C. assise app. Milano, ord. 20 gennaio 2021, Pres. Ichino, est. Anelli
1. Con un’ordinanza del 20 gennaio 2021, la Corte di assise d’appello di Milano, Sez. I risolve una questione preliminare al dibattimento di appello, relativa alle modalità partecipative dell’imputato nel giudizio di appello durante l’attuale crisi sanitaria. In particolare, la decisione in commento ritiene applicabile non solo l’art. 23-bis del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, c.d. “decreto Ristori”[1], convertito in legge 18 dicembre 2020, n. 176, contenente le “disposizioni per la decisione dei giudizi penali di appello nel periodo di emergenza epidemiologica da COVID.19”, ma anche l’art. 146-bis disp. att. c.p.p., vale a dire la norma processuale concernente la partecipazione al dibattimento a distanza dell’imputato, a sua volta richiamata dall’art. 23 d.l. n. 137/2020.
2. Per meglio inquadrare la questione specifica controversa e la soluzione data dalla corte milanese, sembra utile richiamare per sintesi il quadro normativo di riferimento. Le norme attualmente vigenti in materia di celebrazione dei giudizi penali a fronte dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 si rinvengono agli artt. 23 e ss. d.l. n. 137/2020. Espressamente dedicato al processo penale di appello[2] è, come detto, l’art. 23-bis d.l. cit., ai sensi del quale, a decorrere dal 9 novembre 2020 e fino al 31 aprile 2021[3], eccezion fatta per i casi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ex art. 603 c.p.p., le udienze di appello si svolgono in camera di consiglio, senza la partecipazione del pubblico ministero e dei difensori, salvo che le parti private o il p.m. espressamente richiedano la discussione orale ovvero che «l’imputato manifesti la volontà di comparire» (comma 1); tali richieste devono essere presentate, a pena di decadenza, entro il termine di quindici giorni liberi prima della data fissata per l’udienza (comma 4). Il comma 2 prescrive, conseguentemente e coerentemente con l’assetto limitativo delle garanzie processuali, le regole per la discussione finale, secondo le quali le conclusioni devono essere formulate con atto scritto e trasmesse alla cancelleria della Corte d’appello per via telematica. In particolare, si prevede che entro il decimo giorno precedente l’udienza il pubblico ministero formuli per iscritto le sue conclusioni, con atto trasmesso per via telematica alla cancelleria della Corte d’appello; quest’ultima, poi, invia immediatamente l’atto ai difensori delle parti, i quali possono a loro volta presentare conclusioni, ugualmente con atto scritto e in modalità telematica, almeno cinque giorni prima dell’udienza.
Il quadro normativo così delineato risponde all’evidente finalità di bilanciare la tutela della salute degli attori processuali e della collettività con il necessario rispetto del principio del contraddittorio, dell’immediatezza e dell’oralità, nonché dei diritti difensivi dell’imputato[4]: a una generale rinuncia al fisiologico svolgimento dell’udienza “in presenza” fa da contraltare la possibilità di ricorso alla medesima, laddove abdicarvi importerebbe un sacrificio eccessivo in termini di garanzie processuali. Il riferimento è, appunto, alle ipotesi in cui si debba procedere alla rinnovazione dell’istruzione, che per sua natura esige l’attuazione delle garanzie processuali anzidette, così come alle ipotesi in cui siano le parti a domandare lo svolgimento in udienza “partecipata” sulla base di autonome valutazioni, o ancora qualora «l’imputato manifesti la volontà di comparire» secondo il comma 1 dell’art. 23-bis cit. Resta da chiarire se in questi casi sia sufficiente l’attivazione del contraddittorio nell’udienza a distanza ai sensi dell’art. 23 comma 5 d.l. 137/2020[5], il quale genericamente consente lo svolgimento «delle udienze che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice» mediante collegamento da remoto, ovvero se la norma imponga la celebrazione dell’udienza alla presenza fisica delle parti. Tale seconda opzione, maggiormente rispettosa dei canoni dell’oralità e dell’immediatezza, sarebbe suggerita dalla valorizzazione del dettato normativo, avuto particolare riguardo al riferimento alla «richiesta di discussione orale» contenuta al comma 1 dell’art. 23-bis. Tuttavia, l’assenza di un richiamo esplicito nell’art. 23-bis comma 1 allo svolgimento dell’udienza in presenza, abbinata alla generale possibilità, rimessa al giudice procedente, di instaurazione del contraddittorio da remoto ex art. 23 comma 5, parrebbe lasciare aperta l’alternativa tra le due opzioni anche nelle ipotesi in esame.
