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31 Marzo 2025


Le preclusioni alla messa alla prova minorile di nuovo al vaglio della Consulta

Trib. minorenni Roma, GUP, ord. 18 febbraio 2025, giud. Falzone



1. Premessa. – Era già chiaro che quel sipario calato sulla messa alla prova minorile non sarebbe rimasto abbassato a lungo; sorprende, però, molto favorevolmente, come la “riapertura della scena” sia avvenuta in tempi così rapidi. La Corte costituzionale, che si è appena pronunciata[1] sulle modifiche recentemente introdotte dal c.d. “decreto Caivano” (d.l. 15 settembre 2023 n. 123, conv. con modificaz., dalla l. 13 novembre 2023, n. 159) all’istituto della messa alla prova minorile, viene infatti nuovamente investita sullo stesso tema.

Con l’ordinanza del 18 febbraio 2025, il giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di Roma, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5-bis, d.P.R. n. 448/1988 per contrasto con gli artt. 31, secondo comma, 117, primo comma, e 3 Cost. nella parte in cui prevede che le disposizioni che consentono l’applicazione della sospensione del processo con messa alla prova (art. 28, comma 1, d.P.R. n. 448/1988) non si possano applicare ai delitti di violenza sessuale di gruppo, di cui all’art. 609-octies c.p., limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 609-ter c.p.

All’attenzione della Corte torna, dunque, il comma 5-bis, che sancisce l’esclusione ex lege del meccanismo di probation per alcune fattispecie di reato particolarmente gravi[2].

 

2. La vicenda. – Il caso di specie, che si svolge in sede di giudizio abbreviato, richiesto a seguito del rito immediato, riguarda (oltre ad altri capi di imputazione) il delitto di cui all’art. 609-octies e 609-ter n. 2 e 5 e 61 nn. 4 e 5 c.p. c.p.  

Durante l’udienza, i due giovani imputati (giudicati separatamente rispetto agli altri per i quali si proseguiva con l’immediato), dopo aver riconosciuto il fatto, dichiarandosi sinceramente pentiti per quanto commesso, chiedevano la sospensione del processo con messa alla prova. Il personale dell’Ufficio di servizio sociale per minorenni (USSM) insisteva affinché venisse loro concessa questa possibilità e anche il pubblico ministero dava parere favorevole.

Tuttavia, l’entrata in vigore, il 15 novembre 2023, del “decreto Caivano”, comporta, ai sensi del nuovo comma 5-bis dell’art. 28 d.P.R. n. 448/1988, l’esclusione della messa alla prova nei procedimenti per determinati reati, tra i quali, appunto, la violenza sessuale di gruppo aggravata ai sensi dell’art. 609-ter c.p.

Trattandosi di delitti avvenuti dopo l’entrata in vigore del citato comma 5-bis, agli imputati è preclusa de iure la possibilità di essere ammessi alla prova, e quindi – osserva il giudice rimettente – «il Collegio non può prendere in considerazione le loro richieste, che dovrebbero pertanto essere rigettate, senza poter entrare nel merito della valutazione in ordine alla relativa fattibilità della messa alla prova»[3]. In udienza pubblico ministero e difensori chiedevano al giudice minorile di sollevare questione di legittimità costituzionale del comma 5-bis dell’art. 28 d.P.R. n. 448/1988.

 

3. La verifica della rilevanza. – Sul punto della rilevanza, il Collegio esaminati gli atti e sentiti gli imputati ritiene che, in assenza della disposizione del comma 5-bis dell’art. 28 d.P.R. n. 448/1988, avrebbe potuto valutare positivamente la loro richiesta di messa alla prova.

Ai fini dell’invio al probation minorile, sarebbero infatti presenti i requisiti richiesti dal costante orientamento giurisprudenziale. Dalle relazioni dell’USSM emerge per entrambi i giovani parere favorevole. Secondo il Collegio sussiste una rimeditazione critica, rispetto ai reati contestati, autentica e non strumentale. È stata invero esternata direttamente alla persona offesa molto tempo prima dell'emissione della misura cautelare e della conoscenza della pendenza di indagini nei loro confronti, ribadita, con ammissione sostanziale dei fatti, in tutte le occasioni processuali e nei rapporti con l’USSM. Una valutazione che ha determinato anche la revoca della misura cautelare per l'assenza del pericolo di reiterazione di fatti analoghi con parere favorevole del pubblico ministero.

