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10 Febbraio 2021


Secondo la Consulta è legittimo che la messa alla prova del minore non possa essere disposta nella fase delle indagini preliminari

Corte cost., sent. 10 giugno 2020 (dep. 6 luglio 2020), n. 139, Pres. Cartabia, Red. Petitti



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1. Con la sentenza del 10 giugno 2020 (dep. 6 luglio 2020) n. 139, la Corte costituzionale ha ritenuto infondate le questioni di legittimità sollevate dal giudice remittente con riferimento alla mancata possibilità di applicare l’istituto della sospensione del processo con messa alla prova del minore nella fase delle indagini preliminari.

La decisione trae origine dall’ordinanza dell’11 marzo 2019[1], con la quale il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di Firenze denunciava l’illegittimità costituzionale dell’art. 28 D.P.R. 448/88, nella parte in cui tale disposizione non consente l’adozione del probation minorile nella fase antecedente all’esercizio dell’azione penale, generando così una distonia, ritenuta irragionevole, rispetto all’omologo e più recente istituto dedicato agli indagati o imputati maggiorenni, nell’ambito del quale l’espresso dettato dell’art. 464-ter c.p.p. stabilisce che la messa alla prova può essere richiesta e disposta nel corso delle indagini preliminari.

Seguendo le orme della precedente giurisprudenza, la Consulta, per le ragioni che saranno poi esaminate, ha inteso ribadire le diverse finalità che caratterizzano la messa alla prova degli adulti rispetto a quella dei minorenni e che pertanto consentono – o meglio, impongono – al legislatore di modulare in via autonoma le due discipline normative.

 

2. In relazione alle censure sollevate dal giudice remittente nei confronti dell’art. 28 D.P.R. 448/88, la preclusione alla concessione del probation minorile sin dalla fase delle indagini preliminari contrasterebbe, in primo luogo, con il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., considerato che l’omologa disciplina degli adulti – introdotta nell’ordinamento con l. 67/2014, evidentemente mutuando, in parte, lo schema minorile – permette ai maggiorenni di fruire della messa alla prova prima che venga esercitata l’azione penale da parte del pubblico ministero (art. 464-ter c.p.p.), configurandosi così un’ingiustificata disparità di trattamento.

Si ritiene, inoltre, violato il principio rieducativo, sancito dall’art. 27, comma 3, Cost., che impone di realizzare un percorso di recupero del minorenne in un momento il più possibile prossimo al tempo di commissione del reato. A parere del giudice a quo, infatti, «quanto più ci si allontana dal tempo in cui si colloca il fatto-reato, tanto meno il minore coinvolto nella relativa vicenda giudiziaria potrà avvertire l’effetto rieducativo e risocializzante degli impegni che caratterizzano il progetto di intervento»[2].

Infine, non si considera rispettata la particolare protezione della gioventù, assicurata dall’art. 31, comma 2, Cost., poiché la dilazione procedimentale della messa alla prova ne sminuisce la «valenza protettiva», riducendone l’efficacia «in termini di promozione del recupero e del cambiamento personale e sociale del minore coinvolto in un procedimento penale»[3].

Sulla base di tali considerazioni, il giudice rimettente invocava una sentenza additiva, al fine di consentire al giudice per le indagini preliminari di disporre la messa alla prova dell’indagato minorenne, il quale ne faccia richiesta, previa audizione delle parti in apposita udienza camerale, con formulazione dell’imputazione ad opera del pubblico ministero, in analogia alla previsione dell’art. 464-ter c.p.p., e con elaborazione del progetto di intervento da parte dei servizi minorili. Secondo il giudice a quo, l’apporto delle competenze specialistiche dei giudici onorari, che integrano il collegio in udienza preliminare, non andrebbe perduto, in quanto il giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell’art. 9 D.P.R. 448/88, potrebbe ricorrere al parere di esperti, «tra i quali – precisa il rimettente – possono certamente annoverarsi anche gli stessi componenti onorari del Tribunale per i minorenni»[4].

 

3. La Corte costituzionale, con la sentenza in esame, ha dichiarato infondate le predette questioni di legittimità, rilevando come l’impossibilità di concedere la messa alla prova del minore prima dell’udienza preliminare trovi fondamento in molteplici ed univoche indicazioni contenute nella normativa riguardante il rito minorile[5].

