D.lgs. 4 ottobre 2019, n. 125
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1. Il d.lgs. n. 125 del 4 ottobre 2019, di attuazione della V direttiva antiriciclaggio UE 2018/843, ha introdotto nel d.lgs. 231/2007 apposite misure per prevenire il riciclaggio connesso all’impiego di valute virtuali.
Il nostro legislatore aveva già apportato modifiche in questa direzione con il d.lgs. 90/2017 di attuazione della IV direttiva antiriciclaggio, introducendo la definizione di valuta virtuale ed inserendo, tra i soggetti destinatari degli obblighi di prevenzione, anche i prestatori di servizi “di conversione di valute virtuali da ovvero in valute aventi corso forzoso”, i c.d. exchanger (art. 3, comma 5, lett. i, d.lgs. 231/2007).
Il provvedimento in esame, recependo le ulteriori novità previste in materia dalla V direttiva:
- amplia la definizione di valuta virtuale, includendo anche la finalità di finanziamento, oltre che di scambio, che può connotare alcune valute e alcuni loro impieghi[1];
- inserisce nell’attività di cambiavalute i servizi di conversione “in altre valute virtuali nonché i servizi di emissione, offerta, trasferimento e compensazione e ogni altro servizio funzionale all’acquisizione, alla negoziazione o all’intermediazione nello scambio delle medesime valute” (art. 1, comma 2, lett. ff)[2];
- include nella disciplina i prestatori di servizi di portafoglio digitale, i c.d. wallet provider definiti come “ogni persona fisica o giuridica che fornisce, a terzi, a titolo professionale, anche on line, servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per contro dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali” (art. 1, comma 2, lett. ff bis).
Con queste modifiche il legislatore nazionale colma le lacune di tutela presenti nella precedente disciplina, che di fatto consentiva una verifica ai fini antiriciclaggio solo in fase di conversione delle valute virtuali in moneta fisica, lasciando esenti dalla collaborazione i soggetti che ne consentivano la detenzione e la movimentazione come tali[3].
In generale, si recepisce a livello normativo la tendenza dei sistemi di valute virtuali a porsi come del tutto alternativi ed autonomi rispetto ai sistemi di pagamento o d’investimento in moneta fisica o elettronica, con i quali possono anche non interagire mai.
Ma il riferimento è solo ai prestatori professionali di servizi relativi alle valute virtuali, ai quali è imposto, al fine dell’introduzione di una forma di regolamentazione istituzionale, anche l’obbligo di registrazione nell’apposita sezione speciale del registro dei cambia valute presso l'Organismo degli agenti e mediatori[4].
Nessuna iniziativa è assunta, invece, circa la possibilità, pur sollecitata al Considerando 9 della V direttiva, di munire le unità nazionali di informazione finanziaria (FIU) di appositi poteri per “ottenere informazioni che consentano loro di associare gli indirizzi della valuta virtuale all’identità del proprietario di tale valuta. Occorre inoltre esaminare ulteriormente la possibilità di consentire agli utenti di presentare, su base volontaria, un’autodichiarazione alle autorità designate”.
In proposito, si evidenzia che lo schema del decreto ministeriale, avente ad oggetto le modalità e la tempistica con cui i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale saranno tenuti a comunicare al Ministero dell’economia e delle finanze la loro operatività sul territorio nazionale, include nell’ambito di sua applicazione anche agli operatori commerciali che accettano valuta virtuale quale corrispettivo di qualsivoglia prestazione avente ad oggetto beni, servizi o altre utilità. Il predetto schema è stato oggetto di consultazione pubblica conclusasi il 18 febbraio 2018, ma ad oggi non è ancora stata emanato alcun provvedimento[5]; le indicazioni citate della V direttiva potrebbero essere l’occasione per confermare la misura indicata, certamente utili ai fini di quella autodichiarazione spontanea sollecitata.
2. Occorre precisare che sul piano prettamente penale l’inserimento di exchanger e wallet provider tra i soggetti sottoposti agli obblighi in materia di antiriciclaggio li rende certamente destinatari anche delle misure sanzionatorie penali contemplate all’art. 55 del riformato d.lgs. 231/2007, in particolare per i reati propri consistenti nell’utilizzo, acquisizione e formazione, ai fini dell’adempimento degli obblighi di adeguata verifica e di conservazione, di dati ed informazioni false relativi al titolare dell’operazione o al suo contenuto[6].
Il loro inserimento nella cerchia dei destinatari della disciplina antiriciclaggio genera, poi, nuove forme di coinvolgimento in operazioni di “ripulitura” di proventi illeciti e di finanziamento del terrorismo, oltre lo schema tradizionale del concorso, consentendo la configurabilità di una loro responsabilità penale per omesso consapevole impedimento dei reati di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo che derivi dalla mancata applicazione dei presidi preventivi[7].
Le indicate novità antiriciclaggio, visti i risvolti penali che presentano, vanno accolte con favore, ma affrontano il binomio tra traffici illeciti/valute virtuali in maniera indiretta.
Per una repressione diretta di questo binomio, che vada ad incidere sull’attuale conformazione dei delitti di riciclaggio ed autoriciclaggio, bisognerà attendere il recepimento della direttiva UE 2018/1673 sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale.
Questa direttiva al “considerando 6” dà atto che “l’uso delle valute virtuali presenta nuovi rischi e sfide nella prospettiva della lotta al riciclaggio. Gli Stati membri dovrebbero garantire che tali rischi siano affrontati in modo adeguato”; ed al “considerando 17” richiede, inoltre, che “Gli Stati membri dovrebbero pertanto garantire che la loro competenza giurisdizionale includa le situazioni in cui un reato è commesso per mezzo di tecnologie dell’informazione e della comunicazione dal loro territorio, indipendentemente dal fatto che tali tecnologie siano basate o meno sul loro territorio”.
