Cass. sez. III, sent. 4 aprile 2023 (dep. 2 maggio 2023), n. 18029, Pres. Ramacci, est. Corbetta; Cass. sez. III, sent. 24 maggio 2023 (dep. 28 giugno 2023), n. 28031, Pres. Sarno, est. Scarcella; Cass. sez. III sent. 24 maggio 2023 (dep. 28 giugno 2023), n. 28033, Pres. Sarno, est. Gai.
*Contributo pubblicato nel fascicolo n. 7-8/2023.
1. Segnaliamo ai lettori tre recenti sentenze della Corte di cassazione, depositate a breve distanza di tempo l’una dall’altra, che presentano alcuni interessanti passaggi in tema di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Si tratta di pronunce meritevoli di attenzione in quanto i giudici di legittimità si confrontano con il testo dell’art. 131-bis c.p. così come novellato dal d.lgs. 150/2022 (c.d. riforma Cartabia), soffermandosi in particolare sull’intervento additivo che ha inserito la “condotta susseguente al reato” tra i criteri di valutazione del carattere di particolare tenuità dell’offesa.
2. Come noto, la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. è stata introdotta per assolvere una duplice funzione: da un lato, ampliare l'ambito della non sanzionabilità di determinate condotte che, pur astrattamente integranti gli estremi di un reato, abbiano cagionato un’offesa contenuta, sicché l’esenzione dalla pena persegue finalità strettamente connesse ai principi di proporzione e di extrema ratio della risposta punitiva; dall’altro lato, realizzare effetti positivi sul piano deflattivo, sfoltendo l’elevata quantità di procedimenti penali.
L’art. 1, co. 1, lett. c), n. 2, d.lgs. 150/2022 è intervenuto sull’art. 131-bis c.p. seguendo tre principali direttrici: i) è stato ampliato l’ambito di applicazione dell’istituto ai reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, abbandonando il parametro del massimo edittale di cinque anni previsto dalla previgente formulazione; ii) è stata attribuita rilevanza, in ordine alla valutazione della particolare tenuità dell’offesa, alla condotta susseguente al reato; iii) è stato escluso ex lege il carattere di particolare tenuità dell’offesa in relazione a determinati reati elencati all’art. 131-bis, co. 3, c.p.
Per quanto concerne l’intervento indicato sub ii) – su cui in questa sede, come anticipato, ci si intende focalizzare –, va rammentato che la modifica normativa, volta ad ampliare l’ambito di applicazione della causa di non punibilità, si è resa necessaria per superare l’orientamento giurisprudenziale che, nella formulazione pre-riforma dell’art. 131-bis c.p., escludeva il rilievo della condotta susseguente al reato ai fini della valutazione della tenuità dell’offesa[1].
Il riferimento alla “condotta susseguente al reato”, quale inedito indice per valutare la tenuità dell’offesa, è invero ampio, come riconosce la stessa Relazione illustrativa al d.lgs. 150/2000, in cui si spiega che «si è così inteso non limitare la discrezionalità del giudice che, nel valorizzare le condotte post delictum, potrà d’altra parte fare affidamento su una locuzione elastica – “condotta susseguente al reato” – ben nota alla prassi giurisprudenziale»[2]. Così, nell’alveo della condotta susseguente al reato potranno rientrare le restituzioni, il risarcimento (anche parziale) del danno, le condotte riparatorie, l’accesso a programmi di giustizia riparativa, etc.
È evidente che l’apertura al criterio della condotta susseguente al reato trovi il proprio rationale nel potenziamento di forme di giustizia lato sensu riparativa, su cui la riforma Cartabia ha tanto puntato e che viene a fungere da trait d’union dei vari interventi apportati, ivi compresi quelli in materia di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
In ogni caso, poiché l’introduzione del nuovo indice di valutazione amplia la portata della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., la nuova formulazione della norma è applicabile retroattivamente, ossia anche ai reati commessi prima del 30 dicembre 2022[3].
3. L’entrata in vigore della riforma Cartabia è stata accompagnata da una prolifica produzione dottrinale, la quale, profondendosi in approfonditi e interessanti commenti alla novella normativa, ha messo in luce alcune questioni di ambigua soluzione, su cui la giurisprudenza è chiamata a prendere posizione.
Compito che i giudici, compresi quelli di legittimità, hanno già iniziato ad assolvere. Infatti, a distanza di qualche mese dalla vigenza del nuovo art. 131-bis c.p., la Corte di cassazione ha avuto modo di esprimersi sui connotati e sulla portata del nuovo indice-criterio della “condotta susseguente al reato”, pervenendo ad alcune conclusioni di particolare interesse.
Nel dettaglio, le pronunce a cui si fa riferimento – tutte della Terza Sezione – sono la sent. 4 aprile 2023 (dep. 2 maggio 2023), n. 18029, la sent. 24 maggio 2023 (dep. 28 giugno 2023), n. 28031, e la coeva sent. 24 maggio 2023 (dep. 28 giugno 2023), n. 28033.
3.1. La vicenda alla base della sent. 18029/2023 riguardava il caso di un datore di lavoro che, a seguito di ispezione, risultava responsabile della violazione delle disposizioni poste a tutela della sicurezza dei luoghi di lavoro previste, in combinato disposto, dall’art. 63, co. 1, e dall’Allegato IV, par. 1.11.2.4, d.lgs. 81/2008; violazione da cui deriva la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 64, co. 1, lett. a), d.lgs. 81/2008. Conseguentemente, veniva condannato alla pena di 2.000 euro di ammenda.