In definitiva, sono state riscontrate tutte le condizioni di merito in astratto necessarie per l’applicabilità del probation. L'unico ostacolo è costituito dalla previsione di cui al comma 5-bis, che impedisce la sospensione del processo con messa alla prova per il capo relativo alla violenza sessuale.

 

4. La verifica della non manifesta infondatezza. – Il Collegio ritiene la non manifesta infondatezza della questione innanzitutto in relazione alla violazione dell'art. 31, comma secondo, Cost. A suo giudizio, infatti, «la preclusione introdotta dalla norma in esame contrasta con tutto l'impianto normativo che regola il processo penale minorile e che trova il proprio fondamento costituzionale nell'art. 31, comma due, Cost.». Come più volte affermato dalla Corte costituzionale[4] – si fa osservare – il processo penale minorile è volto principalmente al recupero del minore deviante, tramite la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale, anche attraverso l'attenuazione dell'offensività del processo e la sua rapida fuoriuscita dal circuito penale.

Per poter perseguire tali finalità ed individuare la migliore risposta del sistema alla commissione del reato da parte di un soggetto in formazione e in continua evoluzione, quale è il soggetto di minore età, il giudice è chiamato, di volta in volta, ad esaminare la sua personalità. A questo è, infatti, preordinata l’inchiesta di cui all’art. 9 d.P.R. n. 448/1988, che consente di acquisire gli  «elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l'imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili».

Nell'ambito degli istituti di favore tipici del processo penale a carico di minorenni, la messa alla prova costituisce dunque – secondo il Collegio rimettente – «uno strumento particolarmente qualificante, rispondendo forse più di ogni altro alle indicate finalità della giustizia minorile»[5]. Si tratta, infatti, di un congegno che consente al giudice di valutare compiutamente la personalità del minore, sotto l'aspetto psichico, sociale e ambientale, anche ai fini dell'apprezzamento dei risultati degli interventi di sostegno disposti. «Se, infatti, la personalità del minorenne è avviata a possibile cambiamento (come emerge dalla relazione dell'USSM redatte nei confronti degli imputati) e, all'esito dello svolgimento dei programma trattamentale di messa alla prova, il minorenne abbia dato prova del superamento delle situazioni che hanno portato alla commissione del reato, l'ordinamento prevede  che il giudice possa dichiarare estinto il reato per esito positivo della disposta prova ai sensi dell'art. 29 d.P.R. n. 448/1988, essendo venuto meno l'interesse alla pretesa punitiva per il raggiungimento delle finalità di recupero del minore e del suo reinserimento sociale»[6].

D’altro canto, la struttura della messa alla prova permette di verificare, nel corso della misura, la serietà dell'impegno dell'imputato, scongiurando strumentalizzazioni dell'istituto. In tal senso costituiscono elementi idonei: i tempi di durata previsti per la messa alla prova (sino a tre anni per i delitti più gravi); la possibilità che la stessa sia svolta all'interno di comunità di tipo educativo o terapeutico (per la cura delle dipendenze e disturbi psichici); le verifiche intermedie dell'andamento del percorso, così come la revocabilità della sospensione. Inoltre, la possibilità di inserire nel progetto di messa alla prova, importanti momenti di confronto con i servizi specialistici (Consultorio familiare, neuropsichitria infantile, serd) e di supporto psicologico, utili nei delitti caratterizzati da dinamiche affettive disfunzionali (come nei casi di violenza sessuale e nei delitti di pedopornografia) riduce il rischio di recidiva, a beneficio della generalità dei consociati.

La previsione di «un catalogo di reati (tra cui la violenza sessuale aggravata in esame) in relazione ai quali privare l'imputato della possibilità di accesso a questo importante istituto di recupero e reinserimento sociale, senza possibilità da parte del giudice di valutare nel merito la richiesta, costituisce un vulnus non solo di tutela e protezione del minore autore del reato ma anche dell'intera collettività contro i rischi di una possibile recidiva»[7].

