*Contributo destinato alla pubblicazione n el fascicolo 10/2025.
1. Con la legge 3 ottobre 2025, n. 143, il Parlamento ha convertito in leggero anticipo rispetto alla scadenza prevista, ma con numerosi e significativi emendamenti, il decreto-legge 9 agosto 2025, n. 116, adottato dall’Esecutivo al principio dell’estate allo scopo di inasprire immediatamente la disciplina di contrasto ai reati in materia di abbandono, gestione, combustione e spedizione di rifiuti, dopo che la Corte EDU con la sentenza Cannavacciuolo c. Italia del 30 gennaio 2025 aveva condannato il nostro Stato per le gravi e strutturali omissioni nella gestione del problema dei rifiuti nella c.d. ‘terra dei fuochi’ e nelle successive attività di bonifica, ‘obbligandolo’, ai sensi dell’art. 46 CEDU, all’adozione entro due anni di misure di ordine generale a tutela dell’ambiente e della salute pubblica[1].
Così facendo, le Camere hanno, dunque, ritenuto, indirettamente, ma inequivocabilmente, infondati i consistenti dubbi avanzati all’indomani dell’adozione del decreto circa l’esistenza effettiva dei requisiti della necessità ed urgenza indispensabili ex art. 77 Cost., in quanto: lo stato di emergenza per i rifiuti censurato dalla Corte EDU riguardava la sola Campania (e non l’intero territorio nazionale) ed era cessato nel lontano 2009; le valutazioni periodiche delle Commissioni di inchiesta parlamentari segnalavano un tendenziale miglioramento del livello di inquinamento in quelle zone; l’oggetto degli strali dei giudici europei non era l’assetto disciplinare interno (che, anzi, era già particolarmente rigoroso), ma l’inadeguatezza in concreto degli interventi amministrativi e giudiziari necessari per la bonifica dei siti; il tempo utile per apportare migliorie al sistema nazionale era di due anni, non pochi mesi e, dunque, ci fossero margini per un procedimento ordinario di approvazione delle novelle legislative[2].
2. Da un sommario confronto sinottico del testo originario con quello della legge di conversione, risultano confermate la maggior parte delle opzioni politico-criminali repressive varate nel decreto sul versante dei cambi di natura giuridica degli illeciti (quasi tutte le vecchie contravvenzioni sono divenute delitti), degli inasprimenti delle pene, della estensione e irrigidimento della responsabilità da reato degli enti, della previsione della possibilità di ricorrere alle operazioni sotto copertura e all’arresto in flagranza differita per molti dei principali delitti.
Tuttavia, ad una più attenta e ravvicinata disamina dei testi coordinati e, in particolare, degli interventi correttivi apportati in sede di conversione nel tentativo di affinare la prima versione ‘grezza’ del decreto immediatamente entrata in vigore, emergono diverse e rilevanti novità di segno, peraltro, non univoco[3].
Ed infatti, se per un verso, con alcuni restyling sono state limate talune dismisure sanzionatorie che, perseguendo retrivi obiettivi general-preventivi negativi, rischiavano di determinare una over-criminalization in materia ambientale; per altro verso, all’opposto, con altri ritocchi sono stati rafforzati alcuni punti deboli che potevano depotenziare l’impatto della novella.
Sotto il primo versante, si è provveduto alla mitigazione di taluni eccessi di foga deterrente presenti nella ‘affrettata’ versione governativa mediante:
Sotto il secondo versante, invece, si è proceduto all’irrobustimento repressivo del decreto-legge ‘rifiuti’, tramite:
3. Il primo intervento correttivo segna un non secondario passo indietro del legislatore rispetto al giro di vite originariamente imposto indistintamente dal Governo a tutta la disciplina sanzionatoria in materia di rifiuti grazie alla conversione in blocco in delitti di quasi tutte le preesistenti contravvenzioni previste negli artt. 255 e 256 TUA per l’abbandono, la gestione, la combustione e la spedizione illecita dei rifiuti.
