Cass., Sez. IV, sent. 30 gennaio 2020 (dep. 7 aprile 2020), n. 11541, Pres. Di Salvo, Rel. Nardin
1. Con la pronuncia del 30 gennaio 2020 (dep. 7 aprile 2020) n. 11541, la Suprema Corte ha affrontato il tema concernente la definizione del procedimento penale minorile con sentenza di non luogo a procedere per difetto d’imputabilità del minore infraquattordicenne, di cui all’art. 26 D.P.R. 448/1988, affermando, in particolare, che tale peculiare esito decisionale non può essere adottato de plano e deve, invece, essere preceduto dalla celebrazione dell’udienza preliminare, al fine di assicurare il diritto di difesa e il principio del contraddittorio.
Sotto il profilo fattuale, la vicenda trae origine dalla decisione del G.I.P. presso il Tribunale per i minorenni di Roma, con la quale è stato dichiarato il non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 26 D.P.R. 448/1988, per carenza assoluta di imputabilità nei confronti di due minorenni, imputate del reato di furto aggravato in concorso tra loro, in quanto al momento del fatto non avevano compiuto l’età di quattordici anni. Avverso tale sentenza, il difensore d’ufficio delle predette imputate ha presentato ricorso per cassazione, lamentando che, in violazione dell’art. 6 CEDU e dell’art. 40 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, non è stato garantito il diritto della difesa di interloquire prima della decisione sopra indicata, la quale comporta alcune conseguenze pregiudizievoli, tra cui l’iscrizione nel casellario giudiziale e, ove ne ricorrano i presupposti, anche l’adozione di una misura di sicurezza.
2. Prima di analizzare la soluzione adottata dai giudici di legittimità, pare opportuno soffermarsi brevemente sulle caratteristiche principali della sentenza prevista dall’art. 26 D.P.R. 448/1988[1]. In particolare, tale "immediata" declaratoria di non luogo a procedere per difetto d’imputabilità del minore costituisce il risvolto processuale della disposizione di cui all’art. 97 c.p. che, come noto, stabilisce una presunzione assoluta di incapacità di intendere e di volere nei confronti di chi, al momento del fatto, non abbia compiuto quattordici anni[2].
Tale epilogo, potendo trovare applicazione “in ogni stato e grado del procedimento” e, dunque, anche anteriormente all’esercizio dell’azione penale, mira a garantire una rapida fuoriuscita del minorenne non imputabile dal circuito penale, in forza dei canoni di minima offensività e destigmatizzazione, che integrano principi cardine dell’intero sistema di giustizia minorile[3].
Nonostante la ratio dell’istituto in esame sia essenzialmente ispirata al favor minoris, oltre che ad esigenze di economia processuale, il proscioglimento per difetto della capacità di intendere e di volere non è, tuttavia, privo di esiti pregiudizievoli per il suo destinatario. Alla sua applicazione consegue, infatti, l’iscrizione del relativo provvedimento nel casellario giudiziale, ai sensi degli artt. 3 comma 1 lett. f) e 5, comma 4, D.P.R. n. 313/2002 (t.u. casellario), ove permane sino al compimento della maggiore età, nonché la possibilità di adottare, qualora ne sussistano i requisiti, una misura di sicurezza personale, anche in via provvisoria (artt. 224 c.p. e 37 ss. D.P.R. 448/1988)[4].
Proprio tali conseguenze negative, che discendono dalla sentenza di non luogo a procedere di cui all’art. 26 D.P.R. 448/1988, hanno indotto gli interpreti a chiedersi se tale pronuncia debba essere annoverata tra quegli epiloghi che postulano logicamente l’accertamento del fatto e della responsabilità dell’imputato, sebbene la norma non ne faccia espressa menzione[5].