Su questo punto, – si fa notare – è stata la stessa Corte costituzionale, sia pure nella diversa materia dell'esecuzione della pena detentiva, a negare la possibilità di prevedere nei confronti dei minori «un rigido automatismo fondato su una presunzione di pericolosità legata al titolo di reato commesso, che esclude la valutazione del caso concreto e delle specifiche esigenze del minore»[8].

Il giudice rimettente sottolinea inoltre come la Corte abbia sempre ribadito che il cuore della giustizia minorile consiste in valutazioni fondate su prognosi individualizzate, in grado di assolvere al compito del recupero del minore deviante[9].

In questa cornice, la Consulta, mettendo in relazione la messa alla prova dell’adulto con la messa alla prova del minorenne, ha statuito che «la messa alla prova del minore è prevista per tutti i reati anche quelli di gravità massima, rispetto ai quali l'ordinamento sospende il processo in vista dell'eventuale estinzione del reato per finalità puramente rieducative, quindi non perché l'imputato lo richieda o il pubblico ministero vi consenta, ma solo perché, ed in quanto, lo ritenga opportuno un giudice strutturalmente idoneo a valutare la personalità del minore»[10].

La previsione ex lege del divieto assoluto di accesso alla messa alla prova, nei casi di violenza sessuale aggravata – rileva ancora il Collegio – appare inoltre contrastare con l’art. 31, comma secondo, Cost., in quanto sottrae «al vaglio di un giudice specializzato e interdisciplinare la possibilità di valutare, caso per caso, la particolare condizione del minore imputato, per rendere la risposta del processo penale minorile aderente alla sua personalità e maggiormente rispondente alla finalità rieducativa, di recupero e di reinserimento sociale del minore autore di reato»[11].

Il giudice minorile sottolinea, infine, che i progetti di messa alla prova tengono in considerazione anche le persone offese, soprattutto se minorenni e vittime di particolari reati, quali quelli in esame, prevedendo specifiche prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione, nonché la partecipazione a un programma di giustizia riparativa, ove ne ricorrano le condizioni.

Gli insegnamenti della Consulta si conformano altresì ai principi espressi in numerosi atti internazionali. Le Nazioni Unite, il Consiglio d'Europa e le istituzioni europee[12] richiedono infatti che le autorità nazionali ricorrano alla privazione della libertà personale del condannato minorenne quale misura di ultima istanza[13]. Considerati i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario sopra specificato e dagli obblighi internazionali che ne conseguono «si rilevano, pertanto, ragioni di contrasto con l'art. 117 primo comma Cost.»[14].

Il Collegio minorile riscontra inoltre la sussistenza di «profili di irragionevolezza del criterio di esclusione dei reati resi “ostativi” alla messa alla prova che non sono necessariamente i più gravi»[15]. Peraltro, «anche laddove si volesse sostenere la possibilità di operare un contemperamento ai principi sopra enucleati (volti alla opportunità di consentire sempre valutazioni, da parte del giudice minorile, fondate su prognosi particolarmente individualizzate), in relazione ad alcuni delitti connotati da particolare violenza alla persona ritenuti “ostativi” alla messa alla prova (sempre richiamando i principi della Corte costituzionale che ha espressamente dichiarato l’illegittimità di tale modo di procedere, ad esempio in riferimento ai reati “ostativi” ex art. 4 bis  della legge 354/1975), rileva il Collegio che tale ipotetico bilanciamento è stato del tutto irragionevole ed in palese contrasto, ad esempio, con la legislazione antimafia»[16].

Si evidenziano, quindi, «anche profili di contrasto con l'art. 3 Cost., nella misura in cui imputati di reati anche più gravi, in considerazione della pena edittale prevista (ad esempio, 422 e 630 c.p.), ovvero perché rientranti nella legislazione antimafia (416 bis c.p. o aggravati dall'articolo 416 bis 1 c.p.), avrebbero accesso all'istituto della messa alla prova, negato invece agli odierni imputati. Tale disparità di trattamento non sarebbe dunque supportata da criteri di ragionevolezza nelle scelte legislative, sempre qualora si ritenesse di consentirle nella materia in esame in relazione al principale  e assorbente contrasto con l'art. 31 secondo comma e 117 primo comma Cost.»[17].