La formulazione dell’art. 28 D.P.R. 448/88 fa riferimento alla sospensione del “processo”, e non già del “procedimento”, e ammette il ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza di sospensione da parte “dell’imputato”, oltre che del suo difensore e del pubblico ministero. Da tali previsioni, si evince chiaramente che la messa alla prova del minore non può essere disposta nel corso delle indagini preliminari, prima dell’esercizio dell’azione penale e della formulazione dell’imputazione.

A conferma di tale conclusione, si richiama l’art. 29 D.P.R. 448/88, laddove stabilisce che, qualora il periodo di prova produca un esito negativo – e quindi non sia possibile dichiarare l’estinzione del reato – il processo riprende il suo corso dal momento in cui era stato interrotto con il provvedimento di sospensione, dovendosi provvedere “a norma degli articoli 32 e 33” ossia proseguire nello svolgimento dell’udienza preliminare o del giudizio dibattimentale: in tali fasi sarebbe pertanto da individuare la sede “naturale” di applicazione dell’istituto, viceversa inapplicabile prima dell’udienza preliminare.

A questi indici, si aggiunge la previsione dell’art. 27 d.lgs. 272/1989, nella parte in cui attribuisce al “collegio” giudicante la competenza a ricevere le relazioni dei servizi sociali che assistono il minorenne durante il periodo di prova[6]. È evidente come tale norma non possa fare riferimento al giudice per le indagini preliminari minorile, il quale – come il suo omologo presso il tribunale ordinario – è rappresentato da un organo monocratico (art. 50-bis, comma 1, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), bensì al giudice dell’udienza preliminare, che, nel rito a carico di imputati minorenni, siede in composizione collegiale (art. 50-bis, comma 2, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), essendo composto da un magistrato togato e da due giudici onorari[7].

Si deve, peraltro, considerare che la fase dell’udienza preliminare non costituisce solamente la sede elettiva per la sospensione del processo con messa alla prova, ma rappresenta il fulcro dell’iter processuale minorile, le cui disposizioni, peculiari e autonome rispetto alla normativa ordinaria, consentono la definizione anticipata del processo, relegando la fase dibattimentale ad ipotesi estreme e residuali[8].

Poiché le sopra citate disposizioni escludono la messa alla prova del minore nella fase precedente all’esercizio dell’azione penale, secondo la Consulta non è possibile applicare la disciplina prevista dall’art. 464-ter c.p.p. nemmeno facendo ricorso al principio di sussidiarietà, di cui all’art. 1, comma 1, D.P.R. 448/88, in quanto tale previsione consente un “rinvio mobile” alla normativa del processo ordinario, soltanto per quanto non espressamente previsto dal corpus speciale minorile.

 

4. Le differenze tra la messa alla prova minorile e quella dedicata ai maggiorenni[9] – nonostante il medesimo nomen juris utilizzato dal legislatore – emergono sotto diversi profili e denotano divergenti finalità, come rilevato dalla Consulta: «l’una ha finalità essenzialmente rieducativa, l’altra viceversa è connotata da innegabili tratti sanzionatori»[10].

Nell’evidenziare i punti di distacco tra i due procedimenti, la Corte costituzionale ha ripreso le considerazioni già espresse nella recente decisione[11] con la quale ha escluso, nel processo minorile, la possibilità di considerare quale “pre-sofferto” il lasso di tempo trascorso durante il periodo di prova, qualora, in caso di revoca o di esito negativo della stessa, sia stata pronunciata una sentenza di condanna a pena detentiva, a differenza di quanto espressamente previsto dall’art. 657-bis c.p.p. con riferimento alla disciplina per gli adulti[12].

La prima evidente difformità riguarda i presupposti per l’applicabilità del probation, che, in sede ordinaria, è ammesso (soltanto) «nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, oltre che per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale» (art. 168-bis c.p.).

Nel sistema di diversion minorile, al contrario, la messa alla prova è svincolata da ogni parametro edittale o dal titolo di reato, potendo essere applicata per qualsiasi fattispecie penale, tanto da essere consentita anche per i reati puniti in astratto con la pena dell’ergastolo[13]; la gravità del reato si riflette solo nel diverso termine massimo stabilito per la durata della sospensione del processo[14].

