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18 Maggio 2023


Persona offesa incapace per età o infermità e nuove ipotesi di procedibilità a querela: una prima decisione in senso “sostantivo” e “restrittivo”

Tribunale per i minorenni di Genova, 22 marzo 2023 (Pres. est. Villa)



1. In virtù delle recenti modifiche in tema di regime di procedibilità apportate dal D.lgs. n. 150/2022, in particolare dell’estensione della perseguibilità a querela al delitto di violenza privata (art. 610 c.p.) e del nuovo meccanismo processuale di remissione tacita della querela per mancata comparizione all’udienza del ‘teste-querelante’ (art. 152, co. 3, n. 1, c.p.)[1], il Tribunale dei minorenni di Genova ha emesso sentenza di non doversi procedere in un caso di percosse e – appunto – violenza privata commessi da un quindicenne (in concorso con un altro soggetto, stando al capo d’imputazione) nei confronti di un coetaneo. Essendo venuta meno la procedibilità ex officio del reato di cui all’art. 610 c.p. (ed essendo già procedibile a querela il reato di cui all’art. 581 c.p.), il Tribunale aveva notificato alla persona offesa – ormai maggiorenne – la citazione quale testimone, con l’avviso che in caso di assenza ingiustificata si sarebbe integrata l’ipotesi legalmente prevista di remissione tacita della querela; poiché la parte lesa aveva ricevuto la notifica “a mani proprie” e non si era presentata all’udienza, il Tribunale ha dichiarato l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 152 c.p.

Per giungere all’esito estintivo, il Collegio ligure ha dovuto sciogliere il nodo interpretativo derivante dalla preclusione alla procedibilità a querela fissata al nuovo terzo comma dell’art. 610 c.p.: «Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità».

 

2. Il Tribunale genovese ha optato per un’interpretazione restrittiva della succitata locuzione, facendo leva su di una triplice argomentazione.

In primo luogo, è stato rilevato come l’art. 120, co. 2, c.p. affermi la capacità di proporre querela del minore ultraquattordicenne, “pertanto non può essere contestualmente incapace di rimetterla” né si potrebbe “ritenere comunque procedibile d’ufficio un reato per il quale avrebbe invece la facoltà di esercitare o meno direttamente la querela” (pag. 2 della sentenza).

In secondo luogo, richiamando la Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione a commento della Riforma Cartabia (n. 2/2023), il Tribunale accoglie una nozione per così dire ‘in concreto’ della incapacità de qua: “Si ritiene inoltre che “incapace per età” non sia qualsiasi minore, ma solamente quel minore per il quale si possano ritenere integrati i parametri della minorata difesa o quelli elaborati dalla giurisprudenza per il reato di cui all’art. 643 cp”, ossia quando tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato si instauri un “rapporto squilibrato” (sempre pag. 2 della sentenza).

In terzo luogo, si osserva come una alternativa interpretazione estensiva, rendendo procedibili ex officio “tutti i reati nei confronti dei minorenni (infradiciottenni o infraquattordicenni)”, evidenzierebbe un vulnus costituzionale per eccesso di delega: “con tale soluzione si rendono procedibili d’ufficio alcuni reati, quali l’art 624 cp non aggravato, che erano già procedibili a querela e che ora, se commessi in danno di minori, sarebbero procedibili d’ufficio”[2]. Così interpretato, il D.lgs. n. 150/2022 cozzerebbe col criterio della legge-delega (art. 1, co. 15, lett. b, L. n. 134/2021) volto ad estendere la perseguibilità su impulso di parte, il quale fa sì «salva la procedibilità d’ufficio quando la persona offesa sia incapace per età o infermità» ma “unicamente nell’ambito dei procedimenti per i quali si è estesa la procedibilità a querela” (pag. 2 s. della sentenza).

 

3. La soluzione interpretativa offerta dal Collegio genovese appare condivisibile, seppur non incontroversa.

La condizione di incapacità della persona offesa «per età o per infermità» è stata posta dal legislatore delegante come trasversalmente ostativa al mutamento “pro reo” del regime di procedibilità, con la rilevante eccezione dell’ipotesi di lesioni stradali ex art. 590-bis, co. 1, c.p.[3]; il D.lgs. n. 150/2022 ha pienamente recepito l’indicazione, andando probabilmente anche ultra petita, come sottolineato dalla sentenza annotata in riferimento al delitto di furto[4]. Tale ‘impedimento’ alla procedibilità a querela non è nuovo: già l’art. 1, co. 16, lett. a, n. 1, L. n. 103/2017, nel delegare il Governo all’incremento delle ipotesi perseguibili a querela, aveva imposto di tener ferma la procedibilità officiosa nei casi di incapacità della vittima «per età o per infermità»; come noto, con il D.lgs. n. 36/2018 fu data alla locuzione una interpretazione peculiare, legata allo stato di incapacità quale effetto della condotta criminosa[5], evitandosi quindi di prevedere lo status (pregresso) di incapace della persona offesa quale condizione preclusiva dell’estensione della procedibilità a querela. Poco più tardi, con il dichiarato intento di dare piena attuazione alla L. n. 103/2017, la L. n. 3/2019 interpolò l’art. 649-bis c.p. (introdotto dal D.lgs. n. 36/2018) stabilendo il mantenimento della procedibilità d’ufficio per le ipotesi di truffa, frode informatica e appropriazione indebita aggravata[6] «se la persona offesa è incapace per età o per infermità».

