Cass., Sez. IV, sent. 13 gennaio 2021 (dep. 30 marzo 2021) n. 12144, Pres. Piccialli, Est. Nardin, imp. Grossi
1. La questione. – La fonte della regola cautelare, che si assume inosservata, va indicata sempre in imputazione?
Sempre forse no, ma in genere sicuramente sì. Se infatti non viene indicata la fonte della regola cautelare, manca il perché dell’inosservanza. Così, ad es., se si imputa un omicidio colposo per eccesso di velocità in centro abitato, occorre indicare che la regola cautelare inosservata è l’art. 142 cod. str. Ciò giustifica appunto l’addebito di colpa, consente all’imputato di difendersi con precisione e al giudice di giudicare con altrettanta precisione.
Con specifico riferimento alle prestazioni sanitarie[1], le fonti delle regole cautelari vanno rinvenute, ex art. 5 co. 1 della legge 24 del 2017 (c.d. legge Gelli), nelle linee guida pubblicate nel sito dell’Istituto Superiore di Sanità a seguito della procedura prevista dallo stesso art. 5 co. 3.
In mancanza di tali linee guida è previsto l’obbligo di attenersi a buone pratiche clinico-assistenziali, che hanno anch’esse le loro fonti, ad es., la letteratura medica o la manualistica, come anche affermato in giurisprudenza[2]. In un’imputazione di colpa medica è ancora più viva la necessità d’indicare le fonti delle regole cautelari, in quanto è di solito estranea agli operatori del processo l’esperienza del fatto giudicando.
Al fondo, la necessità d’indicare in imputazione la fonte della regola cautelare è il bagliore processuale di uno specchio sostanziale, quello della concezione normativa della colpa[3], per la quale nel reato colposo la condotta penalmente sanzionata è quella inosservante una regola cautelare, che viene quindi a scolpire la fattispecie di reato nel requisito appunto della condotta e che deve preesistere al fatto e al processo.
Premesso questo, inquadriamo meglio la questione, puntando gli occhi sull’avverbio di tempo sempre: occorre sempre indicare in imputazione la fonte della regola cautelare? O vi sono casi nei quali la si può dare per sottintesa? Nell’ambito della colpa medica: esistono buone pratiche cliniche che si possono sottintendere?
Si coglie a piene mani l’interesse pratico-applicativo della questione.
2. Il caso e la decisione. – La questione può essere ancora meglio inquadrata grazie al precedente giurisprudenziale qui commentato. Chiamiamolo il caso del “percorso rosa”.
Una donna viene trovata riversa in un giardino condominiale e viene trasportata in Pronto Soccorso, dove riferisce di essere stata oggetto di aggressione e violenza sessuale. Il medico descrive un quadro di scarsa collaborazione, lievi difficoltà nella respirazione, ferita al cavo orale, piercing sulla lingua ed escoriazioni multiple. Richiede una radiografia toracica, un’ecografia addome e avvia il c.d. percorso rosa, cioè una visita ginecologica per l’accertamento di lesività da violenza sessuale. Non antepone gli accertamenti toraco-addominali al percorso rosa e la paziente viene sottoposta in primis a visita ginecologica, a seguito della quale vengono escluse lesioni distrettuali da violenza sessuale. La paziente viene poi rinviata al Pronto Soccorso dove, poco dopo giunta, manifesta arresto cardiocircolatorio, non responsivo alle manovre di rianimazione. Si accerta che la morte è avvenuta per pneumotorace da fratture costali.
La Cassazione ribadisce la colpa del medico del Pronto Soccorso, già ritenuta dai giudici di merito, per non avere il medico anteposto gli accertamenti toraco-addominali al percorso rosa. Viene affermato che il medico che prescrive più accertamenti diagnostici deve determinare l’ordine di priorità, per assicurare che vengano eseguiti per primi quelli indispensabili per la verifica di eventuali interventi salvifici. Non viene tuttavia indicato da dove questa buona pratica è tratta, non viene cioè indicata la fonte. In apertura di motivazione viene riportata l’imputazione, anch’essa priva dell’indicazione della fonte della regola cautelare, peraltro ben precisata nel contenuto “… per avere… con colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, omesso di valutare compiutamente i sintomi di una possibile patologia pneumologica latente, non disponendo l’anteposizione degli esami strumentali (radiografia torace per parenchima a fratture costali, ecografia addominale completa), pur prescritti, alla visita ginecologica…”.
In sintesi: viene imputata e poi giudizialmente affermata una colpa per omesso ordine di priorità degli accertamenti diagnostici, senza che venga indicata, né in imputazione né in sentenza, la fonte della buona pratica clinica inosservata, quella appunto di stabilire l’ordine di priorità.
3. Valutazioni. - La sentenza risulta condivisibile.
Pare proprio un caso di colpa “spaccata”, come si dice in gergo. È un’espressione poco elegante, ma pregnante. Sta ad indicare che è fuori discussione la condotta imputata e la relativa regola cautelare inosservata. In termini meno duri: una colpa evidente.
È regola aurea della medicina dell’emergenza quella di pensare prima al peggio, alle patologie che portano a morte. Si procede cioè per esclusione di ipotesi diagnostiche, da classificare in ordine di temibilità. Questa regola, con riferimento alle malattie traumatiche, come quella oggetto della sentenza, è la c.d. filosofia dell’indiscusso manuale Advanced Trauma Life Support dell’American College of Surgeons[4]. Si può riassumere così: step by step, one step at the time. Ogni step è un’ipotesi diagnostica e i primi steps sono quelli che fanno più paura. Ad esempio, la perdita della pervietà della via aerea porta a morte la vittima più rapidamente della perdita della capacità di respirare. Quest'ultima uccide più velocemente di un’emorragia ecc.
Stendiamo il tappeto rosso alla concezione normativa della colpa e alle esigenze di garanzia che soddisfa, che sono garanzie di sostanza e non di forma e che vengono soddisfatte quando è evidente la regola cautelare inosservata, quando res ipsa loquitur.
È fenomeno alquanto frequente in giurisprudenza quello di non indicare la fonte della buona pratica clinica. Ed è un fenomeno da non ritenere contra legem, a patto che sia evidente la buona pratica ritenuta inosservata. Come è avvenuto di recente anche in altri due casi giurisprudenziali: uno di descrizione incompleta del quadro sintomatologico[5] e l’altro di omessa vigilanza del decorso post operatorio[6].
In conclusione: evitiamo di essere più papisti del papa. La regola cautelare non è un feticcio, non è un oggetto sacro da adorare. Non è fine a sé stessa. È un mezzo per uno scopo, per soddisfare il quale basta talvolta l’evidenza della buona prassi clinica inosservata, che può essere quindi sottintesa.
[1] In argomento da ultimo, v. P. Piccialli (a cura di), La responsabilità penale in ambito medico sanitario, Giuffrè, 2021.
[2] Sulla manualistica quale fonte di buone pratiche cliniche, è molto chiara Sez.IV, 32871-20, Catananti, est. Tanga.
[3] In argomento v. da ultimo e per tutti, D. Micheletti, Attività medica e colpa penale dalla prevedibilità all’esperienza, Edizioni Scientifiche Italiane, 2021.
[4] American College of Surgeons, Advanced Trauma Life Support, Tenth Edition, Library of Congress, 2018.