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  Recensione  
22 Dicembre 2023


La “contiguità mafiosa”: nel libro di Laura Ninni un’analisi complessiva del sistema di prevenzione e contrasto

Recensione a L. Ninni, Contiguità mafiosa. Le norme di prevenzione e contrasto, Aracne, 2022



1. Perché occuparsi di contiguità mafiosa. Nel libro “Contiguità mafiosa. Le norme di prevenzione e contrasto”, edito da Aracne, premiato dalla Fondazione Falcone e pubblicato nell’ambito della collana “I Quaderni della Fondazione Falcone”, la giovane Autrice, Laura Ninni, forte delle competenze acquisite durante lo svolgimento del Dottorato di ricerca in Studi sulla Criminalità Organizzata presso l’Università degli Studi di Milano, si propone di prospettare ai lettori, con estrema chiarezza concettuale e sistematicità espositiva, un quadro completo degli strumenti predisposti dal nostro legislatore per prevenire e contrastare il fenomeno della c.d. “contiguità” alle associazioni di tipo mafioso, divenuto negli ultimi anni un aspetto costitutivo, e ormai prioritario, della questione mafiosa[1].

L’urgenza di studiare la contiguità mafiosa – intesa quale rete di rapporti costituiti, «sul fronte esterno, da soggetti che, senza entrare a far parte dell’associazione, si collocano in una posizione di “contiguità” rispetto ad essa»[2]  – , deriva dall’ormai consolidata consapevolezza che una delle risorse più importanti dei sodalizi mafiosi consiste proprio in questo “capitale sociale” di relazioni, cointeressenze, reciprocità. La sistematicità e diffusività delle relazioni intrattenute con l’ambiente esterno – sostiene l’Autrice, condividendo la posizione di autorevole dottrina – ha, infatti, finora assicurato alle organizzazioni mafiose una singolare longevità, consentendo loro anche un’espansione in contesti diversi dalle tradizionali aree di radicamento.

Del resto, come icasticamente osserva Isaia Sales, a cui si rifà la nostra Autrice, «se le mafie [...] durano da due secoli, ciò vuol dire che esse non hanno rappresentato un potere alternativo e contrapposto a quello ufficiale, ma un potere relazionato con esso»[3].

 

2. L’orizzonte cognitivo storico-sociologico per lo studio della contiguità mafiosa. Consapevole della complessità del tema, l’Autrice, fin dalle prime battute del libro, si propone di individuare, attingendo alle conoscenze fornite dalla ricerca storica e sociologica, un orizzonte cognitivo sullo sfondo del quale poter adeguatamente analizzare gli strumenti normativi di prevenzione e contrasto della contiguità mafiosa[4].

Ciò le consente non solo di superare il preliminare ostacolo costituito dall’assenza di una definizione legislativa della nozione di “contiguità”, ma anche di concentrare opportunamente la propria indagine sulla sola contiguità c.d. “compiacente”, vale a dire su quell’insieme di rapporti tra associazione mafiosa e soggetti esterni, non impostati secondo lo schema coartativo “mafioso-vittima”, bensì secondo una logica di reciprocità dei benefici offerti e attesi.

E di tale contiguità “compiacente” l’Autrice fotografa alcune situazioni-tipo o “aree elettive”: dalla contiguità politico-istituzionale, che vede uno scambio occulto e corruttivo di favori reciproci tra  mafioso e  politico, alla contiguità imprenditoriale, che permette alla mafia di controllare e gestire risorse produttive, fino alla  contiguità con i professionisti, dove le figure “contigue” sono knowledge-brokers o knowledge-providers che forniscono risorse conoscitive, alle quali l’associazione mafiosa non avrebbe altrimenti accesso.

Emerge, in tal modo, un’immagine diversa e più realistica della comune – ed errata – idea di una mafia totalmente autosufficiente: è evidente, infatti, che l’associazione mafiosa, da sola, senza le predette relazioni di contiguità, non sarebbe affatto in grado di sopravvivere, né tanto meno di espandersi e adattarsi ai mutamenti del contesto esterno.