Orbene, l’interpolazione ad opera della c.d. “Spazzacorrotti” è stata interpretata in dottrina in stretta connessione con la circostanza aggravante comune di cui all’art. 61, n. 5, c.p., in modo non dissimile da come ha fatto il Tribunale ligure nel provvedimento che si annota (oltre che l’Ufficio del Massimario nella Relazione citata): “L’incapacità della persona offesa rilevante, ai fini del regime della procedibilità, è solo quella derivante da uno stato patologico (id est infermità) ovvero dall’età, determinante una condizione di particolare vulnerabilità o minorata difesa della persona offesa. Si tratta di condizioni che, preesistendo alla condotta delittuosa, finiscono per agevolarne l’esecuzione […] l’età minore al pari di quella avanzata non rilevano ex se ma solo nella misura in cui, rivelando l’incompiutezza del processo di maturità delle capacità fisiche e mentali ovvero il decadimento di siffatte capacità, determinano la maggiore vulnerabilità, integrante la condizione di incapacità”[7].

In riferimento al D.lgs. n. 150/2022, invece, è emersa una differente linea interpretativa: secondo la stessa Relazione illustrativa a cura del Governo, ponendosi la preclusione dello stato di incapacità della persona offesa, la procedibilità ex officio è stata conservata nelle ipotesi in cui “vi è una particolare esigenza di tutela delle vittime, che potrebbero essere condizionate e non libere nella scelta processuale di presentare una querela[8]. In quest’ottica, la preclusione, dunque, sarebbe legata non ad una particolare offensività e riprovevolezza del fatto criminoso (compiuto sfruttando la situazione di debolezza del soggetto passivo), bensì alla preoccupazione di evitare di subordinare la possibilità di perseguire il reato alla manifestazione di volontà di un soggetto privo della necessaria capacità d’autodeterminazione. Il che, peraltro, non equivale comunque ad introdurre presunzioni di incapacità e dunque di procedibilità d’ufficio: come chiarito da autorevole dottrina, la “ratio della disposizione richiede, in ogni caso, una vera e propria condizione di incapacità di querelare, associata all’età o all’infermità, che, in concreto e a tutela della persona offesa, renda opportuno che lo Stato proceda comunque”[9].

Si potrebbe dire che, rispetto alla condizione ostativa in discorso, si profilano le due seguenti opzioni ermeneutiche: una per così dire “sostantiva” e una per così dire “procedurale”.

La prima l’avvicina alla circostanza aggravante della minorata difesa: in relazione a talune ipotesi di reato ordinariamente procedibili a querela, la situazione di particolare vulnerabilità della vittima, dovuta all’età (giovane o avanzata) o alla patologia (psichica o fisica), ove concretamente sfruttata dall’agente, farebbe scattare la procedibilità d’ufficio. Questa sarebbe fondata non sulla carenza d’autodeterminazione della persona offesa in rapporto all’esercizio del diritto di querela ma piuttosto su di un profilo di accresciuto disvalore del fatto di reato, in quanto commesso abusando di una condizione di inferiorità della vittima. A ben vedere, accedendo a questa lettura, il regime di procedibilità viene a dipendere dal riconoscimento da parte del giudice della «circostanza prevista dall’articolo 61, primo comma, numero 5, limitatamente all’aver approfittato di circostanze di persona» (come recita testualmente l’art. 640-ter, co. 4, c.p.)[10], non sembrando esservi margini effettivi di differenziazione tra l’aggravante e la condizione ostativa (quest’ultima si porrebbe come sotto-fattispecie della norma circostanziale): se la prima è integrata (limitatamente all’abuso delle condizioni di persona legate all’età o all’infermità), la procedibilità a querela verrà meno; se ricorre la seconda, significa che il fatto risulta aggravato ai sensi dell’art. 61, co. 1, n. 5, c.p.