Il giudice di merito, infatti, aveva negato il riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p., sulla base di due argomenti: in primo luogo, benché l’imputato avesse eliminato le conseguenze pericolose della violazione commessa (segnatamente, effettuando lavori di messa in sicurezza dei locali), tuttavia non aveva pagato l’oblazione; in secondo luogo, il fatto di reato aveva effettivamente leso o messo in pericolo l’incolumità dei lavoratori.
A seguito del ricorso proposto dalla difesa dell’imputato, la Corte di cassazione ha ritenuto manifestamente illogica la motivazione della sentenza di merito. Da un lato, i giudici di legittimità evidenziano che l’avvenuto pagamento dell’oblazione avrebbe determinato – ai sensi dell’art. 162-bis c.p. – l’estinzione del reato e che, dunque, costituisce un elemento del tutto inconferente ai fini della valutazione della gravità dell’offesa. Dall’altro lato, la Corte sottolinea come la lesione o la messa in pericolo del bene giuridico tutelato sia conditio sine qua non per la sussistenza di qualsiasi reato, e che la stessa causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. postula l’esistenza di un fatto offensivo, che il legislatore ritiene non meritevole di sanzione penale in ragione della tenuità dell’offesa stessa.
La Corte richiama poi il rilievo attribuito nel novellato art. 131-bis c.p. alla condotta susseguente al reato. Innanzitutto, i giudici di legittimità osservano che, per effetto della modifica normativa, «la condotta post factum è uno – ma non certamente l’unico, né il principale – degli elementi che il giudice è chiamato ad apprezzare ai fini del giudizio avente ad oggetto l’offesa».
Viene poi ritenuto che, in virtù dell’ampia locuzione impiegata dal legislatore, il giudice possa valutare «una vasta gamma di condotte definite solo dal punto di vista cronologico-temporale, dovendo essere “susseguenti” al reato, ed evidentemente in grado di incidere sulla misura dell’offesa».
La Corte prosegue con le proprie considerazioni sulla nuova formulazione della norma annotando un interessante obiter dictum, ritenendo in particolare che il nuovo indice di valutazione inserito all’art. 131-bis c.p. rilevi «non solo nel caso in cui le condotte susseguenti riducano il grado dell’offesa […] ma anche, e specularmente, quando delle condotte aggravino la lesione – inizialmente “tenue” – del bene protetto».
Infine, richiamando quanto esposto nella Relazione illustrativa al d.lgs. 150/2022, viene osservato che la condotta susseguente al reato acquista rilievo non come esclusivo e autosufficiente indice di tenuità dell’offesa, bensì come ulteriore criterio rispetto a quelli contemplati dall’art. 133, co. 1, c.p. (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e ogni altra modalità dell’azione; gravità del danno o del pericolo; intensità del dolo o della colpa). In altri termini – conclude la Corte – «le condotte post delictum non potranno di per sé sole rendere di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento della commissione del fatto – dando così luogo a una sorte di esiguità sopravvenuta di un’offesa in precedenza non tenue – ma […] potranno essere valorizzate nel complessivo giudizio sulla misura dell’offesa, giudizio in cui rimane centrale, come primo termine di relazione, il momento della commissione del fatto, e, quindi, la valutazione del danno o del pericolo verificatisi in conseguenza della condotta».
3.2. Per quanto concerne la vicenda alla base della sent. 28031/23, l’imputato era stato riconosciuto colpevole del reato di omesso versamento IVA ex art. 10-ter d.l.gs. 74/2000, avendo omesso di corrispondere l’imposta dovuta per un importo superiore quasi al triplo (circa 710.000 euro) della soglia di punibilità.
La difesa dell’imputato proponeva ricorso lamentando – tra i vari motivi di doglianza – il mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, rappresentando che, nelle more del procedimento, l’imputato medesimo aveva provveduto all’integrale pagamento rateale del debito erariale.
La Corte ha ritenuto fondato il motivo di ricorso, valorizzando il nuovo ruolo assegnato dal d.lgs. 150/2022 alla condotta susseguente al reato ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p.
Nel proprio iter argomentativo, la Corte ripercorre molte considerazioni già svolte nella precedente sent. 18029/23. In particolare, viene ritenuto che: i) per effetto della riforma, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto acquista rilievo anche la condotta dell’imputato successiva al reato; ii) nondimeno, la condotta susseguente al reato non può, per sé sola, rendere di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento del fatto, potendo essere valorizzata solo nell’ambito del giudizio complessivo sull’entità dell’offesa recata, da effettuarsi alla stregua dei parametri di cui all’art. 133, co. 1, c.p.; iii) la condotta susseguente al reato può incidere sulla misura dell’offesa anche aggravando la lesione, inizialmente tenue, del bene giuridico tutelato.
I giudici di legittimità osservano quindi che, nello specifico caso sottoposto al loro scrutinio, «la condotta susseguente al reato (che, ove intervenuta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, avrebbe certamente consentito l’applicabilità dell’altra speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000), ha sostanzialmente neutralizzato la gravità dell’offesa […] provocata all’Erario».
