Corte cost. sent. 7 maggio 2024 (dep. 13 giugno 2024), n. 105, Pres. Barbera, red. Viganò
1. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 105 del 2024, ha dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 104 bis, comma 1-bis.1 quinto periodo delle norme di attuazione del codice di procedura penale[1], nella parte in cui non prevede che le misure ivi indicate – di bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione, da un lato, e di tutela della salute, dell’ambiente e di altri beni giuridici, dall’altro – si applichino per un periodo di tempo non superiore a trentasei mesi.
L’articolo citato disciplina il sequestro preventivo di stabilimenti industriali o di parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale, ovvero di impianti e infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, attribuendo al giudice, nei primi quattro periodi, a seconda delle varie ipotesi, poteri prescrittivi volti a garantire la continuità produttiva contemperando gli interessi contrapposti, che comprendono, nel caso in cui dalla prosecuzione dell’attività possa derivare concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica o per la salute o sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione, l’interdizione dal proseguire l’attività produttiva.
Diversamente, il quinto periodo dell’art. 104 bis, comma 1-bis.1, nella lettura datane dal giudice rimettente, avallata dalla Consulta (punto 4.3. dei Considerato in diritto), preclude al giudice del sequestro, in caso di adozione di apposite misure nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, qualsivoglia potere di inibire l’attività produttiva o di condizionarla a determinate prescrizioni tese a contemperare gli interessi antagonisti in campo.
In sintesi, il legislatore, attraverso l’art. 104 bis, comma 1-bis.1 quinto periodo, si è attribuito l’esclusiva sul bilanciamento, sottraendolo al giudice della cautela reale, con lo scopo di assicurare sempre e comunque la prosecuzione dell’attività produttiva.
La pronuncia si inserisce idealmente nel filone giurisprudenziale originato dai c.d. “decreti Ilva”[2] il quale, come noto, sul comune presupposto dell’inesistenza di c.d. diritti tiranni, prevalenti cioè sempre e comunque per rango superiore su altri confliggenti di rango inferiore, ha prodotto esiti diversi; in un primo caso il bilanciamento è stato considerato ragionevole e proporzionato (sent. n. 85/2013); in un secondo il bene della salute e sicurezza dei lavoratori è stato ritenuto irragionevolmente sacrificato da una normativa tutta sbilanciata a favore dell’attività produttiva (sent. n. 58/2018[3]).
Analogamente alla vicenda Ilva, la disciplina in esame è di natura composita, rinviando la norma collocata nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale a future e non meglio specificate “misure”, caratterizzate solo topograficamente (adottate cioè “nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale” e dunque, secondo l’interpretazione della Corte, a misure di fonte governativa[4]).
Nel caso di specie il d.P.C.m. 3 febbraio 2023, nel dichiarare di interesse strategico nazionale gli stabilimenti della società ISAB srl, ha riconosciuto l’impianto di depurazione consortile gestito da IAS spa sito in Priolo Gargallo, ed altri, quali infrastrutture necessarie ad assicurarne la continuità produttiva, disponendo l’applicazione dell’art. 6 del d.l. n. 2 del 2023, e demandando ad un decreto interministeriale (non per caso di competenza del Ministero delle imprese e del Made in Italy, di concerto con quello dell’Ambiente), sentito tra l’altro ISPRA, di definire “le misure attraverso le quali è realizzato…il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza del luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente”.
Su tale base è stato adottato il decreto interministeriale 12 settembre 2023[5] il quale, in buona sostanza, consente di immettere nel depuratore consortile gestito da IAS reflui contenenti talune sostanze inquinanti in concentrazione superiore (anche di 15 volte[6]) a quella prevista in via generale dalle tabelle 3 e 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del d.lgs. n. 152/2006.
Ancora, la conformità dei valori soglia va “verificata come media mensile dei valori ottenuti da ciascun campione composito giornaliero (art. 2 del decreto interministeriale 12 settembre 2023), con metodica derogatoria e più favorevole al titolare dello scarico, come segnalato dal Giudice rimettente[7].
La questione di costituzionalità è stata sollevata dal GIP del Tribunale di Siracusa[8] nell’ambito di un procedimento penale nel quale si contesta tra l’altro l’ipotesi di disastro ambientale aggravato, ipotesi fondata su tre distinte consulenze tecniche, secondo le quali il depuratore sarebbe totalmente inidoneo alla depurazione dei reflui industriali, per la mancanza di un adeguato sistema di pretrattamento, nonché di qualsiasi sistema di captazione delle sostanze volatili che evaporano dalle vasche.