Un’ulteriore ed importante differenza tra gli istituti in esame riguarda la possibilità per il giudice specializzato minorile di sospendere il processo ex officio, qualora ritenga necessario valutare l’evoluzione personologica dell’imputato minorenne all’esito del periodo di prova[15].

In sede ordinaria, al contrario, l’applicabilità dell’istituto è subordinata alla specifica richiesta dell’imputato o dell’indagato (art. 464-bis c.p.p.), nonché – limitatamente alla fase delle indagini preliminari – al consenso del pubblico ministero (art. 464-quater c.p.p.)[16].

Così prospettata, la messa alla prova per gli ultra-diciottenni assume natura “negoziale”, in quanto implica una scelta concorde di convenienza delle parti, e nella fase investigativa – come rilevato dalla Corte costituzionale – «acquista finanche una configurazione ‘patteggiata’, per la necessità di un accordo tra l’indagato e il pubblico ministero; tutto ciò secondo un indirizzo di politica legislativa cui non sono estranee finalità generali di deflazione giudiziaria per reati di contenuta gravità»[17].

Diversamente, il probation minorile, non condizionato dalla richiesta dell’imputato, né dal consenso del pubblico ministero, evidenzia caratteristiche specularmente opposte alla messa in prova dell’adulto, «poiché l’essenziale finalità rieducativa ne plasma la disciplina in senso rigorosamente personologico», rimanendo estraneo ogni obiettivo di economia processuale[18].

Le evidenti differenze, sia strutturali, sia finalistiche, che separano i due istituti consentono di ritenere non violato il principio di eguaglianza, cui il giudice remittente ha fatto riferimento; infatti a parere della Consulta, «il tertium comparationis, che il giudice a quo individua nell’art. 464-ter cod. proc. pen., è eterogeneo rispetto alla norma censurata» e «l’eterogeneità delle fattispecie in comparazione implica che non appaia irragionevole il differente trattamento, riservato dal legislatore alla messa alla prova dell’adulto, consentita anche in fase di indagini preliminari, e alla messa alla prova del minorenne, viceversa non consentita in quella fase»[19].

 

5. Con riferimento alle altre due questioni – relative alla presunta violazione dell’art. 27, comma 3, e dell’art. 31, comma 2, Cost. – la Corte ha sottolineato che la finalità essenzialmente rieducativa della messa alla prova minorile esclude «un’eccessiva anticipazione procedimentale delle relative valutazioni»[20].

La scelta del legislatore di fissare nell’udienza preliminare, e quindi dopo l’esercizio dell’azione penale, il primo momento utile per la messa alla prova del minore «corrisponde ragionevolmente all’esigenza di assicurare che le relative valutazioni siano esercitate su un materiale istruttorio sufficientemente definito, oltre che da un giudice strutturalmente idoneo ad apprezzarne tutti i riflessi personalistici»[21].

A tal riguardo, in una precedente pronuncia, la Corte costituzionale ha già evidenziato come la composizione collegiale e interdisciplinare del collegio giudicante in sede di udienza preliminare minorile risponde alla complessità delle decisioni che tale giudice è chiamato ad assumere, tra le quali, appunto, l’eventuale sospensione del processo con messa alla prova[22].

Si è rilevato, in particolare, come i due esperti, che affiancano il magistrato togato, per la loro specifica professionalità, assicurano un’adeguata considerazione della personalità e delle esigenze educative del minore e contribuiscono anche all’osservanza del principio di minima offensività, che impone di evitare, nell’esercizio della giurisdizione penale, ogni pregiudizio al corretto sviluppo psicofisico del minore e di adottare le opportune cautele per salvaguardare le correlate esigenze educative[23].

Priva di pregio, a parere della Consulta, è la tesi del giudice a quo, secondo cui, nel corso delle indagini preliminari, sarebbe consentito servirsi degli “esperti” ex art. 9, comma 2, D.P.R. 448/88[24], i quali potrebbero coincidere con le stesse persone fisiche dei giudici onorari. Sul punto, la Corte costituzionale ha chiarito che tale interpretazione «tradisce un fraintendimento del ruolo dei componenti non togati del giudice dell’udienza preliminare minorile», in quanto questi ultimi «non sono meri consulenti tecnici del componente togato, bensì componenti dell’organo giudicante a pari titolo, e come tali essi concorrono alla decisione non indirettamente, ma pleno iure, peraltro rappresentando la quota maggioritaria dell’organo stesso»[25].

