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13 Maggio 2025


"Gruppi mafiosi a soggettività differente”: un’inedita, e forse inutile, classificazione tra mafie storiche e mafie nuove

Cass., Sez. II, sent. 17 maggio 2024 (dep. 24 giugno 2024), n. 24901, Pres. Beltrani, Rel. Pardo



1. Il caso oggetto della pronuncia in commento prendeva avvio nella provincia foggiana, e segnatamente nel comune di San Severo, a seguito della brutale uccisione (avvenuta nell’aprile 2015) di P. S., noto pregiudicato locale.

Lo spessore criminale della vittima e le modalità di esecuzione dell’omicidio inducevano gli inquirenti a indagare negli ambienti della criminalità organizzata, legati alla vicina Società Foggiana. Il clima di forte tensione criminale era del resto confermato da numerosi episodi di sangue a danno di esponenti di spicco della malavita locale. L’escalation di violenza poteva spiegarsi con la scarcerazione di L.P.G. – precedentemente condannato per partecipazione alla mafia foggiana[1] – e la sua volontà di riacquisire una posizione di rilievo nel panorama criminale locale, con conseguente disgregazione degli equilibri esistenti.

L’ipotesi investigativa trovava conferma nelle dichiarazioni di P.C. (nipote della vittima), il quale forniva una ricostruzione dettagliata del contesto criminale, caratterizzato da un forte contrasto tra il gruppo ricostruito intorno al predetto L.P.G. e il gruppo facente capo a N.F.[2], anch’egli precedentemente condannato ai sensi dell’art. 416-bis c.p. per partecipazione alla Società Foggiana.

Nel maggio 2021, il G.U.P. del Tribunale di Bari[3] condannava pressoché tutti gli imputati (alcuni appartenenti al clan L.P., altri al clan N., compreso quest’ultimo) alle pene di legge per associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e numerosi delitti fine. Chiamata a pronunciarsi su ricorso degli imputati, il 28 novembre 2022, la Corte di Appello di Bari confermava la natura mafiosa dei sodalizi in oggetto[4].

 

2. La questione. Il tema principalmente devoluto all’analisi della Corte Suprema negli atti di impugnazione della sentenza di appello riguarda la natura mafiosa di entrambi i gruppi malavitosi coinvolti.

Secondo consolidati arresti giurisprudenziali, affinché possa configurarsi il delitto di associazione di tipo mafioso, è necessario che il sodalizio abbia conseguito nell’ambiente in cui opera una forza di intimidazione attuale, effettiva e obbiettivamente riscontrabile[5].

Ad avviso dei ricorrenti, mancando la prova di siffatta forza di intimidazione, i clan N. e L.P. non potrebbero dirsi mafiosi ai sensi dell’art. 416-bis c.p. Sul punto, la Corte di Appello di Bari avrebbe mancato di evidenziare le azioni idonee a manifestare la concreta capacità di intimidazione sul territorio, desumendola automaticamente e in forma presuntiva dal prestigio criminale dei soli esponenti di vertice (rispettivamente, il L:P.G. e il N.F.).

La questione si inserisce nel più ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale sull’esatta definizione e perimetrazione del metodo mafioso, vera e propria “colonna portante” dell’art. 416-bis c.p.[6].

Nella sentenza qui commentata, infatti, ci si interroga sulla questione se il richiamo alla mafiosità dei soggetti di vertice, già accertata in precedenti procedimenti, possa in qualche modo contribuire a fornire la prova della necessaria esteriorizzazione del metodo mafioso.

 

3. La decisione della Cassazione. Investita dei ricorsi, la Corte avvia una riflessione preliminare sulla valenza della precedente condanna del L.P.G. e del N.F. per il delitto di cui all’art. 416-bis. Infatti, entrambe le associazioni oggetto di giudizio risultano guidate da soggetti definitivamente condannati per associazione mafiosa, i quali, dopo aver scontato la pena, riprendono l’attività delittuosa reclutando nuovi membri, in tal modo costituendo quello che la Cassazione definisce un “gruppo mafioso a soggettività differente” (si tratta, ovviamente, di due gruppi, quello guidato dal L.P.G. e quello guidato dal N.F.).