Il GIP, dopo avere disposto il sequestro preventivo dell’impianto di depurazione delle acque sito in Priolo Gargallo, nel quale convogliavano i propri reflui vari “grandi utenti” industriali, e dopo avere nominato un amministratore giudiziario incaricato di limitare il funzionamento dell’impianto di depurazione ai (soli) reflui civili, lamentava, a seguito della entrata in vigore della disciplina normativa sopra riassunta, di dover autorizzare la prosecuzione dell’attività produttiva, nonostante la sua pericolosità per l’ambiente e la salute e in assenza di misure migliorative atte a risanare la situazione ambientale, e in contrasto con il cronoprogramma di interruzione degli scarichi di acque reflue industriali disposto dall’amministratore giudiziario.
In particolare, il GIP lamentava la violazione degli artt. 2 e 32 Cost., con riferimento alla vita e alla salute umana, e dei novellati 9 e 41 Cost., in riferimento all’ambiente, concludendo nel senso che: “i beni giuridici tutelati dalle richiamate disposizioni costituzionali appaiono compromessi irrimediabilmente da una decisione del legislatore che non ha osservato i parametri di proporzione, ragionevolezza ed equilibrio che devono informare la materia del c.d. bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti in conflitto nella vicenda concreta”.
2. La Corte in via preliminare, nega che la disposizione censurata costituisca una legge-provvedimento (punto 3.2. dei Considerato in diritto): la vicenda del Petrolchimico di Priolo ha sì costituito l’occasio dell’intervento legislativo, ma l’art. 104-bis co.1 bis.1 quinto periodo detta una norma generale e astratta applicabile (anche) ad altri casi.
La Corte salva poi, in linea di principio e in continuità con la prima pronuncia su “Ilva” (n. 85/2013), lo schema normativo fondato, come nel caso di specie, su di una disposizione di fonte primaria che rinvia a fonte secondaria per l’adozione di concrete misure di bilanciamento tra interessi e diritti contrapposti (punto 5.4.1. dei Considerato in diritto)[9].
Nel merito, la Consulta si misura subito (par. 5.1 e seguenti dei Considerato in diritto) con la pronuncia n. 85/2013 sul c.d. decreto Ilva, operando un analitico distinguishing, sia sul merito delle disposizioni censurate, sia sui parametri costituzionali evocati, anche alla luce della mutata cornice costituzionale di riferimento (riforma degli artt. 9 e 41 Cost.).
Quanto ai parametri costituzionali, la Corte ha buon gioco nel segnalare che nella prima pronuncia Ilva (n. 85/2013) il giudizio era in larga parte incentrato su parametri diversi (art. 3, 101, 102, 103,104, 107 e 111), relativi alla lamentata ingerenza del decreto Ilva su provvedimenti giudiziari già assunti, attraverso norme prive di generalità e astrattezza (par. 5.1.1. dei Considerato in diritto), più che sull’ambiente e sulla salute, pure marginalmente evocati rispetto al bilanciamento reputato irragionevole dal rimettente tarantino.
Tuttavia, osserva la Corte nel caso in esame, occorre tenere conto della sopravvenuta novella costituzionale, che ha modificato gli artt. 9 e 41 Cost., attribuendo espresso rilievo costituzionale alla tutela dell’ambiente, anche come limite alla libertà di iniziativa economica.
L’ambiente (punto 5.1.2.) è interpretato come bene unitario, autonomo rispetto al paesaggio e alla salute umana (suoi “genitori” giurisprudenziali), comprensivo degli altri concetti inseriti nell’art. 9 Cost, i quali costituiscono sue declinazioni (biodiversità, ecosistemi) e proiettato alla tutela delle future generazioni.
Da un lato la Consulta richiama, in segno di continuità, la propria giurisprudenza antecedente alla novella, che già aveva individuato quali beni meritevoli rilievo costituzionale l’ambiente e gli interessi delle future generazioni; dall’altro, però, dichiara, prima di entrare nel merito delle questioni, di voler tenere conto delle “chiare indicazioni del legislatore costituzionale…lette anche attraverso il prisma degli obblighi europei e internazionali in materia…”, con ciò alludendo – ci sembra – ad un possibile maggior peso dell’ambiente sui piatti della bilancia del giudizio di contemperamento[10].
2.1. Ritornando al distinguishing rispetto al primo caso Ilva (oggetto della pronuncia n. 85/2013), lì il legislatore avrebbe costruito un sistema di contemperamento dei beni in conflitto ragionevole e proporzionato, consentendo la prosecuzione dell’attività produttiva per un arco limitato di tempo (36 mesi), con l’intervento e sotto il controllo di Autorità competenti, sulla base di un AIA oggetto di riesame – analiticamente disciplinata per legge dal d.lgs. n. 152/2006 – frutto di un procedimento partecipato e a pubblicità garantita, contenente prescrizioni volte ad un graduale ma (in teoria[11]) celere programma di risanamento ambientale.
Qui la disposizione sospettata di incostituzionalità, viceversa, nulla indica, rinviando senza vincoli di procedura e contenuto a future e non meglio specificate “misure”.
