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05 Ottobre 2020


Omesso versamento della tassa di soggiorno da parte dell’albergatore e peculato: abolitio criminis dopo il ‘decreto rilancio’?

Note a margine di un’interessante questione di successione di norme (apparentemente) integratrici



1. Una recente modifica normativa, ad opera del c.d decreto-rilancio (d.l. n. 34/2020), adottato nell’ambito dell’emergenza Covid-19, pone il seguente interrogativo, rilevante rispetto a non pochi procedimenti penali, uno dei quali di rilevanza mediatica, interessando il ‘suocero’ del Presidente del Consiglio, proprietario di un albergo romano e al quale viene contestato l’omesso versamento di imposte al Comune di Roma per circa due milioni di euro: risponde di peculato (art. 314 c.p.) l’albergatore che non versi al comune la somma di denaro riscossa a titolo di tassa di soggiorno?

Va subito detto che a tale quesito la Corte di cassazione ha fino al recente passato dato risposta affermativa dopo aver qualificato l’albergatore quale incaricato di un pubblico servizio: un “agente contabile…che svolge un'attività ausiliaria nei confronti dell'ente impositore ed oggettivamente strumentale all'esecuzione dell'obbligazione tributaria intercorrente esclusivamente tra il comune ed il soggetto che alloggia nella struttura ricettiva”[1].

A riguardo la Cassazione ha precisato che:

a) “il denaro entra nella disponibilità della pubblica amministrazione nel momento stesso dell'incasso dell'imposta di soggiorno cosicché ogni imputazione delle somme riscosse dai contribuenti alla copertura di voci di altra natura, esulanti dal fine pubblico per il quale sono state versate e ricevute, integra la condotta appropriativa di cui all'art. 314 c.p.”[2];

b) l’albergatore non è un sostituto d’imposta, ma è un agente contabile, perché “il comune si rapporta con il gestore non come soggetto attivo del rapporto tributario” – tale essendo unicamente colui che alloggia nella struttura ricettiva – “bensì quale destinatario giuridico delle somme incassate dal gestore a titolo di imposta di soggiorno, nell'ambito di un rapporto completamente avulso dal rapporto tributario, sebbene ad esso funzionalmente orientato e correlato”[3].

 

2. Come è evidente, per la qualificazione giuridica del fatto, come peculato, e, ancor prima, per l’attribuzione della qualifica pubblicistica all’albergatore, è rilevante e decisiva la disciplina extrapenale dell’imposta di soggiorno; disciplina di carattere amministrativo e tributario, dettata da fonti di rango diverso (legislative e regolamentari). Orbene, quella disciplina è stata ora modificata dall’art. 180, co. 3 del  d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. decreto-rilancio), conv. in l. 17 luglio 2020, n. 77. Un provvedimento sospettato, per via del procedimento citato in premessa, di costituire una legge ad personam.

La modifica della disciplina extrapenale pone il problema della perdurante rilevanza penale dei fatti di omesso versamento dell’imposta, antecedentemente commessi. Il decreto-rilancio, infatti, ha radicalmente mutato l’assetto giuridico del rapporto tra il gestore della struttura ricettiva e il comune. Questi, infatti, è stato individuato come “responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno…con diritto di rivalsa sui soggetti passivi”. L’albergatore, con il decreto-rilancio, è cioè diventato soggetto attivo di un obbligo tributario. Come è ben detto nel documento qui allegato, redatto dalla Procura della Repubblica di Roma (gruppo P.A.), egli “non riscuote più per conto del comune denaro (che diventa pubblico fin dal suo incasso e) che è poi obbligato a versare nelle casse dell’ente locale, ma deve pagare al comune, quale obbligato in solido, l’importo dell’imposta di soggiorno; il denaro che deve versare non è dell’ente pubblico ma proviene dall’ospite o, nel caso in cui questi non l’abbia corrisposto, dal proprio patrimonio potendo essere costretto ad anticiparlo per il soggetto passivo, nei cui confronti ha un diritto di rivalsa di natura privatistica”.