La mancata valutazione di tale circostanza da parte dei giudici di merito imporrebbe pertanto, secondo la Corte, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice d’appello per una rinnovata valutazione del fatto (esito tuttavia precluso dal decorso del termine di prescrizione del delitto, che ha imposto una declaratoria di annullamento senza rinvio per estinzione del reato, più favorevole all’imputato rispetto all’esclusione della punibilità ex art. 131-bis c.p.).
3.3. Infine, anche la sent. 28033/23 si confronta con il nuovo criterio della “condotta susseguente al reato”, svolgendo tuttavia alcune considerazioni peculiari rispetto a quelle delle due pronunce indicate poc’anzi.
La vicenda fattuale da cui aveva tratto origine il procedimento riguardava il caso di due persone ritenute responsabili del reato di cui agli artt. 110 c.p. e 1231 cod. nav. perché, in concorso tra loro, intercettate mentre stavano svolgendo attività di pesca in uno specchio d’acqua interdetto per ragioni di sicurezza alla navigazione, alla balneazione e alle immersioni (in quanto antistante a un’idrovora), si erano dati alla fuga.
I difensori lamentavano violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., perché – da un lato – era stata valutata negativamente, come condotta susseguente, la circostanza che gli imputati si erano dati alla fuga e – dall’altro lato – non si era tenuto invece conto di condotte successive valorizzabili favorevolmente per gli imputati medesimi.
La Corte, nel ritenere infondate le censure difensive, richiama preliminarmente le conclusioni a cui erano pervenute le Sezioni Unite Tushaj[4], osservando in particolare che, secondo l’insegnamento del supremo consesso nomofilattico, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. occorre avere riguardo al fatto storico e, in particolare, all’entità del suo complessivo disvalore.
Ciò rammentato, i giudici osservano che l'inseguimento avvenuto in mare, determinato dalla fuga degli imputati, aveva di fatto prolungato la violazione della sicurezza marittima, costituendo un perpetrarsi ulteriore del pericolo opposto al corretto svolgimento delle attività di navigazione. La fuga degli imputati, dunque, non era stata una condotta susseguente al reato, bensì un comportamento che insisteva nella commissione dello stesso: «la fuga posta in essere dagli imputati costituisce una modalità della condotta concretamente realizzata nel compimento della violazione di cui all’art. 1231 cod. nav. che connota in termini negativi il giudizio di tenuità dell’offesa e del pericolo».
Di particolare interesse è l’ultimo paragrafo della parte motiva della sentenza, in cui la Corte chiosa sull’irrilevanza, nel caso concreto, di eventuali condotte susseguenti al reato, atteso che – secondo i giudici di legittimità – la particolare tenuità dell’offesa era già esclusa dalle modalità esecutive del comportamento pericoloso degli imputati. In altri termini, accertata la non esiguità dell’offesa, per la Corte non ha senso valutare eventuali condotte susseguenti, giacché non sarebbero suscettibili di mutare la valutazione dell’offesa compiuta alla luce degli altri indici previsti dall’art. 133, co. 1, c.p. (a cui l’art. 131-bis c.p. rinvia).
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4. Dalla lettura delle pronunce di cui si è dato brevemente conto, confrontate con la Relazione illustrativa al d.lgs. 150/2022 e con i primi commenti dottrinali alla riforma, emergono alcune questioni “problematiche”, tali perché il testo della norma si presta a soluzioni invero dissimili.
In particolare, a noi sembrano quattro i principali quesiti che, all’indomani della nuova formulazione dell’art. 131-bis c.p. (con particolare riferimento all’introduzione del criterio della “condotta susseguente al reato” per valutare la tenuità dell’offesa), si pongono all’attenzione dell’interprete:
4.1. Per quanto concerne il primo quesito, tra i primi commentatori è stato osservato che il comportamento del reo successivo al fatto si caratterizza per due possibili direzioni, potendo esso esprimere tanto un indice del bisogno rieducativo, in un’ottica finalistica, quanto un indice della stessa offesa stricto sensu, in un’ottica riparativa[5].
È opportuno evidenziare fin da subito che la Relazione illustrativa al d.lgs. 150/2022 chiarisce come il mancato riferimento, nel testo novellato della norma, all’art. 133, co. 2, c.p. sia stata un’omissione intenzionale, per non introdurre nella valutazione di particolare tenuità dell’offesa elementi che vengono propriamente presi in considerazione in sede di commisurazione della pena, quali indici da cui desumere la capacità a delinquere del reo. Si legge infatti nella Relazione illustrativa: «nel diverso contesto della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., la condotta susseguente al reato non viene in considerazione come indice della capacità a delinquere dell’agente, bensì, secondo l’intenzione della legge delega, quale criterio che, nell’ambito di una valutazione complessiva, può incidere sulla valutazione del grado dell’offesa al bene giuridico tutelato, concorrendo a delineare un’offesa di particolare tenuità»[6].
Tale impostazione riconduce dunque i requisiti dell’esiguità del danno o del pericolo e delle modalità della condotta, compresa quella successiva al reato, a elementi che attengono sempre al disvalore oggettivo del fatto e che focalizzano lo sguardo sul grado di lesione o esposizione a pericolo del bene giuridico tutelato.