Oltre all’art. 23-bis d.l. 137/2020, viene appunto in rilievo pure l’art. 23, rubricato “Disposizioni per l’esercizio dell’attività giurisdizionale nella vigenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Il tenore letterale della disposizione lascia intendere che l’ambito applicativo della medesima attenga allo svolgimento dell’attività giudiziaria complessivamente considerata, e quindi anche dei procedimenti penali, in qualsiasi grado essi pendano. Infatti, all’interno dei commi 3, 4 e 5 dell’art. 23, specificamente destinati ai giudizi penali, si fa a più riprese riferimento alle «udienze penali», senza alcuna specificazione in punto di fase o grado processuale in cui l’udienza medesima debba svolgersi. In altre parole, l’art. 23, commi 3, 4 e 5 d.l. cit. può essere concepita come fonte di una norma generale in tema di svolgimento dei procedimenti penali nel corrente periodo emergenziale, cui si sommano le ulteriori disposizioni particolari stabilite per i giudizi pendenti in appello di cui all’art. 23-bis d.l. 137/2020.
Per quanto rileva in questa sede, il comma 4 dell’art. 23 si occupa di assicurare la partecipazione a distanza a «qualsiasi udienza» delle persone «detenute, internate, in stato di custodia cautelare, fermate o arrestate», mediante esplicito richiamo ai commi 3, 4 e 5 dell’art. 146-bis disp. att. c.p.p., cioè a dire la norma processuale generale disciplinante la partecipazione a distanza al dibattimento penale. Ai sensi dei commi citati, la partecipazione a distanza si svolge mediante «collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza e il luogo di custodia, con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto […]» (comma 3); «è sempre consentito al difensore o a un suo sostituto di essere presente nel luogo dove si trova l'imputato. Il difensore o il suo sostituto presenti nell'aula di udienza e l'imputato possono consultarsi riservatamente, per mezzo di strumenti tecnici idonei» (comma 4) e il luogo da cui avviene il collegamento dell’imputato «è equiparato all’aula di udienza» (comma 5).
3. Tanto premesso, ripercorriamo le argomentazioni svolte dalla Corte d’Assise d’Appello nell’ordinanza in esame: i giudici ricordano, in primis, l’applicabilità al giudizio in corso dell’art. 23-bis d.l. 137/2020, applicabilità pacifica in ragione della riconducibilità di ogni giudizio di appello nell’alveo di detta norma, ivi compresi i giudizi svolgentesi innanzi alle Corti d’assise d’appello, le quali, «per giurisprudenza amministrativa monocorde», costituiscono sezioni ordinarie delle Corti d’appello. Successivamente, è affrontata la questione concernente la partecipazione a distanza dell’imputato, sulla base della considerazione che la «norma di diritto positivo di ordine generale» di cui all’art. 146-bis disp. att. c.p.p. risulta direttamente richiamata nella regolamentazione emergenziale ex artt. 23 e ss. d.l. 137/2020. Per la verità, la Corte fa riferimento a un rinvio all’art. 146-bis disp. att. che sarebbe contenuto nell’art. 23-bis, laddove invece lo stesso si rinviene nel già menzionato comma 4 del più ampio articolo 23. Al di là di ciò, la conclusione non muta: infatti, come si rammentava poc’anzi, l’art. 23 comma 4 d.l. 137/2020, da ritenersi applicabile anche ai giudizi di appello, dispone expressis verbis che sia garantita la partecipazione dei detenuti – quale risulta essere, del resto, l’imputato nel caso in esame – mediante collegamento a distanza realizzato ex art. 146-bis disp. att. c.p.p. In ogni caso, sembra ragionevole ritenere che in tutti e tre i casi sopracitati in cui, ai sensi dell’art. 23-bis comma 1 d.l. 137/2020, l’udienza di appello non si svolga in camera di consiglio, bensì con la partecipazione delle parti, il giudice possa legittimamente disporre che l’imputato detenuto partecipi mediante collegamento audiovisivo ex art. 146-bis disp. att. c.p.p., a mente del combinato disposto degli artt. 23-bis comma 1, 23 comma 4 d.l. cit. e 146-bis commi 3, 4 e 5 disp. att. c.p.p., quest’ultimo in quanto espressamente richiamato dall’art. 23 comma 4.
A rinforzo della scelta nel senso della partecipazione a distanza, l’ordinanza della Corte d’Assise d’Appello svolge un breve excursus sull’istituto in parola. Nella specie, si precisa la compatibilità della partecipazione a distanza con il diritto di difesa dell’imputato, così come affermata nella giurisprudenza costituzionale e della Corte EDU, alle cui pronunce rispettivamente 14 luglio 1999, n. 342 (e successive conformi[6]) e 5 ottobre 2006, Viola c. Italia, i giudici della Corte d’Assise d’Appello fanno menzione. Quanto alle statuizioni della Corte costituzionale, il riferimento è all’indirizzo secondo cui l’istituto della partecipazione a distanza non costituirebbe di per sé un ostacolo alla piena realizzazione del diritto di difesa: quest’ultimo, infatti, non risulterebbe intaccato dallo strumento del collegamento audiovisivo da remoto, a condizione che siano approntati i mezzi tecnici idonei a garantire l’«effettiva partecipazione personale e consapevole dell’imputato al dibattimento»[7].