 

5. Osservazioni. - Sembra esserci un vero e proprio passaggio di testimone fra il giudice delle indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Bari[18] e quello del Tribunale per i minorenni di Roma, che avviene con una precisione e continuità sorprendente. Una “staffetta” alla quale partecipa, sia pure lungo un percorso diverso, anche il giudice minorile di Trento[19]. Per tutti, il traguardo è lo stesso. Tali ordinanze sono infatti legate dalla ferma volontà di espungere il materiale “spurio”, che il decreto “Caivano” ha riversato sul procedimento minorile.

In particolare, l’obiettivo dei primi due collegi è quello di ricondurre la messa alla prova alla sua fisiologia originaria e, dunque, puntare all’eliminazione del comma 5-bis dell’art. 28 d.P.R. n. 448/1988, che, come già ricordato, ha introdotto un “dispositivo di blocco” volto a neutralizzare proprio il punto di forza del probation minorile, vale a dire la sua potenziale applicabilità generale.

Tentativo che non è riuscito al Tribunale di Bari. In quella circostanza, si trattava di una vicenda, particolarmente articolata, riguardante fatti commessi prima dell’entrata in vigore delle modifiche preclusive de quibus. Alla Corte costituzionale erano stati posti due quesiti: uno di diritto intertemporale e l’altro di merito. Al secondo, quello determinante ai nostri fini, si sarebbe però potuti pervenire solo laddove la Consulta avesse riconosciuto alla messa alla prova natura processuale e, conseguentemente, l’applicabilità ai procedimenti in corso del principio tempus regit actum. Così non è stato. Virando sulla natura sostanziale dell’istituto, la Corte è giunta alla conclusione dell’irretroattività della riforma, consentendo l’utilizzo della disciplina precedente e, dunque, l’attivazione del meccanismo di probation[20]. La questione, pertanto, non si poteva non chiudere che con una dichiarazione di inammissibilità per difetto di rilevanza.

Ciononostante, tale pronuncia, anche per quanto riguarda una futura prospettiva di merito, non sembra essere priva di significato[21]. Sia pure procedendo nell’analisi della materia di diritto intertemporale, infatti, la Corte ha avvertito la necessità di arricchire la parte motiva della decisione con passaggi argomentativi non necessari per giungere alla sua conclusione. Precisa più volte come la questione sottoposta alla sua valutazione «non determini un semplice mutamento in peius della “qualità” della pena da eseguire, ma un effetto negativo ancora più radicale», dato che  l’art. 28, comma 5-bis, d.P.R. n. 448 del 1988, «configura per i reati ivi considerati, una presunzione iuris et de iure di gravità delle condotte associate a detti reati, tale da impedire qualsiasi possibilità che il minore – al di là delle circostanze concrete delle condotte poste in essere e prescindendo dalla valutazione sulle sue effettive possibilità di recupero e di reinserimento sociale – venga sottratto al circuito processuale»[22]. Riflessioni non dovute e, dunque, indicative, forse, della volontà di “preparare il terreno” per i pronunciamenti successivi.

Questo lo stato dell’arte in cui si inserisce l’ordinanza del Tribunale per i minorenni di Roma, che, come sopra evidenziato, presenta la questione in modo più completo ed articolato rispetto al Tribunale di Bari, considerando diverse angolazioni. Non ci si limita al richiamo del parametro costituzionale di riferimento della giustizia penale minorile –  l’art. 31, comma secondo, Cost. – ma si analizza anche quello riguardante il profilo sovranazionale.

I principi espressi in numerosi atti internazionali rappresentano infatti l’esigenza che le autorità nazionali provvedano «affinché la privazione della libertà personale, in particolare la detenzione, sia disposta nei confronti di minori solo come misura di ultima istanza» (art. 10, comma 2,  Direttiva (UE) 2016/800).

Eppure nella situazione che stiamo analizzando sembra valere esattamente il contrario. A fronte del noto catalogo di reati, all’imputato minorenne viene preclusa ogni via, negata ogni analisi volta all’individuazione della misura più adeguata alla sua situazione personale, familiare e sociale. L’introduzione del comma 5-bis ha decretato, per gli autori dei delitti in esso contemplati, una presunzione assoluta di non rieducabilità in sede processuale[23]: tali minori, per i quali non esistono alternative percorribili, sono destinati alla condanna e alla pena detentiva. Per loro il carcere diviene pertanto non “ultima”, ma “unica” istanza.