Tuttavia, la dottrina si è espressa in senso radicalmente opposto a quello palesato dal legislatore della riforma, ritenendo infatti che, con l’attribuzione di rilevanza alla condotta susseguente al reato, nel giudizio di particolare tenuità dell’offesa debbano essere presi in considerazione anche indici sintomatici della capacità a delinquere del reo[7].
Segnatamente, si ritiene che il giudice possa valutare il bisogno rieducativo del reo, alla luce della condotta susseguente al reato, già nell’alveo dell’art. 131-bis c.p., la cui ratio sarebbe rinvenibile non solo in esigenze di deflazione processuale, ma anche nel rispetto del principio costituzionale di proporzionalità e di meritevolezza della pena[8]. In altri termini, il rilievo alla condotta post factum dovrebbe essere valorizzato in prospettiva di prevenzione speciale positiva, di talché il fatto possa essere ritenuto particolarmente tenue laddove non vi siano esigenze di rieducazione[9].
Nelle pronunce qui segnalate, la Corte di cassazione non si esprime sulla questione, benché nella sent. 28031/23 pare ravvisarsi un (fumoso) riferimento alla valutazione della capacità a delinquere del reo, laddove viene posto l’accento sul fatto che l’imputato avesse «dimostrato con il proprio comportamento la volontà di assolvere il debito tributario»; circostanza che, a ben vedere, non incide minimamente sull’entità della lesione cagionata, limitandosi semmai a manifestare la resipiscenza del contribuente.
In attesa di future pronunce che possano far luce sulla questione, a noi pare tuttavia potersi affermare che il riconoscimento, da parte della dottrina, di un ruolo alla capacità a delinquere del reo nell’ambito della valutazione di tenuità dell’offesa rappresenta una impostazione ermeneutica non condivisibile.
La causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis c.p., infatti, è incentrata sul dato, eminentemente oggettivo, della tenuità dell’offesa. E, benché l’accertamento concreto del grado dell’offesa possa essere difficoltoso, tuttavia a livello logico si prospetta un’alternativa in realtà molto semplice: o l’offesa è tenue, o non lo è. Tertium non datur. Attribuire valenza alla capacità a delinquere dell’agente nell’ambito dell’art. 131-bis c.p. è fuorviante, poiché trapianta valutazioni incentrate sulla persona del reo in un istituto a vocazione essenzialmente oggettiva, rischiando pertanto di snaturarne il fondamento[10]. Né, d’altra parte, diversamente opinando, si perviene ad esiti sconosciuti all’ordinamento, atteso infatti che l’art. 131-bis c.p. non è l’unica norma che esclude (lato sensu) la punibilità in virtù di valutazioni di esclusiva matrice oggettivistica: si pensi, a tal proposito, alla disciplina del reato impossibile ex art. 49, co. 2, c.p.
Peraltro, richiedere che il giudice, nell’ambito del giudizio ex art. 131-bis c.p., tenga conto anche della capacità a delinquere del reo – manifestata da condotte susseguenti al reato – sembrerebbe aprire le porte a conseguenze poco desiderabili. Infatti, se la valutazione della condotta susseguente al reato, e con essa della capacità a delinquere del reo, trova una sua condivisibile giustificazione in sede di commisurazione della pena ex art. 133, co. 2, c.p., assolvendo il compito di parametrare il quantum di pena in funzione delle esigenze di proporzionalità e meritevolezza della pena medesima (ma pur sempre entro i limiti legali imposti dal legislatore, unico legittimo detentore della potestà punitiva), diversamente, laddove tale giudizio voglia essere impiantato anche nell’alveo dell’art. 131-bis c.p., si consegnerebbe nelle mani del giudice l’abnorme potere discrezionale di determinare l’an di pena alla luce di valutazioni attinenti alla personalità del reo. Un potere che, a tacer d’altro, correrebbe il concreto rischio di essere esercitato, più che discrezionalmente, arbitrariamente.
Infine, merita di essere osservato che, pur nella prospettiva da noi propugnata, residuerebbero comunque margini per valorizzare in positivo o in negativo, in seno all’art. 131-bis c.p., condotte susseguenti al reato che manifestino una minore o maggiore capacità a delinquere dell’agente. Il pensiero, in particolare, va a quelle ipotesi in cui il comportamento post delictum, oltre a sottendere una particolare pervicacia criminale ovvero una revisione critica di quanto realizzato, sia altresì indicatore del grado di intensità del dolo al momento della commissione del fatto; intensità del dolo che, rientrando tra gli indici contemplati dall’art. 133, co. 1, c.p., ben potrà essere presa in considerazione nella valutazione sulla tenuità dell’offesa.
4.2. Il secondo quesito attiene alla possibilità di riconoscere alla condotta susseguente al reato la capacità di determinare per sé sola la particolare tenuità dell’offesa cagionata.
La risposta fornita dalla Relazione illustrativa al d.lgs. 150/2022 è inequivocabilmente negativa: «condotte post delictum, come quelle riparatorie o ripristinatorie, non potranno di per sé sole rendere l’offesa di particolare tenuità – dando luogo a una esiguità sopravvenuta di un’offesa in precedenza non tenue – ma potranno essere valorizzate nel complessivo giudizio di tenuità dell’offesa, che, dovendo tener conto delle modalità della condotta (contemporanea al reato), ha come necessario e fondamentale termine di relazione il momento della commissione del fatto»[11].
