocolo, The Right to Information in EU Legislation, in S. Ruggeri (ed.), Human Rights in European Criminal Law. New Developments in European Legislation and Case Law after the Lisbon Treaty, Springer, 2015, p. 81 ss. Come si sa, la direttiva 2012/13/UE ha attuato la «Misura B: informazioni relative ai diritti e all’accusa» della tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati nei procedimenti penali: cfr. Risoluzione del Consiglio del 30 novembre 2009 relativa a una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati nei procedimenti penali, in G.U.U.E., 4 dicembre 2009, C 295. La tabella di marcia era stata poi integrata nel Programma di Stoccolma – Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini, in G.U.U.E., 4 maggio 2010, C 115 (punto 2.4).

[2] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, punto 21. Sui diritti di cui gode la persona arrestata in Bulgaria, da parte delle autorità bulgare, in seguito a un mandato di arresto nazionale, v. ivi, punto 20.

[3] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punti 22-24.

[4] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 25.

[5] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 26.

[6] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 27. In altri termini (v. ivi, punto 28), bisognerebbe stabilire se le persone arrestate in forza di un m.a.e. «possano avvalersi non solo dei diritti espressamente previsti dall’articolo 5 e dall’allegato II» della direttiva, ma anche di «quelli di cui all’articolo 4 e all’allegato I». La medesima questione si porrebbe per i diritti contemplati negli artt. 6 § 2 e 7 § 1 della medesima direttiva, in quanto «non sarebbe certo che la persona oggetto di un mandato d’arresto europeo possa avvalersene nello Stato membro di esecuzione».

[7] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 29.

[8] Corte giust., 28 gennaio 2021, C-649/19, IR, cit., punto 30, aggiungendo che l’applicazione di tali disposizioni «potrebbe indurre il giudice del rinvio, che ha emesso» il m.a.e., a inviare all’interessato, «dopo essere venuto a conoscenza del suo arresto, la comunicazione dei diritti in caso di arresto, una copia del mandato d’arresto nazionale e delle relative prove, nonché i dati del suo difensore e, su sua richiesta, una copia degli altri documenti del procedimento».

[9] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 31.

[10] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 32.

[11] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punti 33-40: il governo tedesco aveva infatti espresso riserve sulla ricevibilità, in quanto non sarebbe esistita «una controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio», dato che il m.a.e. emesso nei confronti di IR era stato annullato. Di conseguenza, le questioni sarebbero apparse «ipotetiche» ed avrebbero avuto «senso solo per l’adozione di un nuovo mandato d’arresto europeo, nell’ipotesi in cui IR non fosse più in territorio bulgaro» (punto 33). Al pari della Corte, pure l’avvocato generale, nelle sue conclusioni, si era espresso per la ricevibilità delle questioni pregiudiziali: cfr. Conclusioni dell’avvocato generale Priit Pikamäe, presentate il 30 settembre 2020, §§ 30-34. Da segnalare il richiamo a Corte giust., 25 luglio 2018, AY, C-268/17 (sulla quale v. M. Bargis, Libertà personale e consegna, in R.E. Kostoris [a cura di], Manuale di procedura penale europea, IV ed., Wolters Kluver Cedam, 2019, p. 384) effettuato sia dall’avvocato generale (v. Conclusioni dell’avvocato generale Priit Pikamäe, cit., § 33 e nota 9) sia dalla Corte (v. Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 39): il riferimento è ai punti 28 e 29 di tale pronuncia, dove si afferma che l’emissione di un m.a.e. «ha quale conseguenza il possibile arresto della persona ricercata e, pertanto, pregiudica la libertà personale di quest’ultima» e che, nel caso di una procedura concernente un m.a.e., «la garanzia dei diritti fondamentali spetta, in primo luogo, allo Stato membro emittente» (punto 28). Pertanto, «per assicurare la tutela di tali diritti – la quale può condurre un’autorità giudiziaria ad adottare una decisione di revoca del MAE che ha emesso – occorre che una siffatta autorità disponga della facoltà di adire la Corte in via pregiudiziale» (punto 29).

[12] Accogliendo la proposta dell’avvocato generale (v. Conclusioni dell’avvocato generale Priit Pikamäe, cit., § 93), le cui conclusioni sono sovente richiamate dalla Corte.

[13] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 46.

[14] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 49. Sul modello contenuto nell’allegato II v. M. Bargis, Libertà personale e consegna, cit., p. 435 s.

[15] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 51.