Sebbene anche per l’abbandono di rifiuti siano state confermate le scelte più rilevanti di trasformazione in delitto per i casi particolari legati ai rifiuti non pericolosi – oggi contemplati nell’autonoma fattispecie di cui all’art. 255-bis d.lgs. n. 152/2006 – e per quelli legati ai rifiuti pericolosi – attualmente annoverati nell’altra figura autonoma di cui all’art. 255-ter – nel testo definitivo dell’art. 255, così come emendato in sede di conversione, è stato inserito il nuovo comma 1.2. recante un mero illecito amministrativo che consente di sottrarre alla potenziale operatività della residua fattispecie contravvenzionale di abbandono di rifiuti non pericolose le condotte meno gravi, rappresentate dall’abbandono di rifiuti urbani accanto ai contenitori stradali e dal deposito di rifiuti di piccolissime dimensioni.
Ai sensi della nuova disposizione aggiuntiva, infatti, “Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque, in violazione delle disposizioni locali sul conferimento dei rifiuti, abbandona o deposita rifiuti urbani accanto ai contenitori per la raccolta presenti lungo le strade è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 1.000 a 3.000 euro. Se la violazione è commessa facendo uso di veicoli a motore, si applica, altresì, la sanzione amministrativa accessoria del fermo del veicolo per un mese ai sensi dell’articolo 214 del codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285”.
3.1. Il cambiamento in melius più significativo è certamente rappresentato dal secondo correttivo in precedenza indicato, vale a dire, l’inversione di rotta sul versante dei reati di gestione e combustione di rifiuti, suddivisi anche questi dal decreto-legge di agosto in diverse fattispecie delittuose dagli artt. 256 e 256-bis T.U.A.
Nel testo definitivo dell’art. 256 d.lgs. n. 152/2006, infatti, la fattispecie incriminatrice di gestione di rifiuti non autorizzata è stata sdoppiata in due differenti figure di reato: da un lato, le ipotesi delittuose sono state ridotte alle sole condotte di gestione illecita di rifiuti pericolosi per le quali la pena resta della reclusione da uno a cinque anni; dall’altro, le attività inerenti a rifiuti non pericolosi sono state degradate al rango di mere contravvenzioni punite con pena alternativa, ridefinendo per queste ultime anche la risposta sanzionatoria in melius. L’originaria cornice edittale che contemplava la reclusione da sei mesi a tre anni è stata sostituita con quella più mite alternativa dell’arresto da tre mesi a un anno o dell’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro.
La precedente opzione politico-criminale del Governo con cui si assimilavano in termini di disciplina tutte le condotte di gestione non autorizzata di rifiuti, assoggettandole alla medesima pena della reclusione, aveva, infatti, sollevato fondate perplessità perché aveva inasprito in modo irragionevole la reazione punitiva nei confronti anche di attività meno gravi non solo sulla carta, a causa del cambio di natura giuridica dell’illecito da contravvenzionale in delittuoso e dell’inasprimento delle pene edittali, ma anche e soprattutto in concreto.
Con questo cambio di veste formale, si erano sbarrate le porte alla possibilità di applicare anche alle ipotesi meno gravi di gestione non autorizzata di rifiuti la speciale procedura estintiva prevista per le sole contravvenzioni ambientali del Testo Unico Ambiente dagli artt. 318-bis e ss. che nel primo decennio di operatività ha dato un utilissimo apporto per ridurre il campo di intervento effettivo del diritto penale ai soli fatti più pericolosi per l’ambiente e, allo stesso tempo, per rafforzarne la tutela nel lungo periodo grazie alle condotte post crimen del reo, nonché per decongestionare il carico di lavoro dell’autorità giudiziaria[4]. Grazie a questa causa estintiva, infatti, nella prassi è stata esclusa la rilevanza penale delle attività di gestione di rifiuti non autorizzata in tutti i casi in cui l’autore del fatto di reato avesse neutralizzato i pericoli insiti per le matrici ecologiche nel reato commesso, ottemperando tempestivamente e adeguatamente alle prescrizioni impartite dall’organo accertatore e pagando entro i termini previsti una quota ridotta dell’ammenda comminata.