Secondo le intenzioni del legislatore della riforma, dunque, al comportamento post factum non è attribuito rilievo autonomo; esso viene invece ad assumere le vesti di requisito ancillare rispetto all’esiguità del danno o del pericolo e alle modalità della condotta. E infatti – si legge nella Relazione illustrativa – la condotta susseguente al reato tuttalpiù «potrà essere valorizzata per valutare/confermare la tenuità di un’offesa che già appare tale»[12].
Questa impostazione viene condivisa dalla Corte di cassazione in tutte e tre le sentenze qui segnalate. Nella sent. 18029/23 si legge, con parole in larga parte mutuate dalla Relazione illustrativa, che «le condotte post delictum non potranno di per sé sole rendere di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento della commissione del fatto – dando così luogo a una sorta di esiguità sopravvenuta di un’offesa in precedenza non tenue – ma […] potranno essere valorizzate nel complessivo giudizio sulla misura dell’offesa, giudizio in cui rimane centrale, come primo termine di relazione, il momento della commissione del fatto, e, quindi, la valutazione del danno o del pericolo verificatisi in conseguenza della condotta». Negli stessi termini si esprime anche la sent. 28031/23.
Nella sent. 28033/23, la Corte abbraccia l’assunto in una diversa prospettiva (pur pervenendo a un esito concettuale analogo), ritenendo infatti che, una volta esclusa la particolare tenuità dell’offesa alla luce degli indici riferiti al momento della commissione del fatto, sarebbe del tutto superfluo confrontarsi con eventuali condotte successive, non potendo comunque queste ribaltare il giudizio di non tenuità già svolto.
Tale soluzione è condivisa da parte della dottrina, secondo cui il giudizio di tenuità dell’offesa ex art. 131-bis c.p. assumerebbe una struttura bifasica: dapprima andrebbe accertato che, per l’esiguità del danno o del pericolo e per le modalità della condotta, valutate alla luce dei criteri di cui all’art. 133, co. 1, c.p., l’offesa sia di particolare tenuità; solo qualora l’esito di tale accertamento sia positivo, occorrerebbe ulteriormente prendere in considerazione la condotta del reo susseguente al reato, per verificare se il comportamento successivo dell’agente confermi o rafforzi l’ipotesi di particolare tenuità dell’offesa, ovvero la rovesci[13].
In questa prospettiva, tuttavia, come è stato prontamente sottolineato, la rilevanza della condotta susseguente al reato rischia di limitare, anziché ampliare, l’ambito applicativo dell’art. 131-bis c.p., in netto contrasto con lo spirito dell’intervento riformatore[14]. Infatti, in relazione ai fatti per cui, prima della riforma, sarebbe stata riconosciuta la non punibilità per particolare tenuità dell’offesa, il nuovo criterio della condotta susseguente al reato – nell’interpretazione proposta dalla Relazione illustrativa e accolta dalla Cassazione – può incidere in due modi: o confermando la valutazione di particolare tenuità, di talché l’indice della condotta susseguente si risolverebbe in un evidente pleonasmo; oppure ribaltando la valutazione sull’entità dell’offesa, così escludendo l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. a ipotesi per cui, prima della riforma, l’istituto sarebbe stato invece applicabile.
A noi pare che la questione si presti a una soluzione relativamente agevole.
Se la preoccupazione del legislatore e della giurisprudenza è quella di scongiurare una valorizzazione indiscriminata di condotte successive al reato (magari poste surrettiziamente in essere al precipuo scopo di scampare alla pena) in relazione all’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., allora potrebbe essere sufficiente il richiamo all’esigenza che il giudizio di particolare tenuità dell’offesa involga una valutazione complessiva di tutti gli indici espressi dalla norma. Per accertare l’entità dell’offesa, cioè, il giudice deve prendere in considerazione tutti i criteri indicatigli dalla legge, soppesando l’incidenza di ciascuno di essi sulla gravità dell’offesa e valutando quindi se essa, all’esito di un bilanciamento tra i vari indici, possa o meno essere considerata particolarmente tenue. Si pensi ad esempio al caso di chi commetta il furto di un bene di non modico valore, sottraendolo al legittimo proprietario con modalità subdole, di notte e in un luogo appartato, ma che, subito dopo aver commesso il fatto, restituisca il bene asportato alla persona offesa. Ora: il comportamento al momento del fatto escluderebbe la tenuità dell’offesa e, se per ciò solo non si potesse prendere in considerazione la condotta susseguente al reato, precluderebbe l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. Si tratterebbe, tuttavia, di un esito infelice, atteso infatti che la condotta susseguente al reato ha, di fatto, eliminato totalmente l’offesa precedentemente cagionata.
In sintesi, non ci pare allarmante riconoscere alla condotta susseguente al reato la capacità di incidere sull’entità dell’offesa in modo tale da rendere quest’ultima particolarmente tenue, purché ciò avvenga nell’ambito di una valutazione complessiva di tutti gli indici previsti dalla legge e all’esito di un attento bilanciamento delle risultanze di ciascuno di essi. Così, una condotta successiva con effetti mitiganti sull’entità dell’offesa non implicherà automaticamente il riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., laddove l’offesa, alla luce degli altri criteri, rimanga comunque non tenue.
4.3. Il terzo quesito riguarda la possibilità di dare rilievo a condotte susseguenti al reato che escludano l’esiguità dell’offesa espressa da un fatto che, tuttavia, era originariamente tenue.