In realtà, nell’articolato della citata direttiva non si fa minimamente riferimento all’impiego di valute virtuali nella realizzazione delle condotte di riciclaggio. L’unica allusione, ma assolutamente indiretta, riguarda la previsione di una circostanza aggravante del delitto di riciclaggio che sia commesso nell’esercizio dell’attività professionale di un “soggetto obbligato ai sensi dell’articolo 2 della direttiva (UE) 2015/849”, da intendersi, dopo le modifiche introdotte dalla V direttiva, come comprendente anche i prestatori di servizi di valute virtuali.
3. Allo stato della normativa europea è lecito, pertanto, interrogarsi sulla sufficienza di queste misure.
Se è pur innegabile che le condotte della nuova fattispecie europea di riciclaggio ricomprendano anche operazioni illecite in valute virtuali[8], il legislatore penale dovrebbe farsi carico di dare risposte normative apposite, in linea con la loro maggiore offensività e pericolosità, in termini di anonimato, rapidità ed assenza di forme centralizzate di controllo, rispetto ad attività di “ripulitura” con valute fisiche o tradizionali.
In questo senso potrebbe auspicarsi la previsione di apposite circostanze aggravanti che facciano riferimento al contesto digitale delle operazioni di lavaggio o alla natura tecnologica informatica del loro oggetto.
[1] L’art. 1, comma 2, lett. qq) d.lgs. 231/2007, in seguito alle modifiche apportate con il d.lgs. 125/2019, definisce la valuta virtuale come “La rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
[2]La citata lettera ff), come modificata dall’art. 1, comma 1, lett. f), d.lgs. 125/2019, definisce “prestatori di servizi relativi all'utilizzo di valuta virtuale: ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi funzionali all'utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale o in rappresentazioni digitali di valore, ivi comprese quelle convertibili in altre valute virtuali nonché i servizi di emissione, offerta, trasferimento e compensazione e ogni altro servizio funzionale all'acquisizione, alla negoziazione o all'intermediazione nello scambio delle medesime valute”.
[3] Sul punto Naddeo, Nuove frontiere del risparmio, Bit Coin Exchange e rischio penale, in Diritto penale e processo, fasc. 1/2019, p. 10, per cui il mancato coinvolgimento dei wallet provider sottraeva al monitoraggio le operazioni di riciclaggio aventi ad oggetto valute virtuali provenienti da reati presupposto on line integrated.
[4] Con il d.lgs. 90/2017 è stato modificato l’art. 17 bis del d.lgs. 141/2010 mediante l’introduzione dei commi 8 bis e 8 ter, che prevedono la predetta iscrizione nel registro dei cambia valuta e attribuiscono al Ministero dell’Economia e delle Finanze il compito di stabilire modalità e tempistiche con cui i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale saranno tenuti a comunicare la loro operatività sul territorio nazionale.
[5] A causa della mancata emanazione del decreto ministeriale, la sezione speciale del Registro dei Cambiavalute dedicata ai prestatori di servizi per l’utilizzo di valuta virtuali non è ancora operativa.
[6] Di seguito il testo dell’art. 55 del d.lgs 231/2007 che sotto la rubrica “fattispecie incriminatrici” prevede che: “Chiunque, essendo tenuto all'osservanza degli obblighi di adeguata verifica ai sensi del presente decreto, falsifica i dati e le informazioni relative al cliente, al titolare effettivo, all'esecutore, allo scopo e alla natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale e all'operazione è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 10.000 euro a 30.000 euro. Alla medesima pena soggiace chiunque essendo tenuto all'osservanza degli obblighi di adeguata verifica ai sensi del presente decreto, in occasione dell'adempimento dei predetti obblighi, utilizza dati e informazioni falsi relativi al cliente, al titolare effettivo, all'esecutore, allo scopo e alla natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale e all'operazione. Chiunque, essendo tenuto all'osservanza degli obblighi di conservazione ai sensi del presente decreto, acquisisce o conserva dati falsi o informazioni non veritiere sul cliente, sul titolare effettivo, sull'esecutore, sullo scopo e sulla natura del rapporto continuativo o della prestazione professionale e sull'operazione ovvero si avvale di mezzi fraudolenti al fine di pregiudicare la corretta conservazione dei predetti dati e informazioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 10.000 euro a 30.000 euro. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque essendo obbligato, ai sensi del presente decreto, a fornire i dati e le informazioni necessarie ai fini dell'adeguata verifica della clientela, fornisce dati falsi o informazioni non veritiere, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 10.000 euro a 30.000 euro. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi tenuto, viola il divieto di comunicazione di cui agli articoli 39, comma 1, e 41, comma 3, è punito con l'arresto da sei mesi a un anno e con l'ammenda da 5.000 euro a 30.000 euro”. Per l’esame critico di questi reati si rinvia a Gambogi, La disciplina sazionatoria della nuova normativa antiriciclaggio di cui al d.lgs. 25 maggio 2017 n. 90, in Maiello-Della Ragione (a cura di), Riciclaggio e reati nella gestione dei flussi di denaro sporco, Giuffrè, Milano, 2018.
[7] Sturzo, Bitcoin e riciclaggio 2.0, in Dir. pen. cont., Fascicolo 5/2018, p. 28-29.
[8] Per un’analisi sistematica delle forme di manifestazione del riciclaggio in ambito digitale ed il relativo inquadramento giuridico penale, anche alle luce delle misure preventive di derivazione sovranazionale, cfr. Picotti, Profili penali del cyberlaundering: le nuove tecniche di riciclaggio, in Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell'Economia n. 3-4/2018, p. 590 ss., con ulteriori indicazioni.