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06 Ottobre 2022


Ordine europeo d’indagine e opposizione al decreto di riconoscimento: una nuova pronuncia della Cassazione

Cass., Sez. VI, sent. 28 aprile 2022 (dep. 22 giugno 2022), n. 24048, Pres. Di Stefano, Rel. Calvanese



1. Con la sentenza in epigrafe, la Cassazione si pronuncia nuovamente sulla questione riguardante il diritto di proporre opposizione contro il decreto di riconoscimento di un ordine europeo d’indagine (OEI)[1] proveniente dall’estero, alla quale fa da sfondo il delicato tema dei rapporti tra esigenze investigative e garanzie difensive nel contesto della raccolta transfrontaliera delle prove[2]. La pronuncia assume particolare rilievo poiché, da un lato, qualifica l’opposizione come mezzo di impugnazione in senso tecnico, con conseguente applicazione del principio devolutivo, e, dall’altro, ritiene priva di sanzioni processuali l’omessa comunicazione al difensore del provvedimento di riconoscimento, collocandosi sulla scia di un precedente arresto giurisprudenziale[3]. Sotto questo aspetto, si assiste, dunque, all’ennesima sconfitta sul campo dei diritti di difesa[4] della persona indagata, scaturita dalla violazione del pur chiaro dato normativo[5].

 

2.  Prima di ricostruire la vicenda approdata dinnanzi ai giudici di legittimità, occorre ripercorrere brevemente gli snodi fondamentali della scansione procedimentale delineata, sul versante della procedura c.d. passiva, dal d.lgs. n. 108 del 2017, attuativo della Direttiva 2014/41/UE relativa all’OEI[6]. In particolare, le garanzie della difesa gravitano attorno a due previsioni: l’art. 4 co. 4 e l’art. 13 d.lgs. n. 108 del 2017, che disciplinano, rispettivamente, la comunicazione, a cura della segreteria del pubblico ministero, del decreto di riconoscimento al difensore dell’indagato e il rimedio dell’opposizione, esperibile avverso il provvedimento medesimo. La correlazione tra le due norme si coglie sul piano del dies a quo di decorrenza del termine per proporre impugnazione, che coincide con la comunicazione del decreto al difensore.

L’art. 4 co. 4 opera una distinzione a seconda che si debbano compiere atti garantiti (art. 360 co. 1 e 364 co. 1 c.p.p.)[7], ai quali il difensore dell’indagato ha diritto di assistere previo avviso, ovvero perquisizioni e sequestri (art. 365 co. 1 c.p.p.), ai quali il difensore ha diritto di assistere senza, però, esserne preventivamente avvertito. Nella prima ipotesi, l’informativa deve essere fornita «entro il termine stabilito ai fini dell’avviso di cui ha diritto secondo la legge italiana per il compimento dell’atto», ossia, di regola, almeno ventiquattro ore prima (art. 364 co. 3 c.p.p.)[8]. Nel secondo caso, la comunicazione al difensore del provvedimento motivato di riconoscimento deve intervenire al momento del compimento dell’atto o «immediatamente dopo»[9].

Attraverso il meccanismo dell’opposizione, che nel caso di ordine di sequestro probatorio conosce una forma “speciale” (art. 13 co. 7), corredata da garanzie procedurali più pregnanti rispetto a quelle che caratterizzano l’ipotesi “base” (art. 13 co. 1-4), possono portarsi all’attenzione del giudice per le indagini preliminari i profili di presunta illegittimità dell’exequatur dell’OEI, quali l’assenza dei presupposti per il suo riconoscimento o, al contrario, la presenza di motivi ad esso ostativi. Sebbene l’opposizione non sospenda l’esecuzione dell’ordine riconosciuto in Italia, al cospetto di un’impugnazione dotata di elevata probabilità di accoglimento, è auspicabile che l’organo dell’accusa differisca, ove non vi abbia già provveduto, il trasferimento all’estero delle risultanze probatorie acquisite[10]. Si tratta, in ogni caso, di una scelta rimessa all’esclusiva discrezionalità del pubblico ministero, motivata dalla necessità di evitare un «grave e irreparabile danno» alle persone coinvolte nella procedura di cooperazione (art. 13 co. 4). L’accoglimento dell’opposizione si traduce nell’annullamento del decreto emesso inaudita altera parte, impedendo (o interrompendo, se già in corso) la fase esecutiva dell’attività richiesta dall’autorità straniera[11].

