C. giust. UE, Sez. I, 11 novembre 2021, Gavanozov, C-852/19
1. Con la pronuncia in commento, la Corte di giustizia torna a occuparsi dell’ordine europeo di indagine penale (OEI)[1], quale strumento di cooperazione giudiziaria in ambito probatorio fondato sul principio del mutuo riconoscimento e regolato dalla Direttiva 2014/41/UE – recepita dall’Italia con d.lgs. n. 108 del 2017 – segnando, questa volta, un punto a favore dei diritti fondamentali. La sentenza costituisce l’epilogo di una vicenda peculiare, che ha dato luogo a un doppio rinvio pregiudiziale, con cui la Corte si è discostata nettamente dalle conclusioni formulate in occasione della pronuncia resa a seguito del primo rinvio[2], mostrandosi finalmente attenta alle esigenze di tutela delle garanzie processuali e, in specie, del diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo. Abbandonato l’approccio formale che connotava il precedente arresto, la soluzione qui accolta tuona per la conseguenza dirompente in grado di produrre sul terreno della cooperazione giudiziaria: l’estromissione dal circuito dell’ordine investigativo di uno Stato la cui normativa non contempla le garanzie minime accordate dal diritto dell’Unione.
2. In sintesi, la vicenda origina da un procedimento penale instaurato in Bulgaria a carico di un soggetto al quale si contestava la commissione di reati fiscali nel settore del commercio dello zucchero, importato da una società avente sede in Repubblica Ceca.
Il giudice procedente emetteva un ordine europeo d’indagine, invero mai giunto a destinazione, chiedendo all’autorità estera lo svolgimento di perquisizione e sequestro ai fini di prova presso la sede della società e l’abitazione del suo rappresentate legale, sita anch’essa in Repubblica Ceca, nonché l’audizione di costui in veste di persona informata sui fatti tramite videoconferenza.
Le difficoltà sono sorte al momento della compilazione dell’allegato “A” (c.d. “euro-ordinanza”), accluso alla direttiva, e, nello specifico, della sezione “J” di tale modulo, ove si richiede all’autorità emittente di specificare «se è già stato fatto ricorso a mezzi di impugnazione contro l’emissione di un OEI e, in caso affermativo, di fornire ulteriori dettagli».
La mancata previsione, nel diritto bulgaro, di rimedi esperibili avverso provvedimenti relativi all’adozione di misure “investigative” impediva infatti al giudice di fornire le informazioni richieste. Pertanto, il tribunale speciale bulgaro ha portato all’attenzione della Corte di giustizia alcune questioni pregiudiziali, volte a indagare la compatibilità della normativa interna con la direttiva sovranazionale e, in particolare, con l’art. 14 della medesima, rubricato proprio «mezzi di impugnazione».
In quell’occasione, la Corte, muovendo da un’interpretazione meramente letterale – che fa leva sull’art. 5 § 1 della direttiva[3] – e affrontando la questione soltanto in superficie, ha negato che sull’autorità di emissione gravasse l’onere di dilungarsi in una puntuale descrizione dei mezzi di impugnazione esistenti nello Stato di emissione: la direttiva non lo richiede.
Secondo questa impostazione, sembra dunque che la carente protezione dei diritti fondamentali, derivante dalla assoluta impossibilità di contestare la legittimità di un provvedimento giurisdizionale e per la quale la Bulgaria è stata più volte condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo[4], non possa precludere il ricorso all’ordine europeo d’indagine.
Una diversa conclusione, evidentemente ritenuta colpevole di porre freno alla rapida circolazione delle prove nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, risulterebbe contraria agli obiettivi di efficienza, speditezza e semplificazione della cooperazione giudiziaria, cui è improntata la direttiva europea.
3. Come si anticipava, la risposta fornita dai giudici di Lussemburgo è parsa deludente al punto da giustificare un secondo rinvio ex art. 267 TFUE in seno al medesimo procedimento pendente nello Stato di emissione.
