Cass., Sez. V, 9 novembre 2023 (dep. 1 febbraio 2024), n. 4564, Pres. Zaza, Est. Cananzi
*Contributo pubblicato nel fascicolo 7-8/2024.
1. La sentenza della Corte di cassazione che può leggersi in allegato si aggiunge all’ormai lunga catena di arresti[1], alcuni dei quali già annotati in questa Rivista[2], relativi all’elemento soggettivo nel delitto di omicidio preterintenzionale.
Quello che pareva destinato a risolversi in un conclamato contrasto giurisprudenziale sembrerebbe, alla luce della pronuncia qui esaminata, stemperarsi in favore dell’orientamento tradizionale, fondato, come noto sulla controversa figura del c.d. “dolo unitario”, la cui dimensione sostanziale viene qui ribadita ed approfondita.
L’imputazione, che sarà poi approfondita, concerneva un’aggressione portata da un nipote collerico a danno dell’anziana nonna con lui convivente, da cui ne risultava il decesso anche a seguito dello scompenso cardiaco determinato dallo spavento.
Gli elementi di originalità della sentenza consistono in un ulteriore approfondimento dell’orientamento tradizionale[3] relativo al coefficiente soggettivo della preterintenzione, sviscerato in una vicenda particolarmente delicata in punto di fatto perché posta al confine fra preterintenzione e dolo eventuale, non a caso contestato nell’imputazione. Ancora una volta[4], in particolare, vengono messe in evidenza le differenze fra l’omicidio preterintenzionale ed il diverso reato di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p.), in relazione al quale, come noto, dopo la sentenza Ronci delle Sezioni Unite è ormai indiscussa la necessità di accertare in concreto la colpa dell’agente per la morte cagionata[5].
2. I profili essenziali in punto di fatto possono essere così riassunti.
L’imputato ha aggredito la nonna percuotendola con pugni su tutto il corpo (in particolare al torace e alla testa), gettandola a terra e scaraventandone più volte la testa, con particolare forza ed energia, contro le parti metalliche del volante della propria automobile. Tale aggressione, di per sé negli esiti non particolarmente grave in quanto sostanziatasi in un’astratta prognosi di sette giorni, concorreva con una miocardite acuta con edema polmonare a cagionare la morte dell’anziana signora.
Per quanto attiene alla tematica che qui ci impegna, l’eccezione difensiva articolata sull’elemento soggettivo dell’omicidio preterintenzionale è di quelle classiche.
In particolare, essa si fonda sull’argomentata necessità di equiparare l’interpretazione dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 584 c.p. a quello del reato previsto dall’art. 586 c.p., ponendo l’accertamento della colpa in concreto per l’evento-morte come presupposto indefettibile della condanna. Diversamente, si opina, verrebbe costruita un’ipotesi di culpa in re ipsa.
Altro argomento classicamente rinvenibile nelle difese da imputazioni preterintenzionali è quello che attiene al nesso di causalità, dei cui principi[6], anche nella vicenda in esame, viene protestata una falsa applicazione, in quanto la morte non sarebbe stata causata dall’aggressione, poiché ad essa avrebbe concorso, in maniera determinante, la pregressa patologia cardiaca di cui era già affetta la persona offesa.
3. Come detto in sede introduttiva, la sentenza in commento si caratterizza per un’articolata motivazione in punto di criterio di imputazione soggettiva dell’evento morte nell’omicidio preterintenzionale, ribadendo, con dovizia di argomentazioni, l’orientamento tradizionale[7], senza esimersi da un confronto serrato con quello che afferma la necessità di qualificare la fattispecie come ipotesi di dolo misto a colpa[8].
È interessante rilevare che il caso in esame viene affrontato, tanto dai difensori quanto dai decidenti, senza evocare né coinvolgere la classica e, forse, inflazionata questione della legittimità costituzionale dell’art. 584 c.p., con l’apprezzabile sforzo di provare a proporre soluzioni coerenti sul piano sistematico alla luce del dato codicistico vigente, rinunciando alla ricerca di un commodus discessus rispetto all’onere di articolare un sillogismo giuridicamente coerente in una materia sistematicamente gravida di difficoltà. Come già sommessamente rilevato in precedente occasione su questa Rivista[9], sarebbe, a questo punto, auspicabile un intervento ex professo in funzione nomofilattica delle Sezioni Unite a fronte di una conclamata differenza fra le prospettive ermeneutiche che, pur non così gravida di conseguenze pratiche, richiede, comunque, un chiarimento dogmatico di ampia portata.