 

3. Questi, in sintesi, i fatti che hanno dato origine alla pronuncia in commento. In data 21 ottobre 2020, il procuratore distrettuale ha riconosciuto, con apposito decreto, un ordine d’indagine di provenienza tedesca, emesso nell’ambito di un procedimento per reati tributari e avente ad oggetto la perquisizione locale e il sequestro a fini di prova, eseguiti in Italia il 13 luglio 2021. In quell’occasione, il decreto di perquisizione e sequestro – adottato dal pubblico ministero in data 25 giugno 2021, quale naturale prosecuzione del riconoscimento dell’OEI – è stato notificato alla collaboratrice domestica dell’indagato, che si trovava presso l’abitazione di costui e, il giorno successivo, al suo difensore. Quest’ultimo non ha invece mai ricevuto comunicazione del decreto di riconoscimento, in seguito consegnato soltanto al suo assistito. In data 23 luglio 2021, la difesa ha dunque proposto opposizione lamentando, quale unico motivo di impugnazione, la violazione dell’art. 4 co. 4, in ragione dell’omessa comunicazione del provvedimento di riconoscimento. Più in dettaglio, l’opponente ha richiamato una pronuncia della Sesta sezione[12] rivelatasi particolarmente attenta alle garanzie difensive, poi smentita dalla decisione menzionata in apertura (n. 30885 del 2020), secondo cui la comunicazione irrispettosa dei termini stabiliti dall’art. 4 co. 4 (quindi, non solo se tardiva, ma anche, a fortiori, se del tutto omessa) configura una nullità a regime intermedio[13] per violazione delle norme attinenti all’assistenza dell’indagato. L’inadempimento, o l’adempimento scorretto, dell’onere informativo prescritto dalla legge impedisce, infatti, all’indagato e al suo difensore di proporre tempestivamente opposizione[14], aumentando il rischio che, nel frattempo, il pubblico ministero acquisisca, senza intralcio, le prove e le trasmetta, senza indugio, all’autorità estera.

Con memorie presentate successivamente al deposito dell’atto di opposizione, oltre a ribadire il difetto di comunicazione, la difesa ha individuato ulteriori e interessanti motivi, che avrebbero potuto determinare l’annullamento del decreto di riconoscimento: in particolare, la carenza di motivazione, l’assenza dei requisiti della doppia incriminazione[15] e della proporzionalità dell’OEI[16], la mancata emissione o convalida dell’ordine da parte dell’autorità giudiziaria tedesca e la non autorizzata partecipazione attiva di funzionari di polizia giudiziaria straniera al compimento degli atti sul territorio nazionale. A fronte del rigetto del giudice per le indagini preliminari, il difensore ha presentato ricorso per cassazione, riproponendo tutti i motivi già dedotti nell’atto di opposizione e nelle memorie successive. Il ricorso è stato però ritenuto infondato per due ordini di ragioni, che è opportuno illustrare separatamente.

 

4. Come si anticipava, il punto di partenza consiste nella qualificazione dell’opposizione come mezzo di impugnazione in senso tecnico, coerentemente con quanto previsto dall’art. 14 § 1 della Direttiva OEI che invita gli Stati a predisporre «mezzi d’impugnazione equivalenti a quelli disponibili in un caso interno analogo». Da tale inquadramento discende, anzitutto, l’operatività delle disposizioni generali in tema di impugnazioni (artt. 568 ss. c.p.p.) e, per quel che più interessa, del principio devolutivo, stabilito dall’art. 581 lett. a c.p.p., secondo cui l’atto d’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’enunciazione specifica «dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione», e dall’art. 597 co. 1 c.p.p., che circoscrive la cognizione del giudice d’appello «ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti».