Si può quindi concludere che l’assegnazione della messa alla prova del minore al giudice dell’udienza preliminare e non anche al giudice per le indagini preliminari appare conforme al finalismo rieducativo di cui all’art. 27, comma 3, Cost. e alla protezione della gioventù prevista dall’art. 31, comma 2, Cost., «poiché assicura che le delicate valutazioni personalistiche implicate dall’istituto siano svolte da un organo collegiale, interdisciplinare e diversificato nel genere, pertanto idoneo ad espletarle nella piena consapevolezza di ogni aspetto rilevante»[26].

6. Le conclusioni a cui perviene la Corte costituzionale non sono smentite da altre forme di definizione del procedimento minorile, che consentono di adottare una decisione già nella fase delle indagini preliminari.

Si tratta, in particolare, della disciplina riguardante la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, che, ai sensi dell’art. 27 D.P.R. 448/88, può essere richiesta dal pubblico ministero e disposta dal giudice delle indagini preliminari, all’esito di un’udienza ad hoc, in camera di consiglio, nella quale sono sentiti il minorenne, l’esercente la responsabilità genitoriale e la persona offesa[27].

Come è noto, tale istituto poggia, oltre che sulla necessità di evitare un’inutile stigmatizzazione del minorenne, anche sull’esigenza di selezionare quelle condotte che – seppur antisociali e colpevoli – rivestono uno scarso allarme sociale e, di conseguenza, permettono di indirizzare l’attività giudiziaria su altri e più gravi episodi.

In questo procedimento – come rilevato dalla Consulta – «la valutazione della personalità del minore, seppure necessaria come nell’applicazione di ogni istituto di diritto minorile, non rappresenta tuttavia l’essenza stessa dell’intervento giudiziale, ed invece concorre con valutazioni di contenuto prevalentemente oggettivo e tecnico-giuridico», a differenza della messa alla prova del minore, dove, invece, «l’aspetto personologico è assolutamente centrale, sicché il contributo decisorio dei giudici esperti si rivela essenziale».

È opportuno, a tal proposito, ricordare come la sospensione del processo con messa alla prova rientri convenzionalmente nei sistemi di diversion c.d. “con prescrizioni”, mentre la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto è definita “incondizionata”, evidentemente presupponendo scelte meno complesse[28].

La messa alla prova minorile può, pertanto, assolvere la sua primaria funzione rieducativa «solo se disposta, a tempo debito, da un giudice strutturalmente qualificato alle necessarie valutazioni di personalità, poiché queste condizionano l’esito positivo della prova, la conseguente dichiarazione di estinzione del reato e, in ultima analisi, l’effettiva fuoriuscita del minore dal circuito penale».

In tale ottica, è bene, da ultimo, osservare che la stessa udienza preliminare può costituire per il minore «un prezioso momento educativo, occasione di comprensione autentica e non utilitaristica della messa alla prova, in virtù del dialogo con un giudice non solo togato, meglio qualificato ad illustrare al giovane – come prescrive l’art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 448 del 1988 – il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza, nonché il contenuto e le ragioni anche etico-sociali delle decisioni».

 

[1] V. Trib. min. Firenze, ord. 25 febbraio 2019 (dep. 11 marzo 2019), n. 113, in G.U. I serie speciale – Corte costituzionale, 21 agosto 2019, n. 34, p. 15. A tal riguardo, v. M. Pisati, Sospensione con messa alla prova per minorenni: l’impossibilità di disporla nelle indagini preliminari al vaglio della Corte costituzionale, in Dir. pen. cont., 22 maggio 2019.

[2] Cfr. Trib. min. Firenze, ord. 25 febbraio 2019 (dep. 11 marzo 2019), n. 113, cit., p. 19.

[3] Ibidem.

[4] V. Trib. min. Firenze, ord. 25 febbraio 2019 (dep. 11 marzo 2019), n. 113, cit., p. 20.