L’interpretazione “procedurale”, invece, tralascia il momento di concretizzazione del fatto-reato e si focalizza sul post factum, mettendo alla fine in correlazione la condizione ostativa in parola con quella di cui all’art. 152, co. 4, c.p.: come la remissione tacita per mancata comparizione della persona offesa chiamata a testimoniare «non si applica quando il querelante è persona incapace per ragioni, anche sopravvenute, di età o di infermità, ovvero persona in condizione di particolare vulnerabilità», similmente la querela non avrebbe il ruolo di condizione di procedibilità nelle ipotesi di persona offesa «incapace, per età o per infermità». Ai fini della ‘autonomia’ del procedimento dalla volontà punitiva del soggetto passivo non rileverebbe la particolare gravità del reato, commesso approfittando della ridotta capacità di autodifesa della vittima, bensì il difetto di “capacità d’agire” di quest’ultima in ordine all’attivazione (o permanenza, nell’ipotesi di cui all’art. 152, co. 4, c.p.) della condizione di procedibilità.

Orbene, come è stato recentemente rilevato, gli artt. 120 e 121 c.p. apprestano già una articolata disciplina per l’esercizio del diritto di querela dell’incapace: «Per i minori degli anni quattordici e per gli interdetti a cagione d’infermità di mente, il diritto di querela è esercitato dal genitore o dal tutore» (art. 120, co. 2, c.p.); «I minori che hanno compiuto gli anni quattordici e gli inabilitati possono esercitare il diritto di querela e possono altresì, in loro vece, esercitarlo il genitore ovvero il tutore o il curatore» (art. 120, co. 3, c.p.); inoltre «Se la persona offesa è minore degli anni quattordici o inferma di mente, e non v’è chi ne abbia la rappresentanza, ovvero chi l’esercita si trovi con la persona medesima in conflitto di interessi, il diritto di querela è esercitato da un curatore speciale» (art. 121 c.p.)[11]; sicché viene “da chiedersi perché il legislatore abbia sentito l’esigenza di […] sottrarre alla disciplina di cui agli artt. 120 e 121 c.p., pur sempre richiedente la querela, tutti e soli i reati la cui procedibilità è stata modificata dalla riforma in commento, rendendoli perseguibili d’ufficio”[12]. Vero che la riforma esprime “la volontà di ampliare l’ambito di tutela rispetto a quello tracciato dagli artt. 120 e 121 c.p.”[13], i quali ultimi non contemplano espressamente l’ipotesi dell’incapace senile né quella dell’incapace per infermità fisica, tuttavia la secca previsione della procedibilità officiosa rischia di determinare un irrigidimento eccessivo della disciplina, che secondo taluno appare non solo disfunzionale rispetto all’obiettivo deflativo di fondo ma addirittura velata da dubbi di costituzionalità[14].

Tutto considerato, appare forse più opportuno lasciare il profilo di tutela “procedurale” agli artt. 120 e 121 c.p. e 338 c.p.p., i quali d’altronde sembrano poter ricomprendere anche i casi di incapacità per età avanzata e per malattia fisica rilevanti in questa sede. Considerato che, come detto, la condizione senile, così come quella patologica, non rileva di per sé, ‘in astratto’, ma solo ove incida concretamente sulla capacità di presentare querela[15], si può sostenere che in presenza di una persona offesa talmente anziana o malata da non poter esercitare consapevolmente il diritto di querela, al di fuori dei casi di interdizione o inabilitazione (regolati all’art. 120 c.p.), possa attivarsi il meccanismo previsto all’art. 121 c.p. per la persona offesa «inferma di mente» e priva di rappresentanza. Da tempo la giurisprudenza interpreta la locuzione, rilevante ai fini degli artt. 121 c.p. e 338 c.p.p., come indicativa della incapacità naturalistica (al di fuori appunto dai casi di capacità d’agire assente o ridotta accertata in sede civile)[16]: se il soggetto passivo del reato è privo della concreta capacità di esercitare il diritto di querela e non v’è chi già lo rappresenti (tutore, curatore od anche amministratore di sostegno espressamente investito dal giudice tutelare del potere di querelare), il Giudice per le indagini preliminari procederà all’uopo con la nomina del «curatore speciale».

Ciò comporta che le ipotesi di procedibilità officiosa conseguenti alla incapacità per età o infermità della vittima, introdotte dalla L. n. 3/2019 e disseminate dal D.lgs. n. 150/2022, andranno interpretate come ipotesi di particolare gravità del fatto criminoso, in quanto perpetrato sfruttando una situazione di “minorità” del soggetto passivo. Si può ritenere che la locuzione «se il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità» (che esclude la procedibilità a querela) nella sostanza costituisca un rinvio all’art. 61, co. 1, n. 5, c.p., nella parte in cui considera l’approfittamento delle condizioni personali della vittima. Insomma, si tratterebbe di una circostanza concomitante alla condotta tipica e strettamente legata a questa, la qual circostanza, al pari di molte altre, determina l’effetto contra reum di passare dalla procedibilità a querela a quella d’ufficio.