Un’ulteriore conseguenza è rappresentata dall’applicazione della disciplina relativa alla possibilità di presentare motivi nuovi, enucleata negli artt. 585 co. 4 c.p.p. e 167 disp. att. c.p.p., rubricato «nuovi motivi dell’impugnazione già proposta», che rinvia all’art. 581 lett. a c.p.p. Sul punto, i giudici di legittimità, in adesione al filone interpretativo più restrittivo, ormai consolidato in giurisprudenza[17], precisano che «i motivi nuovi sono consentiti quando investono capi o punti della decisione già enunciati nell’atto originario di gravame, poiché la “novità” è riferita ai “motivi”, e quindi alle ragioni che illustrano e argomentano il gravame sui singoli capi o punti del provvedimento impugnato, già censurati con l’impugnazione, non potendo l’elemento della novità essere utilizzato per introdurre nuovi capi o punti di impugnazione»[18].

Sulla base di tali premesse, si giunge dunque a ritenere inammissibili tutti i motivi dedotti, per la prima volta, nelle memorie successive all’atto di impugnazione, poiché da considerarsi non connessi al thema decidendum inizialmente devoluto mediante l’opposizione, limitato alla sola questione inerente all’omessa comunicazione del decreto di riconoscimento[19].

 

5. Per quanto attiene alle conseguenze dell’inosservanza dell’art. 4 co. 4 – l’unica questione esaminabile in quanto già affrontata nell’originaria opposizione – la Cassazione esclude che il vulnus lamentato dal difensore si sia verificato nel caso concreto, ritenendo che la mancata comunicazione produca unicamente «il differimento del dies a quo del termine per l’opposizione del difensore», senza «compromettere l’effettività della tutela offerta alla persona indagata»[20]. Infatti, prosegue la Corte, l’indagato «era nella condizione di proporre una tempestiva opposizione (consapevole e non “al buio”), avendo avuto conoscenza delle motivazioni del decreto di riconoscimento e non dovendo attendere la formale comunicazione al difensore del decreto»[21].

Risulta, pertanto, evidente che i giudici della Sesta sezione accolgono l’impostazione promossa con la citata sentenza n. 30885 del 2020. In quell’occasione, muovendo nella prospettiva del raggiungimento del risultato effettivo e superando il principio di diritto formulato nella (precedente) decisione n. 8320 del 2019, si era osservato che «l’ipotetica nullità» derivante dall’omessa comunicazione del decreto risulterebbe indeducibile, ai sensi dell’art. 183 lett. b c.p.p., poiché sanata per effetto del comportamento concludente del difensore che, nonostante l’inadempimento dell’obbligo informativo, presenta comunque opposizione, essendo venuto a conoscenza, in via informale e a prescindere, per l’appunto, dalla comunicazione del provvedimento, della provenienza estera delle attività di indagine svolte (ad esempio, al momento del compimento dell’atto cui ha diritto di assistere o del deposito dei verbali ex art. 366 c.p.p.). In altre parole, ad avviso della Corte, attraverso l’impugnazione (tardiva) si consegue proprio la finalità cui tende l’adempimento previsto dall’art. 4 co. 4, ossia garantire alla difesa di proporre opposizione[22].

***

 

6. Se appare condivisibile la scelta di ricondurre l’opposizione al decreto di riconoscimento dell’OEI alla categoria dei mezzi di impugnazione in senso tecnico, peraltro in linea con l’orientamento maggioritario formatosi in relazione all’opposizione proposta contro il decreto penale di condanna (art. 461 c.p.p.)[23], e la conseguente valutazione di inammissibilità dei motivi «nuovi», al contrario, le modalità con cui è stata affrontata la controversa questione dell’omessa notifica al difensore lasciano spazio a qualche riflessione critica.