Sul punto, in giurisprudenza si sono registrati due orientamenti contrapposti. Una prima impostazione, per la verità minoritaria, prediligendo un’interpretazione letterale della norma in oggetto – che è rubricata “obbligo della immediata declaratoria della non imputabilità” –, ritiene che, in presenza di un soggetto privo ex lege della capacità di intendere e di volere in ragione dell’età minore di quattordici anni, si impone al giudice la tempestiva chiusura anticipata del procedimento, “attesa l’ultroneità di qualsivoglia indagine in relazione ad un fatto che la legge non consente di perseguire”[6].
Inoltre, tale tesi fa leva sulla necessità di evitare al minore non imputabile un ingiustificato prolungamento dell’esperienza processuale, sminuendo gli effetti sfavorevoli derivanti dal non luogo a procedere[7] e focalizzando piuttosto l’attenzione sulle conseguenze stigmatizzanti che, più in generale, scaturiscono dal protrarsi nel tempo della vicenda penale.
Di conseguenza, il giudice è tenuto a svolgere, anche ex officio, esclusivamente gli accertamenti anagrafici prescritti dall’art. 8 D.P.R. 448/1988, ove sussistano situazioni di incertezza circa il raggiungimento o meno dell’età che costituisce la soglia dell’imputabilità[8].
Nella direzione opposta si dirige, invece, l’orientamento giurisprudenziale maggioritario[9], condiviso dalla sentenza in commento, che, nell’ottica di garantire la massima estensione del diritto di difesa, afferma che la decisione ex art. 26 D.P.R. 448/1988 postula il positivo accertamento della colpevolezza dell’imputato, nonché la puntuale indicazione, nella motivazione del provvedimento, delle ragioni del mancato proscioglimento nel merito.
Soltanto una siffatta interpretazione, infatti, è in grado di assicurare la compatibilità della disposizione poc’anzi richiamata rispetto sia alla norma che contempla l’iscrizione del provvedimento nel casellario giudiziale, sia all’art. 224 c.p., al quale fa rinvio l’art. 37, comma 2, D.P.R. 448/1988, con riferimento alle misure di sicurezza, la cui adozione non può prescindere dalla preventiva verifica in ordine all’attribuibilità del reato contestato al minore non imputabile ed alla sussistenza della pericolosità sociale “qualificata” in capo al medesimo.
3. In ragione delle predette considerazioni, la quarta sezione della Corte di cassazione, in accoglimento delle doglianze esposte dal ricorrente, ha annullato con rinvio la sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità emessa de plano dal giudice specializzato e, collocandosi sulla scia del consolidato orientamento giurisprudenziale, a cui si è fatto precedentemente riferimento, ha ribadito la necessità che tale esito sia preceduto dalla fissazione dell’udienza preliminare, ai sensi dell’art. 31 D.P.R. 448/1988, diretta a consentire l’effettivo espletamento del contraddittorio e delle garanzie difensive.
A tal riguardo, la Suprema Corte ha affermato che la disposizione appena citata “non contraddice affatto la previsione di cui all'art. 26 del medesimo d.P.R., che consente al giudice di dichiarare 'anche d'ufficio' il non luogo a procedere, in ogni stato e grado del procedimento, allorquando sia accertato che ‘l'imputato sia minore degli anni quattordici’ e come tale persona non imputabile”.
La Cassazione ha ravvisato, peraltro, un’insanabile frattura tra la tesi minoritaria, favorevole a riconoscere la possibilità di una sentenza de plano, e i principi di derivazione costituzionale (artt. 3, 10, 24 comma 2, 111 e 112 Cost.) e sovranazionale in tema di diritto al giusto processo e di tutela della vulnerabilità del minore nell’ambito del rito penale. A tal proposito, significativo pare il richiamo all’art. 40 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, nonché ai recenti approdi della Corte europea dei diritti dell’uomo (Panovits v. Cyprus, 2008), la quale ha ribadito che il modello processuale minorile deve essere configurato “tenendo conto dell’età, del livello di maturità e del grado di sviluppo delle capacità intellettive ed emotive dell’accusato, in modo da consentirgli di comprendere e partecipare attivamente al procedimento, esercitando il diritto alla difesa garantito dall’art. 6 CEDU”[10].