Il Tribunale speciale per i procedimenti penali si è dunque nuovamente rivolto alla Corte di giustizia, sollevando due questioni tra loro strettamente consequenziali e chiedendo, anzitutto, se una normativa nazionale – quale quella bulgara – che non dispone di alcun mezzo d’impugnazione contro un ordine d’indagine avente ad oggetto la perquisizione, il sequestro probatorio e l’audizione di un testimone sia compatibile con la direttiva 2014/41/UE (in particolare, con i consideranda nn. 18 e 22 e con gli artt. 14 e 1 § 4, che evocano il rispetto dei diritti fondamentali e promuovono la reciproca informazione in ordine a tali strumenti) e, più in generale, con gli artt. 47 e 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in combinato disposto con gli artt. 13 e 8 Cedu, e, conseguentemente, se, in presenza di tali circostanze, sia comunque possibile avvalersi di un ordine d’indagine.
4. Con riferimento alla prima questione pregiudiziale, la Corte premette che dall’art. 14 § § 1 e 2 della direttiva – ove si prevede che «gli Stati membri assicurano che i mezzi d'impugnazione equivalenti a quelli disponibili in un caso interno analogo siano applicabili agli atti di indagine richiesti nell'OEI» e che «le ragioni di merito dell’emissione dell’OEI possono essere impugnate soltanto mediante un’azione introdotta nello Stato di emissione» – non si può in effetti desumere l’obbligo di predisporre, in sede di recepimento della disciplina europea, rimedi specifici e ulteriori rispetto a quelli contemplati dalla normativa interna[5].
Già in occasione del primo rinvio, l’Avvocato generale, nelle sue conclusioni, aveva peraltro suggerito che tale norma non potesse sopperire, creandoli «ex nihilo», alla totale carenza di mezzi di impugnazione, che non fossero neppure previsti in relazione a un caso interno analogo[6].
Nondimeno, ad avviso della Corte, siffatto obbligo discende direttamente dall’art. 47 della Carta di Nizza, da ritenersi intriso nel tessuto normativo della direttiva del 2014, che conferisce il diritto a un ricorso effettivo a chiunque abbia subito una violazione dei diritti e delle libertà protetti dal diritto europeo e che rinviene una perfetta corrispondenza nell’art. 13 Cedu[7].
Sullo sfondo di tale scenario normativo, il principio della tutela giurisdizionale effettiva deve certamente trovare attuazione a fronte di provvedimenti concernenti perquisizioni e sequestri, che incidono sensibilmente su diritti e libertà fondamentali della persona, quali il domicilio, la corrispondenza, la vita privata e familiare, la proprietà e la libertà di iniziativa economica (artt. 7 e 17 della «Carta»)[8].
Ad analoghe considerazioni, la Corte perviene in relazione all’audizione di un soggetto nel ruolo di persona informata sui fatti o di testimone, sottolineando come i provvedimenti adottati in ipotesi di omessa comparizione, reticenza o false dichiarazioni siano in concreto idonei a interferire nella sfera individuale dell’interessato, sebbene in misura meno significativa rispetto a quelli che dispongono perquisizioni e sequestri[9]. A tal proposito, si richiama l’art. 24 § 7 della direttiva 2014/41/UE che sollecita ciascuno Stato membro a predisporre «le misure necessarie affinché, qualora la persona ascoltata nel proprio territorio (…) rifiuti di testimoniare pur avendone l’obbligo o dichiari il falso, si applichi il diritto nazionale», prevedendo l’applicazione della lex loci (il diritto dello Stato di esecuzione nel quale si trova la persona da ascoltare), quale eccezione alla regola dell’operatività della lex fori (il diritto dello Stato di emissione dell’ordine).
Alla luce di tali osservazioni, si risponde negativamente alla prima questione[10], evidenziando come a fronte della potenziale violazione dei diritti fondamentali, insita nell’adozione dei provvedimenti aventi natura probatoria, attuabili non solo entro i confini nazionali, ma anche all’estero mediante l’ordine europeo d’indagine, non si possa prescindere dall’elaborazione, da parte di ogni Stato, di strumenti che consentano ai loro destinatari di reagire dinnanzi a un organo giurisdizionale.
5. Per quanto concerne la seconda questione, che si pone quale corollario della precedente, si afferma che la conseguenza inevitabile della lesione del diritto riconosciuto dall’art. 47 della Carta recata da uno Stato privo, al suo interno, di mezzi di impugnazione si traduce nell’impossibilità, per detto Stato, di utilizzare l’ordine europeo d’indagine[11], almeno sino a quando la normativa interna si adegui agli standard minimi di protezione accordati a livello sovranazionale. Tale conclusione poggia su un’argomentazione solida, che prende le mosse dai principi che nutrono la direttiva 2014/41/UE: da un lato, il principio di equivalenza, espressamente annoverato tra le condizioni di emissione dell’ordine investigativo (art. 6 § 1) e, dall’altro, il principio del mutuo riconoscimento delle sentenze e delle decisioni giudiziarie, codificato nell’art. 82 TFUE e immanente alla direttiva medesima.