Per merito della retromarcia compiuta dal Parlamento, si è così ritornati al recente passato penalistico in materia di attività di gestione di rifiuti non pericolosi, escludendo così la configurabilità della responsabilità penale anche a titolo di tentativo ex art. 56 c.p., altrimenti ipotizzabile in caso di delitti, e, soprattutto, consentendo di poter applicare nuovamente la procedura estintiva di tipo prescrittivo-ingiunzionale di cui agli artt. 318-bis e ss. alle ipotesi meno gravi di cui all’art. 256 TUA.
4. Come si accennava, la terza novità più significativa in termini di mitigazione delle eccedenze sanzionatorie iniziali è rappresentata dalla modifica apportata all’art. 259-bis d.lgs. n. 152/2006 in cui il decreto-legge ha tipizzato una nuova circostanza aggravante dell’attività di impresa.
A seguito delle modifiche intervenute al Senato, infatti, è stata ridotta la sua portata, mediante la soppressione della previsione in base alla quale il trattamento sanzionatorio per il titolare d’impresa era automaticamente aumentato per omessa vigilanza nei confronti degli autori materiali dell’illecito.
In particolare, nell’aggravante speciale è stata integralmente abrogata la seconda parte del comma 1 dell’art. 259-bis T.U.A. secondo cui: “Il titolare dell’impresa o il responsabile dell’attività comunque organizzata è responsabile anche sotto l’autonomo profilo dell’omessa vigilanza sull’operato degli autori materiali del delitto comunque riconducibili all’impresa o all’attività stessa. Ai predetti titolari d’impresa o responsabili dell’attività si applicano altresì le sanzioni previste dall’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231”, riducendosi così la sua portata applicativa al solo caso in cui i fatti “sono commessi nell’ambito dell’attività di un’impresa o comunque di un’attività organizzata”.
Si tratta di una scelta oltremodo condivisibile che espunge dal novero della nuova aggravante una ipotesi abbastanza chiara di responsabilità oggettiva per mera posizione in capo all’imprenditore, difficilmente compatibile con il principio di colpevolezza di cui all’art. 27, comma 1, Cost.
4.1. Tutte queste modifiche in mitius apportate in sede di conversione hanno inevitabilmente prodotto riflessi sul piano del diritto intertemporale.
Trattandosi di novità che cancellano o mitigano soluzioni sfavorevoli al reo contenute nel decreto-legge, si dovrebbe ritenere valida la regola di cui all’art. 2, comma 6, c.p. in materia di efficacia intertemporale dei decreti-legge non convertiti o convertiti con emendamenti, così come ‘riscritta’ dalla declaratoria di parziale incostituzionalità della nota sentenza n. 51/1985, in forza della quale non valgono in tali casi le regole generali sancite dai commi 2 e 4 dello stesso art. 2 c.p., ma prevale la regola costituzionale di cui all’art. 77 Cost.
Ciò dovrebbe implicare che le parti sfavorevoli del decreto-legge soppresse al termine dell’iter di conversione dovrebbero perdere efficacia ex tunc ed essere considerate tamquam non esset, in quanto un d.l. non convertito può produrre effetti giuridici solo quando reca una disciplina più favorevole al reo e limitatamente ai fatti commessi sotto la sua vigenza[5].
Più precisamente, per i fatti commessi prima della legge di conversione (e anche per quelli realizzati nel ridotto periodo di tempo in cui il decreto è stato in vigore), troverà applicazione la nuova disciplina emendata, con effetti chiaramente favorevoli al reo.
Laddove, ad esempio, fosse stato iniziato un procedimento penale per tentativo di gestione abusiva di rifiuti non pericolosi ai sensi del combinato disposto degli artt. 56 e 256 T.U.A. (o, addirittura, sia intervenuta qualche decisione giudiziaria), si dovrebbe immediatamente dichiarare il non luogo a procedere in quanto il fatto non è più previsto dalla legge del tempo come reato.