Di fronte ad un rinvio sostanzialmente in bianco, la Corte non opta per la dichiarazione di totale illegittimità, come pure secondo un primo autorevole commentatore avrebbe potuto e dovuto fare[12], ma si impegna in una complessa ricostruzione della normativa mancante, attingendola dal primo decreto Ilva (art. 1 d.l. n. 207/2012, come convertito), letta anche sulla base della Direttiva 2010/75/UE e da alcuni principi più generali, anche di fonte sovranazionale (principi ambientali europei, Convenzione di Aarhus) così come interpretati dalla Corte EDU.
Tale opera di riempimento del vuoto normativo è qualificata dalla Corte come interpretazione “costituzionalmente orientata” (par. 5.4. dei Considerato in diritto).
Tre le lacune della disposizione scrutinata, così come riassunte dalla Corte: “non indica quale sia l’autorità amministrativa competente ad adottare le «misure» di bilanciamento alle quali il giudice sarà poi vincolato”; “non chiarisce in quale rapporto si collochino tali misure con l’AIA degli stabilimenti industriali suscettibili di essere indicati di interesse strategico nazionale (ovvero necessari ad assicurarne la continuità produttiva), né con l’eventuale procedimento di riesame dell’AIA medesima”; “non prevede alcun termine finale per la sua operatività, a differenza di quanto invece accade nello schema normativo disegnato dall’art. 1 del d.l. n. 207 del 2012, come convertito”.
Le prime due lacune, come accennato, sono colmate direttamente dalla Corte; da un lato il rinvio fatto dall’art. 104-bis comma 1-bis.1 quinto periodo al d.l. n. 207/2012 consentirebbe di individuare nel Presidente del Consiglio l’organo preposto all’adozione delle misure, e, con passaggio ulteriore (non presente nel c.d. “decreto Ilva”), in uno o più Ministri dallo stesso delegati, come, guarda caso, accaduto con il decreto ministeriale 12 settembre 2023; d’altro canto le ancor più ampie lacune in tema di procedimento da seguire per l’individuazione delle misure di bilanciamento sono riempite con riferimenti multipli: al d.lgs. n. 152/2006, alla Direttiva europea che lo ispira (Direttiva 2010/75/UE), e ad altre fonti così come interpretate anche dalla Corte EDU.
Ricondotta “a sistema” la normativa silente, che dunque parla per il mezzo della Corte, abile ventriloquo, la terza lacuna fonda, viceversa, la pronuncia di parziale illegittimità costituzionale: si tratta di sentenza additiva, che aggiunge il termine di 36 mesi alla durata massima di applicabilità delle misure adottate dal Governo per la prosecuzione dell’attività produttiva di interesse nazionale strategico di stabilimenti e di impianti ad essi serventi oggetto di sequestro impeditivo.
3. La disposizione censurata dal rimettente è dichiarata incostituzionale dalla Corte per contrasto con gli artt. 9, 32 e 41, co. 2.
L’ambiente come bene in sé e come limite all’attività economica ha uno spazio relativamente esiguo nell’economia della decisione[13]; viene invocato quando si tratta di individuare il punto di equilibrio tra gli interessi contrapposti.
Nel caso di specie, il nuovo testo dell’art. 41, co. 2. Cost, prescrivendo che l’iniziativa economica non possa svolgersi in modo da recare danno alla salute o all’ambiente, renderebbe illegittime disposizioni che autorizzino “un’azienda a continuare a svolgere stabilmente la propria attività in contrasto con tale divieto” (punto 5.4.1. dei Considerato in diritto).
La Corte, citando a sostegno la pronuncia n. 58/2018 sul (secondo) caso Ilva, concernente il diverso rapporto tra iniziativa economica e sicurezza sul lavoro, sembra voler sottolineare una certa continuità nel proprio approccio al giudizio di bilanciamento.
La questione, insomma, nei due casi Ilva come in quello in esame, è sempre la stessa: occorre trovare un punto di equilibrio tra interessi contrapposti, che miri al loro contemperamento, senza sacrificio totale di nessuno.
Il punto di equilibrio è allora rinvenuto dalla Corte nella prevalenza degli interessi d’impresa, strategici nazionali e dell’occupazione, nel limite massimo di 36 mesi, ma solo appunto in via temporanea, attraverso il ritaglio di una disciplina interinale conforme agli ordinari meccanismi procedimentali previsti dal d.lgs. n. 152/2006, e in particolare all’AIA oggetto di riesame, finalizzata a consentire il graduale risanamento ambientale.
Insomma, la Corte circoscrive la legittimità della disposizione impugnata ad un fattore cronologico e ad uno teleologico; è questo secondo fattore (l’obbiettivo di graduale ripristino della tutela dell’'ambiente) che condiziona il primo, e cioè il (solo) temporaneo prevalere delle esigenze economiche e occupazionali.