[16] Conclusioni dell’avvocato generale Priit Pikamäe, cit., § 44, ove si ricorda che nello stesso senso erano orientate le osservazioni del governo ceco.

[17] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 52. COM(2018) 859 final, 18 dicembre 2018, Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione della direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, p. 11, riporta che in «diversi Stati membri non sussistono disposizioni distinte che regolamentino l’obbligo di fornire informazioni sui diritti di persone indagate o imputate nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo. Una “disposizione ponte” implica che le norme applicabili ai procedimenti penali si applicano altresì al procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo», ma – conclude la Commissione – una simile scelta «desta perplessità in quanto il contenuto della comunicazione dei diritti di cui all’articolo 4 della direttiva si discosta da quello previsto a norma dell’articolo 5».

[18] A mente del considerando n. 21, nella direttiva «i riferimenti alle persone indagate o imputate che sono arrestate o detenute si dovrebbero intendere riferiti alle situazioni in cui, nel corso di procedimenti penali, le persone indagate o imputate siano private della libertà» ai sensi dell’art. 5 § 1 lett. c c.e.d.u., «quale interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo».

[19] Conclusioni dell’avvocato generale Priit Pikamäe, cit., § 47.

[20] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 55.

[21] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 58. V. anche le Conclusioni dell’avvocato generale Priit Pikamäe, cit., §§ 59-61.

[22] Corte giust., 24 settembre 2020, XC, C-195/20 PPU, punto 32 (sulla quale v. M. Bargis, Mandato di arresto europeo e principio di specialità in una recente pronuncia della Corte di giustizia, in questa Rivista, 11/2020, p. 43 ss.); v. pure Corte giust., 11 marzo 2020, SF, C-314/18, punto 38 e giurisprudenza ivi citata.

[23] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 59.

[24] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 60.

[25] Conclusioni dell’avvocato generale Priit Pikamäe, cit., § 44 e nota 12, dove si precisa che «la persona ricercata, una volta consegnata all’autorità giudiziaria emittente, assumerà lo status di “imputato” ai sensi della direttiva 2012/13 e beneficerà dunque dell’insieme dei diritti connessi a tale qualifica».

[26] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 61.

[27] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 63 (cfr. Conclusioni dell’avvocato generale Priit Pikamäe, cit., § 66): la seconda questione, infatti, era stata posta solo per il caso in cui la prima questione fosse stata risolta positivamente dalla Corte di giustizia (v. supra, § 1).

[28] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 64.

[29] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 66, in rapporto al punto 65.

[30] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 68.

[31] Corte giust., 27 maggio 2019, OG e OP, cause riunite C-508/18 e C-82/19 PPU, punto 70. Tale pronuncia, riferendosi anch’essa (punti 66 e 67) – come la sentenza che ci occupa – ai due livelli di protezione di cui deve beneficiare una persona ricercata in vista dell’esercizio di un’azione penale (il primo in sede di emissione di un mandato di arresto nazionale, il secondo in sede di emissione del m.a.e.), afferma (punto 68) che, almeno a uno dei due livelli di protezione, deve venire adottata «una decisione conforme ai requisiti inerenti alla tutela giurisdizionale effettiva». Ne consegue che, qualora il diritto dello Stato membro emittente attribuisca la competenza a emettere un m.a.e. «a un’autorità che, pur partecipando all’amministrazione della giustizia di tale Stato membro, non sia un giudice o un organo giurisdizionale, la decisione giudiziaria nazionale, come un mandato d’arresto nazionale, su cui s’innesta il mandato d’arresto europeo deve in sé rispettare siffatti requisiti» (punto 69). Proprio il loro rispetto consente di garantire all’autorità giudiziaria dell’esecuzione che «la decisione di emettere un mandato d’arresto europeo ai fini dell’esercizio di un’azione penale si basa su un procedimento nazionale soggetto a controllo giurisdizionale, e che la persona nei cui confronti è stato emesso tale mandato d’arresto nazionale ha beneficiato di tutte le garanzie proprie all’adozione di questo tipo di decisioni, in particolare di quelle risultanti dai diritti fondamentali e dai fondamentali principi giuridici menzionati» all’art. 1 § 3 decisione quadro sul m.a.e. (punto 70).