In primo luogo, viene evidenziata la differenza fra l’omicidio preterintenzionale e l’omicidio doloso realizzato con dolo eventuale[10]. Essa non è approfondita nella sua consistenza dogmatica, ma solo lambita con una presa d’atto dell’avvenuta riqualificazione operata dai Giudici rispetto al contenuto dell’imputazione mossa dalla Procura: in buona sostanza, si afferma che è stato processualmente provata solo la rappresentazione di un possibile rischio, cui non è, tuttavia, seguita l’accettazione del medesimo.
Venendo al tema dell’elemento soggettivo, si richiama l’orientamento tradizionale secondo cui «l’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo e responsabilità oggettiva, né dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all’art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità dell’evento più grave nell’intenzione di risultato». È la stessa previsione normativa a contemplare tale prevedibilità, in quanto il Legislatore stesso ha formulato, in via definitiva, tale giudizio, reputando assolutamente probabile che da un’azione violenta contro una persona possa derivarne la morte della stessa[11].
Così ricostruito l’orientamento tradizionale secondo le sue classiche scansioni, si affronta il tema della distinzione fra il delitto di cui all’art. 584 c.p. e quello di cui all’art. 586 c.p., per motivare sulle ragioni che impediscono di accogliere i principi di imputazione soggettiva affermati in relazione a quest’ultima fattispecie di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto.
L’argomentazione è strettamente tecnico-sistematica, e non coinvolge valutazioni assiologiche.
Si afferma, in primo luogo, l’autonomia della preterintenzione come elemento psicologico distinto che «si pone accanto al dolo e alla colpa, ma dagli stessi coefficienti soggettivi» è diverso «e non confondibile», evidenziando come tale conclusione sia inequivocabilmente suffragata dalla lettura sistematica degli artt. 42 co. 2 e 43 co. 1 c.p.
In seconda battuta viene coinvolto un argomento che si fonda sulla natura sostanziale della lesione: si rileva, infatti, che l’omicidio preterintenzionale si caratterizza per un’omogeneità di lesione con progressione lineare fra evento meno grave voluto ed evento più grave non voluto in rapporto a beni giuridici omogenei. Viceversa, l’art. 586 c.p. descrive un’ipotesi specifica di aberratio delicti (art. 83 c.p.), poiché difettano sia la maggiore gravità dell’evento non voluto che la necessaria omogeneità della lesione.
Così ricostruito l’assetto sistematico, secondo scansioni argomentative tradizionali, che paiono ormai originali alla luce delle ricostruzioni dottrinali più recenti[12], si affida al nesso di causalità il compito di fungere da filtro selettivo dei fatti addebitabili, attingendo al tradizionale repertorio ermeneutico dei correttivi alla teoria condizionalistica.
Per selezionare quali concause siano idonee ad escludere il nesso di causalità, infatti, si richiamano argomentazioni che paiono riconducibili ai paradigmi della causalità adeguata[13], nella misura in cui le si individua in fattori caratterizzati da straordinarietà, che si pongono come del tutto anomali ed assorbenti rispetto alla serie causale in cui sono solo occasionalmente inseriti. Ciò non è ravvisato nel caso di specie, in quanto la condotta dell’imputato risultava inserita in un contesto fattuale e causale in cui l’evento morte appariva come rischio evidente: si sottolinea, sul punto, che «l’imputato aveva la contezza della cardiopatia di cui la vittima era affetta ed in generale delle non ottimali condizioni di salute della donna, a lui note in quanto con la nonna conviveva e sapeva, per sua stessa ammissione, del pregresso infarto e del recente ricovero in ospedale per una grave infezione che aveva comportato un lungo ricovero ospedaliero».