Laddove, invece, in via probabilmente ancor più ipotetica, fosse stata applicata in una decisione di condanna già divenuta definitiva la nuova aggravante per la mera omessa vigilanza da parte dell’imprenditore si potrebbe ottenere con incidente di esecuzione la rimodulazione della risposta sanzionatoria, essendo divenuta quella pena ‘illegale’[6] e, quindi, confliggente con il finalismo rieducativo.
5. Sul versante delle scelte di segno diametralmente opposto si staglia l’introduzione ex abrupto nella legge di conversione di una opzione sanzionatoria non contemplata nel decreto-legge, vale a dire la previsione delle pene accessorie per gli eco-delitti più gravi.
Nell’art. 2-bis inserito dal Senato al momento della approvazione definitiva del decreto rifiuti e rubricato Misure urgenti in materia di pene accessorie è stato infatti previsto che “Le persone condannate con sentenza definitiva per uno dei delitti di cui agli articoli 452-bis, 452-quater, 452-sexies e 452-quaterdecies del codice penale non possono ottenere, per un periodo non inferiore ad un anno né superiore a cinque anni:
a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio;
b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l’esercizio di attività imprenditoriali;
c) iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l’esercizio del commercio all’ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all’in grosso;
d) attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici;
e) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati;
f) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o dell’Unione europea, per lo svolgi mento di attività imprenditoriali.
2. L’interdizione di cui al comma 1 determina la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni di cui al medesimo comma 1, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera. Le licenze, le autorizzazioni e le concessioni sono ritirate e le iscrizioni sono cancellate ed è disposta la decadenza delle attestazioni a cura degli organi competenti”.
Si è, dunque, ritenuto indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi che si prefiggeva l’iniziativa governativa aggiungere alle nuove opzioni politico-criminali sul versante dei fatti punibili e della reazione sanzionatoria l’inflizione in caso di condanna per i più gravi eco-delitti (inquinamento e disastro ambientale dolosi, traffico e abbandono di materiale radioattivo e traffico organizzato di rifiuti) anche delle pene accessorie che inibiscono per un lasso temporale significativo – dal minimo di un anno al massimo di cinque anni – rapporti con la pubblica amministrazione, sia nell’ottica specifica delle attività potenzialmente pericolose per l’ambiente con la revoca di autorizzazioni et similia, sia in termini più generali con la revoca di finanziamenti e contributi pubblici ad ampio spettro.
In questo caso, al contrario, trattandosi di novità in malam partem di natura penale sostanziale, i profili intertemporali implicati dagli emendamenti parlamentari sono diametralmente opposti a quelli relativi alle altre modifiche prima illustrate.
Le neo-introdotte pene accessorie, infatti, sottostanno al medesimo statuto di efficacia nel tempo delle pene principali e, quindi, alla regola della categorica irretroattività di cui all’art. 25, comma 2, Cost., e all’art. 2, comma 1, c.p., che osta alla possibilità di applicarle ai fatti commessi prima della loro previsione[7], come ha peraltro di recente chiarito la Suprema Corte in una pronuncia relativa alle pene accessorie in materia di delitti contro la pubblica amministrazione introdotte nel 2012 dalla legge c.d. Severino[8].
La medesima regola dell’irretroattività vale, ovviamente, anche per le altre modifiche in peius apportate al testo in sede di conversione, vale a dire:
6. Pur essendo consistenti le modifiche operate dal Parlamento al momento della ‘trasformazione’ in legge dell’originario assetto del decreto-rifiuti, molte altre avrebbero meritato di essere apportate re melius perpensa.
A titolo puramente esemplificativo si possono annoverare tra le omissioni più rilevanti:
6. Questa articolata e riccamente emendata legge di conversione offre un ennesimo nuovo argomento per rafforzare il convincimento sempre più radicato in dottrina circa l’incompatibilità dei decreti-legge con la materia penale, da ultimo, efficacemente rimarcato da Emilio Dolcini sulle pagine di questa rivista[12].