La prima pronuncia della Corte di giustizia che si è riferita al duplice livello di protezione è Corte giust., 1° giugno 2016, Bob-Dogi, C-241/15, punti 55 e 56 (in proposito v. M. Bargis, Mandato di arresto europeo e diritti fondamentali: recenti itinerari “virtuosi” della Corte di giustizia tra compromessi e nodi irrisolti, in Dir. pen. cont. Riv. trim., 2/2017, p. 207-211; M. Daniele, Habeas Corpus. Manipolazioni di una garanzia, Giappichelli, 2017, p. 207 s.): in tale pronuncia, la Corte ha specificato che la locuzione «mandato d’arresto» nell’art. 8 § 1 lett. c decisione quadro sul m.a.e. si riferisce a un mandato di arresto nazionale (punto 58). Pertanto, poiché il m.a.e. deve essere fondato su un mandato di arresto nazionale, è necessario che contenga l’indicazione dell’esistenza di quest’ultimo: se l’indicazione manca, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è tenuta a non dare corso al m.a.e. «nel caso in cui essa, alla luce delle informazioni fornite in conformità dell’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro, nonché di tutte le altre informazioni in suo possesso», constati che il m.a.e. «non è valido, in quanto è stato emesso senza che fosse stato spiccato un mandato d’arresto nazionale distinto dal mandato d’arresto europeo» (punto 67). In argomento v. infra, § 4.

[32] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 69.

[33] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 70.

[34] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 71. Cfr. Corte giust., 10 novembre 2016, Özçelik, C-453/16 PPU, punto 23; Corte giust., 9 ottobre 2019, NJ, C-489/19 PPU, punto 27.

[35] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 72. Cfr. Corte giust., 27 maggio 2019, OG e OP, cause riunite C-508/18 e C-82/19 PPU, cit., punto 66 (v. supra, nota 31); Corte giust., 9 ottobre 2019, NJ, C-489/19 PPU, cit., punto 33.

[36] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 73 (v. altresì le Conclusioni dell’avvocato generale Priit Pikamäe, cit., § 73). Cfr. Corte giust., 27 maggio 2019, OG e OP, cause riunite C-508/18 e C-82/19 PPU, cit., punto 67 (v. supra, nota 31); Corte giust., 9 ottobre 2019, NJ, C-489/19 PPU, cit., punto 34; v. inoltre Corte giust., 12 dicembre 2019, JR e YC, cause riunite C-566/19 PPU e C-626/19 PPU, punto 59.

[37] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 74. Cfr. Corte giust., 27 maggio 2019, OG e OP, cause riunite C-508/18 e C-82/19 PPU, cit., punto 68 (v. supra, nota 31); Corte giust., 12 dicembre 2019, JR e YC, cause riunite C-566/19 PPU e C-626/19 PPU, cit., punto 60. Sull’art. 47 c.d.f.u.e. v. S. Allegrezza, Judicial review as a fundamental right: Article 47 of the Charter, in S. Allegrezza, V. Covolo (eds.), Effective defence rights in criminal proceedings. A European and Comparative Study on Judicial Remedies, cit., p. 97 ss.; quanto al rapporto fra l’art. 47 § 1 c.d.f.u.e. (secondo cui ogni persona «i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste dal presente articolo») e la direttiva 2012/13/UE, v. A. Cabiale, I rimedi nelle direttive di Stoccolma: poche parole e molti silenzi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2018, p. 2147-2150, dove si analizza la regressione subita dal testo finale dell’art. 8 § 2 della direttiva a fronte della proposta originaria (COM[2010] 392 def., 20 luglio 2010); J. Della Torre, Le direttive UE sui diritti fondamentali degli accusati: pregi e difetti del primo “embrione” di un sistema europeo di garanzie difensive, in Cass. pen., 2018, p. 1411 s.