In conseguenza del mutato assetto della disciplina, il decreto-rilancio ha poi configurato come illecito tributario, di natura amministrativa, l’omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno (è previsto che si applichino le sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, recante “Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell'articolo 3, comma 133, lettera q) , della legge 23 dicembre 1996, n. 662”).

 

3. La modifica normativa ha dunque trasformato l’albergatore da incaricato del pubblico servizio di riscossione della tassa di soggiorno e versamento nelle casse comunali a destinatario dell’obbligo tributario, con diritto di rivalsa sugli avventori.  In breve, il decreto-rilancio ha fatto venir meno, in capo all’albergatore, la qualifica di incaricato di un pubblico servizio. Si pongono così, per l’interprete, rilevanti questioni di diritto intertemporale, che risultano già emerse nella prassi. A tal proposito occorre distinguere tra fatti commessi prima e dopo il 19 maggio 2020, data di entrata in vigore del decreto-rilancio

 

3.1. Quanto ai fatti commessi dopo quella data, se è vero che è venuta meno, in capo all’albergatore, la qualifica di incaricato di un pubblico servizio, non può essere contestato nei suoi confronti il delitto di peculato in caso di mancato versamento della tassa di soggiorno versata dal cliente. Il fatto integra il nuovo illecito amministrativo, di natura tributaria. Il difetto della qualifica pubblicistica preclude la configurabilità del peculato; l’imposizione dell’obbligo tributario in capo all’albergatore impedisce altresì di configurare il delitto comune di appropriazione indebita, posto che il denaro, pagato dal cliente, diventa di proprietà dell’albergatore stesso.

 

3.2. Il problema si pone in rapporto ai fatti commessi prima del decreto-rilancio.

È anzitutto pacifico che la sanzione pecuniaria per il nuovo illecito amministrativo tributario non possa essere applicata retroattivamente: lo escludono l’art. 1 l. 24 novembre 1981, n. 689 e, ancor prima, secondo la recente giurisprudenza costituzionale[4], l’art. 25, co. 2 Cost., che impedisce la retroattività non solo delle pene, ma anche di tutte le misure di carattere afflittivo punitivo. Ciò non toglie peraltro – si noti – che l’omesso versamento possa (continuare ad) essere sanzionato quale diverso illecito amministrativo eventualmente già previsto al momento del fatto da un regolamento comunale e, prima della recente modifica normativa, configurabile in concorso con il delitto di peculato[5].

È invece problematico stabilire se siano ancora penalmente rilevanti, a titolo di peculato, i fatti antecedentemente commessi; se cioè quei fatti siano ancora punibili. Se si dovesse ritenere che la modifica della disciplina extrapenale ha comportato una parziale abolitio criminis, infatti, troverebbe applicazione la disciplina dell’art. 2, co. 2 c.p., sicché:

a) nei procedimenti in corso andrebbe, a seconda delle fasi, disposta l’archiviazione o pronunciata l’assoluzione, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, provvedendo se del caso a disporre il dissequestro delle eventuali somme di denaro sequestrate in vista della confisca, anche per equivalente, ex art. 322 ter c.p.;

b) nei procedimenti definiti andrebbe revocata ex art. 673 c.p.p. la sentenza di condanna (e andrebbe eventualmente revocata anche l’eventuale confisca).

 

4. La tesi che riconosce l’abolitio criminis è stata sostenuta in sede di primo commento, in dottrina[6] e, a quanto risulta, in un provvedimento di dissequestro del Tribunale di Rimini, che qui si allega. La tesi che esclude l’abolitio criminis è stata invece sostenuta dalla Procura della Repubblica di Roma, gruppo p.a., in sede di parere negativo all’istanza di dissequestro di somme di denaro, oggetto di sequestro preventivo per equivalente ex art. 322 ter c.p. In allegato pubblichiamo qui il modello (schema) di parere negativo che risulta già espresso nell’ambito di alcuni procedimenti pendenti presso il Tribunale di Roma compreso, da quanto si apprende dalla stampa, il procedimento a carico del ‘suocero’ del premier, citato in premessa.