Prendendo ancora una volta le mosse dalla Relazione illustrativa al d.lgs. 150/2022, si legge che «la condotta susseguente al reato è apprezzabile, rispetto all’art. 131 bis c.p., solo quando concorre alla tenuità dell’offesa e non anche quando, al contrario, aggrava l’offesa stessa»[15].
Sennonché, sia la Corte di cassazione (nelle sentenze qui annotate) sia parte della dottrina hanno affermato – pur seguendo argomentazioni diverse – l’esatto contrario.
Per quanto riguarda la posizione della Cassazione, nella sent. 18029/23 si afferma che il giudice deve prendere in considerazione le condotte susseguenti al reato non solo quando «riducano il grado dell’offesa […] ma anche, e specularmente, quando delle condotte aggravino la lesione – inizialmente “tenue” – del bene protetto». Con le medesime parole si esprime poi anche la sent. 28031/23.
La posizione della dottrina, invece, è tributaria dell’impostazione che traduce il rilievo attribuito alla condotta susseguente al reato nella necessità di valutare la capacità a delinquere del reo. In questa prospettiva, in effetti, si potrebbe ritenere che, laddove l’atteggiamento successivo dell’agente, pur a fronte di un’offesa tenue, sveli il concreto bisogno di trattamento sanzionatorio (desumibile, per esempio, da atteggiamenti sprezzanti, dal rifiuto di riparare il danno, o da comportamenti che contribuiscono a deteriorare i rapporti tra vittima e colpevole) non potrebbe essere esclusa la punibilità ex art. 131-bis c.p.[16].
È tuttavia evidente che, laddove si ritenesse – come ci pare corretto e come si legge nella Relazione illustrativa al d.lgs. 150/2022 – che la condotta susseguente non debba essere valutata quale indice della capacità a delinquere del reo ma solo come elemento che può incidere sull’entità dell’offesa, allora verrebbe meno il fondamento su cui poggiano le osservazioni dottrinali poc’anzi riportate.
Non viene tuttavia eliso il problema, soprattutto alla luce delle pronunce della Corte di cassazione, in cui, invece che riferirsi all’atteggiamento soggettivo post factum dell’agente, si dà rilievo all’ipotesi in cui la condotta susseguente determini un aggravamento della lesione al bene giuridico tutelato.
Invero, non sembrano sussistere ostacoli di ordine logico o sistematico all’interpretazione fornita dai giudici di legittimità. Siccome il giudizio sull’entità dell’offesa implica una valutazione complessiva e unitaria di tutti gli indici individuati dall’art. 131-bis c.p. (ivi compresa la condotta susseguente al reato), ne consegue pacificamente che, qualora in virtù di uno di tali criteri (tra cui si annovera la condotta susseguente al reato) il fatto appaia non tenue, allora dovrà essere esclusa l’applicabilità della causa di non punibilità. D’altra parte, se – come riconoscono la Relazione illustrativa, la Cassazione e la dottrina – una condotta susseguente mitigante l’offesa non comporta automaticamente la tenuità del fatto, qualora alla luce degli altri indici questo appaia comunque grave, allora allo stesso modo non potrà essere applicato l’art. 131-bis c.p. laddove la condotta tenuta dal reo successivamente al reato renda non tenue un fatto che sarebbe stato tale alla luce degli altri criteri, isolatamente considerati.
La soluzione, dopotutto, pare imporsi sempre per la stessa ragione: il giudizio di tenuità dell’offesa è di matrice oggettivista e comporta una valutazione unitaria, non diacronica ma sincronica, di tutti gli indici previsti dall’art. 131-bis c.p. Nella prospettiva dell’istituto, volendo usare una metafora, la gravità dell’offesa dev’essere vista come il liquido contenuto in una beuta graduata: il livello del liquido all’interno del recipiente è determinato dagli indici di valutazione dell’entità del danno o del pericolo e delle modalità della condotta, ciascuno dei quali può comportare un aumento o una diminuzione del volume del liquido medesimo. All’esito della valutazione di ciascun indice, occorrerà osservare il livello infine raggiunto dal liquido (i.e. l’offesa): nel caso in cui sia pari o inferiore alla “stanghetta” che indica un valore di particolare tenuità, potrà essere applicato – al ricorrere delle altre condizioni di legge – l’art. 131-bis c.p.; in caso contrario invece no.
Tre precisazioni finali si rendono necessarie.
In primo luogo, la condotta susseguente al reato, per essere valutata negativamente ai fini della concessione della non punibilità ex art. 131-bis c.p., deve incidere effettivamente sull’offesa, aggravandola. Saranno invece assolutamente inconferenti rispetto al giudizio sull’entità dell’offesa – pare opportuno ribadire – comportamenti successivi che si limitino a manifestare una spiccata capacità a delinquere, ma non imprimano in alcun modo sull’entità dell’offesa cagionata.
In secondo luogo, la condotta susseguente deve aggravare l’offesa causata dal fatto commesso (e dunque deve provocare un danno o un pericolo maggiori di quelli già necessariamente collegati al fatto di reato commesso), mentre non rilevano le ipotesi in cui la condotta susseguente cagioni una nuova e diversa offesa, del tutto slegata a quella precedentemente causata.