Forse, ci permettiamo di aggiungere, un argomento ulteriore a sostegno della legittimità della normativa censurata se e in quanto interpretata come legittimante misure provvisorie può desumersi dal mandato di tutela delle future generazioni innestato nell’art. 9 Cost.: gli inquinamenti duraturi nel tempo, a differenza di quelli di breve durata, rischiano di pregiudicare l’ambiente sul lungo periodo, quando verranno ad esistenza le generazioni future.
La soluzione, come riconosce espressamente la Corte, non è a rime obbligate, ma rappresenta una “soluzione costituzionalmente adeguata…tra quelle, già esistenti nell’ordinamento, che regolano situazioni simili” (punto 6 dei Considerato in diritto).
È questo uno dei punti più dedicati della pronuncia, che verosimilmente alimenterà l’acceso dibattito tra difensori del protagonismo della Corte e suoi “accusatori”, agli occhi dei quali questo tipo di pronunce finisce con l’invadere il sacro recinto della discrezionalità politica del legislatore.
Ogni cosa al suo posto, per citare il titolo di un prezioso libro di un grande costituzionalista?[14]
4. La pronuncia in commento presenta vari profili di interesse.
Si tratta di una sentenza manipolativa e additiva, che interviene su di una norma processuale in tema di prosecuzione dell’attività produttiva nell’ambito di stabilimenti e connessi impianti oggetto di sequestro impeditivo, ma che al tempo stesso coinvolge il diritto penale sostanziale, nella misura in cui, a differenza del primo caso Ilva[15], le misure adottate (tramite decreto interministeriale) sulla base della norma processuale possono incidere sulla punibilità, come puntualmente accaduto nel caso di specie, ove i valori-soglia in tema di inquinamento idrico, il cui superamento costituisce reato, sono stati alzati per diverse sostanze, restringendo simmetricamente l’ambito di applicazione dell’art. 137, co. 5 d.lgs. (scarico in superamento dei valori-limite), e ricorrendone gli altri requisiti, dei delitti di inquinamento e disastro ambientali, sia nel senso che la condotta conforme ai (nuovi) valori-soglia non sarebbe abusiva, sia nel senso che difetterebbero, a seconda dei casi dolo o colpa nell’atteggiamento di chi confida nella liceità di determinati scarichi conformi ai nuovi parametri.
L’interazione tra profili processuali e profili penali sostanziali non deve stupire, posto che il sequestro preventivo, per sua natura[16], è funzionale ad interrompere l’offesa in essere o a sventarne effetti ulteriori.
Sul piano processuale la pronuncia in commento ha effetti in malam partem rispetto ad una norma di favore, che impedisce il blocco dell’attività produttiva per determinati stabilimenti e impianti di interesse strategico nazionale, diversamente dalla disciplina generale del sequestro impeditivo: non evidentemente rispetto alla libertà personale, ma rispetto alla libertà di iniziativa economica e al patrimonio dei soggetti attinti dal sequestro, in una fase del procedimento ancora fluida, in cui le ragioni della difesa sono fisiologicamente poste in secondo piano rispetto all’ipotesi di accusa fondata su indagini complesse e corroborata da consulenze tecniche confutabili seriamente solo nel futuro eventuale contraddittorio.
Da questo punto di vista – cioè del verso[17], o degli effetti sull’indagato/imputato – la pronuncia si discosta da notissime pronunce manipolative, come ad es. quelle in tema di revisione europea[18], che viceversa hanno ampliato le garanzie difensive, con effetti in bonam partem.
La peculiarità della disposizione in esame, come si accennava, consiste però nella sua natura anfibia: è collocata nelle norme di attuazione del codice di rito, e disciplina la prosecuzione dell’attività produttiva in stabilimenti e impianti sottoposti a sequestro preventivo, ma al tempo stesso rinvia (e ne costituisce la fonte secondo uno schema non censurato dalla Corte) a misure anche di diritto penale sostanziale, incidenti cioè sulla punibilità di fatti offensivi dell’ambiente o, un domani, di altri beni (salute, sicurezza sul lavoro ecc.).
Dal punto di vista del penalista il salvataggio dello schema normativo norma processuale+decreto ministeriale contenente le singole misure di bilanciamento (se e in quanto contenente una disciplina temporanea) appare problematico, perché rischia di legittimare il potere del Governo, o di suoi Ministri, di decidere l’ambito della liceità anche penale, in assenza di qualunque vincolo parlamentare.
Pare infatti che l’interpretazione adeguatrice svolta dalla Corte (su contenuto e procedura di adozione delle misure) non abbia toccato né censurato il potere del Governo di incidere sulla punibilità; del resto, il rinvio all’AIA oggetto di riesame e alle procedure più garantite per l’adozione delle misure di bilanciamento non riguarda l’ambito del penalmente rilevante, sul quale la Corte – pur non chiamata a scrutinare il decreto ministeriale – nulla ha incidentalmente osservato.
