ISSN 2704-8098
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  Recensione  
21 Giugno 2024


La magistratura dopo la “riforma Cartabia: uno studio che è utile leggere prima di decidere sulle modifiche costituzionali proposte dal Governo

Recensione a N. Zanon, F. Biondi, Il sistema costituzionale della magistratura, 6^ edizione, Zanichelli, 2024



1. L’ordinamento giudiziario è uno dei settori più complessi e difficili del nostro diritto. Esso è il frutto di interventi legislativi numerosi che si sono stratificati nel diritto vigente anche quando hanno seguito linee politiche non uniformi. Quanto questa situazione sia lontana dalla previsione costituzionale di “una nuova legge sull’ordinamento giudiziario” (VII disp. att. Cost.) non vi è bisogno di sottolineare. Essa, al contempo, rende apprezzabile l’iniziativa di ricondurre a sistema una materia confusa e disorganica. A questo compito si sono dedicati da tempo i due studiosi autori della pubblicazione, giunta ormai alla sesta edizione. La sistematizzazione viene perseguita attraverso le disposizioni costituzionali relative alla magistratura e alla funzione giurisdizionale, ma l’oggetto di studio non è limitato alle disposizioni della Costituzione, perché la disciplina esposta e approfondita è quella dell’ordinamento giudiziario, contenuta nella legislazione, nella giurisprudenza (soprattutto costituzionale) e nelle principali circolari del CSM, con una considerazione selezionata anche della dottrina.

L’idea che ha animato i due studiosi è espressa chiaramente da loro stessi: “descrivere un insieme ordinato di principi e regole, relativo sia alla magistratura intesa come istituzione (come «potere» o, secondo la formula costituzionale, come «ordine») sia alla giurisdizione intesa come funzione”. Così si legge nella quarta di copertina, ove è riportato l’inizio di una densa Introduzione, con cui si apriva la quinta edizione dell’opera. In questa più recente edizione l’Introduzione non si ritrova più, anche se è possibile desumerne il contenuto dai passi della trattazione pertinenti agli istituti che erano in essa menzionati. Si è, però, persa una ampia e utile visione di insieme, ovviamente anche essa da aggiornare, tenuto conto che qualche auspicio formulato dagli autori è stato poi accolto dalla “riforma Cartabia” (come il regime del collocamento fuori ruolo dei magistrati, oggetto del d.lgs. 28 marzo 2024, n.45).  

La pubblicazione non si limita alla magistratura ordinaria, ma considera anche le magistrature speciali, in coerenza con il sistema costituzionale che, come osservano gli autori, accoglie il principio di unità della giurisdizione, sia pure con alcuni temperamenti.

Il merito maggiore di questa edizione, che piace subito segnalare, è il suo analitico e approfondito recepimento delle numerose disposizioni della “riforma Cartabia”, espressasi con la legge 17 giugno 2022, n. 71 e, poi, con i due recenti decreti legislativi n. 44 e n. 45 del 28 marzo 2024, di attuazione delle deleghe contenute in detta legge. Si ha così a disposizione un’opera che può considerarsi un “manuale” aggiornatissimo di ordinamento giudiziario, modificato in modo ampio dalla menzionata riforma.

Una informazione dettagliata e documentata sullo “stato dell’arte” della disciplina della magistratura è particolarmente utile in un momento in cui se ne prospetta una profonda modifica con un “disegno di legge costituzionale” (atto n. 1917/C, presentato dal Governo il 13 giugno 2024, che reca “norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”). Si può così acquisire una conoscenza di quale sia il diritto vivente in materia, al di là delle forti e spesso generiche polemiche politiche che investono soprattutto la magistratura ordinaria, prima che il Parlamento decida se e come procedere a radicali mutamenti addirittura a livello costituzionale.   