Infine, non potrà essere considerata susseguente al reato una condotta che, a ben vedere, costituisca ancora una modalità di realizzazione del reato medesimo (in questo senso si esprime anche la sent. 28033/23).
Ne consegue, a bene vedere, la natura essenzialmente teorica dell’ipotesi in parola, di assai difficile riscontro pratico, alla stessa stregua di quanto è fino ad oggi avvenuto in relazione all’aggravante (ontologicamente simile) di cui all’art. 61, n. 8, c.p.[17]; il che vale, sembrerebbe, a ridimensionare le preoccupazioni riferite a un eventuale uso distorto dell’indice della condotta susseguente al reato per escludere la particolare tenuità di fatti che, alla luce di tutti gli altri indici, parrebbero invece contrassegnati da un’esigua gravità.
Resta aperto comunque il nodo problematico della possibilità o meno di applicare retroattivamente l’art. 131-bis c.p., nella nuova formulazione, anche a fatti commessi prima dell’entrata in vigore della riforma, laddove la condotta susseguente escluda la particolare tenuità di un’offesa originariamente tenue.
4.4. Infine, merita di essere appuntata qualche parola in relazione a una questione trattata marginalmente dalle sent. 18029/23 e 28031/23. L’ipotesi è quella in cui il legislatore valorizzi determinati comportamenti, successivi alla commissione del reato, al fine di configurare speciali cause di esclusione della punibilità, ovvero per farne derivare l’estinzione del reato stesso.
Il quesito che ci si può porre è il seguente: qualora l’imputato ometta volontariamente di realizzare i comportamenti valutati positivamente dal legislatore, potrà tale condotta omissiva, susseguente al reato, deporre per l’esclusione della particolare tenuità dell’offesa?
La soluzione a cui si è pervenuti nelle richiamate pronunce della Corte di cassazione è che, qualora la legge valorizzi comportamenti dell’imputato successivi alla commissione del fatto ai fini dell’esclusione della punibilità, il mancato compimento di tali comportamenti non può essere (automaticamente) valorizzato negativamente nell’ambito del giudizio sulla tenuità dell’offesa.
Ciò è tanto più vero quando, come nei casi scrutinati dalla Corte, l’imputato ponga effettivamente in essere condotte riparatorie, ma manchi di soddisfare altre condizioni collaterali (nel caso della sent. 18029/23, il pagamento dell’oblazione; nel caso della sent. 28031/23, il rispetto del termine temporale previsto dall’art. 13 d.lgs. 74/2000 per il pagamento del debito tributario) che avrebbero comportato il riconoscimento della speciale causa estintiva/di non punibilità, ma che di per sé non incidono sul grado dell’offesa cagionata.
D’altra parte, la disciplina di cui all’art. 131-bis c.p. è incentrata sul dato oggettivo della gravità dell’offesa (non su quello soggettivo del bisogno rieducativo del reo), sicché sono evidentemente irrilevanti comportamenti che non incidano in alcun modo sull’entità dell’offesa stessa.
Ci si potrebbe tuttavia domandare se, in questo modo, non si rischi di consentire al reo di aggirare la necessità di soddisfare tutte le condizioni richieste da una particolare causa di non punibilità, sfuggendo alla pena in virtù di adempimenti che, benché parziali o irregolari, potrebbero d’altra parte essere valorizzati ex art. 131-bis. Si tratta di un’evenienza certamente tutt’altro che remota, ma che, a ben vedere, desta poco allarme: da un lato, perché l’art. 131-bis c.p. richiede comunque una valutazione unitaria di tutti gli indici in esso indicati, non solo della condotta susseguente al reato, e la sua applicazione è in ogni caso subordinata non solo alla particolare tenuità del fatto, ma anche al rispetto degli altri requisiti di legge; in secondo luogo, perché gli effetti premiali riconosciuti dal legislatore a fronte di determinate condotte successive al fatto sono spesso più favorevoli (determinando tendenzialmente l’estinzione del reato) rispetto alla declaratoria di non punibilità ex art. 131-bis c.p., sicché al reo non verrebbe riconosciuto lo stesso beneficio a cui non aveva diritto di accedere.
[1] Cfr. Cass., sez. V, 2 dicembre 2019, n. 660: «Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, non rileva il comportamento tenuto dall'agente “post delictum”, atteso che la norma di cui all'art. 131-bis c.p. correla l’esiguità del disvalore ad una valutazione congiunta delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile, dell’entità del danno o del pericolo, da apprezzare in relazione ai soli profili di cui all’art. 133, co. 1 c.p., e non invece con riguardo a quelli, indicativi di capacità a delinquere, di cui al secondo comma, includenti la condotta susseguente al reato». V. anche Cass., sez. III, 28 giugno 2017, n. 893, secondo cui l’eliminazione delle conseguenze pericolose del reato non integrava di per sé una lieve entità dell’offesa, atteso che l’esiguità del disvalore derivava da una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno e alla colpevolezza. Nello stesso senso anche Cass., sez. II, 30 settembre 2015, n. 41742. Aveva invece ricondotto la condotta susseguente al concetto di non abitualità Cass., sez. III, 11 luglio 2017, n. 4123, con nota di E. Penco, Particolare tenuità del fatto – (ir)rilevanza delle condotte riparatorie successive al reato ai fini del giudizio di particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., in Giur. it., 2018, 6, pp. 1502 ss. Va tuttavia segnalato che un minoritario indirizzo della giurisprudenza di merito era incline a valorizzare condotte post delictum di tipo riparatorio-ripristinatorio, tendenzialmente sul piano dell’esiguità dell’offesa: v. tra le molte Tribunale di Milano, sent. 24 marzo 2016, n. 3738, nonché Tribunale di Foggia, sent. 10 aprile 2015, n. 1670.