L’impianto argomentativo eretto dai giudici di legittimità, in parte mutuato dal precedente del 2020, poggia sulla seguente premessa: la comunicazione omessa (e, a maggior ragione, tardiva) produce, quale unico effetto, il differimento della data da cui prende avvio il termine per presentare opposizione, senza arrecare alcun danno alle prerogative della difesa. Ma, a questo punto, occorre chiedersi se davvero la mancanza, o il ritardo, della comunicazione del decreto di riconoscimento non sia fonte di un pregiudizio sostanziale per le garanzie difensive. Per rispondere, è sufficiente notare che, nel caso di specie, probabilmente proprio a causa dell’omessa notifica del decreto motivato, la difesa ha potuto presentare un’opposizione scarna al punto da rendere necessaria una successiva e duplice integrazione attraverso le memorie: indice, questo, di una scarsa consapevolezza del contenuto dell’atto da impugnare e degli aspetti su cui incentrare le doglianze, contrariamente a quanto asserito dalla Corte.

Ancor più problematico appare lo scenario, evidentemente non verificatosi in questo caso, che potrebbe aprirsi una volta trasmessi all’autorità emittente, ad esempio, i beni sottoposti a sequestro in Italia, nelle more del giudizio di opposizione o ancora prima della sua instaurazione. A tal riguardo, con la pronuncia n. 30885 del 2020, si è sostenuto che l’opposizione tardiva conservi la sua utilità, atteso che, in caso di accoglimento nello Stato di esecuzione, l’autorità dello Stato di emissione, alla quale sono pervenute le prove, deve tenerne conto[24], in ossequio all’art. 14 § 7 della Direttiva OEI.

Nondimeno, se è vero che l’ordine di indagine integra, in linea teorica, un meccanismo alimentato dalla fiducia reciproca tra gli Stati membri dell’Unione, si deve però ammettere che nella prassi può risultare difficile assicurare che l’accoglimento dell’impugnazione da parte dell’autorità italiana trovi «un seguito di tutela» nello Stato di emissione[25], specialmente in considerazione del significativo divario che caratterizza le regole di utilizzabilità in materia di prove e del lasso di tempo che può essere frattanto trascorso. In altri termini, un atto di fiducia nei confronti della prudenza dell’autorità straniera e del sistema di regole processuali vigenti nello Stato di emissione non può, di per sé solo, ritenersi soddisfacente per la tutela delle garanzie della difesa.

Ecco che, allora, si comprende l’importanza di un’opposizione tempestiva, resa possibile soltanto da una comunicazione altrettanto celere, da effettuarsi a distanza di breve tempo dal compimento degli atti “a sorpresa” (perquisizione e sequestro), «immediatamente dopo», come suggerisce il dato letterale, e preferibilmente prima di disporre il trasferimento ultra fines delle prove raccolte. Benché priva di effetti sospensivi, un’opposizione “seria”, come si è detto, dovrebbe indurre il pubblico ministero ad assumere un atteggiamento prudenziale e ad attendere a trasmettere all’estero i risultati delle attività d’indagine, quantomeno sino alla definizione del procedimento instaurato ex art. 13[26].

 

7.  Un altro punto scivoloso della decisione s’incrocia nella parte in cui si riconosce la possibilità, tutt’altro che remota nella prassi, che il difensore acquisisca informale conoscenza circa l’esistenza di un ordine d’indagine alla base dell’attività svolta: una conoscenza che gli consentirebbe di impugnare prima di ricevere la notifica del provvedimento di riconoscimento che, invero, rappresenta l’oggetto stesso dell’opposizione. Ammettendo questa prassi, però, si svilisce, ancora una volta[27], la portata degli obblighi di motivazione e comunicazione che incombono sul procuratore della Repubblica, il quale, conscio che la difesa acquisirà comunque – anche, cioè, in assenza della formale comunicazione del decreto – consapevolezza della matrice estera dell’attività investigativa, potrebbe sentirsi autorizzato a omettere l’adempimento prescritto dalla legge, ritenendolo superfluo.