Rende, infatti, plasticamente evidente come il ricorso alla decretazione d’urgenza in criminalibus sia strumentale ad aggregare consenso sociale direttamente sull’Esecutivo che vuole apparire come il tempestivo risolutore dei più allarmanti fenomeni criminali, ma finisca però con il ridurre drasticamente la profondità e l’ampiezza del controllo democratico e del dibattito parlamentare sugli interventi da adottare, generando esiti legislativi potenzialmente inadeguati.
Nel peggiore dei casi, infatti, il vaglio parlamentare viene, addirittura, eluso in modo definitivo, tutte le volte in cui l’originaria scelta della sola maggioranza sia ‘blindata’ in sede di approvazione ponendo in aula il voto di fiducia.
Nel migliore dei casi, invece, viene aggirato solo in modo temporaneo, quando il Parlamento in sede di conversione deve apportare rilevanti interventi ortopedici per correggere il prodotto normativo ‘approssimativo’ immediatamente varato, come è accaduto ultimamente in modo icastico sia in questo caso, che nel recentissimo passato con il decreto-rave del 2022, stravolto ancor più radicalmente in sede di conversione, dopo una velocissima adozione da parte del Governo[13].
La delicatezza della materia penale – che, com’è noto, con le sue sanzioni può incidere su un bene di rilevanza costituzionale indisponibile come la libertà personale e che dovrebbe sottostare ai sensi dell’art. 25, comma 2, Cost. al principio di riserva di legge statale parlamentare – non può tollerare interventi populisti e strumentali da parte del Governo[14], ma dovrebbe implicare sin da subito una più ponderata e dialettica gestazione delle scelte di criminalizzazione, onde evitare convulsi e disorientanti effetti per i consociati che vedono nei casi di decreti-legge oscillare il pendolo del legislatore in maniera caotica nel giro di appena sessanta giorni, con buona pace delle esigenze di orientamento culturale delle norme incriminatrici, fondamentali per assicurare che le pene eventualmente inflitte in concreto possano tendere alla rieducazione del condannato.
Negli ultimi anni, purtroppo, è accaduto esattamente il contrario e la decretazione d’urgenza è stata sempre più frequentemente impiegata nella cittadella penalistica, seppure con tantissime criticità. Mentre quest’ultimo decreto, come anche il decreto-rave, hanno fatto emergere la imprescindibilità di un vaglio democratico pieno di tutte le forze politiche, sfruttando i tempi necessariamente lunghi del procedimento ordinario di approvazione della legge parlamentare di cui all’art. 72 Cost. con il sistema delle c.d. navette, onde evitare l’immediata entrata in vigore di fattispecie incriminatrici irragionevoli e sproporzionate che poi devono esser riviste dal Parlamento in modo profondo, il decreto-sicurezza 2025, invece, ha messo in luce la necessità di apprezzare in modo stringente i requisiti di necessità ed urgenza alla base della scelta governativa, in modo da evitare sia ‘scippi’ in corsa al Parlamento di disegni di legge da lungo tempo in discussione, sia l’adozione di oggetti troppo generici nel decreto, come appunto la ‘sicurezza’, capaci di legittimarne il ricorso per una amplissima gamma di situazioni anche molto eterogenee.
7. Che fare allora davanti a questo stato delle cose? Bisogna inevitabilmente rassegnarsi?
Volendo essere realisti, sicuramente sì.
Considerato l’impiego frequentissimo e diffuso del decreto-legge in materia penale da parte di tutti recenti Esecutivi di diverso colore per le ben note e tanto spesso segnalate esigenze populiste è difficile, se non impossibile, immaginare che una maggioranza politica possa mai farsi latrice di una riforma che escluda tale eventualità.
Tuttavia, bisogna segnalare che si sono aperti al momento flebili spiragli di luce, che possono far auspicare un passo in avanti da tempo invocato dalla dottrina, più spesso immaginando una modifica dell’art. 25, comma 2, Cost. volta a specificare che la legge utilizzabile in materia penale sia solo quella parlamentare, peraltro con maggioranze qualificate rafforzate[15].