6. In relazione al primo aspetto, approfondito anche dall’Avvocato generale[12], si sottolinea che, se è vero che l’ordine d’indagine presuppone che l’attività investigativa (es. perquisizione, sequestro) in esso richiesta sia parimenti consentita a livello interno, è altrettanto indubitabile che la clausola di equivalenza non possa legittimare un pregiudizio alle garanzie fondamentali. Al contrario, essa mira a scongiurare il rischio di elusione di limiti e divieti posti dalla normativa nazionale per il corrispondente atto interno, a tutela dei diritti delle persone interessate[13]. In altri termini, «l’equivalenza è accettabile solo fintanto che non sia invocata per convalidare una violazione equivalente delle norme minime della Cedu»[14], della Carta di Nizza e, di riflesso, della direttiva sull’OEI.
7. Per ciò che riguarda il principio del mutuo riconoscimento, asse portante della disciplina sull’ordine europeo d’indagine, esso poggia a sua volta sulla reciproca fiducia che, in linea teorica, dovrebbe animare i rapporti tra gli Stati membri: una fiducia che trae linfa vitale dalla condivisione di valori e dalla comunanza del patrimonio storico e culturale, rendendo l’Unione europea «unita nella diversità»[15].
Proprio il divario sussistente tra le regole processuali e probatorie dei singoli Stati aderenti alla direttiva ha indotto il legislatore sovranazionale a stabilire una presunzione soltanto relativa di conformità di ciascun ordinamento al diritto dell’Unione e, in particolare, ai diritti fondamentali (considerando n. 19). Si tratta, dunque, di una presunzione suscettibile di essere superata nel caso concreto, in presenza del fondato motivo di ritenere che l’esecuzione dell’atto indicato nell’OEI comporti una lesione dei diritti fondamentali. In tale ipotesi, che dovrebbe rivestire carattere di eccezionalità, l’autorità destinataria dell’ordine può (e non deve) appellarsi al motivo di non riconoscimento previsto dall’art. 11 § 1, lett. f) della direttiva, basato, per l’appunto, sulla presunta violazione dei diritti, delle libertà e dei principi sanciti dalla Carta (art. 6 TUE), così rifiutando la cooperazione richiesta.
Nel caso affrontato dalla Corte, si osserva, però, che la serialità della violazione imputabile alla Bulgaria, connaturata al suo sistema processuale, costringerebbe l’autorità di esecuzione a un ricorso sistematico al motivo di rifiuto, determinando un rovesciamento dei rapporti tra regola (il riconoscimento) ed eccezione (il non-riconoscimento), in aperto contrasto con lo spirito della direttiva, nonché con i principi di fiducia reciproca e di leale collaborazione (art. 4 § 3 TUE)[16]. Scartata, per questa ragione, l’opzione dell’esclusione a valle, affidata alla discrezionalità e alla prudenza della sola autorità di esecuzione, s’impone l’alternativa della preclusione in radice dell’accesso di tale Stato al meccanismo dell’ordine europeo d’indagine, alimentato dal mutuo riconoscimento.
***
7. Le conclusioni cui approda la Corte si apprezzano per la severità della sanzione prospettata che, lungi dall’assumere valenza meramente simbolica, rappresenta invero un’importante conquista dei diritti fondamentali sul panorama della cooperazione giudiziaria euro-unitaria in materia penale. Si tratta di un esito tutt’altro che scontato, benché fortemente desiderato, considerato che con la precedente pronuncia, più volte citata, i giudici sovranazionali avevano evitato di addentrarsi nel terreno scivoloso del rispetto dei diritti delle persone coinvolte nelle procedure di acquisizione della prova transnazionale, facendo pendere l’ago della bilancia dal lato dell’efficienza investigativa.