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4. La sentenza qui segnalata ci offre lo spunto per approfondire riflessioni in punto di omicidio preterintenzionale già svolte in precedenza[14], con particolare riguardo ad alcuni elementi originali che emergono dalla motivazione, che si mostra coerente con il recente tentativo giurisprudenziale di approfondire i contenuti sostanziali dell’orientamento maggioritario della prevedibilità dell’evento più grave assorbita nell’intenzione di risultato.
Un primo elemento meritevole di riflessione è quello della differenza fra omicidio preterintenzionale e omicidio volontario sorretto da dolo eventuale.
Esplorare analiticamente tale sottile distinzione sfuggirebbe dall’economia espositiva richiesta in questa sede, in quanto implicherebbe un’immersione in classiche e complesse tematiche che afferiscono alla teoria dell’azione[15].
Dentro tale complesso quadro dogmatico, ci si può, per le modeste finalità di questo lavoro, attenere ad una nozione finalistica del concetto di azione, che parta del postulato, non dimostrato in questa sede, che l’azione umana sia tale e come tale possa assumere rilevanza penale in quanto strutturalmente sorretta da un fine.
Ora, è proprio il fine che sorregge l’azione la chiave ermeneutica su cui abbozzare una teorizzazione separata del dolo eventuale rispetto alla preterintenzione.
Concependo quest’ultima in chiave finalistica, si può riassumere la tipicità soggettiva preterintenzionale nel senso di descriverne l’azione come rivolta ad un fine voluto (che si realizza), ma causale rispetto ad un evento non voluto che pure, del pari, si realizza[16], il quale è prevedibile dall’agente sulla base di leggi universali di inferenza causale[17]. Così pare, almeno, dalla lettura della sentenza che, tuttavia, sul punto, si espone alla facile obiezione di una lettura che, valorizzando appieno il portato del principio di colpevolezza, potrebbe far rilevare come proprio la prevedibilità dell’agente, che qui si dà per presupposta, è, invece, ciò che si deve dimostrare.
Viceversa, nel dolo eventuale, la tipicità soggettiva è, per così dire, indifferente rispetto all’evento, che, tuttavia, non è, come nella preterintenzione o nella colpa, solo previsto o prevedibile, ma necessariamente rappresentato: esso non è voluto, secondo l’accezione di volontà propria del finalismo più rigoroso e coerente con la lettera dell’art. 42 c.p., ma non è nemmeno disvoluto. Viene consapevolmente accettato come conseguenza possibile della propria condotta, e, perciò, l’ordinamento lo pone a carico dell’agente in quanto vi ha aderito[18].
Quanto al nucleo centrale della motivazione, è da rilevare come la dimensione sostanziale della preterintenzione venga ricostruita su basi rigorosamente sistematiche, attraverso l’uso di strumenti ermeneutici endocodicistici che non si appoggiano su valutazioni assiologiche, né di esse, a seconda dei punti di vista, si appagano.
Con linearità, viene evidenziata l’autonomia logico-giuridica della preterintenzione rispetto agli altri coefficienti di ascrizione soggettiva, nell’ambito di una motivazione strettamente aderente al dettato codicistico, che qualifica l’illecito preterintenzionale come una fattispecie delittuosa strutturalmente distinta sia dal delitto doloso che da quello colposo.
La specificità del delitto preterintenzionale, pertanto, come noto, consiste nel dato per cui la realizzazione del fatto più grave non voluto è sottesa alla rappresentazione e volizione di uno meno grave: fra i due eventi sussiste una omogeneità strutturale della lesione, in cui l’evento voluto e quello non voluto sono in rapporto di progressione lineare.
Date queste premesse, si valorizza ulteriormente la fonte legislativa del giudizio di prevedibilità, ciò che pare espressivo di una linea di tendenza già riscontrata nel senso di costruire la fattispecie ex art. 584 c.p. come un inedito reato di pericolo presunto con dolo di danno. Così opinando, il pericolo per il bene giuridico tutelato «non è un elemento del fatto tipico che deve essere accertato dal giudice, ma è insito nella condotta o nell’evento, in base ad una valutazione fatta dal Legislatore sulla base di regole di esperienza»[19].