Relativamente, invece, alla giurisprudenza di Strasburgo, nel provvedimento in esame si ricorda segnatamente che la Corte EDU «ha riaffermato l’interpretazione dell’art. 6 [CEDU] che, letto nella sua interezza, riconosce all’accusato il diritto di partecipare effettivamente al processo, comprendendo le facoltà di assistervi e di seguire la discussione dibattimentale. E, tuttavia, ha altresì precisato che l’esigenza della comparizione personale dell’imputato debba essere valutata in relazione ai diversi gradi di un processo e alla normativa che li disciplina. Tale comparizione non riveste in appello la stessa importanza decisiva che ha in primo grado. […] Perciò l'art. 6 [CEDU] non implica sempre il diritto ad una pubblica udienza o, a maggior ragione, a comparire personalmente».
Il provvedimento fa leva sull’autorevolezza degli arresti giurisprudenziali citati, per sottolineare l’opportunità della partecipazione a distanza nel caso in cui questa dipenda, come accade nella normativa emergenziale applicata, dalla necessità di bilanciare «il diritto costituzionale di difesa e l'altrettanto irrinunciabile diritto alla salute di pari rango costituzionale». Ad avviso dei giudici d’appello, il meccanismo del collegamento a distanza non pregiudica, del resto, la possibilità di confronto costante, ed eventualmente anche riservato, con il difensore presente in aula, stante la facoltà per imputato e difensore di richiedere in qualsiasi momento la sospensione dell’udienza al fine di svolgere un colloquio confidenziale.
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4. In conclusione, la ricostruzione svolta dalla Corte appare coerente con il dettato normativo vigente. La generalizzazione, operata dall’art. 23 comma 4 d.l. 137/2020, della partecipazione a distanza delle persone a qualsiasi titolo e per qualsiasi reato detenute legittima il giudice procedente a ricorrervi anche fuori dai casi, per cui la stessa è ordinariamente prevista, ex art. 146-bis disp. att. commi 1, 1-bis e 1-quater. Ciò sembra valere, alla luce di quanto illustrato supra, ugualmente nei giudizi pendenti in grado di appello che si svolgano nella modalità partecipata e in presenza ai sensi dell’art. 23-bis comma 1. Del resto, la partecipazione dell’imputato mediante collegamento audiovisivo all’aula di udienza risulta misura idonea ad assicurare la corretta instaurazione del contraddittorio ex art. 23-bis comma 1 d.l. 137/2020, pure nell’ipotesi in cui l’impulso in questa direzione derivi dalla manifestazione della volontà di comparire promanante dall’imputato stesso. In tal caso, infatti, rileva sì la necessità che l’imputato compaia, ma la disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 23-bis comma 1 e 23 comma 4 d.l. cit. non impone che tale comparizione sia fisica, potendo concretizzarsi mediante il meccanismo partecipativo di cui all’art. 146-bis disp. att. c.p.p.
[1] Per un’attenta disamina delle disposizioni in questione, cfr. M. Gialuz – J. Della Torre, D. l. 28 ottobre 2020, n. 137 e processo penale: sulla “giustizia virtuale” servono maggiore cura e consapevolezza, in questa Rivista, 9 novembre 2020.
[2] Sulla disciplina del giudizio di appello contenuta nel d.l. 137/2020 cfr. A. Mangiaracina, Prove tecniche per la “soppressione” del giudizio di appello? in Archivio penale (web), 15 novembre 2020.
[3] Più precisamente, il termine del 31 aprile 2021 è individuato per rinvio al decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, nella legge 22 maggio 2020, n. 35, recante Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19.
[4] Il tema del processo “da remoto” e della partecipazione a distanza nel periodo di emergenza sanitaria ha suscitato un fecondo dibattito in dottrina, per cui, ex multis, si rinvia a: O. Mazza, Distopia del processo a distanza, in Archivio penale (web), 4 aprile 2020; S. Lorusso, Il cigno nero del processo penale, in questa Rivista, 11 maggio 2020; E. Amodio – E. M. Catalano, La resa della giustizia penale nella bufera del contagio, in questa Rivista, 20 maggio 2020; M. Gialuz – J. Della Torre, D. l. 28 ottobre 2020, n. 137 e processo penale: sulla “giustizia virtuale” servono maggiore cura e consapevolezza, cit.
[5] Sull’applicabilità di questa norma anche ai giudizi di appello cfr. infra.
[6] Cfr. Corte cost., ord. 22 giugno 2000, n. 234, Pres. Mirabelli, Red. Neppi Modona; ord. 26 novembre 2002, n. 483, Pres. Chieppa, Red. Neppi Modona; ord. 9 marzo 2004, n. 88, Pres. Zagrebelsky, Red. Neppi Modona.
[7] Così, in particolare, Corte Cost., sent. 14-22 luglio 1999, n. 342, Pres. Granata, Red. Vassalli.