Inoltre, affermando che «la persona indagata già dalla data del 13 luglio 2021 aveva avuto conoscenza del decreto di riconoscimento (…) e il 14 luglio 2021 il suo difensore aveva ricevuto copia del decreto di perquisizione e sequestro emesso nell’ambito di un ordine europeo di indagine penale tedesco»[28], la Corte sembra dare per scontata l’equipollenza, sul piano contenutistico, tra i provvedimenti – il decreto di riconoscimento, da un lato, e il decreto di perquisizione e sequestro, dall’altro – negata con forza da precedenti approdi giurisprudenziali[29], trattandosi di atti «governati da presupposti, finalità e rimedi impugnatori del tutto diversi». Si rileva, a tal proposito, che la commistione di tali atti, oltre a essere contra legem, crea un ostacolo all’esercizio delle prerogative difensive: il termine per presentare opposizione decorre, è opportuno ribadirlo, dalla comunicazione del decreto di riconoscimento, e non dall’esecuzione dell’attività probatoria, che s’innesta in una fase cronologicamente e logicamente successiva.

 

8. In conclusione, nel tentativo di porre freno a prassi lassiste, contrarie alla legge e talvolta caotiche, una soluzione operativa per il pubblico ministero, in grado di coniugare le esigenze investigative con quelle difensive potrebbe consistere, ove possibile, nell’allegare il decreto di riconoscimento dell’OEI a quello di (perquisizione e) sequestro, evitando di incorporare all’interno di quest’ultimo il contenuto del primo, così da mantenere la formale distinzione tra i due atti. In questo modo, si scongiurerebbe il rischio di dare adito a opposizioni basate su una conoscenza inevitabilmente sommaria e “di fatto”, non preceduta dalla formale comunicazione del decreto di riconoscimento, che, oltre a svuotare di significato l’adempimento imposto a livello normativo, pregiudica i diritti della difesa, costretta a muoversi “al buio”[30] e, per giunta, in ritardo.

 

 

 

[1] Tra i molteplici contributi in dottrina, si segnala L. Camaldo, La normativa di attuazione dell’ordine europeo di indagine: le modalità operative del nuovo strumento di acquisizione della prova all’estero, in Cass. pen., 2017, n. 11, p. 4196 ss.

[2] Sul tema, v. E. Lorenzetto, L’ordine europeo di indagine penale: efficienza e garanzie per le acquisizioni probatorie in ambito euro-unitario, in Cass. pen., 2020, n. 3, p. 1302 ss.; cfr., volendo, C. de Luca, La Corte di giustizia si pronuncia nuovamente sull’ordine europeo di indagine penale: la tutela dei diritti fondamentali prevale sull’efficienza investigativa, in questa Rivista, 9 marzo 2022.

[3] Cfr. Cass., Sez. VI, 24 settembre 2020 (dep. 5 novembre 2020), n. 30885, Rv. 279885, ove si afferma che «la tardiva comunicazione al difensore del decreto di riconoscimento (…) non è causa di nullità dello stesso, ma comporta solo il differimento del dies a quo di decorrenza del termine per proporre opposizione, trattandosi di violazione formale, priva di sanzione processuale, che non influisce sull’esito del giudizio di opposizione». A commento della sentenza, v. E. Lorenzetto, Ancora sulla comunicazione del decreto di riconoscimento dell’ordine europeo di indagine: verso una resa dei conti, in Cass. pen., 2021, n. 10, p. 3224 ss.

[4] Si fa riferimento alle prime pronunce rese in materia di OEI dalla giurisprudenza di legittimità, chiamata a correggere prassi interpretative lontane dal dato normativo e rivelatrici di una indiscussa predilezione per l’efficienza dell’azione investigativa, a scapito dei diritti difensivi. Cfr., in particolare, Cass., Sez. VI, 31 gennaio 2019 (dep. 25 febbraio 2019), n. 8320, Rv. 275732; Cass., Sez. VI, 7 febbraio 2019 (dep. 2 aprile 2019), n. 14413, Rv. 275535 e Cass., Sez. VI, 22 gennaio 2020 (dep. 28 gennaio 2020), n. 3520, Rv. 277628; Cass., Sez. VI, 24 settembre 2020 (dep. 5 novembre 2020), n. 30885, Rv. 279885.