È rimasta immutata nella pubblicazione la tradizionale suddivisione della materia in sette capitoli, dedicati ai tre principi di fondo della Costituzione sulla magistratura (autonomia, indipendenza, imparzialità), a cui si aggiungono le tematiche costituzionali del giudice naturale, del pubblico ministero e della responsabilità dei magistrati. Ma è opportuno uno sguardo separato su ciascun capitolo.

 

2. Il cap. 1 (Magistrati e giurisdizione) è dedicato ai soggetti dell’ordine giudiziario e alla attività che li contraddistingue. Vi si tratta anche dei “non togati”, tra i quali i magistrati onorari, il cui ordinamento sta subendo modifiche significative, secondo orientamenti nazionali non sempre condivisi dall’Unione europea, la cui Commissione ha perciò avviato una procedura di infrazione contro l’Italia.

Il cap. 2 (L’autonomia della magistratura) si impernia sul CSM, istituzione già oggetto della citata legge n.71/2022 (capo IV: artt.21-39) e di cui ora si propongono sconvolgimenti nella selezione dei componenti e nelle attribuzioni, con la soppressione della sua giurisdizione in materia disciplinare e la sua duplicazione (per i magistrati della carriera requirente, separata da quelli della carriera giudicante).

La legge n. 71/2022 ha innovato il sistema elettorale dei componenti togati ed è intervenuta anche sulla elezione dei laici (art. 30). Gli autori giudicano “farraginosa” la disciplina seguita dal Parlamento e “complesso” il nuovo sistema elettorale dei togati che “non ha portato, alla sua prima prova, i risultati auspicati”, ma criticano la proposta del sorteggio che può “incidere sulla autorevolezza dell’organo e, dunque, sulla sua posizione nell’ordinamento costituzionale” (p. 40). La riforma da loro proposta, da recepire con modifica costituzionale, è invece la “rinnovazione temporalmente sfasata dei componenti, sul modello di ciò che è previsto per la Corte costituzionale” (p. 45). È censurabile che questa riforma non sia contenuta neanche nel citato disegno di legge costituzionale che prevede il sorteggio per tutti i componenti dei due Consigli. A prescindere da ogni valutazione su tale modalità di selezione, è certo che essa renderebbe ancora più necessaria una rinnovazione parziale dei componenti dei collegi, al fine di conferire ed essi continuità e stabilità di orientamenti.

Sul tema dei poteri del Consiglio le opinioni degli autori appaiono molto prudenti, pur se si dà conto, come sempre, delle tesi diverse. In linea generale, mi sembra significativa l’innovazione apportata dall’art. 29 della legge n. 71/2022: la mera possibilità per il Consiglio di emanare un regolamento interno (già prevista dall’art. 20 n. 7 della legge n. 195/1958) è stata trasformata nella necessità di adottare un “regolamento generale” per la disciplina della sua organizzazione e funzionamento, con la conseguenza di dare maggiore rilievo ed efficacia esterna ai poteri esercitati dal Consiglio. Il che, a prescindere dai precisi effetti della innovazione, delinea un contesto globale che non può non incidere sulla interpretazione delle altre norme vigenti.

Ampia è la trattazione del complesso tema del sindacato giurisdizionale sugli atti amministrativi del CSM, e in particolare dei poteri del giudice amministrativo nel giudizio di ottemperanza alle sue sentenze relative al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi. Su questi poteri è intervenuto il legislatore nel 2014 con un intento limitativo. L’intervento, di modifica dell’art. 17 della legge n. 195/1958 (come poi interpretato dal giudice amministrativo), non si è rivelato idoneo a evitare che il Consiglio di Stato, esercitando un sindacato particolarmente incisivo, finisca con l’impedire al CSM “di esercitare una competenza che la Costituzione gli affida espressamente”, e cioè la scelta dei magistrati a cui conferire i detti incarichi; e della correttezza di questo risultato gli autori giustamente dubitano (p. 83).