Si badi: nel caso in esame i valori soglia sono stati alzati, e dunque il decreto ministeriale produce effetti in bonam partem per gli indagati attuali e potenziali futuri; ma nulla vieta, in futuro, che il potere esecutivo introduca in casi analoghi, cambiate le sensibilità politiche, criteri più restrittivi, e dunque di per sé il meccanismo “combo” disegnato dal legislatore si presta anche ad applicazioni in malam partem[19].
Nel silenzio della Corte sulla legittimità del congegno che rinvia a decreti ministeriali incidenti sulla punibilità, tanto più in assenza di qualunque vincolo contenutistico di fonte primaria, spetterà al giudice penale – ci sembra – sindacarne la legittimità, disapplicandoli nella parte in cui, in contrasto con la riserva di legge, pretendano di rimodulare i confini della punibilità.
A nostro avviso a legittimare l’intervento della fonte secondaria non basta l’esistenza della fonte primaria che ad esso rinvia (l’art.104-bis, comma 1-bis.1 quinto periodo), la quale è muta su contenuto e limiti dell’apporto governativo, che è tutto tranne che meramente tecnico[20], nonostante parli il linguaggio della chimica.
È infatti evidente che il decreto interministeriale, alzando taluni valori-soglia, abbia scelto di sacrificare gli interessi ambientali sull’altare delle esigenze economiche nazionali, occupazionali e delle imprese legate al Petrolchimico di Priolo, con valutazione genuinamente politica.
Decreti interministeriali come quello in esame sono dunque palesemente in contrasto con la riserva di legge.
La prospettiva che “salva” il meccanismo descritto demandando la valutazione della legittimità penale delle misure al giudice di merito è comunque poco soddisfacente, perché a sua volta crea incertezze: si pensi all’indagato che, nel periodo dei 36 mesi dal sequestro effettui scarichi idrici conformi ai valori soglia – in ipotesi – illegittimamente alzati dal decreto interministeriale, ma difformi da quelli “ordinari”; ebbene quand’anche il giudice penale ritenesse ex post illegittimo l’atto amministrativo, dovrebbe comunque assolvere l’imputato per il legittimo affidamento nella liceità delle propria condotta, e dunque per carenza dell’elemento soggettivo; d’altra parte quella disapplicazione rimarrebbe circoscritta a quel procedimento e non ad altri che potrebbero riguardare lo stesso sito ed eventualmente diversi imputati, con tutte le incertezze e le possibili diverse decisioni di diversi giudici che incidentalmente si trovassero di fronte a quel medesimo decreto interministeriale.
C’era una alternativa? In linea teorica la Corte avrebbe potuto dichiarare la totale illegittimità della disposizione scrutinata, costringendo il legislatore a rimettere mano alla disciplina, in relazione alla quale verosimilmente avrebbe potuto fare tesoro dei “suggerimenti” forniti dalla stessa Corte su procedura e rinvio all’AIA oggetto di interpretazione adeguatrice.
Si sarebbe trattato, come si è sostenuto, di soluzione probabilmente più lineare e coerente con le premesse “demolitrici” della Corte[21].
Tuttavia, ipotizziamo, una dichiarazione di illegittimità costituzionale totale avrebbe avuto un grave difetto agli occhi della Corte, finendo con il legittimare il blocco immediato dell’attività produttiva di interesse strategico nazionale (produzione di petrolio per circa un terzo del fabbisogno nazionale[22]), con gravi e subitanei danni all’economia nazionale e alla occupazione: un costo socio-economico rilevantissimo[23], a fronte di una contestazione d’accusa ancora fluida e in divenire probatorio.
5. Come visto, il tasso di manipolazione attribuibile alla pronuncia in commento è elevato, e direttamente proporzionale alla vaghezza della norma scrutinata, che nulla dice sulle misure di bilanciamento prerogativa del Governo.
In effetti, la Corte trasforma in disciplina temporanea una disciplina destinata nelle intenzioni del legislatore a durare senza limiti cronologici e senza alcun laccio o lacciuolo.
Si tratta di una opzione in sé del tutto razionale e coerente con il (micro-)sistema che disciplina la prosecuzione dell’attività produttiva di stabilimenti sottoposti a sequestro impeditivo[24], ma altrettanto evidentemente diversa da quella – discutibile nel merito – adottata dal Governo, sulla base di disposizione di fonte primaria.
L’acrobatica operazione di salvataggio (in parte per interpretazione adeguatrice e in parte per annullamento con addizione), restituisce una normativa stravolta rispetto alla intenzione del legislatore, che per bocca della Corte intendeva “…istituire una disciplina generale – non a caso collocata stabilmente tra le norme di attuazione del codice di rito – destinata a regolare i poteri di amministrazione spettanti al giudice del sequestro penale su stabilimenti…dichiarati di interesse strategico nazionale… [corsivi aggiunti]”.