[38] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 75 (nonché le Conclusioni dell’avvocato generale Priit Pikamäe, cit., § 74). Cfr. Corte giust., 27 maggio 2019, OG e OP, cause riunite C-508/18 e C-82/19 PPU, cit., punti 71 e 73; Corte giust., 12 dicembre 2019, JR e YC, cause riunite C-566/19 PPU e C-626/19 PPU, cit., punto 61. L’avvocato generale (Conclusioni dell’avvocato generale Priit Pikamäe, cit., § 81, cui rinvia Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 76), richiamando Corte giust., 12 dicembre 2019, JR e YC, cause riunite C-566/19 PPU e C-626/19 PPU, cit., punti 72 e 73, ha rilevato che la decisione quadro sul m.a.e. «si inserisce in un sistema globale di garanzie relative alla tutela giurisdizionale effettiva previste da altre normative dell’Unione, adottate nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale, che contribuiscono a facilitare alla persona oggetto di un mandato d’arresto europeo l’esercizio dei suoi diritti, ancor prima della sua consegna allo Stato membro emittente» (il riferimento è in specie alle direttive 2010/64/UE, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, 2013/48/UE, sull’accesso al difensore nei procedimenti penali e nei procedimenti di esecuzione del m.a.e., e 2016/1919/UE, sull’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per indagati e imputati nell’ambito di procedimenti penali e per le persone ricercate nell’ambito di procedimenti di esecuzione del m.a.e.). L’avvocato generale poneva l’accento sull’art. 10 § 4 direttiva 2013/48/UE, ove si stabilisce che l’autorità competente dello Stato membro di esecuzione «provvede, senza indebito ritardo dopo la privazione della libertà personale, ad informare le persone ricercate che hanno il diritto di nominare un difensore nello Stato membro di emissione»: v. M. Bargis, Il diritto alla “dual defence” nel procedimento di esecuzione del mandato di arresto europeo: dalla direttiva 2013/48/UE alla direttiva (UE) 2016/1919, in Dir. pen. cont.Riv. trim., 3/2016, p. 40 ss.; purtroppo, però, l’implementazione negli Stati membri è alquanto manchevole: cfr. COM(2019) 560 final, 26 settembre 2019, Report from the Commission to the European Parliament and the Council on the implementation of Directive 2013/48/EU, p. 17 s.

[39] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 78, richiamando le Conclusioni dell’avvocato generale Priit Pikamäe, cit., § 79.

[40] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 79; nonché le Conclusioni dell’avvocato generale Priit Pikamäe, cit., § 75. Cfr. Corte giust., 12 dicembre 2019, JR e YC, cause riunite C-566/19 PPU e C-626/19 PPU, cit., punti 69-71.

[41] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 77.

[42] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 80.

[43] Corte giust., 28 gennaio 2021, IR, C-649/19, cit., punto 81. Cfr., del resto, le Conclusioni dell’avvocato generale Priit Pikamäe, cit., §§ 90-92.

[44] Corte giust., 13 gennaio 2021, MM, C-414/20 PPU.

[45] Secondo la normativa bulgara, nella fase preliminare del procedimento penale il pubblico ministero è competente a emettere il m.a.e. nei confronti della persona sottoposta al procedimento. In tale fase il m.a.e. può essere oggetto di ricorso soltanto dinanzi alla procura sovraordinata, senza dunque alcun coinvolgimento di un giudice né prima né dopo l’emissione dell’euromandato (cfr. Corte giust., 13 gennaio 2021, MM, C-414/20 PPU, cit., punti 7-9).

[46] Corte giust., 13 gennaio 2021, MM, C-414/20 PPU, cit., punto 32.

[47] Il m.a.e., infatti, non aveva quale base giuridica un mandato di arresto nazionale (v. supra, nota 31) o «qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva che abbia la stessa forza», come prescritto dall’art. 8 § 1 lett. c decisione quadro sul m.a.e.: cfr. Corte giust., 13 gennaio 2021, MM, C-414/20 PPU, cit., punti 53-57.

[48] Corte giust., 13 gennaio 2021, MM, C-414/20 PPU, cit., punto 74.

[49] Corte giust., 10 marzo 2021, PI, C-648/20.

[50] Corte giust., 10 marzo 2021, PI, C-648/20, cit., punto 56, puntualizza che, nella sentenza sul caso MM, la Corte stessa «non si è direttamente pronunciata sulla rispondenza ai requisiti inerenti alla tutela giurisdizionale effettiva della procedura bulgara relativa all’emissione di un mandato d’arresto europeo da parte di un pubblico ministero durante la fase preliminare del procedimento penale», ma «si è limitata ad affermare che, in mancanza di mezzi di ricorso distinti nel diritto dello Stato membro emittente, il diritto dell’Unione conferiva a un giudice di tale Stato membro un titolo di competenza a esercitare un controllo incidentale sulla validità» del m.a.e.; pertanto, da tale sentenza non si può evincere che «la Corte vi avrebbe statuito che l’esistenza di una simile possibilità di controllo giurisdizionale a posteriori fosse idonea a rispondere ai requisiti inerenti a una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti della persona ricercata».

[51] V. supra, § 3, e note 31, 35-38.

[52] Corte giust., 10 marzo 2021, PI, C-648/20, cit., punto 47.

[53] Corte giust., 10 marzo 2021, PI, C-648/20, cit., punto 48 (v. pure punto 49).

[54] Corte giust., 10 marzo 2021, PI, C-648/20, cit., punto 60 (v. altresì punti 50-55 e 57-59).