La ricostruzione è suggestiva, e, forse, segna un punto a favore dell’orientamento tradizionale, essendo difficilmente contestabile che, sulla base di regole di esperienza, condotte violente aggressive dell’integrità fisica altrui possano risolversi in eventi più gravi di quelli originariamente voluti. Proprio qui sta il contributo probabilmente più originale della sentenza in esame che, dando lo spunto per approfondire i contenuti di tipicità dell’illecito preterintenzionale, può far riflettere sulla possibilità di elaborare una nozione di preterintenzione che sia, da un lato, coerente con il sistema vigente e, dall’altro, almeno non manifestamente stridente con i canoni costituzionali.
In buona sostanza, l’offesa all’interesse tutelato sarebbe esclusa dall’oggetto del dolo, essendo immanente alla valutazione legislativa sottesa all’incriminazione[20].
Questi profili originali si affiancano ad ulteriori argomenti tradizionali che si riferiscono all’elemento oggettivo del delitto e si fondano sulla considerazione dell’omogeneità e progressività della lesione, rispetto ai quali si rimanda a considerazioni già svolte[21]
Meno convincenti appaiono, invece, le argomentazioni in punto di nesso causale, che, tuttavia, si mostrano sostanzialmente coerenti con l’impianto logico-razionale della decisione. È chiaro, infatti, che una volta ridimensionata la componente di ascrizione propriamente soggettiva, le esigenze, pur sempre pressanti, di selezione delle condotte tipiche, debbano soddisfarsi ricorrendo allo strumentario concettuale proprio dei cc.dd. correttivi alla teoria condizionalistica.
Di essi, specialmente della c.d. causalità adeguata, la sentenza in commento fa largo uso con percorsi argomentativi che, per la loro inattualità, paiono originali, ma che, tuttavia, si portano appresso tutte le contaminazioni logico-dogmatiche fra elemento oggettivo ed elemento soggettivo che già da tempo hanno indotto la migliore dottrina, come già sopra ricordato, a rilevare con efficacia e persuasività che, invero, «la teoria condizionalistica non ha bisogno di correttivi»[22], sol che si riescano a maneggiare con sufficiente padronanza i rispettivi ambiti teorico-generali della tipicità e della colpevolezza.
[1] Il panorama giurisprudenziale è compiutamente esposto, con efficace visione di sintesi, da Guido Piffer, Manuale di diritto penale giurisprudenziale. Parte generale, Pisa, 2023, pp. 454 ss. Sugli stessi temi, cfr., anche, G. Piffer, Proposta di riforma dei reati dolosi e preterintenzionali contro la vita e l’integrità fisica, in questa Rivista, 18 luglio 2022.
[2] Cass. pen., Sez. V, 3 aprile 2023, n. 36402 in questa Rivista, 19 gennaio 2024; Cass. pen., Sez. V, 21 gennaio 2022, n. 15269, in questa Rivista, 4 maggio 2023; Ass. Sassari, 14 febbraio 2022, in questa Rivista, 13 aprile 2022, con note di M. Nicolini, nonché il contributo di V. Badalamenti, Il criterio di imputazione colpevole dell’omicidio preterintenzionale: la Cassazione segna un ritorno ai binari costituzionali, in questa Rivista, 13 dicembre 2022.
[3] Per tutte, Cass. pen., Sez. V, 21 aprile 2016 (dep. 26 ottobre 2016), n. 44986, imp. P.G. e P.C. in proc. Mulè, «l'elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo e responsabilità oggettiva né dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'art. 43 cod. pen. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell'intenzione di risultato. (In applicazione del principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità dell'imputato a titolo di omicidio colposo aggravato dalla previsione dell'evento e non di omicidio preterintenzionale, con riferimento alla morte di una donna per soffocamento, verificatasi nel corso di un rapporto sessuale con l'imputato, che prevedeva l'adozione di comune accordo di tecniche di "bondage", ossia di costrizione fisica mediante legatura)», Rv. 268299-01
[4] Argomenti analoghi erano stati spesi nella motivazione di Cass., pen., Sez. V, 21 gennaio 2022, n. 15269, cit. nonché da Cass. pen., Sez. V, 3 aprile 2023, n. 36402, cit.
[5] Cass. pen., Sez. Un., 22 gennaio 2009 (dep. 29 maggio 2009), n. 22676, imp. Ronci, «in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell'assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale.», Rv. 243381-01.