[2] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, p. 345.
[3] In questo senso si esprime la Relazione dell’Ufficio del Massimario n. 2/2023, p. 253.
[4] Cass., SS.UU., 25 febbraio 2016, n. 13681, con nota di E. Andolfatto, Le Sezioni Unite sull’applicabilità del nuovo art. 131-bis c.p. alle contravvenzioni stradali (art. 186, commi II e VII, c.d.s.), in Dir. pen. cont., 29 aprile 2016.
[5] Così F. Lombardi, Le modifiche alla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.). Riflessioni sparse, in Penale Diritto e Procedura, 30 agosto 2021, p. 6, il quale a tal proposito osserva che «successivamente al commesso reato, infatti, il reo può tenere condotte che attestino un minor bisogno di rieducazione, poiché già emblematiche di una revisione critica di quanto realizzato; o può attuare comportamenti positivi tesi al ristoro per il danno cagionato, azioni che, mentre incidono sul piano dell’esigenza rieducativa, producono riverberi sugli effetti del fatto oggettivo con particolare riferimento alla riparazione del pregiudizio arrecato».
[6] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, p. 345.
[7] M. Dova, La riforma della particolare tenuità del fatto: aspetti sostanziali, in D. Castronuovo – M. Donini – E.M. Mancuso – G. Varraso (a cura di), Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, Wolters Kluwer, Milano, 2023, pp. 122-123; E. Turco, L’estensione della non punibilità per particolare tenuità del fatto, in Processo penale e giustizia, 1/2022, pp. 8-9; F. Lombardi, Le modifiche alla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.). Riflessioni sparse, cit., p. 8. Particolarmente critico D. Brunelli, Le modifiche alla non punibilità per particolare tenuità del fatto, in Diritto penale e processo, 1/2023, p. 61, secondo il quale «che la condotta susseguente al reato costituisca un indice di capacità a delinquere è una constatazione ovvia»; l’A. sottolinea inoltre come altri indici della capacità a delinquere del reo, previsti dall’art. 133, co. 2, c.p., trovino comunque modo di essere valorizzati nell’ambito dell’art. 131-bis c.p.: «i “motivi a delinquere” e il “carattere del reo” sono già scrutinati per verificare se sussistono gli ostacoli espressamente indicati nell’art. 131-bis, comma 2, e relativi ai “motivi abietti o futili” o alla “crudeltà”, mentre i “precedenti” e la “condotta” antecedente ugualmente rilevano per stabilire se il comportamento non sia “abituale”».
[8] E. Turco, L’estensione della non punibilità per particolare tenuità del fatto, cit., p. 9.
[9] M. Dova, La riforma della particolare tenuità del fatto: aspetti sostanziali, p. 123.
[10] Di diversa opinione D. Brunelli, Le modifiche alla non punibilità per particolare tenuità del fatto, cit., p. 62, secondo cui «l’apertura alle virtualità taumaturgiche della “condotta susseguente al reato” implica un ulteriore e forse definitivo distacco della clausola dalla matrice oggettivistica dell’offesa al bene giuridico e la consegna al giudice di una chiave equitativa di soluzione del processo, in cui l’apprezzamento del “bisogno di pena” assume un ruolo autonomo, ormai
indipendente dal riscontro dei presupposti della responsabilità».
[11] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, p. 345.
[12] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, p. 345.
[13] E. Turco, L’estensione della non punibilità per particolare tenuità del fatto, cit., p. 8, la quale evidenzia che «anche nel rito minorile e nel procedimento dinanzi al giudice di pace, gli antesignani artt. 27 d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 […] e 34 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 […] pongono il requisito oggettivo della tenuità del fatto in un rapporto di priorità cronologica rispetto a quello soggettivo».
[14] M. Dova, La riforma della particolare tenuità del fatto: aspetti sostanziali, p. 123; E. Turco, L’estensione della non punibilità per particolare tenuità del fatto, cit., p. 9.
[15] Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, p. 345.
[16] Così F. Lombardi, Le modifiche alla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.). Riflessioni sparse, cit., p. 7; in termini analoghi E. Turco, L’estensione della non punibilità per particolare tenuità del fatto, cit., p. 9. Contra D. Brunelli, Le modifiche alla non punibilità per particolare tenuità del fatto, cit., p. 61, secondo cui «che […] la condotta susseguente al reato apprezzabile ex art. 131-bis sia quella che concorre a rendere tenue l’offesa (rectius: il fatto commesso) e non ad aggravarla, è […] una considerazione del tutto ovvia, che vale allo stesso modo per ciascuno degli indici commisurativi di cui all’art. 133, comma 1, espressamente evocati attraverso la norma che li prevede».
[17] Evidenzia la sostanziale inapplicazione dell’art. 61, n. 8, c.p. S. Prosdocimi, Osservazioni sull’aggravamento o tentato aggravamento delle conseguenze del delitto, in Riv. it. dir. proc. pen., 1979, pp. 522 ss.