Tali affermazioni – come rilevato dai giudici di legittimità nella sentenza in commento – rendono necessario assicurare al minore, ancorché infraquattordicenne e come tale non imputabile, “la più ampia difesa al fine di scongiurare, consentendogli la partecipazione al processo nel pieno contraddittorio, qualsiasi effetto pregiudizievole derivante dal coinvolgimento in un 'affare penale', ivi compresi – ovviamente – effetti diversi dall'applicazione della sanzione penale”, che, come detto, consistono nell’applicazione di una misura di sicurezza o, anche, nella semplice annotazione della sentenza di proscioglimento sul certificato del casellario penale, dovendosi tenere conto “della possibile ricaduta del proscioglimento per difetto di imputabilità, accompagnato da dette misure, sul pieno ed incondizionato inserimento sociale del minore nella delicata fase dello sviluppo della personalità”.
In definitiva, una pronuncia de plano, sebbene sia animata dall’intento di favorire l’espulsione del minore dal processo in tempi rapidi, al contempo gli impedisce di interloquire al fine di ottenere un epilogo assolutorio pieno, arrecando un vulnus irreparabile non solo al diritto di difesa, ma anche alle esigenze educative e di recupero sociale, che assumono primaria importanza nel rito minorile. Al contrario, la preventiva valutazione, condotta in apposita udienza partecipata, in ordine alla concreta responsabilità penale dell’infraquattordicenne, ove caratterizzata da esito negativo, consentirebbe il ricorso alle formule assolutorie di cui all’art. 425 c.p.p., riespandendosi così le garanzie difensive dell’imputato.
In altri termini, a fronte della dimostrata insussistenza del reato contestato o della non riferibilità dello stesso al minorenne, il non luogo a procedere per difetto di imputabilità sarebbe destinato a cedere il passo a sentenze di proscioglimento più favorevoli, in ossequio al favor innocentiae[11].
4. In relazione alla soluzione adottata dalla Corte di Cassazione, si possono formulare alcune considerazioni conclusive.
La sentenza in esame offre, anzitutto, l’occasione per evidenziare come l’udienza preliminare costituisca il “baricentro” del procedimento penale minorile[12]. A tal riguardo, occorre ricordare che tale udienza si celebra dinanzi a un organo giurisdizionale che si caratterizza per essere obbligatoriamente collegiale e specializzato[13]. Come evidenziato dalla Corte costituzionale, nella pronuncia n. 1/2015, “l’interesse del minore nel procedimento penale minorile trova adeguata tutela proprio nella particolare composizione del giudice specializzato (magistrati ed esperti), e questa composizione è stata opportunamente prevista anche per il giudice dell’udienza preliminare, formato da un magistrato e da due giudici onorari, un uomo e una donna”[14].
Nonostante il giudice per le indagini preliminari appartenga alla giurisdizione specializzata minorile, la Consulta ha precisato che i due esperti che affiancano il magistrato nell’udienza preliminare assicurano, per la loro specifica professionalità, “un’adeguata considerazione della personalità e delle esigenze educative del minore”, nonché “contribuiscono anche all’osservanza del principio di minima offensività, che impone di evitare, nell’esercizio della giurisdizione penale, ogni pregiudizio al corretto sviluppo psicofisico del minore e di adottare le opportune cautele per salvaguardare le correlate esigenze educative”[15].
Si ricorda, a tal proposito, che gli accertamenti sulla personalità ex art. 9 D.P.R. 448/1988 devono compiersi anche nei confronti dell’autore di reato infraquattordicenne: essi, infatti, sono funzionali non soltanto all’accertamento della capacità di intendere e di volere, ma sono prodromici anche rispetto ad altre decisioni eventualmente da assumere da parte del giudice penale, quali l’adozione di misure di sicurezza ovvero eventuali provvedimenti civili o rieducativi[16].