Il CSM è coadiuvato dai Consigli giudiziari e dal Consiglio direttivo della Corte di cassazione. La legge n. 71/2022 ha ampliato i poteri dei membri laici presenti in questi organi, prevedendo la loro partecipazione alle valutazioni di professionalità dei togati. Il legislatore ha, però, operato una distinzione tra i componenti avvocati e i professori universitari, conferendo solo ai primi il diritto di voto (come ora dispone la norma delegata: art. 2 del d.lgs. n. 44/2024). La differenziazione è recisamente criticata dagli autori (p. 63-65).

I due paragrafi finali del capitolo sono dedicati, l’uno, alla Scuola superiore della magistratura e, l’altro, alla autonomia delle giurisdizioni speciali, realizzata dagli organi di garanzia istituiti “secondo il modello CSM”.

Il cap. 3 (L’indipendenza della magistratura e dei singoli magistrati) è quello più ampio. Gli autori propongono diverse nozioni di indipendenza. Secondo una prima coppia, essa va distinta in esterna e interna, con riferimento ai soggetti e ai poteri rispetto ai quali l’indipendenza va garantita. L’interrogativo a cui intende rispondere questa coppia di garanzie è: “da dove” provengono i pericoli per l’indipendenza? Con una seconda coppia, si distingue tra indipendenza istituzionale e funzionale, così rispondendo alla domanda: “che cosa si tutela” (le istituzioni della magistratura e dei singoli magistrati, da un lato, o, dall’altro, le funzioni esercitate)? L’incrocio di queste due coppie determina “quattro concetti distinti di indipendenza” (p. 104), formando una griglia nella quale si distribuisce la materia trattata nel capitolo. 

Nelle due caselle della indipendenza istituzionale (esterna e interna) sono illustrate le garanzie di status del magistrato. Piace segnalare l’esame della nuova disciplina (della “riforma Cartabia”) sulla partecipazione dei magistrati alle elezioni politiche e amministrative, il loro stato giuridico durante il mandato, il rientro in ruolo, con la prospettazione, su quest’ultimo punto, di alcuni dubbi di legittimità costituzionale (§ 7.6).

Nelle corrispondenti due caselle della indipendenza funzionale (esterna e interna) sono approfondite tematiche che vanno al di là dell’ordinamento giudiziario, come i limiti costituzionali esistenti per gli automatismi legislativi, necessari per rispettare il libero convincimento del giudice e i suoi poteri discrezionali (§ 8.1), nonché la legittimità costituzionale delle leggi retroattive e di interpretazione autentica (§ 8.2).

L’indipendenza del giudice (in tutti i suoi aspetti) è correlata alla soggezione del giudice alla legge. Si tratta di “due facce della stessa medaglia” (p. 102).

Del principio costituzionale posto dall’art. 101, comma 2, Cost. gli autori danno una lettura che appare piuttosto tradizionale, perché non tiene conto dei profondi cambiamenti avutisi nell’attività di interpretazione delle disposizioni normative, per effetto del moltiplicarsi delle fonti del diritto, dello scadere della qualità della legislazione, dei nuovi orientamenti culturali di superamento del giudice come bocca della legge, dell’affermarsi di un diritto giurisprudenziale.

Sono questi cambiamenti rispetto all’epoca originaria della Costituzione che spiegano il maggior rilievo, nei codici e nella prassi del secolo in corso, della funzione nomofilattica della Cassazione. Ai principi di diritto affermati dalle Sezioni unite il legislatore ha attribuito un effetto di vincolo giuridico (procedimentale) per i giudici della Corte (art. 374 c.p.c. e art. 618 c.p.p.), con conseguente maggiore efficacia persuasiva per i giudici di merito. Il rinvio pregiudiziale recentemente introdotto nel processo civile (art.363-bis c.p.c.) aumenta la possibilità per la Corte di formulare principi di diritto vincolanti per il giudice del merito.