Quella di “gruppo mafioso a soggettività differente” è una categoria giuridica inedita, definita nella sentenza in esame come «fattispecie intermedia tra le nuove mafie e le mafie storiche […] che, per la particolarità della sua formazione, per l’inserimento nella stessa con ruolo organizzativo di un soggetto già affermato essere “mafioso”, per il richiamo a tale presenza dotata di carattere intimidatorio nei confronti della collettività, si profila quale fattispecie associativa particolare che, se da un lato deve certamente essere dotata di capacità di esteriorizzare il potere intimidatorio e imporre una nuova e diffusa condizione di omertà, dall’altro mutua i caratteri tipici dell’organizzazione in passato operativa sullo stesso territorio per c.d. gemmazione».

Ad avviso dei ricorrenti, dopo la condanna ex art. 416-bis c.p. del N.F. e del L.P.G. per fatti risalenti agli anni ‘90, e dopo la lunga detenzione degli stessi, non poteva ritenersi operativo sul territorio di San Severo un gruppo avente analogo prestigio criminale, tanto che la cittadinanza locale ormai non avrebbe più avvertito la minaccia mafiosa. Inoltre – a parte i predetti due boss – gli altri imputati, pur avendo commesso diversi reati, non risultavano aver mai agito con modalità mafiose, ovvero in continuità con l’associazione mafiosa attiva sul territorio negli anni ‘90. Doveva, pertanto, escludersi che la sopravvenuta scarcerazione dei due esponenti di vertice fosse da sola sufficiente a trasformare un’ordinaria associazione per delinquere in un’associazione di tipo mafioso, non potendo questa «operare a intermittenza». A tal proposito, i ricorrenti evidenziavano come, dopo l’arresto del L.P.G. nel novembre del 2017, non vi fosse traccia a San Severo del presunto sodalizio mafioso, mentre «se fosse stata effettivamente operativa sul territorio una consorteria criminale mafiosa, la stessa avrebbe dovuto proseguire le proprie attività anche dopo l’arresto del capo».

Ad avviso della Corte, tuttavia, «non può attribuirsi valore decisivo per escludere la sussistenza e operatività dei due gruppi mafiosi N. e L.P. a quella circostanza segnalata nei ricorsi e secondo cui la cessazione delle attività dei gruppi a seguito dell’arresto dei capi dimostrerebbe l’assenza di concreta e diffusa capacità intimidatrice degli stessi». Al contrario, «nelle ipotesi di c.d. gruppi mafiosi a soggettività diversa, tali da ricavare per gemmazione il proprio potere, oltre che dalla ripresa di diffuse attività delittuose nel territorio, non può escludersi che l’intervenuto arresto dei componenti porti a disarticolare completamente il gruppo cessandone ogni capacità intimidatoria».

Il collegio, dunque, non accoglie gli argomenti difensivi, ritenendo corretta l’individuazione operata dai giudici di merito degli elementi di fatto sui quali era stata fondata la natura mafiosa dei due gruppi malavitosi coinvolti. In tal senso, le pronunce di primo e secondo grado avevano, infatti, valorizzato:

  1. la diffusione di un ampio clima di terrore derivante dalla consumazione di numerosi fatti di sangue;
  2. l’evidente carica intimidatoria derivante dall’accertato possesso di armi ed esplosivi, dalle intimidazioni rivolte agli spacciatori di sostanze stupefacenti (costretti a pagare per poter esercitare la loro attività illecita sul territorio) e dalle estorsioni ai danni di imprese legali;
  3. il sostentamento degli affiliati detenuti, prassi operativa tipica delle organizzazioni mafiose.

