G.U.P. Trib. Roma, sent. 2 novembre 2020 (dep. 10/11/2020), n. 1515, Giud. Azzolini
Segnaliamo ai lettori la sentenza in epigrafe, con la quale il Tribunale di Roma ha ritenuto non punibile ai sensi del delitto di peculato (art. 314 c.p.) il fatto dell’albergatore che abbia omesso di versare all’amministrazione le somme di denaro riscosse dai clienti a titolo di imposta di soggiorno nel periodo antecedente all’entrata in vigore della norma (art. 180 d.l. n. 34/2020) che ha modificato la disciplina extra-penale del relativo rapporto tributario qualificando l’albergatore come “responsabile del pagamento dell’imposta”, in solido con il cliente, e facendo così venire meno la sua qualifica pubblicistica.
Il giudice di merito ritiene, infatti, che la suddetta modifica di norma extrapenale abbia comportato un’abolitio criminis, da cui deriva la non punibilità anche dei fatti pregressi ai sensi dell’art. 2 c. 2 c. (per questa soluzione cfr., in dottrina, M. Gambardella, Il decreto rilancio e la degradazione della condotta di omesso versamento dell’imposta di soggiorno da peculato a illecito amministrativo, in Penale. Diritto e procedura, 1 giugno 2020 e D. Micheletti, Le modificazioni mediate apparenti, in Criminalia, 21 ottobre 2020).
Assumendo tale posizione, il Tribunale di Roma si discosta espressamente dall’orientamento di legittimità espresso di recente dalla prima e – al momento – unica sentenza della Corte di Cassazione relativa alla questione (Cass. sez. VI, 28 settembre 2020, dep. 30 ottobre 2020, n. 30227), che aveva accolto la tesi negativa (in questo senso, in dottrina, cfr. un contributo di Gian Luigi Gatta pubblicato in questa Rivista unitamente a un conforme parere della Procura di Roma).
In tale sede, la Cassazione, applicando a tale specifica questione il c.d. criterio strutturale, già accolto presso le Sezioni unite a far data dalle sentenze Magera (2007), Niccoli (2008) e Rizzoli (2009), ne ha dedotto che la suddetta riforma ha determinato la mera modifica di una norma extra-penale non integratrice, che non incide sulla fattispecie legale astratta di cui all’art. 314 c.p. né direttamente né indirettamente (attraverso la norma integratrice di cui all’art. 358 c.p.) e non determina dunque una successione di norme penali, motivo per cui la non punibilità riguarderebbe solo i fatti successivi alla modifica legislativa.
Il G.U.P., nel prendere esplicitamente le distanze dalla recente pronuncia della Cassazione, argomenta sostenendo che la circostanza che la modifica non incida sulla fattispecie penale (314 c.p.) né sulla norma integratrice (art. 358 c.p.) non consente di affermare tout court che non vi sia stata abolitio criminis, in quanto occorre comunque “procedere al raffronto tra le situazioni di fatto antecedenti e successive alla novella legislativa per stabilire se la novella abbia preso in considerazione una fattispecie diversa da quella prevista dalle norme di cui agli articoli 314 e 358 c.p. ovvero abbia inciso, sia pur indirettamente, su quella in esame”.
A parere del giudice di prime cure sarebbe “evidentemente” in questo senso che deve essere inteso il “confronto strutturale” raccomandato dalle SS. UU. della Cassazione sopra citate: un confronto che tenga dunque in considerazione tutti gli elementi che concorrono a rendere penalmente punibile un “fatto”, come esplicitamente previsto dal secondo comma dell’art. 2 c.p.
A parere del Tribunale romano, conseguentemente, l’affermazione – contenuta nella sentenza della Cassazione sezione VI – secondo cui la struttura del reato in tutte le sue componenti (sia la fattispecie incriminatrice, sia la norma integratrice) non sarebbe stata alterata dalla nuova legge, non convince, laddove la stessa Suprema Corte è costretta ad ammettere che la nuova norma si pone in rapporto di “interferenza applicativa” con il reato. Secondo il giudice di merito, infatti, l’”interferenza applicativa” non sarebbe altro che la modifica della situazione di fatto complessivamente valutata, che consente di affermare che il legislatore ha effettivamente inteso privare di rilevanza penale il comportamento dell’albergatore del quale si discute (cfr. p. 4).
D’altra parte, con specifico riferimento al caso in esame, il giudice di merito evidenzia come il legislatore, intervenendo sulla specifica situazione di fatto del gestore della struttura ricettiva e dando un diverso inquadramento della condotta di omesso versamento delle somme dovute dai clienti per il soggiorno a titolo di imposta o di contributo, ha stabilito che tale fatto non costituisce più reato ma illecito amministrativo (“senza riserva di applicazione della legge penale”); in questo modo, il legislatore avrebbe compiuto una valutazione “politica”, dettata dalla volontà di prevedere una disciplina di minor rigore nei confronti dei soggetti esposti al rischio di sanzione penale in ragione del ruolo di agenti riscossori, senza alcuna contropartita. Esigenza che, si sottolinea, si manifesta ancora più stringente alla luce dell’emergenza sanitaria che ha determinato un collasso della già gravissima situazione del settore alberghiero che perdura da anni (cfr. p. 5).
In considerazione di ciò, il Tribunale ritiene che considerare la depenalizzazione operante solo per i comportamenti successivi all’entrata in vigore del d.l. 34/2020 comporterebbe un’inammissibile disparità di trattamento di situazione identiche in violazione dell’art. 3 Cost. e statuisce dunque in favore del reo perché “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”.