Secondo la prima tesi l’abolizione del reato (parziale) sarebbe mostrata dalla circostanza che il fatto dell’omesso versamento dell’imposta, oggi, non integra più il peculato e sarebbe altresì confermata dalla volontà del legislatore di sanzionare il fatto quale mero illecito amministrativo. Questa tesi è stata argomentata valorizzando criteri di accertamento dell’abolitio criminis tra loro opposti: quello c.d. del ‘fatto concreto’, sposato da una risalente e oggi superata decisione delle Sezioni Unite (Tuzet, 1987)[7], richiamata dal citato provvedimento del Tribunale di Rimini, e quello c.d. strutturale, evocato in dottrina[8].

Per la seconda tesi, viceversa, non si sarebbe in presenza di una successione di norme realmente integratrici della legge penale, riconducibile pertanto alla disciplina dell’art. 2, co. 2 c.p. Con le parole della Procura di Roma, infatti, “il comma 3 dell’art. 180 del d.l. n. 34/2020 non investe la norma incriminatrice poiché non modifica la nozione astratta di incaricato di pubblico servizio, ma elimina le condizioni che consentono (o meglio, consentivano) di qualificare il singolo albergatore come incaricato di pubblico servizio. Non vi è abolitio criminis perché la norma sopravvenuta non espunge dalla macro-categoria degli incaricati di pubblico servizio la sotto-categoria degli incaricati alla riscossione delle imposte per conto di un ente pubblico. Piuttosto, la norma sopravvenuta impedisce, da ora in poi, di ricondurre i singoli albergatori alla sotto-categoria degli incaricati alla riscossione delle imposte per conto di un ente pubblico, trasformandoli da riscossori in obbligati in solido (così come, mutatis mutandis, l’adesione della Romania all’UE non modifica la nozione di straniero extracomunitario, ma semplicemente esclude i rumeni da questa nozione)”.

Tale ultimo riferimento è alla questione, oggetto della sentenza delle Sezioni Unite Magera[9], che nel 2007 fu chiamata a stabilire se erano ancora punibili i cittadini rumeni espulsi, autori del reato di inosservanza dell’ordine di allontanamento dallo Stato impartito dal questore (art. 14, co. 5 ter t.u. imm.), pur avendo, in un momento successivo alla commissione del fatto, perso lo status di extracomunitari per effetto dell’adesione della Romania all’U.E. La risposta delle Sezioni Unite fu affermativa e coerente con il criterio strutturale di accertamento dell’abolitio criminis – ribadito dalle stesse Sezioni Unite in decisioni precedenti (S. U. Giordano del 2003[10]) e successive (S.U. Niccoli, del 2008[11], e S.U. Rizzoli[12], del 2009) e oggi consolidato. La modifica di norme extrapenali, secondo quel criterio, può comportare abolitio criminis solo allorché si tratti di norme realmente integratrici, quali sono le norme di riempimento di norme penali in bianco e le norme definitorie: non anche le norme richiamate da elementi normativi della fattispecie penale. Come sottolinea la Procura di Roma, il decreto-rilancio non ha modificato la definizione legale di incaricato di un pubblico servizio (art. 358 c.p.), così come non fu modificata, nel caso oggetto della sentenza Magera, la definizione legale di extracomunitario; nessuna modifica strutturale ha quindi interessato la fattispecie del peculato, con conseguente esclusione dell’abolitio criminis.

 

* * *

 

5. L’interessante questione posta dal decreto-rilancio deve a mio parere essere affrontata domandandosi dapprima (a) se è venuta meno la qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio in capo all’albergatore. Una volta che sia stata data risposta affermativa a quesito – sulla base dell’esame della disciplina extrapenale che viene in rilievo – ci si può chiedere (b) se il sopravvenuto venir meno della qualifica soggettiva dia luogo a una successione di leggi penali ai sensi e per gli effetti dell’art. 2 c.p.

Al primo quesito sembra dare una convincente e argomentata risposta affermativa l’allegato parere della Procura di Roma, al quale si rinvia.