La celebrazione dell’udienza preliminare, ai fini della pronuncia di cui all’art. 26 D.P.R. 448/1988, assolve, inoltre, non soltanto all’esigenza di assicurare il contraddittorio e l’effettività del diritto di difesa, ma anche alla funzione educativa e responsabilizzante, cui risulta complessivamente orientato il processo penale minorile. Se, infatti, è vero che, da un lato, il coinvolgimento del minorenne nella vicenda penale rischia di compromettere irrimediabilmente il suo sviluppo e di indurlo a identificarsi in modelli devianti, dall’altro lato, esso può rappresentare un’occasione favorevole di rieducazione, in grado di innescare un processo di rivisitazione critica dell’episodio criminoso.
Nel perseguimento di tale obiettivo, che si impone con particolare intensità qualora sia stata in concreto accertata la responsabilità penale del minore, imputabile o meno, appare necessario garantire una sua consapevole partecipazione e una costante interlocuzione nelle varie fasi procedimentali e processuali che lo vedono protagonista. In quest’ottica, riveste indiscussa rilevanza il ruolo conferito dall’art. 1 D.P.R. 448/1988 al giudice, cui è demandata la delicata funzione di illustrare al minore il significato delle attività processuali svolte in sua presenza e del contenuto e delle ragioni, anche etico-sociali, dei provvedimenti adottati nei suoi confronti, nonché il principio di adeguatezza, che suggerisce di calibrare ogni decisione sulle specifiche esigenze educative e sulla personalità del minorenne.
Da ultimo, ancorché la Corte di legittimità non si soffermi sulla questione, deve osservarsi che l’udienza preliminare rappresenta la sede fisiologicamente deputata a raccogliere l’eventuale consenso del minore alla definizione anticipata del procedimento, secondo quanto previsto dall’art. 32 comma 1 D.P.R. 448/1988. Alla luce della ben nota pronuncia della Consulta[17], la mancanza del consenso validamente espresso dall’imputato preclude al giudice la possibilità di pervenire ad una sentenza di non luogo a procedere che implica un accertamento di responsabilità, quale deve considerarsi, per le ragioni precedentemente esposte, la declaratoria per difetto di imputabilità dell’infraquattordicenne.
È opportuno, infine, considerare una soluzione “intermedia”, che non è stata presa in esame dalla pronuncia in commento. A fronte del silenzio dell’art. 26 D.P.R. 448/1988 circa le modalità procedimentali, con cui si deve pervenire alla peculiare declaratoria del difetto di imputabilità dell’infraquattordicenne, la dottrina[18] sostiene che si possa ricorrere all’applicazione analogica dell’art. 27, comma 2, D.P.R. 448/1988, il quale, nell’ipotesi della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto in fase di indagini preliminari, prevede che il giudice debba fissare un’apposita udienza camerale e decidere dopo aver sentito il minorenne, l’esercente la responsabilità genitoriale, nonché la persona offesa dal reato. Nell’ambito dell’audizione del minore, il giudice avrebbe altresì l’occasione di acquisire il consenso dell’imputato alla definizione del procedimento in quella sede.
Tale opzione interpretativa, pur scontando la perdita della collegialità e della componente onoraria dell’organo giudicante, presenta il vantaggio di consentire una più immediata fuoriuscita del minore dal procedimento penale, risultando comunque garantiti, nelle forme del procedimento camerale, il contraddittorio e le garanzie difensive, con la possibilità per il giudice di assolvere pure al proprio onere illustrativo delle attività processuali e della decisione adottata nei confronti del minore infraquattordicenne.