Si tratta, indubbiamente, di limiti che l’ordinamento recente ha posto alla indipendenza funzionale interna dei giudici, giustificati proprio dall’ampliamento dei poteri interpretativi e quindi dalla diminuzione della loro dipendenza dalla legge. Di questa correlazione gli autori mostrano consapevolezza quando, in relazione alla nomofilachia della Cassazione, osservano che, “al cospetto della crescente complessità del sistema delle fonti, essa è fondamentale sia per favorire una uniforme applicazione del diritto e, in definitiva, per assicurare l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, sia per garantire al massimo grado il valore della certezza del diritto” (p.175). Queste considerazioni credo che siano idonee anche per indagare su un significato meno tradizionale e più complesso della soggezione del giudice alla legge.

D’altro canto, gli autori, in un diverso capitolo, affermano che la “discrezionalità” è insita necessariamente nella interpretazione e applicazione della legge (p. 232; nella precedente edizione del volume si parlava di “natura creativa dell’attività del giudice”: p. 224). Questa discrezionalità del giudice (e, più in generale, dell’interprete) è enormemente aumentata dall’epoca di approvazione della Costituzione. Ancora: a proposito della responsabilità dei magistrati, si rileva il “mutamento della posizione costituzionale del giudice, da mero applicatore di decisioni politiche-normative assunte dagli organi politici a interprete e risolutore diretto dei conflitti e mediatore di interessi al di là delle prescrizioni delle norme positive” (p. 308).

Il capitolo si chiude con la trattazione della indipendenza dei giudici speciali e, altresì, degli strumenti di tutela dell’indipendenza (i conflitti tra poteri davanti alla Corte costituzionale e le c.d. pratiche a tutela da parte del CSM).

Il cap. 4 (L’imparzialità del giudice) completa i tre principi fondamentali sulla magistratura. Mentre l’indipendenza attiene ai giudici come organi, “l’imparzialità è una qualità attribuibile in primo luogo ai giudici come persone fisiche” (p. 205). L’indipendenza è strumentale alla imparzialità, che richiede “condizioni e requisiti ulteriori” rispetto a quelli funzionali alla prima. Vengono perciò trattati gli istituti previsti dai codici di procedura per garantire l’imparzialità del giudice: incompatibilità, astensione, ricusazione e anche rimessione del processo penale per legittimo sospetto (secondo il testo vigente dell’art. 45 c.p.p.).

L’art. 111 Cost. prevede che il giudice sia “terzo e imparziale”. Secondo gli autori, non si tratta di una endiadi perché l’imparzialità è una “caratteristica del magistrato in quanto tale”, mentre la terzietà è caratteristica del giudice nel processo come soggetto distinto dalle parti” (p. 220). Dalla distinzione può trarsi il corollario che il pubblico ministero deve essere imparziale, ma non è terzo (nella parte relativa al p.m., peraltro, viene respinta, come si dirà, la tesi del p.m. come “parte imparziale”: p. 263).

L’imparzialità rileva non solo nella realtà effettiva, ma anche nella apparenza perché è il fondamento della fiducia della collettività nel giudice. Gli autori si pongono l’interrogativo se l’orientamento politico manifestato dal magistrato mina la sua imparzialità. Riferiscono la risposta negativa sia della Corte europea dei diritti dell’uomo, sia della sezione disciplinare del CSM. Ma aggiungono che “non sono affatto da incoraggiare gli atteggiamenti deontologicamente non sempre ineccepibili di quei magistrati che, con eccessiva leggerezza, manifestano pubbliche adesioni o avversioni di natura fortemente politico-ideologica” (p. 224). A favore di questa posizione può richiamarsi l’art.8 del codice etico della Associazione nazionale magistrati, secondo cui “il magistrato…mantiene una immagine di imparzialità e di indipendenza”. Ma, ovviamente, la regola deontologica non ha la rilevanza giuridica di una regola disciplinare, che deve essere predeterminata dal legislatore per rispettare le riserve di legge previste dalla Cost. (così, nel volume in discorso, a p. 318).