Il riferimento alla Direttiva (UE) 2016/800 è peraltro di particolare attualità. La Commissione Europea (con la lettera di messa in mora trasmessa il 13 marzo 2024) ha recentemente contestato la presenza di lacune nel recepimento delle disposizioni sostanziali della Direttiva 2016/800/UE, rendendone così necessario l’adeguamento (avvenuto con il d.l. 16 settembre 2024 n. 131, conv. con modif., dalla l. 14 novembre 2024, n. 166, c.d. decreto “Salva-infrazioni”[24]).

Sostanzialmente con tali modifiche – volte al completo recepimento degli artt. 4, 5 e 8 della Direttiva 2016/800/UE[25] –  ci si è preoccupati di elevare il livello di garanzie per la speciale categoria degli indagati e imputati minorenni, partendo innanzitutto dal diritto all’informazione. In relazione agli specifici snodi procedimentali, si va infatti a  dettagliare il contenuto degli avvisi ulteriori rispetto a quelli che il minore già riceve in base alle norme del codice di procedura penale. Obiettivo perseguito dal legislatore con l’introduzione del nuovo art. 12-bis d.P.R. n. 448/1988 (rubricato “Diritto all’informazione”). In particolare, al comma 3 di tale disposizione, si prevede che il minorenne, «quando è comunque sottoposto a privazione della libertà personale, debba essere informato del diritto: «a) a che la privazione della libertà personale sia limitata al più breve tempo possibile e sia disposta solo quando ogni altra misura è ritenuta inadeguata; (…) c) a ricevere un trattamento specifico, adeguato alla sua personalità e alle sue esigenze educative sulla base di una valutazione individuale, volto a garantire (…) l'accesso a programmi diretti a favorire lo sviluppo e il reinserimento sociale e la prevenzione della commissione di ulteriori reati, con modalità adeguate alla natura ed alla durata della privazione della libertà». Tornano dunque, anche in questa sede, ad essere esaltati i canoni  ispiratori del rito minorile, di individualizzazione, minima offensività e di residualità della custodia in carcere.  Di tali principi il minorenne deve essere compiutamente informato, come pure, allo stesso modo, le medesime informazioni vanno fornite, alla luce del nuovo art. 12-ter d.P.R. n. 448/1988[26], anche all’esercente la responsabilità genitoriale.

Tuttavia, ancor più in considerazione di questo recente assetto, il sistema oggi sembra registrare una incongruenza di fondo: da un lato, come richiesto dal Comitato europeo, con il d.l. n. 131/2024, si dà attuazione all’obbligo di informativa; mentre, dall’altro, poco prima con il decreto Caivano, viene di fatto svuotato, almeno per determinati autori di reato, il contenuto del diritto sottostante che tale avviso presuppone.

Come dire che ci si limita a regolarizzare la forma, ma non la sostanza: al minore viene assicurata la conoscenza di un diritto che, in realtà, per alcuni imputati minorenni, non esiste. Siamo perciò dinanzi ad una disciplina che pare porsi “doppiamente”  in contrasto con l’art. 117 Cost.

Altrettanto condivisibili sono i rilievi del giudice rimettente sui criteri di selezione dei reati ostativi alla messa alla prova che – come ha sottolineato – «non sono necessariamente i più gravi». Più volte la Corte costituzionale ha evidenziato che l’impianto della giustizia penale minorile rifugge da ogni forma di preclusione in astratto[27]. In ogni caso, va comunque aggiunta l’irragionevolezza del catalogo di cui al comma 5-bis[28]. Una costruzione che, per il taglio casistico, appare poco razionale: non prende in considerazione le fattispecie di reato di altrettanto grave disvalore; prevede talune ipotesi di rapina aggravata, ma non altre; mentre include fermamente tutti i casi di violenza sessuale aggravata[29] (vale a dire ogni tipologia di violenza sessuale su minorenni posta in essere da minorenni)[30]. E questo sembra in effetti generare evidenti disparità di trattamento[31].