Il secondo quesito – al quale pure fornisce a mio avviso una condivisibile risposta il parere della Procura di Roma – va inquadrato nell’ambito della tematica della successione di norme ‘integratrici’ della legge penale o delle c.d. modifiche ‘mediate’ della fattispecie[13]. È una classica e complessa questione, alla quale – mi siano concesse queste citazioni personali, spero utili – ho dedicato un lavoro monografico, pubblicato nel 2008[14], e un contributo (relazione a un incontro di studio organizzato dal CSM all’Ergife di Roma) pubblicato nel 2010, agli albori di Diritto penale contemporaneo[15].

Nella monografia (p. 542 s.) ho tra gli altri affrontato proprio il caso della perdurante rilevanza penale del peculato pur a fronte del venir meno in capo all’agente, per sopravvenute modifiche extrapenali, della qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio. Il caso non è nuovo: nel Secondo dopo guerra l’abolitio criminis fu esclusa dalla Cassazione[16] nei confronti di soggetti preposti alla direzione di una colonia elioterapica esercitata dalla Gioventù Italiana del Littorio (G.I.L.), ritenendo irrilevante il sopravvenuto venir meno della qualifica pubblicistica dell’ente[17]. La soluzione fu (ed è) coerente a quella data dalla stessa Cassazione, fin dagli stessi anni, al caso di scuola di modifiche ‘mediate’ della fattispecie: l’abolizione del reato oggetto di falsa incolpazione nella calunnia[18]. Il caso si presentò poi alla fine degli anni Ottanta, in relazione al peculato degli operatori bancari, realizzato mediante concessione abusiva di fidi, allorché fu esclusa per legge la qualifica di attività di pubblico servizio con riguardo alla raccolta del risparmio[19]. Quel caso fu risolto da una celebre decisione delle Sezioni Unite (Tuzet, 1987)[20], in senso favorevole all’abolitio criminis

 

6. L’argomento delle Sezioni Unite Tuzet, a sostegno dell’abolitio criminis del peculato, fu duplice. In primo luogo, le S.U. affermarono la natura integratrice delle norme che decidono della qualifica soggettiva dell’autore di un reato proprio. A questo argomento ne fu affiancato un altro, basato su un’interpretazione letterale dell’art. 2, co. 2 c.p.: “la formulazione letterale del 2 comma dell’art. 2 è abbastanza chiara nell’escludere la punibilità per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce più reato. E per quanti bizantinismi si vogliano fare, non si potrà mai contestare che il fatto ascritto [all’imputato], se commesso oggi, non costituirebbe reato. Quel fatto storico, illecito al momento in cui fu commesso, non corrisponde più alla fattispecie astratta del reato”. Il caso del peculato degli operatori bancari fu dunque risolto negli anni Ottanta dalle Sezioni Unite applicando il criterio del ‘fatto concreto’, secondo il quale per stabilire se a seguito di una modifica della rilevante normativa extrapenale si è verificata una abolitio criminis non occorre guardare alla fisionomia della (immutata) fattispecie legale astratta, bensì, appunto, al concreto fatto oggetto del giudizio; se, dopo la modifica normativa, quel fatto, prima punibile, non è più punibile, deve affermarsi l’abolitio criminis[21].

La decisione delle S.U. relativa agli operatori bancari non ha peraltro trovato conferma, negli anni successivi, allorché la Cassazione[22] fu chiamata a pronunciarsi sulla punibilità di fatti di corruzione e falso commessi da soggetti – come i dipendenti delle Ferrovie dello Stato (nella vicenda delle ‘lenzuola d’oro’) o di municipalizzate – che, dopo la commissione dei fatti loro ascritti, avevano perso la rispettiva qualifica pubblicistica in conseguenza della sopravvenuta privatizzazione dell’ente pubblico[23].