Quanto alla proporzionalità e alla ragionevolezza della soluzione adottata, si condividono le osservazioni svolte dall’Avvocato generale[17], il quale, in più passaggi, ribadisce che l’obbligo di cooperazione interstatuale incontra un preciso limite nel principio di auto-responsabilità gravante su ciascuno Stato. Di conseguenza, non è ipotizzabile, né tantomeno corretto in un’ottica di «leale collaborazione», addossare interamente allo Stato di esecuzione la responsabilità per un vuoto di tutela riconducibile esclusivamente allo Stato che decide di emettere l’ordine investigativo. E pertanto si comprende come l’estromissione ex ante sia di gran lunga preferibile all’esclusione ex post, quale effetto dell’attivazione in concreto, da parte dell’autorità di esecuzione, del motivo di non riconoscimento di cui all’art. 11 lett. f) della direttiva.
L’auspicio è, dunque, che la pronuncia in esame possa fungere da stimolo per gli Stati i cui ordinamenti non soddisfano pienamente i requisiti richiesti dal diritto dell’Unione e, al contempo, spiegare effetti deterrenti nei confronti di prassi applicative distorte[18], che sacrificano indebitamente le garanzie fondamentali in nome dell’efficienza ad ogni costo.
8. La sentenza offre, altresì, l’occasione per volgere lo sguardo al sistema italiano, al fine di verificarne la conformità rispetto alle indicazioni fornite dalla Corte di giustizia in punto di mezzi di impugnazione attivabili contro l’emissione di un OEI.
Nessun problema sorge in relazione al sequestro probatorio, che spesso è il risultato della perquisizione, atteso che il relativo provvedimento è suscettibile di riesame ex art. 257 c.p.p., stante l’esplicito rinvio all’art. 324 c.p.p. In forza del principio di equivalenza, analoga soluzione è stata trasposta nell’ipotesi, regolata dall’art. 28 d.lgs. n. 108/2017, di sequestro a fini di prova richiesto mediante ordine europeo d’indagine emesso dall’autorità giudiziaria italiana e diretto a quella straniera[19].
Per quanto attiene, invece, alla perquisizione caratterizzata da esito negativo (non seguita, cioè, da sequestro) la lacuna derivante dall’impossibilità di un’autonoma impugnazione del decreto motivato, ravvisata dalla Corte EDU[20], è stata di recente colmata dall’art. 1, comma 24, della Legge n. 134/2021[21], con cui il Governo è stato delegato a introdurre un inedito rimedio, individuato nell’opposizione, da proporre davanti al giudice per le indagini preliminari.
A seguito dell’esercizio della delega – da effettuarsi entro il 19 ottobre 2022 – si dovrebbe estendere il raggio applicativo della neonata opposizione all’ordine europeo d’indagine avente ad oggetto la perquisizione che non sfoci nel sequestro, intervenendo direttamente sull’art. 28 d.lgs. n. 108/2017, oppure introducendo una norma ad hoc sul versante della procedura c.d. attiva dell’OEI.
È peraltro evidente che l’eventuale inerzia legislativa su questo punto si presterebbe a sollevare dubbi di legittimità costituzionale della normativa di recepimento della direttiva, dando luogo a un’irragionevole disparità di trattamento tra la perquisizione che esaurisce i propri effetti nel territorio italiano e quella che li esplica all’estero, dovuta alla previsione di un controllo giurisdizionale soltanto nel primo caso.
9. Qualche preoccupazione può forse destare l’assenza, nell’ordinamento italiano, di strumenti che consentano al testimone di censurare l’eventuale illegittimità dei provvedimenti diretti a sanzionare l’omessa e ingiustificata comparizione (art. 133 c.p.p.), la reticenza e la falsità delle dichiarazioni rese (art. 207 c.p.p.).
Tuttavia, si ritiene che le pregnanti garanzie a corredo della testimonianza, primo fra tutte il privilegio contro l’autoincriminazione (artt. 198, comma 2 e 63 c.p.p.), inclusi gli avvertimenti preliminari all’esame (art. 497 c.p.p.), la cui violazione è presidiata da specifiche sanzioni processuali (inutilizzabilità, nullità), siano idonee a porre il sistema al riparo da censure.