A livello teorico, per un’analisi organica della colpa in attività illecita, cfr. F. Basile, La colpa in attività illecita: un’indagine di diritto comprato sul superamento della responsabilità oggettiva, Milano, 2005.
[6] Per una ricostruzione attuale dello stato dell’arte, G. Canzio, A vent’anni dalla sentenza “Franzese”, in questa Rivista, 12 settembre 2022.
[7] Solo per citare i precedenti più recenti, Cass. pen., Sez. V, 3 aprile 2023, n. 36402; Cass. pen., Sez. V, 21 gennaio 2022 (dep. 20 aprile 2022), n. 15269, imp. Bouimadagen e altri, in Sistema penale, 4 maggio 2023; Cass. pen., Sez. I, 18 giugno 2015, n. 36724, imp. Ferrito, Rv. 264534; Cass. pen., Sez. IV, 21 giugno 2013, n. 43168, imp. Frediani; Cass. pen., Sez. V, 26 gennaio 2010, n. 11954, imp. Palazzolo, Rv. 246549. Quanto alla sua origine, la massima del dolo unitario può ritenersi consolidata almeno a partire da Cass pen., Sez. V, 8 marzo 2006, n. 13673, imp. Haile, Rv. 234552. Sul piano dottrinale, per tutti, la tesi dell’autonomia del titolo di imputazione preterintenzionale può farsi risalire a A. De Marsico, Diritto penale, Parte generale, Napoli, 1937, p. 180; la stessa intuizione, pur con presupposti ed accentuazioni notevolmente diverse, ma comunque orientata nel senso di riconoscere l’operatività di uno spazio autonomo alla preterintenzione è sviluppata nell’ormai classica opera di S. Canestrari, L’illecito penale preterintenzionale, Padova, 1989.
[8] In dottrina, molto di recente di nuovo ribadito in G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale., Milano, 2024, pp. 452 ss.; in giurisprudenza, con precedenti molto risalenti anche rispetto alla “svolta personalistica” del 1988: Cass. pen., Sez. V, 11 novembre 2023, n. 49667, imp. Fossatocci, Rv. 285490; Cass. pen., Sez. V, 27 settembre 2022, n. 46467, imp. D, Rv. 283892-02; Cass. pen., Sez. I, 24 ottobre 1984, n. 10437, imp. Scarpiello, Rv. 166800; Cass. pen., Sez. I, 10 giugno 1986, n. 1258, imp Trib. Napoli, Rv. 160577; Cass. pen., Sez. I, 10 giugno 1983, n. 9294, imp. Galletti, Rv. 161038; Cass. pen., Sez. V, 6 maggio 1982, n. 8588, imp. Scicchitano, Rv. 155354; Cass. pen., Sez. V, 30 settembre 1981, n. 10094, imp. Albanese, Rv. 151265; Cass. pen., Sez. I, 24 gennaio 1979, n. 2989, imp. Donzelli, Rv. 141563
[9] M. Nicolini, cit., 19 gennaio 2024
[10] Sul punto, cfr. la monografia di M. Caterini, Il reato eccessivo. La preterintenzione dal versari in re illicita al dolo eventuale, Napoli, 2008, in cui si affronta con dovizia di approfondimento proprio questo profilo differenziale, sostenendo l’originaria tesi di fondo secondo la quale proprio ciò che per inveterata consuetudine interpretativa si qualifica dolo eventuale costituirebbe, invece, il contenuto sostanziale della preterintenzione, idoneo a conferirle autonoma dimensione sostanziale accanto a quelle del dolo e della colpa.
[11] Viene citato il precedente di Cass. pen., Sez. V, 18 ottobre 2012 (dep. 8 gennaio 2013), n. 791, imp. Palazzolo, in RV 254386 che ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità dell’imputato, per avere nel corso di una colluttazione colpito la vittima, la quale cadeva a terra e decedeva per un accidente cardiovascolare acuto in soggetto cardiopatico. In termini, anche Cass. pen., Sez. V, 4 aprile 2018, n. 23606, in RV 273284; Cass. pen., Sez. V, 21 settembre 2016, n. 44986, imp. P.G. e P.C. in proc. Mulé, in RV 268299; Cass. pen., Sez. V, 20 aprile 2015, n. 21002, in RV 263712; Cass. pen., Sez. V, 27 giugno 2012 (dep. 17 settembre 2012), n. 35582, in RV 253536; Cass. pen., Sez. V, 17 maggio 2012, n. 40389, in RV 253357; Cass. pen., Sez. V, 16 marzo 2010, n. 16285, imp. Baldissin e altri, in RV 247267.