 

3. Gli strumenti legislativi di contrasto alla contiguità mafiosa. Una volta così tracciato, con l’ausilio delle scienze sociali, l’orizzonte cognitivo, l’Autrice può finalmente addentrarsi nel reticolo degli strumenti predisposti dal nostro legislatore per prevenire e contrastare la contiguità mafiosa, distinguendo, per garantire maggiore sistematicità al lavoro, il piano del diritto penale, del diritto delle misure di prevenzione e, infine, del diritto amministrativo.

i) Contiguità mafiosa e diritto penale

Se il denominatore comune delle varie ipotesi di contiguità sta nella loro esternalità alla consorteria, sul piano penale va innanzitutto esclusa la riconducibilità del soggetto “contiguo” alla fattispecie di cui all’art. 416-bis c.p., riservata, invece, ai “partecipi”, a coloro, cioè, che possono avvalersi del metodo mafioso descritto nel terzo comma di tale articolo.

Piuttosto, per fondare l’eventuale responsabilità penale del soggetto contiguo, l’Autrice individua due diverse strade percorribili.

La prima risulta spianata dal legislatore stesso mediante la creazione di fattispecie incriminatrici ad hoc che tipizzano condotte tenute dal “contiguo”. Si pensi allo scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter c.p.), al delitto di assistenza agli associati (art. 418 c.p.) o, ancora, al delitto di agevolazione delle comunicazioni dei detenuti in regime di 41-bis c.p. (art. 391-bis c.p.): tutte fattispecie accomunate dall’obiettivo di incriminare il supporto fornito, con varie modalità, alla consorteria mafiosa o ai suoi membri da un soggetto esterno.

Con riguardo al delitto di scambio elettorale politico-mafioso, il supporto fornito dal “contiguo” si colloca addirittura in uno schema sinallagmatico: voti per il politico a fronte di denaro o di favori di altra natura all’associazione. Nel delitto di assistenza agli associati, invece, il supporto fornito dal “contiguo” si estrinseca in una sorta di aiuto materiale di tipo logistico: rifugio, vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione. Un aiuto di tipo logistico è pure fornito dall’autore del reato di cui all’art. 391-bis c.p., il quale, tramite il proprio supporto, vanifica le restrizioni alle comunicazioni imposte dal regime del c.d. “carcere duro”.

Non altrettanto evidente è, invece, la seconda strada percorribile per conferire rilevanza penale alla contiguità: una contiguità che, qui, ben viene definita dall’Autrice come atipica, giacché il comportamento del “contiguo” questa volta assume rilevanza non in virtù di norme ad hoc, bensì tramite la portata incriminatrice della clausola generale sul concorso di persone di cui all’art. 110 c.p. che, in combinato disposto con l’art. 416-bis c.p., è in grado di estendere la punibilità a condotte atipiche, ovverosia non previamente individuate da norme incriminatrici di parte speciale. Si tratta, insomma, del “tormentato istituto” del concorso c.d. esterno nell’associazione di tipo mafioso, la cui fisionomia risulta tuttavia ormai ben stagliata nell’applicazione giurisprudenziale[5].

In tema di concorso esterno l’Autrice si sofferma, in particolare, sulla sua utilizzabilità per punire la “contiguità imprenditoriale”, e segnatamente la contiguità compiacente dell’imprenditore colluso (da tenere ben distinto dall’imprenditore vittima), il quale instaura con l’associazione mafiosa un rapporto sinallagmatico di cointeressenza, «tale da produrre vantaggi (ingiusti in quanto garantiti dall’apparato strumentale mafioso) per entrambi i contraenti»[6].

Per quanto chiara possa risultare in teoria la tassonomia fondata su contiguità tipica e contiguità atipica, resta il fatto – ben evidenziato dall’Autrice – che nella prassi il ruolo dei soggetti esterni può risultare estremamente variegato e opaco, collocandosi in quella “zona grigia”, in cui si agitano relazioni, contratti, scambi, difficilmente collocabili al di là o al di qua della linea di confine tra penalmente rilevante o penalmente irrilevante[7].

 

ii) Contiguità mafiosa e diritto delle misure di prevenzione

Come è noto, gli strumenti messi a disposizione dal diritto penale non esauriscono certo l’arsenale legislativo per fronteggiare la contiguità mafiosa.

Di grande rilievo sono, in particolare, le misure di prevenzione, il cui utilizzo – almeno per quanto riguarda quelle di tipo personale – per contrastare la criminalità organizzata di tipo mafioso precede addirittura l’introduzione (con legge n. 646 del 1982) dello stesso art. 416 bis nel nostro codice penale.