Certo può dirsi che la Corte non inventa nulla: la procedura cui dovrà attenersi il decreto e taluni riferimenti contenutistici sono desunti dalla disciplina dell’AIA; il termine di durata è tratto come visto dal primo decreto Ilva, che a quella rimanda; per altro verso può notarsi che il termine massimo per la prosecuzione della attività in vista dell’adozione di determinate misure di bilanciamento contenuto nel secondo decreto Ilva (art. 3, co. 2 d.l. n. 92/2015 in tema di tutela della sicurezza sul lavoro) era fissato in 12 mesi dal sequestro, ciò che spiega perché le rime sposate dalla Corte non sono obbligate ma adeguate.
Infine, nell’enucleare la procedura e il contenuto (il rinvio all’AIA) cui deve attenersi il potere esecutivo nell’adozione delle misure di contemperamento, la Corte ha somministrato l’estrema unzione al decreto interministeriale, che in ben pochi punti si attiene a quei criteri.
La Corte ovviamente non si pronuncia sul decreto interministeriale 12 settembre 2023, fonte sottratta al suo sindacato, ma è chiaro che i “paletti” posti sulla legittimità delle misure lo rendono palesemente illegittimo, tanto è vero che il GIP del Tribunale di Siracusa lo ha prontamente “disapplicato”[25], non autorizzando la prosecuzione dell’attività produttiva, con ciò aprendo alla possibile impugnazione del Ministro delle imprese e del Made in Italy presso il Tribunale di Roma, prevista dall’art. 104-bis co.1-bis. 2 norme att. cod. proc. pen.
[1] Come introdotto dall’art. 6 del d.l. 5 gennaio 2023, n. 2 (Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 3 marzo 2023, n. 17. L’art. 104 bis, comma 1-bis.1 così recita: “Quando il sequestro ha ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice dispone la prosecuzione dell'attività avvalendosi di un amministratore giudiziario nominato ai sensi del comma 1. In caso di imprese che dopo il verificarsi dei reati che danno luogo all'applicazione del provvedimento di sequestro sono state ammesse all'amministrazione straordinaria, anche in via temporanea ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 5 dicembre 2022, n. 187, la prosecuzione dell'attività è affidata al commissario già nominato nell'ambito dell'amministrazione straordinaria. Ove necessario per realizzare un bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva e di salvaguardia dell'occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell'ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, il giudice detta le prescrizioni necessarie, tenendo anche conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità. Le disposizioni di cui al primo, secondo e terzo periodo non si applicano quando dalla prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o l'incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione. Il giudice autorizza la prosecuzione dell'attività se, nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale, sono state adottate misure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva e di salvaguardia dell'occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell'ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi. In ogni caso i provvedimenti emessi dal giudice ai sensi dei periodi precedenti, anche se negativi, sono trasmessi, entro il termine di quarantotto ore, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica”.
[2] D.l. n. 207/2012, così come convertito con modificazioni; d.l. n. 92/2015.
[3] La Corte costituzionale, con la sentenza n. 58/2018, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 del decreto-legge del 4 luglio 2015 e degli articoli 1, comma 2 e 21-octies della legge del 6 agosto 2015, n. 132.
La disposizione impugnata prevedeva che «al fine di garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva, di salvaguardia dell'occupazione, della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell'ambiente salubre, nonché delle finalità di giustizia, l'esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro [...] quando lo stesso si riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori». La Consulta ha ritenuto che «il legislatore non ha rispettato l'esigenza di bilanciare in modo ragionevole e proporzionato tutti gli interessi costituzionali rilevanti, incorrendo in un vizio di illegittimità costituzionale per non aver tenuto in adeguata considerazione le esigenze di tutela della salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori, a fronte di situazioni che espongono questi ultimi a rischio della stessa vita. Infatti, nella normativa in giudizio, la prosecuzione dell'attività d'impresa è subordinata esclusivamente alla predisposizione unilaterale di un «piano» ad opera della stessa parte privata colpita dal sequestro dell’autorità giudiziaria, senza alcuna forma di partecipazione di altri soggetti pubblici o privati».
[4] Cfr. punto 5.3.1. dei Considerato in diritto, ove dalla circostanza che la procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale prende avvio con decreto del Presidente del Consiglio si desume il necessario coinvolgimento nell’intera vicenda normativa del massimo livello di Governo.
[5] Decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, di concerto con il Ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica. Già la rimessione delle misure al Ministro delle imprese, con il (solo) concerto del Ministro dell’Ambiente lasciava presagire la preferenza del Governo per le ragioni dell’economia su quelle dell’ambiente.