[5] Sul tema della sospensione del processo con messa alla prova del minore, v. C. Cesari, Le strategie di diversion, in M. Bargis (a cura di), Procedura penale minorile, Torino, Giappichelli, 2019, p. 218 ss.; A. Ciavola - V. Patanè, La specificità delle formule decisorie minorili, in E. Zappalà (a cura di), La giurisdizione specializzata nella giustizia penale minorile, Torino, Giappichelli, 2019, p. 187 ss.; C. Cesari, sub art. 28, in G. Giostra (a cura di), Il processo penale minorile. Commento al d.P.R. 448/88, Milano, Giuffrè, 2016, p. 455 ss.

[6] L’art. 27, comma 4, d.lgs. 272/89 prevede, infatti, che «il presidente del collegio che ha disposto la sospensione del processo e l’affidamento riceve le relazioni dei servizi e ha il potere, delegabile ad altro componente del collegio, di sentire, senza formalità di procedura, gli operatori e il minorenne». Si stabilisce, inoltre, che, ai fini di quanto previsto dagli artt. 28 comma 5 e 29 D.P.R. 448/88, «i servizi presentano una relazione sul comportamento del minorenne e sull'evoluzione della sua personalità al presidente del collegio che ha disposto la sospensione del processo nonché al pubblico ministero, il quale può chiedere la fissazione dell’udienza prevista dall’articolo 29 del medesimo decreto» (art. 27, comma 5, d.lgs. 272/89).

[7] Con riferimento ai giudici onorari, si tratta di «due cittadini, un uomo ed una donna, benemeriti, dell’assistenza sociale, scelti fra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia, che abbiano compiuto il trentesimo anno di età» (art. 2 r.d.l. n. 1404/1934).

[8] Alla disciplina dell’udienza preliminare minorile sono dedicati gli artt. 31 e 32 D.P.R. 448/1988. A tal riguardo, v. C. CESARI, Le indagini preliminari e l’udienza preliminare, in M. Bargis (a cura di), Procedura penale minorile, cit., p. 143 ss.

[9] Con riferimento alla messa alla prova nel rito ordinario, v. M. Miraglia, La messa alla prova dell’imputato adulto.

Analisi e prospettive di un modello processuale diverso, Torino, Giappichelli, 2020; N. Triggiani (a cura di), La deflazione giudiziaria: messa alla prova degli adulti e proscioglimento per tenuità del fatto, Torino, Giappichelli, 2014.

[10] V. par. 4.3 della sentenza in commento.

[11] Cfr. Corte cost., sent. 20 febbraio 2019, n. 68, in cortecostituzionale.it. A tal riguardo, v. C. De Luca, L’impossibilità di detrarre dalla pena da scontare il periodo trascorso in messa alla prova nel caso di imputato minorenne: profili di legittimità costituzionale, in Cass. pen., 2019, n. 5/6, p. 2278 ss.

[12] Ai sensi dell’art. 657-bis c.p.p., «in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova, il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente a quello della prova eseguita. Ai fini della detrazione, tre giorni di prova equivalgono a un giorno di reclusione o di arresto, ovvero a 250 euro di multa o di ammenda».

[13] A tal riguardo, v., volendo, L. Camaldo, Sospensione del processo e messa alla prova del minore imputato di omicidio: una recente decisione del Tribunale per i minorenni di Milano, in Cass. pen., 2006, n. 4, p. 1589 ss.; nonché J. MOYERSOEN, La messa alla prova minorile e reati associativi. Buone pratiche ed esperienze innovative, Franco Angeli, 2018.

[14] L’art. 28, comma 1, secondo periodo, D.P.R. 448/88 prevede che «il processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno».

[15] L’art. 28, comma 1, primo periodo, D.P.R. 448/88 stabilisce, infatti, che «il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all’esito della prova». Si rileva che è, in ogni caso, indispensabile, a pena di nullità dell’ordinanza di sospensione, che sia stato prospettato un dettagliato progetto da parte dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali. La Cassazione (v. Cass. pen., Sez. III, 8 settembre 2016, n. 6019) ha osservato che «il giudice non può provvedere alla sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato minorenne senza che sia stato predisposto il progetto di intervento elaborato dai servizi sociali minorili, né la presenza delle parti in udienza è sufficiente a garantire il contradditorio sul progetto, stante la mancata predisposizione ad opera dei servizi legittimamente competenti. Cfr. anche Cass. pen., Sez. V, 9 giugno 2003, secondo cui l’elaborazione del progetto «deve necessariamente precedere l’ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova, sicché il giudice, al momento della pronuncia, non può prescindere dal progetto medesimo, pur se mantiene la potestà di intervenire sulla bozza predisposta dai servizi sociali per ottenerne integrazioni o modifiche intese a rendere ammissibile l’accesso al meccanismo».