Alla luce di tali elementi di fatto, plurimi e convergenti, la Corte Suprema dichiara le conclusioni dei giudici di merito esenti dai vizi denunciati. A ben vedere, la natura mafiosa dei gruppi deriva dal riscontrato carattere che le associazioni hanno esteriorizzato sul territorio di San Severo, non solo sfruttando il potere intimidatorio dei capi, ma anche compiendo nuove attività delittuose dotate di autonoma carica intimidatoria.

 

4. Osservazioni. La questione qui affrontata sollecita un sia pur breve richiamo ad alcune nozioni sul requisito della esteriorizzazione del metodo mafioso e sull’evoluzione giurisprudenziale in merito.

Ai sensi del terzo comma dell’art. 416-bis c.p. «l’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva» per il perseguimento delle finalità ivi indicate. La locuzione “si avvalgono” aveva indotto la giurisprudenza a interrogarsi sulla qualificazione della fattispecie criminosa in esame come reato associativo “puro”, oppure “a struttura mista”[7]. Dopo alcune incertezze iniziali, è prevalsa la tesi secondo cui il delitto di associazione mafiosa si configura come un reato associativo a struttura mista, la cui integrazione richiede che il consorzio criminoso manifesti una intimidazione tale da creare effettive condizioni di assoggettamento e omertà. Ciò comporta che il metodo mafioso non può ridursi a mero oggetto del dolo specifico, ma deve connotare “attualmente” e “concretamente” il vincolo associativo[8].

Ebbene, la decisione in esame non intende affatto rimettere in discussione tale orientamento, ma ritiene che l’inserimento nel gruppo, con ruolo direttivo o organizzativo, di un soggetto già condannato per mafia, non possa non contribuire a fornire la necessaria prova della esteriorizzazione dell’intimidazione. Secondo la Corte, infatti, «appare evidente che la ripresa delle attività delittuose sul territorio da parte di un soggetto già condannato per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., in parte richiede nuove forme di esteriorizzazione, ma, richiamando la già ritenuta partecipazione del soggetto di vertice, ne sfrutta tale capacità criminale proprio ai fini dell’imposizione in quella stessa area del vincolo intimidatorio».

La Corte, peraltro, applica al caso in esame un principio affermato in un precedente della stessa sezione, secondo il quale, qualora un nuovo gruppo criminale nasca “per gemmazione” da una cosca storicamente e stabilmente radicata su di un territorio, attraverso il “passaggio” di un esponente di vertice dalla vecchia alla nuova consorteria, non si è in presenza di una novazione, bensì di una successione a titolo particolare di un sodalizio che adotta lo stesso metodo e persegue le medesime finalità criminali del precedente[9].

Il peso conferito dalla sentenza in esame al prestigio criminale dei capi ai fini dell’affermazione della sussistenza del metodo mafioso a prima vista potrebbe apparire in contrasto con il principio espresso dalla sentenza Cass., Sez. VI, 22 ottobre 2019, n. 18125 (c.d. “Mafia Capitale”), secondo cui «la fama criminale è quella impersonale del gruppo; un’associazione per delinquere che tra i suoi partecipi o tra i suoi capi annoveri un soggetto di riconosciuta fama criminale non diventa, per ciò solo, un’associazione di tipo mafioso»[10]. Come è noto, infatti, in quella vicenda la Cassazione aveva respinto la tesi dell’accusa che fondava la natura mafiosa del gruppo criminale sub iudice principalmente sulla notoria fama criminale di Massimo Carminati – ex membro della Banda della Magliana e del gruppo di eversione nera dei Nuclei Armati Rivoluzionari – senza, tuttavia, adeguatamente argomentare sul rapporto tra la fama criminale del singolo e quella del gruppo.