Sono stati, infatti, di recente presentati nella odierna Legislatura due disegni di legge costituzionale di modifica dell’art. 77 Cost., i nn. 1137 e 1480, che sono espressamente finalizzati a contenere il ricorso alla decretazione d'urgenza e a restituire centralità nell’attività di indirizzo politico al Parlamento, precludendone, tra le altre cose, l’impiego in materia penale.
Il disegno di legge n. 1137, “Modifica all’articolo 77 della Costituzione in materia di decretazione d’urgenza”, d’iniziativa della Senatrice Gelmini, comunicato alla Presidenza il 14 maggio 2024, si propone di modificare l’art. 77 Cost., restringendo la possibilità di ricorrere alla decretazione d’urgenza da parte del Governo in casi straordinari, ma individuando ex ante gli specifici ambiti in quelli della: difesa e sicurezza; stabilità economico-finanziaria; legislazione elettorale urgente; calamità naturali ed emergenze sanitarie. In quest’ottica dovrebbero, invece, espressamente escluse materie più delicate, come quella penale[16].
Più precisamente, con questo d.d.l. (che, però, sembra esser su un binario morto) si propone l’aggiunta all’interno della norma costituzionale dedicata alla indicazione dei requisiti di legittimità dei decreti-legge di un nuovo comma 2 ai sensi del quale “I decreti non possono conferire deleghe legislative, contenere norme in materia penale, ripristinare l’efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale, assorbire in tutto o in parte il contenuto di decreti in fase di conversione o di disegni di legge di cui sia già iniziato l'esame parlamentare e reiterare il contenuto di decreti non convertiti in legge”.
Nell’ottica penalistica, una simile modifica ‘per aggiunta’ dell’art. 77 Cost. segnerebbe l’introduzione di un divieto espresso assoluto e vincolante per il Governo di impiegare il decreto-legge nella materia penale, con conseguente non secondaria possibilità di giustiziare costituzionalmente i casi di invasione di campo da parte dell’Esecutivo.
Anche il disegno di legge costituzionale n. 1480, “Modifiche agli articoli 72 e 77 della Costituzione, in materia di presupposti, modalità, limiti e termini della decretazione d’urgenza”, d’iniziativa dei Senatori De Cristofaro, Cucchi, Magni, e comunicato alla Presidenza del Senato il 7 maggio 2025, che contempla interventi novellistici degli artt. 72 e 77 Cost., mira ad introdurre - tra le altre cose - limiti e condizioni all'emanazione dei decreti-legge in materia penale[17].
L’art. 2 di questo più recente progetto di riforma (il 2 luglio 2025 calendarizzato in esame in Commissione Affari costituzionali al Senato) prevede l’innesto nell’articolo 77 della Costituzione del seguente comma secondo cui “Il Governo non può, mediante decreto, rinnovare disposizioni di decreti non convertiti in legge, ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale, conferire deleghe legislative, introdurre nuovi reati, attribuire poteri regolamentari in materie già disciplinate con legge”.
Anche in questo disegno di legge costituzionale si punta a delimitare gli ambiti in cui il Governo può ricorrere alla decretazione d’urgenza, escludendo espressamente quello penale, sebbene con una formula meno ampia. Mentre l’altro progetto propone di precludere la possibilità di usare il decreto-legge in materia penale in senso generico, questo, invece, vieta solamente di introdurre reati, lasciando così margini minimi di utilizzo per scelte sanzionatorie di favore o, al massimo, aggravatrici della disciplina esistente.
Entrambi alimentano dei dubbi, sia per la definizione diversa della materia penale più o meno ampia, sia per la drasticità e nettezza della soluzione proposta che non consentirebbe mai, neanche in casi estremi, di poter ricorrere alla decretazione d’urgenza in penale. Da un lato, si dovrebbe valutare bene quale portata debba avere il divieto, se onnicomprensiva di qualsiasi norma penale a prescindere dal suo contenuto, anche quindi quelle recanti cause di non punibilità[18], oppure relativa e limitata alle sole norme incriminatrici, o ancora intermedia e riferita a tutte le norme penali in malam partem. Dall’altro, si dovrebbe valutare anche la possibilità di inserire nello stesso art. 77 Cost. una eccezione soggetta a quorum aggravato, in modo da consentire il ricorso ad un decreto-legge in materia penale nell’ipotesi in cui il Governo ottenga una preventiva deliberazione a maggioranza qualificata in Parlamento che attesti l’eccezionale urgenza, ad esempio i 2/3 dei componenti di entrambe le Camere.