Utile inoltre ribadire come l’introduzione del comma in esame rappresenti una «forzatura non necessaria»[32], proprio perché il meccanismo, fortemente individualizzato, del probation contiene già gli strumenti per impedirne l’applicazione ai soggetti non meritevoli. A fronte di una marcata propensione alla devianza riscontrata nell’imputato minorenne, il giudice dovrà respingere la messa alla prova, reputandola misura non adeguata[33].

Forse, per una maggiore completezza delle ragioni a fondamento della decisione di trasmissione degli atti alla Consulta, sarebbe stato opportuno aggiungere anche il parametro di cui all’art. 27 comma 3 Cost., che avrebbe meglio contestualizzato il profilo dell’individualizzazione della pena nel processo minorile[34], dato che il meccanismo preclusivo di cui al comma 5-bis impedisce apoditticamente al giudice specializzato di compiere qualsiasi valutazione: nessuna possibilità di tener conto della specifica condizione del soggetto minorenne, delle peculiarità del caso concreto, di effettuare prognosi individualizzate volte alla (ri)educazione e al recupero del minore.

La solida struttura argomentativa del giudice remittente sembra comunque consentire di attendere con fiducia che la Corte provveda all’eliminazione del comma censurato, muovendo così il primo passo nella direzione del ripristino dei valori fondamentali su cui il sistema penale minorile è stato costruito, seriamente compromessi dalla logica securitaria che ha ispirato il “decreto Caivano”.

 

 

 

 

[1] V. Corte cost., 4 febbraio 2025, n. 8.

[2] Il comma 5-bis dell’art. 28 prevede che «le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai delitti previsti dall’articolo 575 del codice penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 576, dagli articoli 609-bis e 609-octies del codice penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 609 ter, e dall’articolo 628, terzo comma, numeri 2), 3) e 3-quinquies), del codice penale».

[3] Trib. minorenni Roma, g.u.p., ord. 18  febbraio 2025, p. 3.

[4] Corte cost., 25 marzo 1992, n. 125 e Corte cost., 2 luglio 1983, n. 222.

[5] Corte cost., 14 aprile 1995, n. 125.

[6] Trib. minorenni Roma, g.u.p., ord. 18  febbraio 2025, p. 6.

[7] Trib. minorenni Roma, g.u.p., ord. 18  febbraio 2025, p. 7.

[8] Corte cost., 28 aprile 2017, n. 90, che ha  dichiarato l’illegittimità costituzionale dell'art 656, comma 9, lett. a) c.p.p.,  per violazione dell'art. 31, secondo comma, Cost., nella parte in cui non consentiva la sospensione dell'esecuzione della pena detentiva nei confronti dei minorenni condannati per i delitti ivi elencati (ossia quelli di cui all'art. 4-bis l. n. 354/1975).

[9] È, infatti, costante nella giurisprudenza costituzionale l'affermazione della esigenza che il sistema di giustizia minorile sia caratterizzato fra l'altro dalla «necessità di valutazione da parte dello stesso giudice, fondate su prognosi individualizzate in funzione del recupero del minore deviante» (Corte cost., 29 aprile 1991, n. 182; Corte cost., 15 aprile 1987, n. 128; Corte cost., 15 luglio 1983, n.  222; Corte cost., 11 aprile 1978, n. 46).

[10] Corte cost., 6 luglio 2020, n. 139.

[11] Trib. minorenni Roma, g.u.p., ord. 18  febbraio 2025, p. 8.

[12] In merito, il giudice rimettente fa riferimento alle Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile, c.d. Regole di Pechino (approvate dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in data 29 novembre 1985),  alle Regole ONU per la protezione dei minori privati alla libertà (approvate dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in data 14 dicembre 1990), c.d. Regole dell’Havana, alla Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa in data 5 novembre 2008  sulle regole del trattamento per i condannati minorenni sottoposti a sanzioni o a misure restrittive della libertà personale, alle Linee guida su una giustizia a misura di minore adottate dal Consiglio d'Europa nel 2010, nonché, da ultimo, alla Direttiva del 2016/800 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2016 sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali.

[13] Si richiede, inoltre, che venga sempre privilegiato il ricorso alle misure alternative, che il minore detenuto sia collocato in istituti separati rispetto a quelli degli adulti e che gli venga garantito un trattamento penitenziario specificamente disegnato sulle sue peculiari necessità.

[14] Trib. minorenni Roma, g.u.p., ord. 18  febbraio 2025, p. 9.