A ben vedere, tuttavia, la sentenza in esame – per quanto in alcuni passaggi valorizzi il prestigio criminale del capo, acquisito nel precedente sodalizio mafioso – non prescinde da una verifica in concreto della necessaria esteriorizzazione del metodo mafioso, prendendo a tal fine in considerazione plurimi episodi e comportamenti specifici dai quali desumere l’acquisizione di una carica intimidatoria autonoma, effettiva e obbiettivamente riscontrabile del nuovo sodalizio.

Pertanto, la sentenza in esame in sostanza risulta allinearsi all’orientamento consolidato (rimesso in discussione, ma alla fine confermato anche nella vicenda di Mafia Capitale), secondo cui la presenza di persone già condannate per delitti di mafia, non costituisce elemento decisivo per configurare il sodalizio come mafioso, a meno che «la caratura mafiosa del singolo soggetto non si sia trasmessa all’intera struttura associativa»[11].

Forse l’unica censura che, a parere di chi scrive, potrebbe muoversi alla sentenza in esame consiste proprio nell’aver utilizzato l’inedita formula del “gruppo mafioso a soggettività differente”, per indicare una categoria intermedia tra nuove mafie e mafie storiche: con ciò introducendo un elemento di ambiguità, che potrebbe prestarsi in futuro ad essere interpretato estensivamente, ridando fiato a  quella concezione “rarefatta” del metodo mafioso, talora avallata da una parte della giurisprudenza in materia di mafie delocalizzate[12].

 

 

 

[1] Condannato per partecipazione alla Società foggiana nell’ambito del procedimento n. 6/94 RGNR DDA – c.d. operazione Day Before – con sentenza della Corte di Assise di Appello di Bari n. 10/00 e n. 3/99 del 7 luglio 2000, divenuta irrevocabile con sentenza n. 20888/2001 emessa dalla Corte di Cassazione in data 29 novembre 2001.

[2] Condannato per partecipazione alla Società foggiana nell’ambito del procedimento n. 5452/92 PM – c.d. operazione Panunzio – con sentenza della Corte di Assise d’Appello di Bari n. 7/97 del 15 luglio 1997, divenuta irrevocabile con sentenza emessa dalla Corte di Cassazione in data 28 novembre 1997.

[3] Il 25 e il 27 maggio 2021, nell’ambito del processo Ares, il Tribunale di Bari – Ufficio GIP/GUP ha emesso due dispositivi di sentenza nei confronti di 36 soggetti giudicati con rito abbreviato (altri 14 vengono giudicati con rito ordinario). Nel registrare due assoluzioni, l’impianto accusatorio ha consentito di condannare 34 imputati per associazione mafiosa, traffico e spaccio di sostane stupefacenti, estorsione, armi con l’aggravante di cui all’art. 416-bis 1 c.p. L’operazione antimafia Ares introduce una novità fondamentale nello scenario mafioso della provincia di Foggia. Infatti, a differenza di quanto avvenuto in precedenza, quando la mafiosità di soggetti sanseveresi era stata fondata sui legami con la Società Foggiana, la procura contesta, per la prima volta, l’associazione di tipo mafioso direttamente a gruppi criminali della città di San Severo (Direzione Investigativa Antimafia, Relazione Semestrale gennaio-giugno 2019, in https://direzioneinvestigativaantimafia.interno.gov.it/semestrali/sem/2019/1sem2019.pdf).

[4] Corte di Appello di Bari, sent. 28 novembre 2022, n. 4661 (la sentenza d’appello non è edita, ma chi scrive ha avuto la possibilità di leggerla grazie alla disponibilità di F. Bottalico, Professore di Diritto penale presso il Dipartimento di Giurisprudenza – Università degli Studi di Bari Aldo Moro).

[5] Tra le altre, Cass. Sez. VI, sent. 16 settembre 2015, n. 50064; Cass. Sez. VI, sent. 13 giugno 2017, n. 41772; Cass. Sez. VI, sent. 2 luglio 2019, n. 9001; Cass. Sez. VI, sent. 22 ottobre 2019, n. 18125; Cass. Sez. II, sent. 24 ottobre 2023, n. 48278.