[1] In argomento, v. D. Vigoni, Il difetto d’imputabilità del minore: le verifiche e gli esiti processuali, in D. Vigoni (a cura di), Il difetto d’imputabilità del minorenne, Torino, Giappichelli, 2016, p. 119 ss.; C. Cesari, Le strategie di diversion, in M. Bargis (a cura di), Procedura penale minorile, Torino, Giappichelli, 2019, p. 201; A. Tassi, sub art. 26, in Il processo penale minorile – Commento al D.P.R. 448/1988, a cura di G. Giostra, IV ed., Giuffrè, Milano, 2016, p. 379 ss.; P. Renon, L’obbligo di immediata declaratoria di non imputabilità, in Diritto e procedura penale minorile, a cura di E. Palermo Fabris – A. Presutti, vol. V, Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, II ed., Giuffrè, Milano, 2002, p. 431 ss.
[2] A tal proposito, v. E. Zappalà, La responsabilità penale del minorenne, in Aa.Vv., La giurisdizione specializzata nella giustizia penale minorile, a cura di E. Zappalà, III ed., Torino, Giappichelli, 2019, p. 17 ss. Recentemente è stata presentata (in data 7 febbraio 2019) la Proposta di legge n. 1580, intitolata “Modifiche al codice penale e alle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, in materia di imputabilità dei minori e di pene applicabili a essi nel caso di partecipazione ad associazione mafiosa” (v. Atti parlamentari, Camera dei deputati, XVIII legislatura, Disegni di legge), con la quale si intende modificare la disciplina vigente, abbassando l’età «ufficiale» della responsabilità penale a dodici anni, quale «risposta alla constatata capacità criminale, ampiamente desumibile dalle cronache giudiziarie, cioè la commissione di gravi reati contro la persona e contro il patrimonio, da parte di soggetti infra-quattordicenni».
[3] Cfr. D. Vigoni, Il difetto d’imputabilità del minore: le verifiche e gli esiti processuali, cit., p. 121 ss.
[4] Le misure di sicurezza previste per i minorenni, ai sensi dell’art. 36 D.P.R. 448/1988 (riformatorio giudiziario e libertà vigilata), possono essere applicate qualora ricorrano le condizioni previste dall’art. 224 c.p. – attinenti alla effettiva pericolosità sociale dell’imputato – «e quando, per le specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell’imputato, sussiste il concreto pericolo che questi commetta delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro la sicurezza collettiva o l’ordine costituzionale ovvero gravi delitti di criminalità organizzata» (art. 37, comma 2, D.P.R. 448/1988). Sul tema, cfr. M.G. Coppetta Le misure di sicurezza per il minore non imputabile, in D. Vigoni (a cura di), Il difetto d’imputabilità del minorenne, cit., p. 147 ss.; M.A. Zuccalà, Le misure di sicurezza per i minorenni, in Diritto e procedura penale minorile, cit., p. 259 ss.
[5] Sul tema, v. A. Ciavola – V. Patanè, La specificità delle formule decisorie minorili, in Aa.Vv., La giurisdizione specializzata nella giustizia penale minorile, cit., p. 148 ss.; C. Cesari, Le strategie di diversion, cit., p. 195 ss. Nell’ambito del processo penale minorile, è ormai pacifico ritenere che l’accertamento della colpevolezza del minorenne costituisca un presupposto implicito della sentenza che dichiara estinto il reato per concessione del perdono giudiziale (art. 169 c.p.), della sentenza non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art. 27 D.P.R. 448/1988) e della ordinanza che dispone la sospensione del processo con contestuale messa alla prova (art. 28 D.P.R. 448/1988). Per questa ragione, tali peculiari epiloghi, qualificati come “cripto condanne”, qualora trovino applicazione in sede di udienza preliminare, richiedono la preventiva manifestazione del consenso dell’imputato, ai sensi dell’art. 32 comma 1 D.P.R. 448/1988.
[6] In tal senso, v. Cass., sez. I, 14 febbraio 2019 (dep. 12 aprile 2019), n. 16118, Rv. 275892; Cass., sez. V, 25 novembre 2009 (dep. 29 dicembre 2009), n. 49863, Rv. 245815.