 

7. Tornando al caso che oggi ci occupa, a me pare che esso debba trovare soluzione alla luce della giurisprudenza delle Sezioni Unite successiva alla sentenza Tuzet: invocare quella sentenza, solo perché in tema di peculato, significherebbe ignorare la successiva evoluzione giurisprudenziale, cui si è accompagnata la riflessione della dottrina[24]. Il criterio di accertamento dell’abolitio criminis è oggi individuato in quello c.d. strutturale – fatto proprio, in tema di modifiche ‘mediate’, dalle citate sentenze Magera, Niccoli e Rizzoli[25]. Comportando l’abolitio criminis la perdita di rilevanza penale di una classe di fatti, individuata dalla fattispecie legale astratta – che è il criterio di selezione e de-selezione dei fatti penalmente rilevanti (S.U. Rizzoli, 2009) – non può aversi abolizione del reato, integrale o parziale che sia, in assenza di una modifica della fattispecie legale astratta.

Diventa allora decisivo stabilire se la disciplina extrapenale, relativa alla tassa di soggiorno, integri – cioè completi – la fattispecie legale descritta dall’art. 314 c.p. Solo la modifica di norme integratrici può infatti incidere sulla fattispecie legale astratta.

Orbene, quella disciplina è richiamata dal concetto di ‘incaricato di un pubblico servizio’, che a sua volta è oggetto di una norma definitoria contenuta nell’art. 358 c.p. La relativa definizione legale è formulata attraverso il ricorso ad elementi/concetti normativi (‘pubblico servizio’, quale attività ‘disciplinata da norme di diritto pubblico’). Orbene, la citata giurisprudenza delle SU, in accordo con parte della dottrina, ritiene, condivisibilmente, che siano norme integratrici (a) le norme definitorie e (b) le norme che colorano il precetto di norme penali in bianco; non anche – questo è il punto – (c) le norme richiamate da elementi normativi. A differenza delle altre, infatti, queste ultime norme non contribuiscono a descrivere la fattispecie legale astratta (il tipo di fatto penalmente rilevante), in ragione dell’autonomia concettuale e funzionale del concetto normativo (‘pubblico servizio’) dalle norme richiamate, che costituiscono il criterio per l’applicazione, nel caso concreto, della qualifica espressa dal concetto normativo. Il venir meno della qualifica pubblicistica dell’albergatore impedisce di qualificare lo stesso come incaricato di pubblico servizio ma – ed è questo il punto – non incide in alcun modo sulla definizione di incaricato di pubblico servizio e quindi sulla fattispecie del peculato. Esattamente, dunque, la Procura di Roma, nel documento allegato, propone un parallelo con il caso affrontato dalla sentenza Magera: la perdita della qualifica di extracomunitari, da parte dei cittadini rumeni, non comportò una modifica della nozione di cittadino extracomuniatario e, di conseguenza, delle fattispecie penali che presuppongono quella qualifica soggettiva.

 

8. La tesi contraria all’abolitio criminis del peculato dell’albergatore, d’altra parte, ci sembra trovi conferma anche sul piano della sostanza, oltre che su quello della forma. La scelta di modificare la disciplina relativa alla tassa di soggiorno, comunque motivata nel contesto del decreto-rilancio, nulla ha a che vedere con il disvalore penale del fatto di chi, venendo meno all’obbligo di versamento, si sia appropriato di denaro che, al momento dell’incasso, diventa della pubblica amministrazione. Né deve trarre in inganno il fatto che il legislatore abbia configurato un nuovo illecito amministrativo. Quell’illecito è infatti destinato ad operare per il futuro, nel mutato quadro normativo che trasferisce l’omesso versamento della tassa di soggiorno dalla sfera della distrazione di denaro pubblico a quella dell’evasione fiscale, cioè del mancato versamento di denaro privato. Non concordiamo pertanto con chi, in dottrina[26], ha prospettato l’abolitio criminis in conseguenza di una successione tra reato (di peculato) e illecito amministrativo; a nostro avviso, infatti, si tratta di fattispecie eterogenee, l’una destinata ad operare in rapporto al vecchio regime dell’imposta di soggiorno – e alla qualifica pubblicistica dell’albergatore (e del denaro incassato), l’altra in relazione al nuovo regime dell’imposta stessa – e alla qualifica privatistica dell’albergatore (e del denaro incassato).