La fattispecie di pericolosità degli «indiziati di appartenere alle associazioni mafiose», oggi prevista dall’art. 4 co. 1 lett. a del d.lgs. n. 159 del 2011 (c.d. codice antimafia), risale, infatti, originariamente alla legge n. 575 del 1965, e a tale sfasamento cronologico tra fattispecie preventiva e fattispecie penale si deve anche l’ambiguità dell’impiego del verbo “appartenere” (nella fattispecie preventiva) al posto del verbo  “partecipare” (usato invece nell’art. 416 bis c.p.), che ha a lungo indotto una parte della giurisprudenza ad applicare con una certa larghezza le misure di prevenzione anche a soggetti contigui, “non partecipi” dell’associazione mafiosa, ma nondimeno indiziati di “appartenere” alla stessa.

Ma tale ambiguità, foriera di un’arbitraria dilatazione della categoria dei soggetti destinatari delle misure, è stata opportunamente corretta, come ben mette in luce Laura Ninni, dalla  più recente giurisprudenza, la quale ha precisato che la nozione di “appartenenza” va comunque colta «nella sua portata tassativizzante», con conseguente abbandono di qualsivoglia approccio interpretativo teso a degradarne il significato in termini «di mera contiguità ideologica»[8]. Oggi, pertanto, l’applicazione di tali misure a soggetti contigui è possibile solo se i medesimi abbiano fornito un «contributo fattivo» all’attività del sodalizio mafioso[9].

Grande attenzione viene, altresì, posta dall’Autrice sulle misure di prevenzione patrimoniali, in ragione della loro strategica rilevanza per il contrasto a fenomeni di infiltrazione mafiosa nelle attività economiche: confisca di prevenzione, quindi, ma anche – se non soprattutto, nella dimensione della prevenzione della contiguità –amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende, e controllo giudiziario delle aziende (artt. 34 e 34 bis d.lgs. n. 159 del 2011), che presuppongono proprio una situazione di “terzietà” del destinatario rispetto all’associazione mafiosa.

Accomunate dall’assenza di un (immediato) effetto ablativo, queste due misure si distinguono poiché, mentre il controllo giudiziario comporta solo forme di vigilanza da parte di un commissario giudiziario, l’amministrazione giudiziaria implica, invece, uno spossessamento temporaneo dei beni facenti capo ad un imprenditore vittima di condotte estorsive o usurarie, oppure ad un imprenditore colluso col sodalizio stesso.

In entrambi i casi, comunque, rammenta l’Autrice, lo scopo finale è quello di prosciugare i canali di accumulazione e proliferazione economica delle associazioni mafiose.

 

iii) Contiguità mafiosa e diritto amministrativo

L’obiettivo di svuotare il capitale economico delle organizzazioni mafiose è, da ultimo, perseguito, nell’ambito del diritto amministrativo, dal sistema della documentazione antimafia (comunicazione antimafia e informazione antimafia), su cui l’Autrice si sofferma nell’ultima parte del suo lavoro.

In particolare, mediante lo strumento della comunicazione antimafia si attesta che a carico di determinati soggetti sono state applicate misure di prevenzione ovvero previste sentenze definitive di condanna, in modo da interdire la conduzione di determinate attività economiche soggette ad autorizzazione amministrativa. D’altra parte, invece, l’informazione antimafia mira a verificare il rischio di infiltrazione mafiosa nell’impresa, rimettendo alla discrezionale valutazione prefettizia la funzione di desumere, tramite l’apprezzamento di una serie di elementi sintomatici, il pericolo di ingerenza della criminalità organizzata nell’azienda.

Ne deriva che, tramite l’acquisizione della comunicazione e dell’informazione antimafia, la Pubblica Amministrazione, come anche gli operatori economici privati, possono preliminarmente venire a conoscenza dell’esistenza di divieti, impedimenti e situazioni indizianti di “mafiosità” a carico dei soggetti con cui si rapportano, al fine di prevenire,  in tal modo, le contaminazioni mafiose in ambito economico.