[12] Il riferimento essenziale è sempre a G. Marinucci, E. Dolcini. G. L. Gatta, cit., in cui alle pp. 274-276, vengono illustrate ed argomentate, con magistrale chiarezza, le ragioni per cui «la teoria condizionalistica non ha bisogno di correttivi», su cui vedi infra in nota 22 per qualche approfondimento. Per ulteriori prospettive fondate su una recente disamina molto approfondita delle difficili intersezioni fra causalità e colpevolezza, cfr. la recente monografia di K. Summerer, Tipicità soggettiva. Dolo e colpa nel fatto, Torino, 2024, oltre al classico di M. Donini, Illecito e colpevolezza nell’imputazione del reato, Milano, 1991.
[13] L’applicazione giurisprudenziale di tale teoria può essere fatta risalire a Cass. pen., Sez. I, 18 aprile 1966, n. 654, imp. Nervetti, Rv. 102177-01, secondo cui «il principio tradizionale causa causæ est causa causati esige una limitazione affinché la causalità non si risolva in un qualsiasi nesso di dipendenza o di condizionalità semplice. Tale limite va posto col criterio della così detta regola causale, con la quale si intende non già ogni nesso di condizionalità ed occasionalità, ma soltanto la relazione normalmente efficiente a cagionare l’evento. Occorre cioè che questo effetto risulti conforme a quello che è l’ordinario svolgersi degli eventi nel momento in cui viene posta in atto la causa prima; valendo, invece, a interrompere il nesso di causalità quel fattore sopravvenuto, che, inserendosi nel processo produttivo dell’evento, per la sua anormalità, atipicità ed eccezionalità, si presenti a guisa di un avvenimento imprevedibile e, quindi, fortuito in relazione all’azione od omissione remota». Di essa, è fatta recente applicazione anche da Cass., 21 gennaio 2022, n. 15269, cit.
[14] Cfr. M. Nicolini, La Cassazione riafferma e sviluppa l’orientamento consolidato in tema di imputazione soggettiva dell’omicidio preterintenzionale, in questa Rivista, 4 maggio 2023, cit.; M. Nicolini, La Corte d’Assise di Sassari supera la prevedibilità in astratto e apre alla colpa in concreto nell’omicidio preterintenzionale, in questa Rivista, 13 aprile 2022, cit.; V. Badalamenti, Il criterio di imputazione colpevole dell’omicidio preterintenzionale: la Cassazione segna un ritorno ai binari costituzionali, in questa Rivista, 13 dicembre 2023, cit., commentando Cass. pen., Sez. V, 27 settembre 2022 (dep. 7 dicembre 2022), n. 46467, Rv. 283892-02, secondo cui «l’elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale è costituito dal dolo per i reati di percosse o di lesioni volontarie, misto a colpa in relazione all’evento mortale. (In motivazione, la Corte ha chiarito che la prevedibilità deve essere valutata in concreto, tenendo conto delle circostanze della situazione reale, conoscibili e correttamente valutabili da un agente modello, calate nelle condizioni di tempo e di luogo in cui ha operato l’imputato)».