[5] La «tendenza a forzare le pur chiare scansioni procedimentali delineate dal d.lgs. n. 108 del 2017» è sottolineata da M. Daniele, Il riconoscimento “di fatto” dell’ordine europeo di indagine: un’altra censura della Cassazione, in Dir. pen. cont., 16 aprile 2019.

[6] A tal proposito, v. E. Lorenzetto, L’assetto delle impugnazioni, in M. Daniele - R.E. Kostoris (a cura di),  L’ordine europeo di indagine penale. Il nuovo volto della raccolta transnazionale delle prove nel d.lgs. n. 108 del 2017, Giappichelli, Torino, 2018, p. 151 ss.; nonché L. Camaldo, L’ordine europeo di indagine penale: profili generali e procedura passiva, in F. Ruggieri (a cura di), Processo penale e regole europee: atti, diritti, soggetti e decisioni, Giappichelli, Torino, 2018, p. 17 ss.

[7] Si tratta di accertamenti tecnici non ripetibili, interrogatorio, ispezione, individuazione di persone e confronto.

[8] Per i «casi di assoluta urgenza» si vedano, però, i commi 5 e 6 della medesima norma.   

[9] Nessuna comunicazione è invece dovuta in caso di atti investigativi che non contemplano l’assistenza del difensore (intercettazioni, accertamenti tecnici ex art. 359 c.p.p., individuazione di cose, assunzione di informazioni testimoniali e interrogatorio di persona imputata in un procedimento connesso).

[10] Sul punto, v. A. Mangiaracina, L’acquisizione “europea” della prova cambia volto: l’Italia attua la Direttiva relativa all’ordine europeo di indagine penale, in Dir. pen. proc., 2018, n. 2, p. 169.

[11] Come osserva T. Rafaraci, Il procedimento passivo di riconoscimento ed esecuzione, in M.R. Marchetti - E. Selvaggi (a cura di), La nuova cooperazione giudiziaria penale. Dalle modifiche al Codice di Procedura Penale all’Ordine europeo d’indagine, Wolters Kluwer - Cedam, Milano, 2019, p. 311, ciò implica che «se l’atto non è stato ancora compiuto, non può più esserlo e che, se invece sia stato compiuto, i suoi risultati non devono essere trasmessi all’autorità di emissione».

[12] Cfr. Cass., Sez. VI, 31 gennaio 2019 (dep. 25 febbraio 2019), n. 8320, annotata da M. Daniele, Ordine europeo di indagine e ritardata comunicazione alla difesa del decreto di riconoscimento: una censura della Cassazione, in Dir. pen. cont., 11 marzo 2019.

[13] V. art. 178 lett. c c.p.p.

[14] Cfr. R.M. Geraci, Primi disorientamenti interpretativi in tema di OEI: la Cassazione interviene sulle corrette modalità del giudizio di riconoscimento, in Proc. pen. giust., 2019, n. 5, p. 1159.

[15] Ai sensi dell’art. 10 lett. f d.lgs. n. 108 del 2017, costituisce motivo di rifiuto l’ipotesi in cui il fatto per il quale l’ordine d’indagine è stato emesso non sia punito dalla legge italiana come reato, «indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualificazione giuridica individuati dalla legge dello Stato di emissione». Le deroghe al principio della doppia incriminazione sono tassativamente indicate nel successivo art. 11 d.lgs. n. 108 del 2017. Nel caso di specie, la difesa ha rilevato che «il reato per il quale era stato emesso l’OEI riguardava un tipo di imposta (...) che non trovava riscontro nell’ordinamento penale italiano». A tal riguardo, l’art. 10 co. 2 d.lgs. n. 108 del 2017, sulla scia della direttiva, prevede nondimeno che «se l’ordine di indagine è stato emesso in relazione a violazioni tributarie, doganali o valutarie, l’esecuzione non può essere rifiutata per il fatto che la legge italiana non impone lo stesso tipo di tasse o di imposte, o per il fatto che la legislazione italiana in materia tributaria, valutaria o doganale è diversa da quella dello Stato di emissione».