 

4. Conclusioni. Giunta al bilancio finale di questa dettagliata analisi, l’Autrice non può che constatare che il nostro legislatore ha certamente predisposto strumenti in numero sufficiente per la prevenzione e il contrasto alla contiguità mafiosa. Dal quadro delineato dall’Autrice emerge, infatti, uno strumentario eterogeneo e “a più livelli” al servizio delle autorità di contrasto, a cui è consentito operare secondo diversificati piani di intervento: a partire dalle misure interdittive antimafia, proseguendo con le misure di prevenzione, sino ad arrivare all’extrema ratio del diritto penale.

In termini quantitativi si configura, insomma, un “arsenale” normativo talmente ben nutrito che qualsiasi ulteriore intervento legislativo rischierebbe di risultare ridondante.

Ad avviso dell’Autrice, bisognerebbe, tuttavia, intervenire su un diverso fronte, quello qualitativo, relativo cioè all’adeguatezza e al coordinamento dei vari piani operativi.

Tutt’altro che peregrina risulta, infatti, l’ipotesi che le tre direttrici di intervento illustrate, per quanto ontologicamente distinte – giacché operanti ciascuna secondo i propri principi, requisiti, processi decisionali e garanzie – finiscano per interferire e sovrapporsi tra loro: in presenza di discipline poco armonizzate e disposizioni dai confini difficilmente tracciabili si rischia, insomma, per far fronte al medesimo fatto, di applicare contestualmente, anziché progressivamente, gli strumenti predisposti ai tre livelli sopra indicati (amministrativo, preventivo, penale).

De iure condendo, pertanto, l’Autrice formula l’auspicio che il legislatore recuperi l’originaria intenzione espressa con la legge delega n. 136 del 2010 che diede abbrivio alla redazione del Codice Antimafia, di un completo riordino della normativa in tema di contrasto alla criminalità mafiosa, al fine di pervenire ad una razionalizzazione di questo complesso corpus legislativo e ad un più efficiente coordinamento tra le varie misure offerte dal sistema: auspicio che, al termine della lettura di questo libro – equilibrato, rigoroso e ben documentato – il lettore non può che pienamente condividere.

 

 

[1] I due principali pregi del libro – chiarezza espositiva e sistematicità espositiva – sono stati sottolineati anche dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, Dott. Maurizio De Lucia, nel suo intervento su “La contiguità mafiosa: strumenti giuridici per individuarla e reprimerla”, reso in occasione della cerimonia di consegna del “Premio in memoria di Gabriele Minì” presso l’Università degli Studi di Milano, 10 maggio 2023.

[2] Così l’Autrice definisce il fenomeno della contiguità mafiosa nell’esordio del suo lavoro.

[3] I. Sales, Storia dell’Italia mafiosa. Perché  le mafie hanno avuto successo, Soveria Mannelli, 2015, 14.

[4] In tal senso si muove, del resto, da tempo autorevole dottrina penalistica, la quale sottolinea l’importanza di attingere ad un più ampio patrimonio gnoseologico – rispetto a quello fornito dalle rigide categorie dogmatiche della scienza giuridica – per giungere ad una migliore comprensione del fenomeno mafioso: tra gli altri, v.  Turone G., Il delitto di associazione mafiosa, Milano, 2015, 33; Fiandaca G., Ermeneutica e applicazione giudiziale del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 358.

[5] In tema di concorso esterno, particolare attenzione viene dedicata dall’Autrice alle seguenti pronunce giurisprudenziali: Cass. sez. Un., 5 ottobre 1994, n. 16, Dimitry; Cass. sez. Un., 30 ottobre 2002, n. 22327, Carnevale; Cass. sez. Un., 12 luglio 2005, n. 33748, Mannino.

[6] Sulla distinzione tra imprenditore colluso e imprenditore vittima, il leading case è costituito da Cass., 11 ottobre 2005, n. 46552, D’Orio.

[7] Un’accurata esplorazione della “zona grigia” è offerta, di recente, dal lavoro di Pellegrini S., L’impresa grigia. Le infiltrazioni mafiose nell’economia legale. Un’indagine sociologico giuridica, Futura, 2022.

[8] Come, invece, sostenuto, ancora in un recente passato, ad esempio da Cass., 30 novembre 2017, n. 54119, Sottile.

[9] Cfr. Cass., Sez. Un., 30 novembre 2017, dep. 4 gennaio 2018, n. 111, Gattuso.