[6] All’interno di una letteratura amplissima, v. per tutti G. TURONE, F. BASILE, Il delitto di associazione mafiosa, Giuffrè, Milano, 2024, pp. 111 ss.

[7] In argomento, tra gli altri G. DEROMA, Osservazioni a Cass. Pen. 15 luglio 2015, n. 34874, in Cass. Pen., 2016, n. 7/8, p. 2838; G. AMARELLI, Mafie autoctone: senza metodo mafioso non si applica l’art. 416-bis c.p., in Giurisprudenza Italiana, 2020, p. 2249; A. APOLLONIO, Le Sezioni Unite tra “vecchie” e “nuove” mafie nella valutazione del requisito della partecipazione associativa, in Cass. Pen., 2022, n. 1, p. 84; A. ARCERI, Sull’art. 416-bis ed in particolare sull’uso della forza intimidatrice, in Giurisprudenza di merito, 1995, n. 2, p. 313; G. BORELLI, Il “metodo mafioso”, tra parametri normativi e tendenze evolutive, in Cass. Pen., 2007, n. 7/8, p. 2781.

[8] Sul punto, la giurisprudenza ha precisato che il mantenimento della capacità di intimidazione non presuppone necessariamente il ricorso continuo e sistematico ad atti di violenza o minaccia, potendo l’associazione esplicitarsi anche con il compimento di atti non violenti, ma chiaramente indicativi della fama criminale acquisita dal sodalizio. V. Cass. Sez. VI, sent. 12 dicembre 2003, n. 9604 «la condizione di assoggettamento e omertà consegue, più che a singoli atti di sopraffazione, al “prestigio criminale” dell’associazione che, per la sua fama negativa e la capacità di lanciare avvertimenti anche simbolici e indiretti, si accredita come un centro di potere temibile ed effettivo».

[9] Cass. Sez. II, sent. 13 maggio 2020, n. 20926 con nota di G. IANNOTTI, Come cambia l’associazione mafiosa: le nuove organizzazioni autonome dai clan mafiosi storicamente operanti sul medesimo territorio, in IUS Penale, 2020 (nel caso di specie la Corte si chiedeva se, con riferimento alla nuova formazione in una realtà territoriale già interessata dalla presenza di “mafie storiche”, si richiedesse un riscontro probatorio della effettiva capacità di intimidazione del nuovo gruppo o bastasse lo sfruttamento di una condizione di assoggettamento ambientale già manifestatosi in precedenza).

[10] Sul punto, cfr., tra gli altri, G. AMARELLI, Mafia capitale: per la Cassazione non si tratta di vera mafia, in Cass. Pen., 2020, p. 3644; G. CANDORE, Il “mosaico” spezzato: da “mafia capitale” a “corruzione capitale”, in Cass. Pen., 2018, n. 4, p. 1162; E. ZUFFADA, Per il Tribunale di Roma “Mafia Capitale” non è mafia: ovvero, della controversa applicabilità dell’art. 416-bis c.p. ad associazioni criminali diverse dalle mafie “storiche”, in Dir. Pen. Cont., 2017, n. 11.

[11] Cass. Sez. I, sent. 16 maggio 2011, n. 25242.

[12] In tal senso, Cass. Sez. V, sent. 21 luglio 2015, n. 31666; Cass. Sez. V, sent. 5 aprile 2019, n. 15041; Cass. Sez. V, sent. 18 ottobre 2018, n. 47535; Cass. Sez. V, 21 giugno 2018, n. 28722; Cass. Sez. II, sent. 18 maggio 2017, n. 24850. Per una revisione critica di tale orientamento, v. E. ZUFFADA, Il metodo mafioso alla prova delle mafie “diverse” dalle mafie tradizionali. Una sinossi della giurisprudenza, in Archivio Penale, 2024, n. 1.