Il cap. 5 (Il giudice naturale) approfondisce, sulla base della ampia giurisprudenza della Corte costituzionale, la garanzia del giudice naturale precostituito per legge (espressione intesa come endiadi). Questa garanzia può essere vista come “la cornice esterna dell’imparzialità”, nel senso che “viene prima” dell’inizio del giudizio da decidere (p. 231). Gli autori illustrano dettagliatamente il sistema tabellare, con riferimento al contenuto delle circolari del CSM. Se ne specificano gli effetti rispetto al diritto della parte processuale al giudice naturale, nel senso che, in linea generale, le relative disposizioni non attengono alla costituzione del giudice, ma l’inosservanza di quelle attenenti alle assegnazioni o alle sostituzioni del giudicante sono causa di nullità quando determinano uno “stravolgimento dei principi e canoni essenziali dell’ordinamento giudiziario” (p. 248), e cioè l’emanazione di un provvedimento da qualificarsi “abnorme” (secondo una concezione elaborata, in realtà, dalla sola Cassazione penale). Si esamina anche l’aspetto della garanzia relativa ai limiti in cui è tutelato il diritto del giudice a non vedersi sottratta la causa. Rimane ferma la rilevanza disciplinare delle regole tabellari, la cui violazione è sanzionata dal d.lgs. n. 109/2006, art.2, lett. n (p. 250).

Questo capitolo, come il precedente (sull’imparzialità), si conclude con la trattazione relativa ai giudici speciali.   

Il cap. 6 (Il pubblico ministero) tratta “uno dei nodi irrisolti degli studi sull’ordinamento giudiziario” (p.255). Vengono subito esposte le due tesi sull’interpretazione delle relative norme costituzionali: quella che sostiene la piena equiparazione tra magistrati giudicanti e requirenti e l’altra della distinzione, nel senso che la scelta delle garanzie di indipendenza del pubblico ministero è affidata al legislatore. Gli autori si esprimono per la seconda tesi, onde ritengono (p. 260-261) che la soggezione del giudice alla sola legge (art. 101 Cost.) e la previsione dell’autorità giudiziaria (contenuta negli artt. 13, 14, 15, 21 Cost.) non includano il pubblico ministero, ma riconoscono che la giurisprudenza della Corte cost. è oscillante sull’art.101 e contraria alla loro opinione sulle altre citate disposizioni. Viene, perciò, respinta la tesi del pubblico ministero come organo di giustizia e come parte imparziale, criticandosi l’orientamento del giudice costituzionale che ritiene legittime le fisiologiche differenze nel processo penale tra p.m. e difensore dell’imputato (p. 265). Una sola osservazione sul punto, molto controverso. Al di là del disposto delle norme del codice di rito penale (analizzate dagli autori anche nelle recenti modifiche apportate dalla “riforma Cartabia”), resta l’essenziale differenza costituita dal fatto che al p.m. è vietato non fare conoscere al giudice le prove esistenti a favore dell’indagato-imputato, mentre per il suo difensore potrebbe essere fonte di responsabilità professionale indicare prove che smentiscono la professione di innocenza della persona da lui difesa.

Contraddistingue la posizione del p.m. nel nostro ordinamento costituzionale l’obbligatorietà dell’azione penale, che – notano gli autori – è il “punto di convergenza” di principi basilari: indipendenza funzionale del p.m., legalità nel procedimento di repressione dei reati, uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (p. 266). Con l’obbligatorietà è compatibile la previsione di criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, in ordine ai quali viene condivisa l’innovazione della legge n. 71/2022, che prevede tali criteri e li inserisce nel progetto organizzativo predisposto dal procuratore della Repubblica “nell’ambito dei criteri generali indicati dal parlamento con legge” (art.13, che ha modificato il d. lgs. n.160/2006, sull’organizzazione dell’ufficio del pubblico ministero). Sul punto vi è stata finora una grave inerzia legislativa, le cui conseguenze giuridiche sono esaminate dagli autori in chiave problematica (p.281).