[15] Trib. minorenni Roma, g.u.p., ord. 18  febbraio 2025, p. 9. 

[16] Trib. minorenni Roma, g.u.p., ord. 18  febbraio 2025, p. 9.

[17] Trib. minorenni Roma, g.u.p., ord. 18  febbraio 2025, p. 9.

[18] Trib. minorenni Bari, g.i.p., ord. 25 marzo 2024, con nota di L. Camaldo, Condivisibili dubbi di legittimità costituzionale della disposizione introdotta dal decreto Caivano che prevede alcuni reati ostativi alla concessione della messa alla prova minorile, in questa Rivista., 5/2024, p. 135 ss. e di  A. Zampini, Il nuovo elenco di reati “ostativi” alla messa alla prova minorile al vaglio della Corte costituzionale, in Iuspenale, 9 agosto 2024.

[19] Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in relazione all’art. 27-bis d.P.R. n. 448/1988. La Corte cost., che si è pronunciata in questi giorni, con sent. 10 febbraio 2025, n. 23, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis, comma 2, d.P.R. n. 448/1988, nella parte in cui affida la decisione sull’ammissione al percorso di reinserimento e rieducazione del minore al giudice per le indagini preliminari, anziché al giudice dell’udienza preliminare. Sul punto si rinvia a L. Camaldo, Decreto Caivano: per la Corte costituzionale sulla prova minorile "semplificata" deve decidere il giudice collegiale (art. 27-bis, comma 2, d.P.R. n. 448/1988), in questa Rivista, 20 marzo 2025.

[20] La Consulta con sentenza 4 febbraio 2025, n. 8,  ritenendo che l’art. 28, comma 5-bis, d.P.R. n. 488 del 1988, non sia applicabile ai fatti commessi prima del 15 novembre 2023, in forza del principio di irretroattività della norma penale sfavorevole di cui all’art. 25, secondo comma, Cost. e all’art. 7 C.e.d.u., ha dichiarato l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza.

[21] Va peraltro evidenziato che con tale pronuncia la Corte costituzionale pone un punto fermo nella disciplina da applicare ai casi di istituti “ibridi”, in cui si ravvisano componenti che combinano insieme valenze sostanziali e processuali. In queste ipotesi, dal lato delle garanzie, non può non prevalere – ci dice la Corte – il profilo sostanziale.

[22] Corte cost., 4 febbraio 2025, n. 8.

[23] Per C. Cesari, Le strategie di diversion, in Procedura penale minorile, a cura di M. Bargis, Giappichelli, 2024, p. 288, si possono nutrire seri dubbi sulla ragionevolezza e sulla costituzionalità della clausola; dello stesso avviso, A. Massaro, La risposta 'punitiva' a disagio giovanile, povertà educativa e criminalità minorile: profili penalistici del c.d. decreto Caivano, in Proc. pen. giust., 2024, n. 2, p. 494; G. Mastrangelo, Il d.l. 15 settembre 2023, n. 123 e il processo minorile, in Cass. pen., 2024, n. 4, p. 1132; L. Pulito, Profili di incostituzionalità del “modello Caivano”, in Annali del dip. Jonico, 2024, p. 240 ss.; per A. Zampini, Il nuovo elenco di reati “ostativi” alla messa alla prova minorile al vaglio della Corte costituzionale, in Iuspenale, 9 agosto 2024, «il legislatore può procedere a una messa a punto della risposta penale nei confronti del minorenne imputato, ma senza impedire ex ante al giudice un intervento individualizzato e, soprattutto, senza frustrare irragionevolmente le prospettive (ri)educative e di evoluzione della personalità del minorenne».

[24] D.l. 16 settembre 2024, n. 131, conv. con modif., dalla l. 14 novembre 2024, n. 166, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi derivanti da atti dell'Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano (Procedura d’infrazione 2023/2090).

[25] La finalità è, in particolare, quella di adeguare la normativa interna agli artt. 4, 5 e 8 della direttiva 2016/800/UE, concernenti, rispettivamente, il diritto all’informazione del minore, il diritto di quest’ultimo all’informazione del titolare della responsabilità genitoriale, il diritto all’esame medico.