[16] Cfr. art. 7 d.lgs. n. 108 del 2017, secondo cui «l’ordine di indagine non è proporzionato se dalla sua esecuzione può derivare un sacrificio ai diritti e alle libertà dell’imputato o della persona sottoposta alle indagini o di altre persone coinvolte dal compimento degli atti richiesti, non giustificato dalle esigenze investigative o probatorie del caso concreto, tenuto conto della gravità dei reati per i quali si procede e della pena per essi prevista». Sul punto, il difensore dell’indagato ha ritenuto «eccessiva» e «sproporzionata» rispetto alla gravità del fatto, punito dalla legge tedesca con la sola pena pecuniaria, la scelta di ricorrere alla perquisizione, atteso che il medesimo risultato investigativo avrebbe potuto essere conseguito attraverso un ordine di esibizione della documentazione fiscale.

[17] V. Cass., Sez. un., 25 febbraio 1998 (dep. 20 aprile 1998), n. 4683, Rv. 210259. In senso conforme, v. Cass., Sez. II, 17 novembre 2016 (dep. 16 dicembre 2016), n. 53630, Rv. 268980; Cass., Sez. II, 17 gennaio 2018 (dep. 19 aprile 2018), n. 17693, Rv. 272821; Cass., Sez. VI, 30 settembre 2020 (dep. 16 dicembre 2020), n. 36206, Rv. 280294.

[18] Cfr. § 3 del “considerato in diritto”.

[19] A questo proposito, la Corte afferma che «il ricorrente non aveva (…) contestato il contenuto decisorio del decreto di riconoscimento (ed in particolare la sussistenza delle condizioni per farsi luogo al riconoscimento, l’assenza di motivi di rifiuto, il rispetto del principio di proporzione), bensì esclusivamente la sola validità del decreto stesso, quanto alla sua omessa comunicazione al difensore».

[20] V. § 4.3 del “considerato in diritto”.

[21] V. § 4.3 del “considerato in diritto”.

[22] Cfr. E. Lorenzetto, Ancora sulla comunicazione del decreto di riconoscimento dell’ordine europeo di indagine, cit., p. 3234, ad avviso della quale, in tal modo, si trascura la differenza tra un’opposizione “differita” e un’opposizione “tempestiva”.

[23] Cfr. Cass., Sez. III, 28 aprile 1999 (dep. 26 agosto 1999), n. 2029, Rv. 214346; Cass., Sez. V, 10 dicembre 2002 (dep. 7 marzo 2003), n. 10621, Rv. 224701.

[24] Sul punto, v. S. Marcolini, L’ordine europeo di indagine alla prova dei fatti: prime pronunce in materia, in Cass. pen., 2019, n. 9, p. 3379, secondo il quale l’effettività dell’opposizione impone che l’autorità di emissione «consideri tamquam non essent gli atti trasmessi».

[25] Cfr. M. Daniele, Ordine europeo di indagine e ritardata comunicazione alla difesa del decreto di riconoscimento, cit., il quale prende in considerazione l’ipotesi in cui l’ordinamento straniero non preveda meccanismi di restituzione delle cose sequestrate, trasmesse dall’autorità di esecuzione.

[26] V. G. De Amicis, Dalle rogatorie all’ordine europeo di indagine: verso un nuovo diritto della cooperazione giudiziaria penale, in Cass. pen., 2018, n. 1, p. 38.

[27] Cfr. Cass., Sez. VI, n. 8320 e n. 14413 del 2019, nonché, più di recente, Cass., Sez. VI, n. 30885 del 2020.  

[28] Cfr. § 4.3 del “considerato in diritto”.

[29] La questione è stata affrontata da Cass., Sez. VI, n. 8320 e n. 14413 del 2019.

[30] Così E. Lorenzetto, Ancora sulla comunicazione del decreto di riconoscimento dell’ordine europeo di indagine, cit., p. 3233.