Tema di massima attualità è la separazione delle funzioni tra p.m. e giudice. Gli autori ritengono che questa separazione possa essere realizzata senza una modifica della Costituzione e che si sia già pervenuti a “una distinzione ‘rafforzata’ delle funzioni o, se si preferisce, a una ‘quasi’ separazione tra di esse” (p. 285). La modifica costituzionale proposta dal Governo sul punto (nel citato disegno di legge n. 1917/C) sembra, perciò, dettata soprattutto dalla necessità di prevedere un secondo CSM per i magistrati del pubblico ministero.

Senza entrare nel merito della proposta, ci si limita a segnalare che l’istituzione di un secondo CSM è destinata a rendere più complesso il necessario “rapporto di collaborazione” con il Ministro della giustizia (p. 69), già oggi non sempre privo di difficoltà, come ho avuto modo di constatare nelle esperienze, non ravvicinate nel tempo, fatte in posizioni di vertice dirigenziale e di componente di diritto del CSM. Il coordinamento tra i due CSM e con il Ministero sarà necessario per consentire il funzionamento degli uffici giudiziari, in cui collabora il personale gestito dalle tre istituzioni. È facile osservare che questo coordinamento, se ne insorgeranno i presupposti, sarebbe reso meno difficoltoso da un unico CSM diviso in due sezioni autonome, una per la magistratura giudicante e l’altra per quella requirente. Si renderebbe meno oneroso anche l’adempimento delle funzioni di presidenza dei due Consigli, attribuite al Presidente della Repubblica.

Molta attenzione è dedicata all’ordinamento interno degli uffici del p.m., esaminato attraverso le numerose circolari del CSM, nonché al rapporto tra i diversi uffici del p.m., che vengono considerati “quasi come monadi giudiziarie”, con la conseguenza di un “atomismo diffuso” nell’esercizio dell’azione penale, criticabile perché comporta “criteri (ed esiti) disomogenei nelle diverse parti del territorio nazionale” (p.296).

Il paragrafo finale è dedicato agli organi giudiziari dell’Unione europea, aventi soltanto compiti strumentali alla funzione giudiziaria degli Stati membri (Olaf e Eurojust) ovvero svolgenti funzioni processuali, come si è realizzato con la recente costituzione del pubblico ministero europeo (c.d. EPPO), separato e indipendente dagli organi di accusa degli Stati membri.

Il cap. 7 (La responsabilità dei magistrati) tratta il tema di maggior rilievo della proposta di riforma costituzionale, che toglie al CSM il giudizio sugli illeciti disciplinari dei magistrati ordinari e li attribuisce a un nuovo giudice speciale, appositamente istituito, denominato Alta Corte disciplinare.

Gli autori pongono subito la questione essenziale della tematica: come prevedere la responsabilità dei magistrati senza pregiudicarne l’indipendenza? La risposta sta nelle condizioni e nei limiti ai quali è sottoposta la responsabilità, e cioè nelle garanzie sostanziali e procedimentali previste dalla relativa disciplina (p.309). Vengono prese in considerazione tutte le forme di possibile responsabilità del magistrato: politica (da escludere), penale (che non presenta aspetti specifici), disciplinare, civile, amministrativa.

Le due forme più discusse sono la disciplinare e la civile.

La configurazione degli illeciti disciplinari spetta al legislatore ed è auspicabile che esso si ispiri a “un certo grado di tassatività” (p.349). Viene illustrata ciascuna delle numerose fattispecie disciplinari previste dalla legge, con riferimento anche alle applicazioni fattene dalla giurisprudenza (della sezione disciplinare del CSM e delle Sezioni unite civili della Cassazione). Gli illeciti sono raggruppati secondo i beni-valori protetti dalle previsioni legislative, mettendosi così ordine in una normativa non sempre chiara e qualche volta ripetitiva. Le questioni principali, bene trattate nel volume, sono costituite dalla compatibilità degli illeciti con l’indipendenza funzionale del magistrato esplicantesi nella interpretazione delle norme di diritto e nella valutazione del fatto e delle prove (c.d. clausola di salvaguardia: § 4.4), nonché dal bilanciamento dei divieti disciplinari previsti dalla legge con l’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti (libertà di manifestazione del pensiero e di associazione e riunione) (§ 4.6). 