In ogni caso, pur non essendo entrambi i progetti immuni da talune perplessità e, soprattutto, annoverati tra le priorità dell’agenda politica dell’attuale Esecutivo, non si può che salutare con favore la loro elaborazione, sperando (quasi certamente in modo vano) che contribuiscano a porre il problema al centro del dibattito pubblico e, con il tempo, magari ad indurre anche le maggioranze politiche a ritenere necessario, nell’interesse della collettività, la previsione della esclusione del diritto penale dalle materie per le quali si può intervenire con la decretazione d’urgenza.
[1] In argomento, per il testo della sentenza ed un commento di S. Zirulia, Terra dei Fuochi: violato il diritto alla vita degli abitanti. Prime osservazioni in ordine alle possibili ripercussioni sul diritto penale ambientale di una storica sentenza, si veda in questa rivista, 14 febbraio 2025.
[2] C. Ruga Riva, Il cd. decreto Terra dei fuochi sui rifiuti: tra Greta, Dracone e Tafazzi, in questa rivista, 8 settembre 2025; G. Vanacore, Un intervento rivoluzionario ma troppo affrettato sul trattamento sanzionatorio dei reati in tema di rifiuti nel codice dell’ambiente, ibidem.
[3] Per un utile raffronto in cui emergono in modo chiaro gli emendamenti inseriti in sede di conversione si veda https://lexambiente.it/index.php/materie/rifiuti/legisl-nazionale203/rifiuti-decreto-terra-dei-fuochi-coorinato-con-la-legge-di-conversione.
[4] Per approfondimenti sulla procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali si rinvia a C. Ruga Riva, Diritto penale ambientale, Torino, 2021, 43 ss.; A. Melchionda, La procedura di sanatoria dei reati ambientali: limiti legali e correzioni interpretative in malam partem, in Lexambiente, 2021, 1 ss.; M. Poggi D’Angelo, La procedura estintiva ambientale: l’idea dell’inoffensività/non punibilità in ottica riparatoria e deflativa, ivi, 2022, 37 ss.; F. Pomes, Procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali e funzione ripristinatoria del diritto penale, ivi, 2019, 60 ss.; E. Cottu, La prescrizione dei reati ambientali: efficacia, coerenza, ragionevolezza?, in Dir. Pen. Contemp. Riv. Trim., n. 1/2018, pag. 272 ss.; nonché, sia consentito, al nostro, G. Amarelli, La procedura estintiva delle contravvenzioni ambientali: il controverso ambito di operatività, gli auspicati correttivi e le attese deluse dalla riforma Cartabia, in lexambiente.it, 2022, 1 ss.
[5] Sulla disciplina intertemporale dei decreti-legge non convertiti, così come riscritta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 51/1985 che ha dichiarato illegittimo l’art. 2, attuale comma 6, c.p. «nella parte in cui rende applicabili alle ipotesi da esso previste le disposizioni contenute nel secondo e terzo comma dello stesso art. 2 c.p.», si veda nella manualistica, ex multis, G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2024, 114 ss.; C. Fiore-S. Fiore, Diritto penale. Parte generale, Torino, 2023, 126 ss.
[6] Sulla nozione di pena illegale si veda S.U., 13 dicembre 2022, n. 47182.
[7] In tal senso cfr. Cass., Sez. VI, 9 novembre 2021, n. 40538, con nota di A. Roiati, La Cassazione estende la ratio garantista del principio di irretroattività all’applicazione delle pene accessorie sulla scorta dell’art. 445, comma 1 ter, c.p.p., così come introdotto dalla l. n. 3/2019 (cd. Spazzacorrotti), in Proc. pen. e giust., 2022, 743.