 

 

[1] Così Cass. Sez. VI, 17.5.2018, n. 32058, Locane, CED 273446-01. V. anche Cass. Sez. VII, 26.3.2019, n. 27707, Norsa, CED 276220.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Cfr. Corte cost., 4 giugno 2010, n. 196; Id., 18 aprile 2014, n. 104; Id., 5 dicembre 2018, n. 223. In proposito v., volendo, G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, 9a ed., 2020, p. 116 s.

[5] Per la configurabilità di un simile concorso, e per l’esclusione della disciplina dell’art. 9 l. n. 689/1981, cfr. Cass. Sez. VI, 28 maggio 2019, n. 29632, Kunsagi, CED 276977.

[7] Cass. Sez. Un., 23 maggio 1987, Tuzet, in Riv. it. dir. proc. pen., 1987, p. 695 s., con nota di C.E. Paliero.

[8] Cfr. M. Gambardella, Il “decreto rilancio”, cit.

[9] Cass. Sez. Un., 27.9.2007, n. 2451, Magera, CED 238197-01

[10] Cass. S. U., 26 marzo 2003, Giordano, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003, p. 1503 s., con nota di C. Pecorella.

[11] Cass. S.U., 28 febbraio 2008, Niccoli, in Cass. pen., 2008, p. 3592 s., con nota di E.M. Ambrosetti.

[12] Cass. S.U., 26 febbraio 2009, Rizzoli, In Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 887 s., con nota di G.L. Gatta.

[13] Cfr. per tutti, nella manualistica, G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, cit., p. 140 s.

[14] G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”: teoria e prassi, 2008.

[16] Cass. Sez. III, 23 ottobre 1947, Carocci, in Riv. pen., 1948, p. 384.

[17] Cfr. G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit., p. 544.

[18] Ibidem, p. 403 s. Cfr. Cass. Sez. III 25 ottobre 1947, Calì, in Giust. Pen., 1948, II, c, 721 s. Da ultimo v. Cass. Sez. VI, 17 maggio 2018, D’Agostino, CED 27384: “Il delitto di calunnia si configura anche nel caso di successiva abrogazione del reato oggetto della falsa incolpazione (In motivazione la Corte ha affermato che la valutazione della falsa attribuzione del fatto costituente illecito penale, ossia dell'elemento materiale della fattispecie criminosa, deve essere compiuta al momento della consumazione del reato, non assumendo rilievo la circostanza che la norma disciplinante il reato del quale sia stato falsamente incolpato un innocente sia successivamente abrogata, atteso che l'originaria falsa incolpazione resta in grado di esporre in concreto un innocente all'instaurazione di un procedimento penale a suo carico e il fatto precedentemente commesso conserva la sua offensività nonostante la successiva depenalizzazione)”.

[19] Cfr. G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit., p. 545 s.

[20] Cass. Sez. Un., 23 maggio 1987, Tuzet, cit.

[21] Sul criterio in esame, sostenuto anche da una parte della dottrina, v., anche per ampi riferimenti bibliografici, G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit., p. 359 s.

[22] Cfr., ad es., Cass. Sez. VI, 10 luglio 1995, Caliciuri, in Dir. pen. proc., 1996, p. 192 s., con nota di P. Pisa; Cass. Sez. VI, 26 settembre 2006, Moschetti, CED 234990.

[23] Cfr. G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit., p. 558 s. e p. 564 s.

[24] Sia consentito, ancora una volta, il rinvio a G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”, cit. Sul tema v. anche, tra i lavori monografici, D. Micheletti, Legge penale e successione di norme integratrici, 2006; L. Risicato, Gli elementi normativi della fattispecie penale, 2004, p. 225 s. V. anche, tra i saggi più recenti, G. Puglisi, Modificazioni mediate della fattispecie e diritto penale intertemporale: ragioni teleologiche ed ermeneutiche "pro libertate", in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 789 s.

[25] Nella giurisprudenza delle sezioni semplici v., da ultimo, Cass. Sez. III, 29 gennaio 2019, n. 11520, Tonnarello, CED 275990.

[26] Cfr. M. Gambardella, Il “decreto rilancio”, cit.