Il procedimento disciplinare per i magistrati ordinari è totalmente giurisdizionalizzato, anche nella fase pre-disciplinare.

La proposta di riforma costituzionale non solo sostituisce un nuovo giudice alla sezione disciplinare del CSM, ma sembra azzerare anche l’attuale disciplina degli illeciti, delle sanzioni e del processo disciplinare perché, nell’ultimo comma del nuovo art. 105 Cost., si prevede una nuova legge per tutte queste discipline, disponendo, con disposizione transitoria (art. 8), che le norme vigenti si osservano fino all’entrata in vigore delle nuove leggi. È sorprendente che si proponga un intervento fortemente innovativo sulla responsabilità dei magistrati ordinari, che già ha una ampia e piuttosto completa disciplina, mentre nulla si innova in ordine alla responsabilità dei magistrati speciali, per i quali gli autori mettono in luce l’esistenza di discipline lacunose e con aspetti di dubbia legittimità costituzionale (§ 7).

Infine, la disciplina della responsabilità civile dei magistrati (ordinari e speciali) è illustrata nella sua evoluzione storica fino alla legge 27 febbraio 2015 n. 18, determinata dalla Corte europea di giustizia dopo il “fallimento” della legge n. 117/1988 (§ 5.2). La disciplina vigente, secondo gli autori, “realizza un nuovo ed equilibrato contemperamento tra la garanzia del risarcimento dei danni eventualmente prodotti nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e la tutela dell’indipendenza (soprattutto funzionale) del magistrato” (p.375).

 

3. I rapidissimi e sporadici cenni sul contenuto della pubblicazione non sono sufficienti a fare percepire l’ampiezza e l’approfondimento della materia trattata. In una visione globale giova osservare che molti ne sono i pregi.

Innanzitutto il metodo. L’ordinamento giudiziario è esaminato alla luce delle disposizioni costituzionali. Il che consente di ricondurlo a un sistema caratterizzato dai tre valori costituzionali della autonomia, indipendenza e imparzialità della magistratura. Si trae, alla fine, la convinzione che l’ordinamento giudiziario dovrebbe rientrare nell’ambito degli studi di diritto costituzionale, e non di diritto processuale, come era nella risalente tradizione universitaria. I due autori sono studiosi di diritto costituzionale, che si sono giovati anche della conoscenza pratica delle istituzioni giudiziarie (Zanon come componente del CSM e Biondi come componente del Consiglio giudiziario di Milano).

Altro pregio della pubblicazione è l’informazione completa e, come si è detto, aggiornatissima. Gli autori esprimono con decisione le proprie opinioni, ma le accompagnano sempre con l’esposizione delle tesi diverse sostenute in dottrina o anche da sentenze o orientamenti del CSM.

Ammirevole, ancora, è la chiarezza della esposizione, che si legge con scorrevolezza anche quando vengono trattati problemi complessi.

Insomma, si ha a disposizione un manuale di ordinamento giudiziario ideale sia per un corso universitario approfondito, sia per lo studioso, sia per la preparazione al concorso per magistrato ordinario, nella cui prova orale è compreso l’ordinamento giudiziario.

È un volume di cui consiglio la lettura integrale a chi intende conoscere l’ordinamento giudiziario in Italia. Ma può essere utilizzato anche per consultazioni su specifici argomenti. Per quest’ultima finalità potrebbe rivelarsi utile un corredo di indici: almeno quello analitico, se non anche quello delle fonti normative citate, comprensive delle circolari del CSM.