[16] Ai sensi dell’art. 464-quater c.p.p., «nel corso delle indagini preliminari, il giudice, se è presentata una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, trasmette gli atti al pubblico ministero affinché esprima il consenso o il dissenso nel termine di cinque giorni».

[17] V. par. 4.3.1 della sentenza. La Consulta rileva, inoltre, che «sin dalla rubrica “richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso delle indagini preliminari”, l’art. 464-ter c.p.p. mostra di ispirarsi all’art. 447 c.p.p., che disciplina la “richiesta di applicazione della pena nel corso delle indagini preliminari”, entrambe le disposizioni contemplando un istituto “patteggiato” tra indagato e pubblico ministero, con evidenti finalità di economia processuale. L’accostamento è confermato dal rilievo che, come per l’applicazione della pena su richiesta, anche per la messa alla prova in fase di indagini preliminari, con palese analogia tra le previsioni degli artt. 448 e 464-ter c.p.p., il dissenso del pubblico ministero non è superabile dal giudice, salva la riproposizione dell’istanza in sede predibattimentale» (così par. 4.4 della sentenza).

[18] Si ricorda che l’art. 25 D.P.R. 448/88 esclude espressamente l’operatività dell’applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento) nel rito penale minorile. Tale preclusione, come osservato da Corte cost., sent. 6 luglio 2000, n. 272, in cortecostituzionale.it., corrisponde «ad un ponderato bilanciamento tra le esigenze di economia processuale, che avrebbero consigliato di ammettere forme di “patteggiamento” anche nel procedimento a carico di imputati minorenni, e le peculiarità del modello di giustizia minorile adottato dall’ordinamento italiano, sorretto dalla prevalente finalità di recupero del minorenne e di tutela della sua personalità, nonché da obiettivi pedagogico-rieducativi piuttosto che retributivo-punitivi».

[19] Cfr. par. 4.5 della sentenza.

[20] V. par. 4.5.1 della sentenza.

[21] Ibidem.

[22] Cfr. Corte cost., sent. 15 ottobre 1997, n. 311, in cortecostituzionale.it.

[23] V. Corte cost., sent. 12 gennaio 2015, n. 1, in cortecostituzionale.it. Con tale decisione, la Consulta ha ritenuto che, diversamente da quanto previsto nel rito ordinario, spetti al giudice collegiale dell’udienza preliminare, anziché al giudice monocratico per le indagini preliminari, il giudizio abbreviato minorile innestato su decreto di giudizio immediato, al fine di assicurare, anche in questo caso, la partecipazione dei componenti onorari.

[24] Su questo tema, v., volendo, L. Camaldo, Gli accertamenti sull’età e sulla personalità: aspetti processuali, in D. Vigoni (a cura di), Difetto di imputabilità del minorenne, Torino Giappichelli, 2016, p. 87 ss.; D. Vigoni, sub art. 9 d.p.r. 448/1988, in A. Giarda - G. Spangher (a cura di), Codice di procedura penale commentato, Milano, Ipsoa, 2017, p. 1179; V. Patanè, sub art. 9, in G. Giostra (a cura di), Il processo penale minorile. Commento al D.P.R. 448/1988, cit., p. 133 ss.; C. De Luca, Gli accertamenti sulla personalità dell’autore di reato minorenne e il divieto di perizia psicologica nel rito ordinario: riflessioni e nuove prospettive, in Cass. pen., 2018, n. 6, p. 2140 ss.

[25] Cfr. par. 4.6.4 della sentenza in commento.

[26] V. par. 4.6.5 della sentenza.

[27] In argomento, v. C. Cesari, sub art. 27, in G. Giostra (a cura di), Il processo penale minorile. Commento al D.P.R. 448/1988, cit., p. 393 ss.; D. Vigoni, L’ambito della declaratoria per irrilevanza del fatto: dalle indagini al giudizio di appello, in Cass. pen., 2004, n. 6, p. 2162 ss.

[28] Cfr. C. Cesari, Le strategie di diversion, in M. Bargis (a cura di), Procedura penale minorile, cit., p. 184 ss.