 

[1] Meccanismo, come noto, mutuato dalla prassi giurisprudenziale: v. Cass., S.U., 23 giugno 2016 (dep. 21 luglio 2016), Pastore.

[2] Questione simile pare porsi in riferimento al delitto di minaccia (nuovo terzo comma dell’art. 612 c.p.); cfr. O.C. Artale-L. Bin, Gli interventi di procedibilità a querela, in D. Castronuovo-M. Donini-E.M. Mancuso-G. Varraso (a cura di), Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, Cedam-Wolters Kluwer, 2023, p. 195 s.

[3] Su tale eccezione v. le osservazioni critiche di G.L. Gatta, L’estensione del regime di procedibilità a querela nella Riforma Cartabia e la disciplina transitoria dopo la L. n. 199/2022, in Sistema penale, 2 gennaio 2023, par. 4; e O.C. Artale-L. Bin, op. cit., p. 167.

[4] E forse anche in riferimento a quello di minaccia; v. supra, nota 2.

[5] Che portò a conservare la procedibilità d’ufficio, tra gli altri reati, per le lesioni stradali “semplici” (art. 590-bis, co. 1, c.p.) o per la procurata incapacitazione ex art. 613 c.p.; per una veemente critica a tale interpretazione del criterio direttivo: A. Gargani, Riforma Orlando: la modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati, in Dir. pen. proc., 5/2018, par. 7.

[6] Artt. 640, co. 3, e 640-ter, co. 4, c.p. e art. 646 c.p., ove ricorra l’aggravante speciale del possesso a titolo di deposito necessario o quella comune dell’abuso di autorità o di relazioni domestiche, di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione o di ospitalità.

[7] C. Ambrosino, Art. 649 bis, in E. Dolcini-G.L. Gatta (a cura di), Codice penale commentato, Ipsoa-Wolters Kluwer, 2021, p. 2910.

[8] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, p. 320.

[9] G.L. Gatta, op. cit., par. 4. Anche per O.C. Artale-L. Bin, op. cit., p. 167, la preclusione è “posta evidentemente a tutela di quei soggetti più vulnerabili che, non essendo capaci di una piena volontà giuridicamente rilevante, rischierebbero di esercitare o non esercitare il diritto di querela in proprio danno”. Secondo G. Dodaro, Le modifiche alla disciplina della querela, in Dir. pen. proc., 1/2023, par. 17, “L’esclusione della querela si può spiegare in ragione sia della maggior offensività del reato, sia della condizione di particolare debolezza del soggetto passivo, rispetto al quale è particolarmente avvertita l’esigenza di garantire una tutela incondizionata, ritenendosi a rischio l’autonomia della scelta di presentare querela”.

[10] A prescindere ovviamente da una eventuale soccombenza della circostanza nel giudizio di bilanciamento.

[11] Disciplina completata a livello procedurale dall’art. 338 c.p.p., il quale tra l’altro, esprimendo un chiaro (giustificato) favor querelae, stabilisce che «il termine per la presentazione della querela decorre dal giorno in cui è notificato al curatore speciale il provvedimento di nomina». Similmente, per i casi di persona offesa infraquattordicenne o interdetta, in base ad una lettura combinata degli artt. 120, co. 2, e 124, co. 1, c.p., è da ritenere che il termine per proporre querela decorra dal momento in cui la «notizia del fatto che costituisce reato» giunge al rappresentante a cui l’ordinamento conferisce l’esercizio del diritto di querela. Anche sotto il profilo temporale (del rischio di tardività della querela), dunque, la condizione di incapacità della vittima non sembra richiedere necessariamente la previsione della procedibilità d’ufficio.

[12] O.C. Artale-L. Bin, op. cit., p. 168.

[13] O.C. Artale-L. Bin, op. cit., loc. cit.

[14] G. Dodaro, op. cit., loc. cit., il quale precisa che “La persona offesa, incapace, di fatto o di diritto, al momento del reato, è privata, in via assoluta e definitiva, non solo della possibilità di influire sull’apertura del procedimento penale ma anche di determinarne la chiusura anticipata mediante la remissione della querela, che gli viene preclusa in ragione di uno stato soggettivo, che potrebbe essere anche transitorio e non più sussistente a distanza di tempo dal fatto perché venuto meno nel corso del giudizio”.

[15] V. supra, in questo paragrafo.

[16] Cfr. I. Scordamaglia, Art. 121, in T. Padovani (a cura di), Codice penale, Giuffrè Francis Lefebvre, 2019, p. 880; M. Deganello, Art. 338, in G. Illuminati-L. Giuliani (a cura di), Commentario breve al codice di procedura penale, Cedam-Wolters Kluwer, 2020, p. 1633.