A maggior ragione se si considera che, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 39, comma 6, d.lgs. n. 108/2017, dedicato all’audizione testimoniale a distanza mediante ordine d’indagine, l’autorità giudiziaria italiana è in ogni caso tenuta a pretendere l’osservanza di tali garanzie anche da parte dell’autorità straniera: in tal modo, si circoscrive l’oggetto dell’accordo che le autorità coinvolte devono raggiungere in ordine alle modalità di assunzione della prova all’estero (art. 39, comma 4), apponendovi un limite qualitativo a beneficio della persona da ascoltare[22].
[1] Sul tema, v. L. Camaldo, La normativa di attuazione dell’ordine europeo di indagine: le modalità operative del nuovo strumento di acquisizione della prova all’estero, in Cass. pen., 2017, n. 11, p. 4196 ss.
[2] Cfr. C. giust., Sez. I, 24 ottobre 2019, Gavanozov, C-324/17. Per un approfondimento, cfr. C. de Luca, La prima pronuncia della Corte di giustizia sull’ordine europeo di indagine penale: un approccio formale diretto a favorire l’efficacia della cooperazione giudiziaria, in Cass. pen., 2020, n. 10, p. 3854 ss.
[3] La norma regola il contenuto minimo che deve presentare l’ordine europeo d’indagine, in cui non figura la descrizione dei mezzi d’impugnazione disponibili nello Stato di emissione.
[4] Da ultimo, v. C. eur. dir. uomo, Sez. V, 17 gennaio 2017, Posevini c. Bulgaria, §§ da 84 a 86. V., altresì, C. eur. dir. uomo, Sez. V, 9 giugno 2016, Popovi c. Bulgaria, §§ da 120 a 124.
[5] V. § § da 25 a 27 della sentenza in commento.
[6] V. § 98 delle conclusioni dell’Avvocato generale Yves Bot, presentate in data 11 aprile 2019, nell’ambito della causa 324/17.
[7] Cfr. § § da 28 a 30 e § 34 della sentenza.
[8] V. § § da 31 a 33 della sentenza.
[9] Cfr. § § da 42 a 47 della sentenza.
[10] V. § 50 della sentenza.
[11] Cfr. § 62 della sentenza e § 93 delle conclusioni dell’Avvocato generale Michal Bobek, presentate il 29 aprile 2021
[12] V. § § 58 e 59 delle conclusioni e § 52 della sentenza.
[13] Così M. Daniele, Ricerca e formazione della prova, in R.E. Kostoris (a cura di), Manuale di procedura penale europea, Giuffré, 2019, p. 469.
[14] V. § 59 delle conclusioni.
[15] È considerato il “motto” dell’Unione europea.
[16] Cfr. § § 59 e 60 della sentenza.
[17] V. § da 82 a 86 e da 89 a 93 delle conclusioni.
[18] Tra le prime pronunce rese sul tema dell’OEI dalla giurisprudenza di legittimità, si segnala in particolare Cass., Sez. 6, sent. 22 gennaio 2020 (dep. 28 gennaio 2020), n. 3520, Rv. 27762, annotata da M. Daniele, Opposizione al decreto di riconoscimento dell’ordine europeo di sequestro e decisione de plano: una nullità assoluta, in questa Rivista, 18 febbraio 2020. Più di recente, v. Cass., Sez. VI, sent. 24 settembre 2020 (dep. 5 novembre 2020), n. 30885, Rv. 279885, con commento di E. Lorenzetto, Ancora sulla comunicazione del decreto di riconoscimento dell’ordine europeo di indagine: verso la resa dei conti, in Cass. pen., 2021, n. 10, p. 3224 ss.
[19] La norma, al secondo comma, contempla anche la possibilità di proporre appello e ricorso per cassazione ai sensi, rispettivamente, degli artt. 322-bis e 325 c.p.p.
[20] V. C. eur. dir. uomo, sez. I, 27 settembre 2018, Brazzi c. Italia, § § da 50 a 52, che ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 8 Cedu.
[21] V. Legge 27 settembre 2021, n. 134, recante Delega per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia ripartiva e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, in G.U., 4 ottobre 2021, n. 237, le cui principali novità sono ripercorse da G.L. Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della legge ‘Cartabia’, in questa Rivista, 15 ottobre 2021.
[22] Sul punto v. S. Marcolini, La procedura attiva, in M. R. Marchetti, E. Selvaggi (a cura di), La nuova cooperazione giudiziaria penale. Dalle modifiche al codice di procedura penale all'ordine europeo d'indagine, Cedam, 2019, p. 327.