[15] È proprio sull’esistenza di reati la cui ascrizione si riferisce ad eventi non voluti che si fonda la più penetrante critica alla concezione finalistica dell’azione. Per tutti, cfr. A. Pagliaro, Il fatto di reato, Palermo, 1960, p. 177 in cui si mette in evidenza una riduzione del concetto di azione al contenuto della volontà è inconferente con esigenze interne alla teoria del reato e contraria al comune modo di pensare, essendo del tutto normale che anche conseguenze non volute sono normalmente ricondotte a decorsi causali azionati da comportamenti umani certamente sussumibili dentro la nozione di azione. Allo stesso modo, anche C. Roxin, Pregi e difetti del finalismo. Un bilancio, trad. it. di A. Cavaliere, in AA.VV., Significato e prospettive del finalismo nell’esperienza giuspenalistica, Napoli, 2007, pp. 145ss. constata che «una finalità potenziale o un errore nel dominio causale sono il contrario di una finalità reale dell’agire tipico», e, perciò, il finalismo non è strutturalmente in grado di fungere da base teorica per la spiegazione del reato colposo. A tali obiezioni, il finalismo prova a rispondere declinando la volontà tipica in senso meramente potenziale o ipotetico, per cui l’intenzionalità della colposa riposerebbe nella possibilità irrealizzata di agire finalisticamente per evitare un certo evento, come si evince dalla ricostruzione di M. Gallo, La teoria dell’azione finalistica nella più recente dottrina tedesca, Milano, 1967, pp. 33-34.
[16] Da qui la logica incompatibilità strutturale fra tentativo e delitto preterintenzionale.
[17] Del tipo di quella per cui è normale che condotte le quali, sul piano naturalistico, si mostrino come finalisticamente proiettate alla lesione dell’integrità fisica altrui possano evolversi in eventi progressivi più gravi di tali medesime lesioni: così opinando, potrebbe ulteriormente chiarirsi il retroterra teoretico sotteso alla categoria del dolo unitario come fondato sull’assorbimento della prevedibilità dell’evento più grave nell’intenzione di risultato. Infatti, corrisponde ad una massima di comune esperienza difficilmente confutabile la contestazione secondo cui condotte violente ed aggressive (ad es., prendere a bastonate qualcuno) aprano alla possibilità che da esse sortiscano conseguenze nefaste per il bene offeso. Sarebbe, perciò, discutibile e, forse, irragionevole considerare allo stesso modo, già sul piano del disvalore del fatto tipico, la condotta dell’automobilista distratto e quella dell’energumeno collerico da cui, in entrambi i casi, sia derivata, come conseguenza non voluta, la morte di una persona.
[18] Questa superficiale ricostruzione, più divulgativa che scientifica, e finalizzata a fornire una plausibile ipotesi ricostruttiva di una difficilissima questione dogmatica, è consapevolmente non allineata alle autorevoli, argomentate ed approfondite riflessioni di M. Caterini, op. cit., pp. 270ss. che con acribia scientifica giunge ad ipotizzare la sovrapponibilità del dolo eventuale alla preterintenzione.
[19] Questa l’efficace definizione di G. Piffer, Manuale di diritto penale giurisprudenziale, cit., p. 720.
[20] Ad esiti differenti approderebbero coloro che aderissero alla c.d. concezione realistica del reato: per una trattazione completa: V. Manes, Il principio di offensività nel diritto penale, Torino, 2005
[21] Cfr. da ultimo, il contributo a commento di Cass. 3 aprile 2023, cit., in questa Rivista, 19 gennaio 2024, cit.
[22] Così è icasticamente intitolato un paragrafo, forse il più efficace, secondo il modesto parere di chi scrive, dell’autorevole G. Marinucci, E.Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale, Milano, 2024, pp. 276-278, in cui, con dovizia di esempi, si spiega come «nelle ipotesi di responsabilità per dolo o colpa le esigenze di delimitazione della responsabilità perseguite dalle teorie della causalità adeguata e della causalità umana sono comunque soddisfatte quando, una volta accertata la sussistenza del rapporto di causalità tra una determinata azione e un determinato evento, si passa ad esaminare se quell’evento è stato causato dolosamente o colposamente. […] Nient’affatto persuasiva risulta infine l’obiezione, spesso mossa alla teoria condizionalistica, di aprire la strada a un “regresso all’infinito”, andando alla ricerca della causa penalmente rilevante anche tra gli antecedenti più remoti dell’evento fino… ad Adamo ed Eva: la madre del criminale sarebbe causa del crimine del figlio, come lo sarebbero la nonna e tutti gli antenati, all’infinito. Se il regresso all’infinito fosse un problema reale, non si capirebbe come tale problema non si ponga mai nella giurisprudenza. La verità è che nella prassi il problema della causalità si pone soltanto per un comportamento del quale si sospetti che sia antigiuridico e colpevole».