[6] Per molti parametri i valori soglia sono confermati, ma sussistono notevoli differenze in riferimento a pochi altri, evidentemente “tipici” degli scarichi in esame: così, i valori limite per i fenoli, con riferimento agli impianti Nord, sono fissati a 15 mg/l, contro il limite di 1 previsto nella Tabella 3 dell’Allegato V alla parte terza del d.lgs. n. 152/2006, per gli scarichi in fognatura; per gli idrocarburi totali il limite è alzato da 10 a 15; per i solventi organici aromatici da 0,4 a 10, sempre con riferimento agli impianti Nord.
[7] Secondo il GIP del Tribunale di Siracusa «in tal modo il decreto consente che le aziende possano effettuare degli scarichi di reflui caratterizzati da picchi giornalieri di inquinanti potenzialmente illimitati, posto che il rispetto dei VLE potrebbe essere raggiunto attraverso una banale operazione di compensazione fra i valori degli scarichi dei giorni successivi. Prendere in considerazione l'arco temporale di un mese per la misura dei VLE appare fortemente irragionevole se si considera che la capacità depurativa non è parametrata sugli apporti mensili ma su una costante immissione di reflui. L'impianto non ha alcuna capacità di accumulo e non può dunque distribuire un singolo carico con picchi di inquinanti in modo da «gestirlo» nell’arco di un mese garantendo un’efficace depurazione. Eventuali picchi giornalieri, dunque, non potranno che risolversi in un mancato trattamento ed in un successivo trasferimento nelle matrici ambientali interessate».
[8] L’ordinanza del GIP dott. Salvatore Palmeri è consultabile al seguente link: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2024/02/07/24C00012/s1
[9] Per la verità il rinvio è all’adozione di misure senza riferimento alla relativa fonte, che dunque potrebbe anche essere di rango primario; nel caso di specie come visto le misure specifiche sono state adottate tramite decreto interministeriale, e tale schema normativo non è stato censurato dalla Corte.
[10] Per una previsione in questo senso, all’indomani della riforma costituzionale, v. C. Ruga Riva, L’ambiente in Costituzione: cambia qualcosa per il penalista? In questa Rivista, 16 febbraio 2023, p. 5; sul tema, per una posizione più scettica, v. anche L. SIRACUSA, Ambiente e diritto penale: brevi riflessioni fra le modifiche agli artt. 9 e 41 Cost. e le prospettive di riforma in ambito internazionale, in Leg. pen., 6 giugno 2023, p.12 s..
[11] Va ricordato come la C.edu, con la sentenza Cordella del 24 giugno 2019, ha condannato l’Italia nel caso Ilva per l’ineffettività in concreto, a distanza di anni, delle misure che la Corte costituzionale aveva ritenuto in astratto costituzionalmente compatibili con i valori in gioco.
[12] Per questa posizione v. R. Bin, Il “caso Priolo”: scelta politica vs. bilanciamento in concreto (in margine alla sent. 105/2024), in Consulta online, 2024, fasc. III, 1058 ss.
[13] Secondo R. Bin, Il “caso Priolo”, cit., 1058, i novellati articoli 9 e 41 della Costituzione non hanno svolto una funzione realmente argomentativa nella decisione; per una posizione più dubitativa v. A.O. Cozzi, La prima applicazione degli artt. 9 e 41 Cost., in Diariodidirittopubblico.it.,10 luglio 2024, 2s.
[14] M. Luciani, Ogni cosa al suo posto, Milano, 2023; in particolare, secondo l’illustre Autore, p. 198, la dottrina delle c.d. rime obbligate sarebbe accettabile solo ove la soluzione fosse reperibile non sulla base di “un approccio ‘macro’, che contempli l’intero sistema normativo o anche semplicemente suoi interi blocchi…”, ma, in base ad “un approccio ‘micro’, che si attenga alla logica specifica delle singole previsioni normative censurate e le riconduca a costituzionalità nella loro distinta individualità”. Nel caso in esame si tratta però, per esplicita valutazione della Corte, di soluzione costituzionalmente adeguata, e non a rime obbligate, il che naturalmente rende ancora più delicato l’intervento del giudice delle leggi.
[15] Ove, come ricorda D. Pulitanò, Fra giustizia penale e gestione amministrativa: riflessioni a margine del caso Ilva, in Dir. Pen. Cont. - Riv. Trim., n. 1/2013, p. 48, “gli effetti del decreto Ilva, secondo la ragionevole interpretazione del testo normativo, si esauriscono nell’assicurare la prosecuzione dell’attività produttiva”, senza incidere sulla portata precettiva delle norme penali vigenti.