[8] Cfr. Cass., Sez. VI, 3 aprile 2025, n. 13092, in cui la Suprema Corte ha stabilito che la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, introdotta con la legge n. 190/2012 nell’art. 317-bis c.p. solo per i delitti di corruzione di cui agli artt. 319 e 319-quater c.p., senza alcun riferimento anche all’art. 321 c.p. che contempla le pene per il corruttore, non poteva trovare applicazione nei confronti di quest’ultimo, in quanto tale possibilità è stata prevista solo con la modifica dell’art. 317-bis c.p. operata dalla legge n. 3/2019 e vale, dunque, solo pro futuro per i fatti commessi dopo quest’ultima data.
[9] Segnalava questa criticità G. Vanacore, Un intervento rivoluzionario, cit.
[10] Evidenziava tali problemi C. Ruga Riva, Il decreto Terra dei fuochi, cit.
[11] Per il testo della sentenza e per un commento di G. Alberti, Costituzionalmente legittimo l’art. 131-bis c.p. nella parte in cui esclude che il giudice possa ritenere l’offesa di particolare tenuità nei casi di resistenza a un pubblico ufficiale, cfr. questa rivista, 14 aprile 2021.
[12] E. Dolcini, Sicurezza per decreto-legge?, in questa rivista, 30 giugno 2025. La stessa posizione è sostenuta da C. Cupelli, La legalità delegata. Crisi e attualità della riserva di legge nel diritto penale, Napoli, 2012, 130 ss.; G. Marinucci–E. Dolcini-G.L. Gatta, Manuale di diritto penale, Milano, 13ᵃ ed., 2024, 50; V. Maiello, Riserva di codice e decreto legge in materia penale: un (apparente) passo avanti ed uno indietro sulla via del recupero della centralità del codice, in Critica del diritto, 2001, 342 ss.; L. Risicato, Dalla Costituzione al Leviatano, la torsione illiberale del decreto “sicurezz” n. 48/2025, in Riv. it. dir. proc. pen., 2025, 471 ss.
[13] Per una lettura critica del decreto-legge c.d. rave party si veda S. Fiore, Rave party. Lo stigma penale sulla controcultura giovanile, in Dir. pen. proc., 2023, 233 ss.; C. Ruga Riva, La festa è finita. Prime osservazioni sulla fattispecie che incrimina i rave party (e molto altro), in questa rivista, 3 novembre 2022.
[14] Non è questa la sede per indugiare sul populismo penale. Per approfondimenti, si rinvia ex multis ad E. Amati, Insorgenze populiste e produzione del penale, in www.discrimen.it, 3 giugno 2019; Id., L’enigma penale. L’affermazione politica dei populismi nelle democrazie liberali, Torino, 2020, p. 22 ss.; G. Fiandaca, Populismo politico e populismo giudiziario, in Criminalia, 2014, p. 102; D. Pulitanò, Populismi e penale. Sulla attuale situazione spirituale della giustizia penale, ivi, p. 123 ss.; M. Donini, Populismo penale e ruolo del giurista, in Sist. pen., 7 settembre 2020. Nella dottrina straniera si rinvia per tutti a J. Pratt, Penal Populism, London-New York, 2007.
[15] A favore della introduzione in materia penale di una riserva di legge parlamentare rafforzata, per la cui approvazione sia necessaria la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, si vedano, tra i tanti, E. Musco, L’illusione penalistica, Milano, 2004, 183 ss.; V. Maiello, Riserva di codice, cit.; C. Cupelli, La legalità delegata, cit., 321 ss.; G. Fornasari, Riserva di legge rafforzata in materia penale, in Dir. pen. cont., 2018, 1 ss.
[16] Per il testo del disegno di legge si veda https://www.senato.it/export/ddl/full/58234.
[17] Per il testo del disegno di legge si veda https://www.senato.it/leggi-e-documenti/disegni-di-legge/scheda-ddl?did=59126.
[18] Il problema specifico della previsione di una riserva di legge rafforzata anche per le cause di giustificazione è affrontato da G. Fornasari, Riserva di legge rafforzata, cit., 14.