[7] Sul punto, a sostegno della non necessità di condurre in via preventiva l’accertamento teso a verificare l'eventuale insussistenza del fatto o la non attribuibilità dello stesso al minore imputato, la Cassazione sottolinea che “la necessità di ricostruzione del fatto si ricollega esclusivamente alla contestuale applicazione di una misura di sicurezza, mentre l'iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale è meramente temporanea e viene cancellata al raggiungimento della maggiore età” (cfr. Cass., sez. I, 14 febbraio 2019 (dep. 12 aprile 2019), n. 16118, Rv. 275892).
[8] L’art. 8 D.P.R. 448/1988 stabilisce la possibilità per il giudice di disporre, anche d’ufficio, una perizia, quando vi sia incertezza sull’età dell’imputato. Qualora permangano dubbi sull’età del soggetto anche a seguito di tale accertamento (c.d. perizia auxologica) si prevede una presunzione iuris tantum, improntata al favor minoris. In argomento, v., volendo, L. Camaldo, Gli accertamenti sull’età e sulla personalità: aspetti processuali, in D. Vigoni (a cura di), Il difetto d’imputabilità del minorenne, Torino, Giappichelli, 2016, p. 76 ss.; C. Cattaneo – D. Gibelli, L’accertamento dell’età: aspetti medico-legali, ivi, p. 103 ss.; C. Rizzo, Accertamenti sull’età e la personalità del minore nel procedimento penale, Giuffrè, Milano, 2007, p. 10 ss.; S. Cutrona, sub art. 8, in Il processo penale minorile – Commento al D.P.R. 448/1988, a cura di G. Giostra, cit., p. 119 ss.
[9] Cfr., ex multis, Cass., Sez. V, 23 ottobre 2018 (dep. 10 dicembre 2018), n. 55260, Rv. 274605; Cass., Sez. III, 20 settembre 2016 (dep. 27 ottobre 2016), Rv. 267836; Cass., Sez. V, 22 giugno 2011 (dep. 28 settembre 2011), n. 35189, Rv. 251200.
[10] V. Corte EDU, sent. 11 dicembre 2008, Panovits c. Cipro, n. 4268/04, § 67.
[11] Sul punto, v. Cass., sez. V, 23 aprile 2014 (dep. 11 giugno 2014), n. 24696, Rv. 260572, ove si afferma che “la sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità del minore postula il necessario accertamento di responsabilità dell'imputato e delle ragioni del mancato proscioglimento nel merito”.
[12] In questi termini, cfr. A. Zappulla, Le deroghe al rito ordinario nelle varie fasi del procedimento, in Aa.Vv., La giurisdizione specializzata nella giustizia penale minorile, cit., p. 99 ss.
[13] V. art. 50-bis, comma 2, del r.d.l. 30 gennaio 1941, n. 12. Ai sensi dell’art. 2 r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, i giudici onorari sono “due cittadini, un uomo e una donna, benemeriti dell’assistenza sociale, scelti tra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia, che abbiano compiuto il trentesimo anno di età”.
[14] Cfr. Corte cost., 22 gennaio 2015, n. 1, in www.giurcost.org.
[15] V. Corte cost., 22 gennaio 2015, n. 1, cit.
[16] In dottrina, v. V. Patanè, sub art. 9, in Il processo penale minorile – Commento al D.P.R. 448/1988, a cura di G. Giostra, cit., p. 141; A. Presutti, La posizione del minore, in Diritto e procedura penale minorile, cit., p. 341; D. Vigoni, sub art. 9 d.p.r. 448/1988, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda – G. Spangher, Milano, Ipsoa, 2017, tomo III, p. 1179; nonché, volendo, L. Camaldo, Gli accertamenti sull’età e sulla personalità: aspetti processuali, cit., p. 85.
[17] Cfr. Corte cost., 16 maggio 2002, n. 195, in www.giurcost.org.
[18] V. C. Cesari, Le strategie di diversion, cit., p. 203.