[26] Articolo introdotto dall'art. 5, comma 1, lett. e), d.l. 16 settembre 2024, n. 131, conv. con modif., dalla l. 14 novembre 2024, n. 166.

[27] V. Corte cost., 6 dicembre 2019, n. 263, con nota di L. Camaldo, Meno carcere per tutti i condannati minorenni. La prima pronuncia d’illegittimità costituzionale del nuovo ordinamento penitenziario minorile, in Dir. pen. uomo, 1/2020, p. 131 ss.; Corte cost., 28 aprile 2017, n. 90, con nota di M.G. Coppetta, Cade per mano della Corte costituzionale un altro automatismo esecutivo nei confronti di condannati minorenni, in Giur. cost., 2017, p. 906 ss.; Corte cost., 17 dicembre 1997, n. 403; Corte cost., 22 aprile 1997, n. 109. Sul tema, M. Bianchi, Esclusa la messa alla prova per i minori autori di violenze sessuali aggravate. Profili di illegittimità costituzionale dell’emendamento dell’art. 28 del D.P.R. 448/1988, in Arch. pen., 2024, n. 2, p. 31; G. Martiello, Gli interventi del c.d. «Decreto-Caivano» sul diritto penale minorile, tra salvaguardia della società dal minore delinquente e tutela del fanciullo dalla società indifferente, in Legisl. pen., 12.2.2024  p. 17; F. Tribisonna, Interventi in materia processuale penale: da Caivano alla deriva dei principi sul “giusto processo minorile” il passo è breve, in Dir. pen. proc., 2023, n. 12, p. 1574.

[28] V. C. De Luca, Decreto “Caivano” e modifiche al procedimento minorile: alcune questioni controverse, in Cass. pen., 2024, n. 6, p. 1928; A. Massaro, La risposta 'punitiva' a disagio giovanile, cit., p. 494.

[29] Per A. Cavaliere, Il c.d. decreto Caivano: tra securitarismo e simbolicità, in Riv. Penale Diritto e procedura, 2023, n. 4, p. 554, si tratta di un’inclusione  «da sbandierare in un decreto che nasce sull’onda emotiva suscitata dalla notizia di gravi reati sessuali nei confronti di minorenni».

[30] V. le riflessioni di M. Bianchi, Esclusa la messa alla prova, cit., p. 31, la quale sottolinea che nel «contenitore “violenza sessuale” e “violenza sessuale di gruppo” convergono condotte, relazioni, approcci, consapevolezze, ruoli che individuano un disvalore d’azione e un grado di offesa molto eterogeneo».

[31] A. Cavaliere, Il c.d. decreto Caivano: tra securitarismo e simbolicità, cit., p. 554, evidenzia che «la tecnica casistica, unitamente al carattere populistico e alla frettolosità della formulazione del d.l., dà luogo ad esiti irragionevolmente discriminatori, da diritto penale dell’autore».

[32] C. Cesari, Commento all’art. 28, in Il processo penale minorile. Commento al d.P.R. 448/1988, a cura di G. Giostra, Giuffrè, 2024, p. 506 s.

[33] V. Cass., sez. III,  9 settembre 2020, n. 28670,  in C.e.d. Cass., n. 280276;  Cass., sez. I, 12 luglio 2019, n. 37018, in C.e.d. Cass., n. 276940; Cass., sez. I, 24 maggio 2019, n. 26156, in C.e.d. Cass., n. 276393; Cass., sez. V, 7 dicembre 2012, n. 14035, in C.e.d. Cass., n. 256772; Cass., sez. I, 9 aprile 2003, n. 19532, in C.e.d. Cass., n. 224810.

[34] Ciò anche al fine di prevenire i rilievi già sollevati dall’Avvocatura al Tribunale per i minorenni di Bari. Secondo la difesa dello Stato, «il ragionamento del giudice a quo, circa l’asserita incompatibilità della disposizione censurata con il principio costituzionale di protezione dell’infanzia e della gioventù, sotto il profilo dell’individualizzazione della pena nel processo minorile, risulterebbe infatti svolto in modo adeguato soltanto se posto in correlazione con i principi della finalità rieducativa della pena e di inviolabilità del diritto di difesa, di cui agli artt. 27, terzo comma, e 24 Cost.». V. Corte cost., 4 febbraio 2025, n. 8.