[16] Sul punto v. F. Viganò, Il caso Ilva (e molto altro) nel nuovo numero della rivista trimestrale, Editoriale in Dir. Pen. Cont., 8 aprile 2013. Per altro verso, segnala l’ambiguità del sequestro preventivo e della connessa disciplina rispetto al rapporto tra potere giudiziario (interpretazione e applicazione della legge) e potere politico-amministrativo (prevenzione dei reati) V. Onida, Un conflitto fra poteri sotto la veste di questione di costituzionalità: amministrazione e giurisdizione per la tutela dell’ambiente. Nota a corte costituzionale, sentenza n. 85 del 2013, in AIC, n. 3/2013: ”Finché si discute se determinate condotte concrete siano state conformi o meno agli specifici parametri normativi positivi che le vincolano, siamo nel campo ordinario dell’attività interpretativa e applicativa della legge, e starà ai giudici, nei modi processualmente corretti e con i controlli intrinseci al sistema processuale, compiere in via definitiva i relativi accertamenti e applicare le previste misure sanzionatorie e interdittive. Ma quando si discute se una determinata attività futura, anche se in ipotesi conforme alle specifiche prescrizioni per essa dettate, produca o possa produrre effetti che mettono in pericolo diritti o interessi tutelati dall’ordinamento, il confine si fa labile, tanto più quando tali effetti non riguardino singoli soggetti ben individuati, ma abbiano carattere “collettivo”, e quando essi richiedano di essere misurati e apprezzati sotto il profilo quantitativo o probabilistico. Immaginare, in casi come questi, che sia l’autorità giudiziaria l’arbitro ultimo o unico della “pericolosità” di un’attività futura di per sé lecita e conforme agli specifici parametri normativi per essa dettati, che possa consentirla o vietarla in concreto, darebbe luogo ad un evidente squilibrio.”.
[17] Riprendiamo qui la dicotomia tipo/verso di intervento utilizzata da V. Napoleoni, in V. Manes-V. Napoleoni, La legge penale illegittima, Torino, 2019, 45 ss.
[18] Corte cost. n. 113 del 20111, sulla quale v. ad es. M. Gialuz, Una sentenza “additiva di istituto”: la Corte costituzionale crea la “revisione europea”, in Cass. pen., 2011, pp. 3308 ss.
[19] Per una appassionata critica alle pronunce in malam partem v. A. Carmona, Oltre la libertà personale per un diritto più “giusto”, in AAVV., Studi in onore di Mario Romano, I, Napoli, 2011, p. 189 “Diffido dall’idea di ricercare soluzioni punitive razionali affidandoci stabilmente alla giurisdizione costituzionale, un passo (forse) buono per l’oggi, ma rischioso per il domani; per limitare la libertà personale preferisco, ancora, ad un giudice delle leggi colto e giusto, ma irresponsabile, un legislatore, talora, perfino rozzo, ma responsabile secondo le regole della democrazia rappresentativa”. Sottolinea gli aspetti critici, rispetto al principio di legalità, di molte tecniche decisorie utilizzate dalla Corte costituzionale, M. Bertolino, Dalla mera interpretazione alla “manipolazione”: creatività e tecniche decisorie della Corte costituzionale tra diritto penale vigente e diritto vivente”, in AAVV., Studi in onore di Mario Romano, I, Napoli, 2011, 55 ss.
[20] Come noto la stessa Corte costituzionale (sent. n. 26/1966) ritiene legittimo, in materia penale, il rinvio ad atti normativi generali e astratti del potere esecutivo, solo qualora la legge indichi con sufficiente specificazione i presupposti, caratteri, contenuto e limiti del provvedimento.
[21] Cfr. R. Bin, Il “caso Priolo”, cit.,1061.
[22] Così A.O. Cozzi, La prima applicazione degli artt. 9 e 41 Cost. riformati, cit.,1.
[23] Sottolinea il diverso approccio alle questioni di legittimità costituzionale, e le diverse “preoccupazioni” che muovono gli accademici e i giudizi costituzionali, anche quando i secondi abbiano in precedenza vestito i panni dei primi, D. Tega, La traiettoria delle rime obbligate. Da creatività eccessiva, a felix culpa, a gabbia troppo costrittiva, Sist. pen., 21s., con riferimento alla dottrina delle rime obbligate.
[24] Si intende il sistema di norme contenuto nei c.d. decreti Ilva e nella connessa legislazione.
[25] Secondo quanto riportato dalla stampa cfr. link. Va osservato che il decreto ministeriale, a differenza della disposizione di legge primaria dichiarata incostituzionale dalla Corte, contiene, all’art. 2, alcuni riferimenti all’AIA oggetto di riesame; ciò che al Giudice rimettente giustamente appare illegittimo è però soprattutto, ci sembra, la disciplina dei valori soglia (la loro individuazione e il metodo di calcolo del superamento), di diretta incidenza, per i motivi spiegati nel testo di questa nota, su taluni reati.